La paura del dialogo. Vi sono molte situazioni personali o di coppia nelle quali è notevolmente intensa la paura del dialogo. Si ha paura del dialogo quando:
• non ci si vuole scoprire o manifestare. In molte patologie psichiche il sintomo predominante è proprio la difficoltà nella comunicazione. Quando l’io soffre o ha subìto numerose e ripetute esperienze dolorose legate all’infanzia, si difende chiudendosi;
• quando si ha paura di essere giudicati. Il giudizio negativo degli altri spinge inevitabilmente alla chiusura e alla difesa;
• quando si ha paura di “perdersi nell’altro”. Questa paura è legata spesso ad un io fragile e immaturo che teme di perdere la propria individualità o di soffrire legandosi troppo all’altro, amando e lasciandosi amare;
• quando si ha paura delle proprie pulsioni aggressive e distruttive. Se la persona ha la consapevolezza di rapportarsi spesso con gli altri mediante dei comportamenti eccessivamente o frequentemente aggressivi, per evitare la controreazione da parte dell’altro si preferisce chiudersi nel proprio guscio evitando di comunicare. La stessa paura si ha però quando, a causa di genitori troppo punitivi o pignoli, alcuni comportamenti non eccessivamente negativi sono sopravvalutati e condannati da persone troppo severe verso se stesse e verso gli altri;
• opposta a quest’ultima è la paura di darsi senza una contropartita immediata e quindi, in definitiva, la paura di essere vittima dell’altro.
Il dialogo che si interrompe
Il dialogo subisce, come qualunque altra realtà, alterne vicende. Può nascere, crescere, svilupparsi e manifestarsi in un certo periodo della vita della coppia ad un livello pienamente soddisfacente, come può ammalarsi, deperire o addirittura cessare.
Che cosa può portare il dialogo alla sua riduzione, alla crisi o addirittura alla sua fine?
I motivi possono essere i più vari.
1. Il primo riguarda l’impegno stesso che la coppia mette ogni giorno nei confronti di questo strumento di crescita e comunione reciproca. Quando quest’impegno è scarso, incostante o maldestro, è facile che il dialogo subisca un’involuzione continua piuttosto che una crescita.
2. Il secondo attiene alla base stessa del dialogo nella coppia e riguarda la sua coesione. L’intesa amorosa che si stabilisce tra un uomo e una donna e che si rende concreta in un legame progettuale importante come quello del fidanzamento o ancor più del matrimonio, è basata essenzialmente su un rapporto privilegiato, anche se non esclusivo, fatto di solidarietà, complicità, sostegno e appoggio reciproco. Quando questo rapporto privilegiato viene a mancare in quanto uno dei due o entrambi stabiliscono con altri: genitori, figli, amici, amanti, lavoro, quel legame particolare che dovrebbe essere fondamento d’ogni coppia allora, mancando la stessa base su cui poggiare, crescere e alimentarsi, il dialogo andrà sicuramente a scemare e poi a morire.
3. Il terzo motivo attiene allo scopo stesso del dialogo che dovrebbe portare ad una migliore conoscenza reciproca, all’intesa e al dono di sé, al fine d’un maggior benessere della coppia. Quando ciò non avviene, ma anzi le parole sembrano spingere sempre di più alla non comunicabilità, allo scontro, alla sofferenza, accentuando la distruttività reciproca, si è portati a fuggire da una comunicazione ritenuta inutile, controproducente, dannosa. In realtà si è instaurato un circolo vizioso, da cui spesso la coppia non riesce ad uscire, che costringe i due a parole e comportamenti sempre uguali e distruttivi, mentre impedisce parole e azioni diverse, positive e creative. In questi casi l’aiuto d’un consulente familiare o d’un terapeuta della coppia risulta indispensabile.
Dr. Emidio Tribulato Neuropsichiatra e psicologo. Direttore del Centro Studi Logos di Messina