L’integrazione in ambito scolastico di un bambino affetto da Disturbo Autistico, se paragonata all’integrazione degli altri handicap, è forse la più complessa e difficile.
Da una parte possiamo avere un bambino che vive in maniera lacerante un’intensa sofferenza interiore fatta di fobie, paure, ansie, insicurezze, tensione, irrequietezza, confusione. Un bambino che nei casi più gravi spesso non parla, o peggio grida e ride scompostamente. Un bambino che non comunica o comunica male e non si integra con gli altri coetanei nei giochi e nelle attività che vengono di volta in volta proposti nell’ambito della classe e della scuola. Un bambino che spesso attua dei comportamenti disturbanti, se non chiaramente sconcertanti, in quanto si innervosisce per un nonnulla, per ore gioca allo stesso gioco e con lo stesso oggetto, saltella da una parte all’altra della classe, se contrariato si fa del male o aggredisce gli altri bambini, ride senza costrutto. Un bambino estremamente sensibile a ogni stimolo eccessivo, per cui si spaventa facilmente quando nel suo ambiente sono presenti rumori, confusione e grida. Un bambino che ha una enorme sfiducia negli altri, sfiducia che lo porta ad avere notevoli difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sia con gli adulti sia, soprattutto, con i coetanei dai quali, tra l’altro, si sente poco accettato a causa del suo comportamento “strano” ed imprevedibile. Un bambino emotivamente molto fragile anche di fronte alle minime frustrazioni per cui non accetta di sbagliare, non sopporta di essere rimproverato o ripreso, mentre anche i minimi cambiamenti scatenano o accentuano facilmente le sue paure ed ansie.
Dall’altra abbiamo un’istituzione, la scuola che ha determinate regole indispensabili per il suo buon funzionamento. Un’istituzione che ha dei bisogni imprescindibili di ordine e disciplina, che si pone dei precisi obbiettivi, che usa strumenti pedagogici tarati soprattutto per una fascia di bambini “normali”. Una scuola che ha delle richieste esplicite nei suoi confronti:
1. amerebbe che lui restasse nella sua classe e con gli altri bambini, allo scopo di facilitare la socializzazione; ma l’ambiente classe con troppi bambini, con troppi rumori, con eccessive sollecitazioni accentua la sua tensione interiore;
2. desidererebbe che lui avesse fiducia negli insegnanti; ma sappiamo che questi bambini hanno scarsa fiducia in ogni essere umano e, soprattutto, hanno timore delle persone non familiari;
3. vorrebbe che lui apprendesse, mentre spesso questi bambini hanno gravi difficoltà ad imparare le materie curriculari;
4. aspirerebbe a che lui dialogasse e socializzasse con i coetanei; mentre sappiamo che per le sue note difficoltà relazionali gli altri bambini gli creano ansia e tensione;
5. vorrebbe che lui potesse accettare le norme e regole della classe e della scuola; ma ogni norma e regola viene vissuta da questi bambini come un’imposizione e una violenza.
Pertanto se la scuola vuole essere di vero aiuto ad un bambino con Disturbo Autistico deve necessariamente proporre obbiettivi diversi da quelli soliti, così come deve necessariamente attuare delle modalità di gestione alternative a quelle che solitamente programma e utilizza con gli altri bambini.
Gli obiettivi.
Da quanto abbiamo detto si può desumere che, per quanto riguarda gli obiettivi, la scuola, al primo posto, deve porre il miglioramento della serenità interiore del bambino che le è stato affidato, insieme alla ricerca di una maggiore fiducia di questo bambino negli altri e nel mondo, e che l’obiettivo didattico non può che essere raggiunto in un momento successivo, quando questo particolare allievo ha superato le sue ansie, le sue paure, le sue notevoli difficoltà psicoaffettive e relazionali.
Per ottenere una maggiore serenità interiore la scuola deve riuscire a creare attorno al bambino con Disturbo Autistico un ambiente particolarmente ovattato, silenzioso, tranquillo, sereno, in quanto, per questi bambini molto sensibili ai rumori e al movimento, può risultare patogeno anche un normale ambiente di classe.
La cosiddetta integrazione nell’ambito della classe, che è in definitiva un’integrazione di gruppo, li innervosisce, li spaventa e li allarma. Pertanto questo tipo di integrazione va effettuato solo quando sono state ottenute un’ottima socializzazione ed intesa a due in un ambiente tranquillo e con pochi stimoli e quando ci si accorge che il bambino lo richiede esplicitamente. Pertanto l’ideale, almeno inizialmente, è quello di inserire il bambino con tali problematiche in un locale ampio, luminoso, ma silenzioso e tranquillo, con un unico operatore adulto particolarmente disponibile e capace di ascolto. Solo successivamente, quando avremo chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono molto migliorate, potremo inserire accanto a lui, con gradualità, altri adulti e altri bambini con i quali poter stabilire una buona intesa reciproca. In questo locale ovattato metteremo molti giocattoli con caratteristiche e finalità diverse, in modo tale che il bambino utilizzi materiali e giochi che ritiene, in quel momento, più adatti alle sue esigenze. Metteremo, allora, giocattoli e materiali per effettuare svariati tipi di giochi: sensomotori, di costruzione, imitativi, di abilità, rappresentativi, compensativi, immaginativi, di acquisizione e così via. Non trascureremo, inoltre, oggetti e materiali naturali come il legno, la sabbia, la creta, l’acqua. Materiali dai quali questi bambini sono particolarmente attratti. Non mancherà, naturalmente, del materiale didattico specifico, adeguato al livello di conoscenze del bambino.
Per permettergli di avere maggiore fiducia negli altri e nel mondo, dopo aver creato attorno al bambino un ambiente particolarmente sereno e tranquillo, abbiamo il compito di realizzare con lui un rapporto particolare fatto di fiducia, stima e affetto reciproco.
Utilizzando la tecnica del Gioco Libero Autogestito rispetteremo al massimo ogni sua esigenza e bisogno e, nello stesso tempo, terremo in debito conto il suo mondo interiore nel quale, come si intrecciano in maniera convulsa irritabilità, sentimenti aggressivi, paure, ansie, inquietudini, conflitti, emozioni e sentimenti che, spesso, lo confondono e lo spaventano.
Potremo realizzare questo particolare rapporto di fiducia, stima e affetto, solo se avremo accettato e lasciato che sia lui, di volta in volta, a scegliere, inventare e condurre il gioco o l’attività preferita, mentre il ruolo dell’insegnante sarà quello di una persona amica che gli dimostra, con i fatti, che ha grande rispetto per lui e per le gravi problematiche che egli vive. Una persona amica capace di mettere in primo piano non le attività didattiche, ma la bontà e la profondità della relazione. Una persona amica che intende impegnarsi per dare serenità dove vi è ansia, certezze dove vi sono insicurezze, fiducia dove vi è sfiducia, speranze al posto delle delusioni.
L’apprendimento delle materie curriculari e l’aspetto più strettamente educativo verranno in seguito: quando sarà più sereno, quando sarà più ottimista, quando avrà più fiducia in se stesso, negli altri e nel mondo che lo circonda.
Tratto dal libro “Autismo e Gioco Libero Autogestito” di Emidio Tribulato