FOTO – La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria – a seguito di una proposta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale formulata dal Direttore della D.I.A., De FELICE – ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo di beni emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – Sez. Mis. di Prev., presieduto dalla Dssa. Kate TASSONE nei confronti di MALARA Giuseppe, 59enne di Reggio Calabria (RC), imprenditore operante nel settore edilizio segnatamente nella zona sud della città dello stretto.
Il MALARA Giuseppe, in data 25.07.2007, unitamente ad altri 37 soggetti era stato tratto in arresto da personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito della nota Operazione “Gebbione”, le cui indagini avevano disvelato le infiltrazioni criminali della consorteria mafiosa LABATE nelle attività economiche imprenditoriali nella zona-sud della città di Reggio Calabria (quartieri di Sbarre e Gebbione) attraverso metodi di estorsione consistenti oltre che nel pagamento della classica “mazzetta” anche nella fornitura di beni e servizi, da parte di imprese controllate dagli associati, ovvero, attraverso l’ambigua protezione in favore di imprenditori collusi tra i quali figurava il MALARA Giuseppe.
La vicenda giudiziaria si era conclusa con l’assoluzione del MALARA. Tuttavia l’Organo Giudicante, nella sentenza, aveva espresso delle riserve nei confronti dell’appaltatore edile definito testualmente: “ …. imprenditore abituato a convivere con i mafiosi, dei quali è amico e dai quali si fa blandire, ottenendo in cambio il permesso di svolgere la propria attività lavorativa nel quartiere di Gebbione:…”
In sostanza, dalle indagini la figura del MALARA Giuseppe era emersa come di un imprenditore colluso con la cosca locale dei LABATE, con la quale aveva instaurato una sorta di relazione clientelare stabile, continuativa e foriera di vantaggi reciproci.
Sebbene gli elementi raccolti dagli investigatori non sono stati considerati utili ad acclarare in modo netto le prove di una completa partecipazione ad un’associazione mafiosa, nell’ambito della normativa sulle misure di prevenzione, il MALARA risulta comunque soggetto appartenente in senso lato ad una cosca della quale può usufruire di un tipo di protezione attiva, fondata non sulla soggezione bensì sui legami di fedeltà e motivata dalla prospettiva di un vantaggio economico di tutti gli appartenenti.
In particolare il MALARA avrebbe portato avanti lavori nella zona di competenza dei LABATE, investendo capitali di dubbia provenienza e nello stesso tempo avrebbe aiutato i loro uomini di fiducia a sottrarre immobili alle iniziative di confisca.
Per il Tribunale in definitiva l’imprenditore reggino è ritenuto un soggetto socialmente pericoloso: attraverso la sua appartenenza alla ‘ndrangheta ha ottenuto protezione e partecipazione alla spartizione dei lavori, così incrementando a dismisura, ma del tutto illecitamente, i profitti della propria impresa, la quale ha conquistato importanti fette di mercato e si è alimentata grazie ai proventi di attività illecite.
Le determinazioni della Sezione Misure di prevenzione sono scaturite da una articolata ed esaustiva attività di indagine patrimoniale, condotta dal Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria su input del Direttore DE FELICE, volta a verificare le modalità di acquisizione dell’ingentissimo patrimonio societario e personale riconducibile all’imprenditore, il quale negli ultimi anni aveva incrementato la propria attività con la costruzione di numerosi immobili nella zona sud della città dello stretto. Gli accertamenti, oltre all’evidente incremento del volume d’affari della azienda con una concorrenza sleale a danno degli onesti imprenditori evidenziavano altresì un’evidente sproporzione tra gli acquisti e, più in generale, gli investimenti effettuati dal MALARA sin dagli anni ottanta rispetto a quanto fiscalmente dichiarato.
Con il provvedimento adottato a carico del MALARA è stato disposto il sequestro del patrimonio riconducibile al medesimo, stimato in circa 25 milioni di euro, tra cui figurano, in particolare:
il patrimonio aziendale di una ditta individuale con sede in Reggio Calabria operante nel settore edilizio;
quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garages, lastrici solari e terreni in parte adibiti ad uso personale ed in parte ad uso aziendale siti a Reggio Calabria;
tre autovetture;
disponibilità finanziarie aziendali e personali ammontanti a circa 500 mila euro.