Di seguito la nota diffusa da Salvatore Mongiardo: <<Care Amiche e cari Amici, il 2 luglio prossimo vogliamo celebrare per la prima volta la vera nascita dell’Italia, un evento poco conosciuto, ma determinante nella storia antica e ancora più importante per il futuro dell’umanità. Migliaia di anni fa, per una serie di cambiamenti climatici, il Medio Oriente andava verso la trasformazione in deserto e, di conseguenza, la pastorizia diventava necessaria per sopravvivere. L’Italia di allora invece, l’attuale Calabria, grazie all’abbondanza di acque e vegetazione, passava dall’allevamento degli animali all’agricoltura, soprattutto alla coltivazione del grano.
E’ il fenomeno che Aristotele, sintetizza nella sua Politica (libro 7, capitolo 10), quando scrive del popolo degli Enotri, produttori di vino, che vivevano tra il golfo di Squillace e quello di Lamezia. Un certo Italo, intorno al 2000 a.C. convertì gli Enotri dall’allevamento all’agricoltura e li chiamò Itali dando il suo nome. Egli, inoltre, istituì il Sissizio, il banchetto comunitario, dove si portava il grano raccolto che si divideva in parti uguali. Nel Sissizio, che si festeggiava ai primi di luglio dopo la mietitura, s’infornava un Bue di Pane, in ringraziamento al Bue Aratore che aveva tirato l’aratro per preparare i campi alla semina. La celebrazione della nascita dell’Italia vuole anche essere la Rinascita dell’Italia. La storia del mondo è andata paurosamente sbandando da una guerra all’altra per oltre duemila anni. Il commento di Salvatore Mongiardo che segue, esplora il percorso storico del passato e indirizza verso un nuovo ciclo che riparte da dove tutto è cominciato. Questa Italia e questo mondo non ci piacciono.
Noi, che viviamo dove l’Italia è nata, intendiamo farci carico di offrire al mondo la nuova Civiltà Sissiziale, cioè conviviale, pacificata e fraterna. Invitiamo pertanto tutti, ma soprattutto i soci della Nuova Scuola Pitagorica, a promuovere per il 2 luglio incontri, Sissizi, eventi, che vadano oltre le angustie del presente. Il mondo non può fare a meno dell’Italia, la storia lo dimostra. Ma la storia insegna anche che i principi fondanti della Prima Italia di Italo sono stati manomessi e travisati. Noi Italiani di Calabria, assieme a Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi e una schiera infinita di poeti, pensatori, martiri, patrioti ed emigranti, vi esortiamo a festeggiare, nelle forme che meglio ritenete, la nascita e rinascita dell’Italia, voluta da un grande destino. A Crotone festeggeremo nei Giardini di Pitagora alle ore 19.30 di domenica 2 luglio 2017.
Evoè! 2 Commento di Salvatore Mongiardo per la Celebrazione della nascita dell’Italia Verso l’Italia Mnesarco, il padre di Pitagora, esaminava i sigilli per anelli che aveva inciso. Diaspri, ametiste, zirconi: erano proprio belli e lui avrebbe guadagnato molto andando a venderli in Italia. Anche il figlioletto Pitagora, di circa dodici anni, stette ad ammirare quei sigilli: un’aquila di Giove, Ganimede coppiere degli Dei, Nettuno col tridente. Mnesarco guardò quel bellissimo figlio dai lunghi capelli e vide nei suoi occhi una supplica: Padre, mi porti con te a Crotone d’Italia? Poi Pitagora glielo chiese a voce, e Mnesarco ne parlò alla moglie Parténide. Lei trasalì all’idea del figlio in viaggio su una nave, ma alla fine acconsentì. Era forse maggio di un anno intorno al 560 avanti Cristo, quando la nave salpò dall’isola greca di Samo.
La navigazione fu lunga perché avveniva solo di giorno e sotto costa fino a Corfù. Da lì bisognava affrontare il mare aperto: era la parte più avventurosa. Finalmente apparve Leuca, poi Taranto, Metaponto, Sibari e infine Crotone. Lì Pitagora si sentì in un mondo nuovo: la gente era cordiale e le donne giravano libere per le strade. Ai primi di luglio ci fu molto fermento per la preparazione del Sissizio, il banchetto comunitario che si teneva in campagna dopo la raccolta del grano. Era una tradizione antichissima, stabilita da re Italo: si portava il grano raccolto, si divideva in parti uguali, e si regalava un pane a forma di bue. Pitagora partecipò probabilmente al Sissizio e chiese il perché di quello strano pane. Gli risposero che si faceva in ringraziamento all’animale che aveva arato i campi per la semina. Alla fine dell’estate, ripresero la nave e tornarono a Samo. Mnesarco era contento degli affari fatti e Parténide abbracciò il figlio che era cambiato e parlava con entusiasmo dell’Italia, dove si viveva in amicizia e rispetto per le persone e gli animali.
E raccontava delle grandi foreste della Sila abitate da lupi e orsi, delle ampie terre fertili coltivate a grano, ulivi e viti, dell’abbondanza di sorgenti d’acqua dolce e dei vulcani di Etna e Stromboli che eruttavano fuoco nelle isole vicine. Pitagora non aveva più interesse per i giochi dei suoi coetanei né per il lavoro del padre, e cominciò a frequentare i saggi ai quali domandava: Qual è la regola per vivere felici? É giusto avere schiavi o uccidere gli animali? Non contento delle risposte ricevute, intorno ai venti anni egli si mise in viaggio e visitò il Libano, la Siria e Israele. A Gerusalemme vide le rovine del Tempio, distrutto nel 587 a.C. dal re babilonese Nabucodonosor. Un pastore, che pascolava lì vicino, gli raccontò del rito dell’agnello ucciso mattino e sera e poi bruciato interamente in offerta al Dio, l’olocausto. Poi egli si recò in Egitto, dove i sacerdoti lo istruirono e visse con loro per ventidue anni. Imparò così i misteri egizi, la scrittura geroglifica, i culti di Iside e Osiride, vide le Piramidi e le mummie… Alla fine andò in Mesopotamia ed entrò in contatto con i Magi, che gli insegnarono l’astronomia, e venne a sapere di Zaratustra e della sua dottrina del Dio del Bene e del Dio del Male. Verso i cinquant’anni Pitagora si chiese che senso avesse la sua lunga ricerca. Aveva lasciato la famiglia d’origine e ora si ritrovava con molte conoscenze 3 ma solo. Decise allora di tornare a Samo, nel frattempo caduta sotto la tirannia di Policrate, ricco e fortunato nelle sue imprese, che però aveva tolto la libertà al popolo. Policrate cercò di farsi amico Pitagora per il suo grande prestigio, ma egli si nascose nelle grotte, ancora oggi esistenti, della montagna granitica di Kerkis. Poi s’imbarcò verso quel posto che aveva visto da ragazzino e che gli era rimasto nel cuore: Crotone. Sbarco in Italia Arrivato in città, dovette guadagnarsi da vivere e cominciò a insegnare agli uomini, alle donne e ai bambini. Le donne specialmente rimasero affascinate dal suo parlare e fondarono per lui un’associazione. Pitagora comprese che quello era il posto per realizzare il suo sogno e fondò una Scuola, dove insegnava non solo matematica e geometria, ma anche uno stile di vita che univa la sua filosofia al modo di vivere praticato dalle donne italiche, quelle che i greci avevano trovato sul posto e preso in moglie. Difatti, i coloni che venivano dalla Grecia erano solo maschi, e i loro discendenti, gli italioti, erano figli dei coloni e delle italiche. Tutti erano ammirati dalla fusione di scienza matematica, elaborazione filosofica e stile di vita che egli insegnava. Difatti, Pitagora aveva compreso che c’era un ordine nell’universo come nella vita. Se gli uomini e la società andavano male, era perché non vivevano secondo le giuste regole, quelle che lui aveva intravisto tra gli Itali. E rafforzò il suo insegnamento offrendo agli Dei il simbolo italico, il Bue di Pane, in ringraziamento per la scoperta del suo famoso teorema del triangolo rettangolo. Ci fu una presa di coscienza generale dell’importanza di quell’insegnamento, e nacque spontaneo chiamare l’Italia di allora Magna Grecia, cioè Grande Grecia, quella che ebbe l’Italia per madre e Pitagora per padre. Per tutta la vita Pitagora aveva studiato e riflettuto, ma a Crotone capì che era giunto il tempo di agire, e iniziò a fare cose che stupivano. Durante una lezione, vide una giovane di particolare bellezza che lo ascoltava come un oracolo. Si chiamava Teano, ed egli ebbe l’ardire di chiederla in moglie e sposarla, esaudendo il suo desiderio di avere accanto una giovane bella e innamorata. Circolarono battute ironiche su quel matrimonio, ma egli non se ne curò. Continuò a fare quello che gli sembrava giusto e adottò uno stile di vita basato su cinque principi. Primo principio: amore I riti greci, egizi, babilonesi e le disquisizioni dei saggi non avevano soddisfatto Pitagora. Grande cosa invece era per lui l’amore vero, la filìa, quella forza possente che legava il Divino all’umanità, l’uomo alla donna, che pacificava le contrastanti passioni dell’anima, stringeva amici, nemici e finanche gli animali in un abbraccio che scaldava il cuore e rasserenava la mente. La base stessa dell’Essere era una forza d’amore che nasceva dal cuore e si espandeva per tutto l’universo. Senza l’amore tutto era calcolo, conflitto, gelo.
Perciò egli insegnava che l’amicizia era sacra e l’amico era un altro te stesso. 4 Secondo principio: libertà Nell’Italia di allora, la Prima Italia, che corrispondeva all’attuale Calabria, non esisteva la schiavitù: erano tutti liberi, uomini e donne. Invece in Egitto, Mesopotamia, Grecia e nel resto del mondo conosciuto, la società si basava sulla schiavitù. Ma, senza libertà la società cadeva nel degrado e l’umanità inaridiva come una pianta senza acqua. Bisognava dunque fare come a Locri, dove le leggi di Zaleuco, il primo legislatore europeo, proibivano di possedere schiavi o schiave. Pitagora incoraggiò a liberare gli schiavi togliendo loro i ceppi di piombo, alcuni conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Crotone. I padroni degli schiavi, però, non erano contenti… Terzo principio: comunità di vita e di beni A Pitagora piaceva la comunità di vita e di beni degli Itali. Molto tempo prima, gli Itali si chiamavano Enotri, produttori di vino. In seguito si convertirono all’agricoltura, perché la terra, fertile e ricca di acqua, dava frutti tutto l’anno. Abbandonarono così l’allevamento degli animali per diventare mangiatori di pane. L’attività agricola favoriva, per sua natura, la comunità di vita nei villaggi, dove non era necessario competere per il cibo, ed era ritenuto sconveniente competere per qualunque altra cosa. Pitagora comprese il valore della non competizione ed elaborò la dottrina della vittoria che sporca l’uomo, perché lo separa dagli altri e lo rende oggetto d’invidia.
Era un’affermazione molto audace, perché Crotone primeggiava nelle gare dei Giochi Olimpici. Egli però non si lasciò influenzare da quei successi e insegnò che chi gareggia per vincere, anche se non lo fa per denaro, è corrotto nell’animo perché vuole dominare sugli altri. Impose perciò ai suoi allievi di non partecipare, nemmeno come spettatori, ai giochi che si svolgevano nelle diverse città. La sua contestazione delle istituzioni di Crotone andava crescendo e molti crotoniati ormai storcevano il naso. Quarto principio: dignità della donna Pitagora affermò nella sua Scuola l’uguaglianza tra uomini e donne, che ammise accanto ai maschi come allieve: di diciassette di esse c’è giunto il nome. Non solo. In tutta la storia del mondo, egli fu forse il solo a professare la maggiore dignità della donna come depositaria naturale della giustizia che veniva dal Dio. Pitagora parlava di giustizia sostanziale, dikaiosyne o giustezza, cioè parti uguali per tutti. Alla donna spettava dunque, perché più degna dell’uomo, fare al Dio offerte pacifiche di fiori e focacce. Egli promosse così la donna a madre della giustizia e della pace. Quella sua mirabile intuizione è stata recentemente confermata dalle organizzazioni internazionali che distribuiscono cibo ai paesi poveri. Esse hanno notato che un sacco di riso, se dato per esempio a un uomo, è scambiato o trafficato per sesso, armi, droga o denaro. Se invece è dato a una donna, finisce sempre gratuitamente nel piatto di chi ha bisogno di mangiare. 5 Quinto principio: vegetarismo e fine della violenza Pitagora viveva vicino al Tempio di Hera Lacinia, e sentiva le urla degli animali scannati per i sacrifici di sangue: buoi, caprette, agnelli, montoni e maiali. Egli invece onorava gli Dei con offerte di fiori e focacce, che Teano e le loro figlie, Damo e Muià, impastavano in casa e deponevano su un altare non macchiato di sangue. Con quel gesto audace, egli abolì sacerdozio, sacrificio e vittima. Pitagora insegnava: Se non osi uccidere un animale, mai ucciderai un uomo. La pace è una consuetudine che nasce dal rispetto degli animali. Il Bue di Pane degli Itali diventò nelle sue mani il simbolo della fine della violenza. Risparmiare all’animale la sofferenza dell’uccisione, significava esercitare la pietas, che è il fondamento dell’amore vero e fattivo. Sconfitta e morte L’agire e il parlare di Pitagora non piacevano ai sacerdoti di Hera, che vivevano nell’agiatezza grazie ai sacrifici. Che cosa andava cercando quel vecchio che si definiva filosofo, l’amante della sapienza? Non sapeva egli che i sacrifici si facevano in tutto il mondo, che senza di essi gli Dei si sarebbero adirati e la polis di Crotone sarebbe andata in rovina? Intanto i crotoniati si preparavano ad attaccare Sibari, ricchissima di terre e mandrie. Tra i sibariti erano scoppiate lotte interne, e alcuni allievi pitagorici erano stati uccisi. Pitagora sperava che non si arrivasse alla guerra, ma la brama di dividersi le ricche terre prevalse tra i crotoniati, che distrussero Sibari nel 510 a.C. con grande pianto di tutta la Grecia. Poi toccò a Pitagora, che aveva contestato i sacerdoti, l’esercito, i sacrifici agli Dei, il predominio degli uomini sulle donne, la schiavitù… I crotoniati volevano invece godersi le ricchezze prese a Sibari, e organizzarono una congiura contro di lui. Misero a capo di essa Cilone, uomo ricco e ambizioso che voleva vendicarsi del rifiuto di Pitagora ad accoglierlo come allievo nella Scuola. La casa di Pitagora fu data alle fiamme, molti pitagorici furono uccisi e solo pochi si salvarono. Non sappiamo di certo se Pitagora fosse presente. Egli dovette cercare asilo e si recò a Kaulon, l’odierna Monasterace, che, come scrivono Porfirio e Giamblico, egli aveva beneficato ammansendo l’orsa bianca che danneggiava gli abitanti. Pitagora l’aveva addomesticata nutrendola con focacce e ghiande. Ma gli abitanti di Kaulon lo supplicarono di andarsene altrove per timore di essere puniti da Crotone. Alla fine trovò asilo a Metaponto e, secondo alcuni, morì perché non volle prendere più cibo, non sappiamo se per debolezza o per il dispiacere. La sua morte sarebbe avvenuta intorno al 495 a.C. e la sua casa fu trasformata in tempio di Demetra, che Cicerone visitò a Metaponto circa quattro secoli dopo. La storia continua Questa ricostruzione della vicenda di Pitagora intende mettere in luce le regole da lui elaborate per una vita degna di essere vissuta. L’esposizione si basa comunque sui fatti riportati dagli storici antichi Porfirio, Giamblico e Diogene 6 Laerzio, di cui c’è giunta una vita di Pitagora. Sono quelle le uniche tre vite sopravvissute tra le numerose scritte su di lui nell’antichità, sufficienti comunque a ricostruire il suo insegnamento. In passato egli è stato visto soprattutto come maestro di matematica e geometria, discipline che egli invece considerava come ancelle a servizio dell’etica. La lunga ricerca di Pitagora tra le genti acquistò senso compiuto col suo approdo in Italia e alla cultura italica che egli sintetizzò col suo sapere. I cinque principi sopra esposti, che si potrebbero chiamare Pentalogo Pitagorico, segnano il punto più alto finora raggiunto dall’etica in ogni tempo. Difatti, per capire se viviamo bene o male, è sufficiente raffrontare la vita individuale o sociale a quei principi. Avvicinandoci a essi viviamo bene, allontanandoci viviamo male. Pitagora diventa immortale Immagino Pitagora morente che risente il grido del pilota della nave all’avvistamento della terra, quando ragazzino venne la prima volta a Crotone: Italia! Italia! Ora giace esule e sta per morire, ma sa che un giorno l’umanità approderà a quell’Italia etica e interiore che egli aveva ideato. Decadenza dell’Italia Da allora in poi il nome di Italia si sarebbe espanso con i romani a tutta l’attuale penisola. Gli eventi storici, tuttavia, resero l’Italia terra di conquista d’infiniti eserciti e culture straniere che portarono schiavitù e rovina. Quel lungo periodo di decadenza è la prova matematica che Pitagora aveva ragione. Rinascita dell’Italia Quando si vuole fondere una statua di bronzo, bisogna preparare prima il negativo, il calco, dentro il quale poi si cola il bronzo fuso. La decadenza dell’Italia, durata più di duemila anni, andrebbe vista come il calco preparato dalla storia per fondere oggi una nuova e più straordinaria Italia. L’Italia è oggi leader mondiale per la bellezza e qualità dei suoi prodotti nella moda, nel cibo, nell’arte: Made in Italy significa qualità e prestigio. Con una visione nuova degli eventi, potremmo dire che il Made in Italy Etico, individuato da Pitagora e da noi riscoperto, è destinato a una larga diffusione per la felicità degli individui e delle nazioni. Salvatore Mongiardo>>