Un buon genitore è presente e segue in modo attivo lo sviluppo fisiologico dei figli. Questo significa che è necessario che i genitori siano presenti, non necessariamente sempre e in maniera continua, ma seguendo i bisogni della fisiologia dei minori. Bisogni che sono insiti nella specie e non variano, né sono modificabili se non in tempi lunghissimi al variare dell’ambiente o della società.
La necessità di dialogo, d’affetto, di comunicazione, di rapporto con un figura genitoriale, di un bambino del duemila, non è sostanzialmente diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra. D’altra parte la possibilità che nascano paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, sono sostanzialmente uguali. Ciò impone, a chi si occupa di loro, di seguire la fisiologia dello sviluppo umano, senza mai forzarla o ignorarla, pena un vissuto di disagio che può dare, a secondo della sua gravità e durata, delle conseguenze più o meno importanti e invalidanti ma sempre spiacevoli alla sua vita futura.
Quando un bambino piccolo è costretto a cambiare per qualche tempo persona di riferimento, questa situazione è vissuta come una dolorosa forzatura poiché le persone con cui non vi è un profondo e duraturo legame affettivo sono da lui avvertite come pericolosi estranei, sia che si tratti d’adulti come le baby-sitter o le insegnanti dell’asilo nido, sia che si tratti di bambini con cui non è stato stabilito un legame affettivo.
La prima immediata risposta a questo disagio è rappresentata dal pianto. Quando, prima dei tre anni, la mamma si allontana dal bambino, o il bambino è allontanato dalla mamma, le reazioni di quest’ultimo sono evidenti ed eclatanti: piange, si dispera, la cerca e poi, al suo ritorno, si attacca maggiormente a lei, rifiuta il distacco e rimane per molto tempo più sensibile a nuovi allontanamenti. Qual è il significato di tutto ciò?
Il legame del bambino con le figure fondamentali della sua realtà interiore: i genitori, con la figura materna in primo piano, nasce da un elemento istintivo primordiale simile a quello di molti altri animali che, inizialmente, vedono i genitori e solo i genitori, come fonte di sicurezza, fiducia, amore, protezione, mentre nel contempo gli estranei sono avvertiti come causa di pericolo, rischio, abbandono. Anche l’ambiente fisico è importante. E’ fonte di sicurezza l’ambiente domestico, mentre un luogo estraneo, o diverso, istintivamente è avvertito come minaccia, rischio vitale; quindi infonde paura ed insicurezza. Nei primi tre anni di vita, questi legami sono per ogni bambino elementi fondamentali ai quali non può e non deve rinunciare; sono come il latte di cui si nutre, come l’aria che respira, come il cordone ombelicale prima della sua nascita.
Da queste realtà affettive il bambino si allontana gradualmente negli anni; ma quest’allontanamento è in relazione alla sua maturità e serenità ed è anche in relazione alla fiducia nei genitori e nell’ambiente circostante. Conseguentemente più il bambino ha vissuto serenamente e pienamente il suo rapporto con i genitori, la famiglia, l’ambiente domestico, tanto più facilmente riuscirà poi a farne a meno. Quanto più, invece, il bambino è piccolo, immaturo, insicuro o con problemi affettivi e relazionali, tanto più questo legame persisterà negli anni.
E’ la crescita affettiva e la sicurezza interiore del bambino che facilita e rende possibile l’autonomia e non viceversa!
Lo scopo dell’educazione non è quindi quello di allontanare il bambino, rendendolo autonomo il più rapidamente possibile, ma quello di dargli sicurezza e maturità, in modo tale che possa fare a meno della presenza della mamma e del papà, della sua casa e del suo ambiente, il più rapidamente possibile, il più serenamente possibile.
Quindi se un bambino piange quando la mamma si allontana da lui, ascoltiamolo!
In caso di allontanamento per poche ore dei genitori, maggior fonte di sicurezza il bambino ritrova nei nonni e negli zii, meno nelle tate, meno ancora nelle baby-sitter ad ore, mentre sono assolutamente da sconsigliare prima dei tre anni gli asili nido o altri tipi di istituzioni.
Il bambino ha bisogno dei genitori in maniera molto diversa in base all’età. Egli si apre agli altri e al mondo, come un fiore. Nessuno è in grado di accelerare l’apertura di un bocciolo, se non forzandolo e quindi ledendo i suoi petali e la possibilità di dare al mondo il suo profumo. La fisiologia della crescita è una realtà immutabile in ogni specie. Fisiologia che è indispensabile accettare e fare propria.
Qual è questa gradualità? Un bambino neonato ha bisogno della sua mamma o del suo papà ventiquattro ore al giorno, ma già i genitori con un bambino di qualche mese, potranno allontanarsi da lui durante il giorno, per qualche ora, affidandolo ad una persona con cui si è già instaurato un importante e positivo legame affettivo: una nonna, un nonno, una zia.
Un bambino di uno – due anni comincerà a giocare con gli altri suoi cuginetti, con i fratelli o con qualche coetaneo, ma sempre con la presenza vicina di un adulto di cui ha piena fiducia e con cui si è instaurata una buona relazione affettiva. Soltanto verso i tre – quattro anni, accetterà fisiologicamente, senza traumi, l’inserimento in una scuola materna. Accetterà e si confronterà più maturo e forte con bambini con cui non c’è fratellanza e parentela e con adulti con cui non c’è un rapporto individuale. Rapporto individuale che, invece, prima era fondamentale.
La presenza fisica dei genitori è, come abbiamo detto, fondamentale per lo sviluppo del minore. Tale presenza non può spesso essere sostituita altrettanto validamente da altre figure, se non è seguito attentamente lo sviluppo psicopedagogico del minore.
La presenza fisica deve però accompagnarsi ad una presenza psicologica e ad una disponibilità emotiva ed affettiva. Dice giustamente Vanire: “Il bambino è l’essere più fragile. Non c’è nulla di più fragile di un bambino. Di tutti i piccoli degli animali è tra i più fragili e questa fragilità dura molto a lungo. Ai piccoli dell’uomo occorre molto tempo per arrivare alla maturità. Gli occorre tempo per camminare; gli occorre tempo per acquisire conoscenze; gli occorre tempo per arrivare alla maturità fisica; gli occorre ancora più tempo per raggiungere la sua vera maturità intellettuale, psicologica, così da essere capace di affrontare il nostro mondo, capace di sopportare tensioni e difficoltà, ….”
In questi lunghi anni il bambino ha bisogno di una gran disponibilità da parte di entrambi i genitori. Disponibilità al dialogo, all’ascolto; disponibilità alla cura, all’educazione, alla trasmissione delle conoscenze culturali proprie e familiari. Disponibilità ad intervenire nel modo e nei tempi più opportuni per consigliare, aiutare, correggere, sostenere, incoraggiare, reprimere, se necessario.
A volte basta poco per rendere felice un figlio, basta stare insieme, parlare, fare qualcosa condividendola. La condivisione e la comprensione dei sentimenti, delle emozioni, delle attività, delle esperienze diventa una delle forme più efficaci d’educazione. Il giocare insieme, il lavorare insieme permette la trasmissione d’emozioni, esperienze, conoscenze che diventano elementi e ricordi preziosi nell’animo del fanciullo.
Un errore comune riguarda un’eccessiva e patologica disponibilità, soprattutto da parte dei genitori ansiosi, emotivi, i quali si mettono al servizio delle richieste dei figli e non dei loro bisogni. La differenza è fondamentale: non tutto ciò di cui un figlio necessita, viene da lui richiesto esplicitamente, come non tutto ciò che chiede, a volte insistentemente, o mediante il pianto, serve al suo armonico sviluppo.
Spesso, infatti, i bisogni fondamentali: un ambiente sereno, un maggior dialogo, un atteggiamento più lineare e fermo, una maggiore coerenza educativa, sono camuffati o evidenziati sotto forma d’innumerevoli richieste che i genitori si affannano ad esaudire immediatamente senza preoccuparsi di capire qual è il bisogno vero.
Un altro errore in eccesso riguarda quei genitori che “si perdono” nei figli, trascurando i loro bisogni personali e, come coppia, la loro crescita affettiva e relazionale.
Più frequenti però sono oggi gli errori in difetto. La ricerca affannosa di una realizzazione individuale, sia in campo lavorativo e sociale che affettivo, sentimentale o sessuale, spesso porta a trascurare le reali necessità dei figli. Si cerca di soddisfare innanzi tutto i propri bisogni e le proprie ambizioni, dando poco o nulla alla famiglia. E’ una corsa che mira ad arraffare dalla vita e dalla società quanto più possibile, lasciando alle esigenze dei minori briciole di tempo e d’energie; spesso dando loro solo ciò che è di moda o ciò che l’ambiente sociale richiede in quel momento: palestra, ballo, piscina, pizzeria; senza tentare neanche di lasciarsi veramente andare con loro ad un rapporto intimo e privilegiato per poter dare ai figli ciò che veramente serve.
Emidio Tribulato