Alla cortese attenzione dell’archeologo prof. Francesco Cuteri.
Caro Francesco, il 30 aprile 2024 ho visitato Montestella, dove ero già stato diverse volte, e ho fatto attenzione a tre elementi che non avevo considerato prima. Io non sono archeologo, e perciò rivolgo a te gli interrogativi che mi sono posto in seguito alla mia recente lettura del famoso libro di Riane Eisler: Il piacere è sacro. L’autrice afferma ripetutamente che nel periodo paleolitico la conchiglia simboleggiava la vulva della donna come fonte di vita per tutto l’esistente.
Non c’è dubbio che l’acquasantiera in marmo della grotta di Pazzano, che si trova ugualmente in moltissime altre chiese, sia stata fatta solo qualche secolo fa, ma una grande conchiglia capovolta è figurata in alto nella nicchia dove si trova la Vergine, opera seicentesca in marmo della scuola siciliana dei Gaggini (vedi foto)
Anche S. Giovanni Battista è spesso raffigurato mentre con una conchiglia versa l’acqua per il battesimo sulla testa del battezzando come segno di nuova vita.
La Eisler afferma anche che le conchiglie, o collane e bracciali di conchiglie, adornavano i defunti sepolti, come per le sepolture paleolitiche della Grotta del Romito di Papasidero (CS).
Le ricerche condotte lì dall’Università di Firenze hanno datato quelle sepolture al periodo paleolitico chiamato gravettiano, quindi tra il 29000 e il 22500 a. C.
La Eisler afferma ripetutamente che il quel periodo si producevano due cerchi incisi su pietra, non sovrapposti né intrecciati, ma vicini, per indicare il maschio e la femmina. Un simile segno è inciso su una pietra nera, posta nel pavimento della grotta di Montestella davanti all’altare:
Ancora più sorprendente per me pitagorico è questa stella a cinque punte incastonata in una pietra nel pavimento (vedi foto).
Non ci sono dubbi che la stella regolare a cinque punte sia stata il segno di riconoscimento dei pitagorici, ma questa stella potrebbe anche indicare che quel simbolo sia stato trovato in Calabria dai pitagorici che lo avrebbero adottato come loro segno di riconoscimento. Tutti questi elementi sembrano indicare l’uso della grotta di Pazzano nel periodo paleolitico come luogo di culto e sepoltura. Perciò azzardo l’ipotesi che una eventuale ricerca nel sottosuolo della grotta potrebbe portare alla scoperta di sepolture antichissime come a Papasidero.
In margine a tutto ciò, durante un mio incontro con l’amico Padre Kosmàs, monaco greco ortodosso di S. Giovanni Teresti di Bivongi, stabilimmo che la parola stella potrebbe essere un adattamento italiano della parola latina stilla, goccia, e indica che quella zona è di roccia carsica con grotte, stalattiti e stalagmiti, formatesi col gocciolare dell’acqua che deposita il calcare. Lo stesso ipotizzammo per Stilo, il cui nome non deriverebbe dal greco stile, colonna, ma da stilla o goccia. Tutto ciò è confermato dalla parola greca stalagma, goccia, parola che dà il nome al paese di Stalettì, posto sul costone di Copanello di natura calcarea, ricco di grotte grandi e piccole.
Perdonami se ti mando alla rinfusa queste mie considerazione, ma ricordo anche di aver visto nella Chiesa della Madonna di Campo nella marina di Sant’Andrea Jonio, delle tombe a forma rotonda. Dentro c’erano ossa umane che dovevano risalire al periodo arcaico, che la Eisler afferma si usassero in segno di ritorno del morto nell’utero della Grande Madre per la rigenerazione. A Campo, su cui tu hai scritto una dotta ricerca, ho visto quelle tombe durante i lavori di ristrutturazione fatta circa quaranta anni fa.
Tutto ciò sembra indicare che la presenza umana nella nostra fascia jonica è da spostare indietro di decine di migliaia di anni, ma qui cedo il passo a te, se vorrai valutare le mie argomentazioni.
Ti ricordo anche il nostro appuntamento per una visita alle rovine del Casino dei Mattei, vicino a Campo, assieme all’amico Gerardo Frustaci. Cordiali saluti. Salvatore Mongiardo