famiglia“ Per educare occorre sommare la forza della ragione a quella del cuore, perché solo così si assumono i tratti dell’autentica autorevolezza. P. Lombardo”. Che cosa dà sicurezza a un ragazzo, a un bambino, a un giovane ma anche all’essere umano adulto?

Una cosa che dà sicurezza è sicuramente il sentirsi amato e rispettato. Dà sicurezza sentire che attorno a noi, accanto alla nostra anima, c’è qualcuno che ci ama, qualcuno che ascolta i battiti del nostro cuore, i suoi bisogni e riesce a soddisfarli. Qualcuno che ci dà tenerezza, dialogo, comprensione e che sa intravedere e rispettare la nostra individualità.

C’è un altro caposaldo della sicurezza, purtroppo spesso trascurato nelle società permissive, ed è quello di sentire che accanto a noi vi è una persona autorevole.

Se l’autorità compete di diritto ad ogni educatore, uomo o donna che sia, poiché, avendo un’età maggiore dell’educando ha dei doveri nei suoi confronti, l’autorevolezza purtroppo non è di tutti gli educatori, giacché necessità di qualità che sono in parte innate, mentre in buona parte si sviluppano ad opera dell’ambiente. In ogni caso sono volute e alimentate dall’individuo stesso.

IL GENITORE AUTOREVOLE

• E’ consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

• Ha una grande forza interiore.

• Rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia.

• Sa farsi rispettare.

• Ha stima dei figli.

• Sa dare il giusto spazio alla libertà.

• Sa dare norme e limiti chiari.

• Sa essere flessibile ma non elastico.

• Incarna i valori che propone.

• E’ una persona matura e saggia.

• Non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire o per affermare le proprie idee.

• Non ha paura del figlio.

• Infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

E’ consapevole dei propri diritti, ma sa che il diritto all’autorità ha per contraltare tutta una serie di doveri.

Ogni genitore ha diritto al rispetto e all’ubbidienza da parte dei suoi figli.

Ma ha anche diritto ad autonome scelte educative che non possono e non devono essere condizionate dagli interventi esterni alla famiglia se non in minima parte.

Purtroppo negli ultimi decenni il peso di questi interventi, nati per risolvere problematiche particolari e situazioni limite, si è fatto via via sempre più pesante, sia sul piano dei rapporti tra i coniugi che sulla gestione familiare e sui mezzi e strumenti educativi, esautorando, di fatto, i genitori di molti diritti gestionali senza dare, ed era pura illusione pensare di poterlo fare, risposte alternative giuste ed efficaci.

Si è creata attorno alla famiglia una babele e una selva di leggi, regolamenti e sentenze che non solo ne limitano la funzionalità ma impediscono il sereno svolgersi della vita familiare, creando intensa conflittualità tra i coniugi e nell’animo dei giovani perplessità, incertezze, dubbi e in definitiva paura ed ansia nei confronti dell’istituto matrimoniale e familiare.

Lo stesso stato e gli stessi giudici che discutono se un padre o una madre possono o no dare uno scappellotto al loro figlio ribelle non sembrano poi curarsi molto delle violenze che giorno dopo giorno, ora dopo ora si abbattono sui minori. Violenze che, come abbiamo già visto e vedremo nei prossimi capitoli, nascono dall’invadenza e dai condizionamenti della pubblicità, dall’azione diseducativa e lesiva dei mass media e della rete internet, dal capillare spaccio di droga, dalle carenze affettive e così via.

Per quanto riguarda i doveri, ogni genitore ha:

• dovere di “servizio” nei confronti dei figli;

• dovere alla linearità e alla coerenza tra ciò che l’educatore dice e ciò che fa;

• dovere di intraprendere insieme all’educando un cammino comune, lento, faticoso, a volte doloroso, ma che si assume nella consapevolezza di un fine importante;

• dovere di una posizione che non può essere allo stesso livello dell’educando, giacché la necessità di essere ascoltati e ubbiditi gli impone comportamenti e atteggiamenti che non devono confonderlo con il figlio.

Il genitore autorevole ha grande forza interiore.

La forza interiore è fondamentale in mille occasioni della vita: per affrontare i problemi e le mille difficoltà d’ogni giorno, per vincere i dubbi e le incertezze nelle scelte, per chiarire dentro di sé le istanze interiori, per superare la tristezza e il dolore. Dolore e lutto per la perdita di persone care o che rappresentavano molto per la nostra esistenza. Non è pensabile, infatti, eliminare dalla vita la perdita delle persone care, come non è possibile eliminare gli elementi negativi che ci fanno soffrire: la frustrazione per qualcosa a cui si ha diritto e non ci è accordato; per qualcosa che volevamo o potevamo raggiungere e non abbiamo ottenuto. Non è possibile, abbiamo detto, ma forse non sarebbe neanche utile. Servono le frustrazioni, per spingere più in alto il nostro sguardo, per stimolare le migliori capacità dell’uomo, in modo tale da superare noi stessi e le miserie della vita.

Anche le ansie, sono un elemento comune e inalienabile dalla vita. Soltanto una gran forza interiore ci potrà far superare l’ansia dell’attesa, di qualcosa che si desidera o che si vuole raggiungere. L’ansia come preoccupazione per le persone che ci sono care.

Così come ci vuole una gran forza interiore per vincere le delusioni: per un lavoro che non riusciamo ad ottenere, per qualcosa di noi che gli altri non rispettano, per una bocciatura o per le tante ingiustizie che si incontrano in ogni piega della società e che spesso non si possono eliminare o allontanare, per cui bisogna soltanto saperle affrontare. Anche l’aggressività degli altri è una realtà inalienabile. Non possiamo illuderci che il giovane e poi l’uomo possano vivere in un Eden fatto solo d’amore.

Quando i genitori hanno dentro di sé questa forza interiore, possono affrontare serenamente i mille problemi della vita quotidiana e soprattutto possono trasmetterla ai figli. Quando invece prevalgono la fragilità, la paura, l’inquietudine, l’emotività, l’autosvalutazione, per cui troppo spesso si pensa di commettere degli errori o di aver fallito, allora diventa veramente difficile essere genitori ma anche trasmettere all’altro qualità che non si possiedono, caratteristiche che non si hanno.

Il genitore autorevole rispetta profondamente il figlio e sa dargli un’equilibrata fiducia

Il genitore autorevole sa rispettare, nel cammino verso la maturità e l’autonomia, la personalità e individualità, la libertà di giudizio del figlio. Non abusa della sua fiducia e credulità. Lo considera importante e ha stima di lui. Ha fiducia nelle sue capacità, possibilità e potenzialità.

Attenzione, però: non è fiducia l’incoscienza. Non è fiducia mettere la testa sotto la sabbia come lo struzzo, non vedere il pericolo, il rischio, o le gravi difficoltà in cui noi adulti lasciamo i nostri ragazzi soprattutto adolescenti. Non è prova di fiducia, dare più libertà di quanto un giovane possa utilizzare in maniera corretta, possa essere in grado di gestire.

La gestione della libertà è difficile e dipende da molti elementi: il tempo da gestire, la maturità dell’individuo, il luogo in cui bisogna gestirla, le persone che ci aiuteranno e così via.

Un genitore autorevole rispetta il figlio, ma sa farsi rispettare.

Il cercare a tutti i costi di “essere amici dei figli”, nasconde spesso la debolezza di carattere di un genitore. Se per amicizia intendiamo confidenza, dialogo, rispetto, possibilità di aprirsi all’altro, l’amicizia con il figlio è un bene; ma accanto a questi elementi relazionali deve permanere sempre, da parte del genitore, la funzione di guida e di sostegno morale.

E’ invece veramente preoccupante l’amicizia quando viene a mancare l’autorità. In questi casi il genitore tende a adattarsi al figlio, vivendo le sue stesse esperienze e condividendole, venendo così ad assume un artefatto ruolo giovanile. Volendo imitare e conquistare il figlio, rincorre i suoi atteggiamenti più moderni e spregiudicati, come il farsi chiamare per nome, dimenticando che ogni età ha la sua dimensione, la sua bellezza, i suoi doveri.

I genitori oggi esigono talmente poco rispetto per la propria persona che rischiano la stima dei figli. Se si conoscono i propri limiti ci si sente sicuri e si stima la persona che responsabilmente dà quei limiti. In caso contrario nasce l’insicurezza e la disistima.

Il rispetto degli altri, soprattutto verso chi ha una funzione pedagogica e quindi di guida, ed in particolare modo dei genitori, degli insegnante, dei leader, è essenziale per una buona crescita educativa; quindi è necessario fare rispettare il proprio ruolo, non ammettendo che sia canzonato o svilito. E’ giusto fare rispettare la maggiore età ed esperienza, poiché stimola il minore ad accettare i propri limiti e i ruoli che sono fondamento d’ogni vivere civile e quindi lo spinge ad impegnarsi e prepararsi ad assumere lui stesso un giorno un ruolo con maggiori onori ma anche con maggiori responsabilità.

Se il ruolo degli educatori è svilito, evidentemente quest’obiettivo non sarà più presenta nell’animo e nella mente del giovane. Saremo amici, uguali ad altri amici, compagni uguali ad altri compagni. Per qual motivo un ragazzo dovrebbe cercare maggiori responsabilità ed oneri se questi non hanno alcuna contropartita? Dove può trovare la spinta maturativa e il desiderio di abbandonare il ruolo infantile ed adolescenziale trovando negli adulti le stesse caratteristiche degli amici?

Il genitore autorevole ha stima dei figli.

La stima di sé è elemento indispensabile di sicurezza, gioia, forza interiore; quando qualcuno ha una buona stima di noi ci sentiamo più forti, più coraggiosi, più disponibili a dare e a ricevere, più aperti e intraprendenti, più ricchi. Quando invece qualcuno, soprattutto le persone a noi più care e più vicine come i nostri genitori, hanno poca stima nei nostri riguardi, la tristezza, l’inquietudine, l’insicurezza ci assale. Ci sentiamo piccoli e indifesi per cui reagiamo con la chiusura, con l’apatia, con il disinteresse, oppure con aggressività verso chi ci ha fatto provare questa sensazione negativa. Il risentimento può allargarsi anche ad altre persone, che nulla hanno a che vedere con il nostro stato d’animo ma che sono coinvolte in questa situazione di malessere.

E’ giusto e sacrosanto criticare gli atteggiamenti ed i comportamenti inadeguati o poco consoni al vivere civile, ma bisogna farlo senza “togliere la propria considerazione per il valore della dignità altrui.” In caso contrario l’altro si considererà un poco di buono, un fallito, un incapace, un essere inutile e spregevole. Sono da evitare, inoltre, l’ironia ed il dileggio: sono molto meglio “le critiche costruttive.”

E’ giusto ed è utile anche confermare, approvare e “lodare non solo i buoni risultati ma mettere in evidenza soprattutto gli sforzi di crescita cui possono seguire esiti negativi.” Quando un ragazzo s’impegna pienamente nello studio o nel lavoro ma, per motivi non dipendenti dalla sua volontà, non riesce a raggiungere i risultati voluti, è bene che trovi accanto a sé, il cuore dei suoi genitori che lo confortano e lo incoraggiano ad andare avanti, apprezzando il suo impegno e gli sforzi della sua volontà.

I genitori però non possono limitarsi a dire: “Bravo” o “Sono orgoglioso di te”, devono anche fare in modo che lo siano veramente, con il loro impegno, aiuto e abnegazione. Purtroppo ciò spesso manca nei genitori d’oggi, i quali sono pronti a difendere il proprio figlio con le unghie e con i denti di fronte ad insegnanti e educatori che evidenziano in lui problemi e difficoltà ma poi fanno poco o nulla affinché egli le superi.

Il genitore autorevole sa dare il giusto spazio alla libertà.

Poiché l’autorità non è in contrasto con la libertà; anzi, aiuta ad acquisire quella vera, egli ama la libertà e sa che questa è fondamentale nella crescita e nello sviluppo di qualsiasi essere vivente. Uno dei fini basilari dell’educazione è di fare del bambino “un uomo libero. “ Cioè un individuo padrone di se stesso. Capace di effettuare scelte consapevoli e di assumersi le responsabilità del suo stato. Libero da condizionamenti, soprattutto interiori e quindi libero da complessi, traumi, conflitti all’interno della propria coscienza e del proprio Io; libero da un eccessivo orgoglio, dalla superbia, dall’egoismo; libero di realizzare i valori più alti dell’umanità.

Per tali motivi, è indispensabile che il figlio apprenda a far buon uso di tale libertà operando delle scelte attente e responsabili tra i suoi molteplici desideri mentre deve riuscire a comprendere gradualmente e ad accettare i limiti della propria indipendenza sia nel personale interesse che, responsabilmente, negli interessi della società.

Il bambino, quindi, ha bisogno di spazio. Lo spazio fisico gli permette di muoversi, di giocare, di correre, di scoprire, di inventare, di creare; quello psicologico gli permette, mediante delle scelte libere e consapevoli, di cercare, scoprire e trovare nella vita una strada propria, da percorrere insieme a compagni di viaggio che saranno prima i suoi familiari, poi gli amici e quindi, da adulto, la persona da amare e con cui formare una famiglia.

Questo spazio psicologico può essere percorso e vissuto meglio e più facilmente approfondito se sono accettate ed osservate due condizioni di base.

1. La prima è che sia proporzionale all’età e allo sviluppo. Un bambino piccolo può utilizzare bene uno spazio molto ristretto, fatto inizialmente soltanto dei suoi genitori: si perderebbe o si confonderebbe nel muoversi in uno spazio troppo ampio. Un bambino più grande, con più esperienza e maturità, riesce a padroneggiare uno spazio maggiore nel quale fanno parte anche i suoi parenti più stretti e poi gli amici del cuore, senza danno, senza inquietudine e ansia. Pertanto, con molta gradualità, il ragazzo ed il giovane potranno avvicinarsi senza molti problemi anche agli estranei.

2. La seconda è che questo spazio abbia caratteristiche utili per l’educando. E’ necessario, pertanto, valutare attentamente rischi e benefici dei luoghi psicologici in cui si muove il minore e delle persone che frequenta. Se egli si muove e vive in un ambiente inquinato e quindi a rischio, anche quando avrà buone capacità di critica, la possibilità di fare o di farsi del male sarà sempre presente e attuale. Vi sono, nella nostra società del benessere, oggi, molti spazi neutri. Spazi in cui non si evidenzia né una chiara utilità né un preciso danno; anche questi è giusto che siano percorsi ma in maniera molto limitata. L’assenza di finalità educative di queste realtà e quindi la mancanza di un loro specifico apporto positivo, si traduce lo stesso, se frequentati eccessivamente, in un danno per i minori.

Il genitore autorevole sa dare norme e limiti chiari. Sa essere flessibile ma non elastico.

Poiché il concetto di libertà implica automaticamente quello di responsabilità, compito dell’educatore è fare in modo che il bambino che sta crescendo e l’uomo che si sta formando siano responsabili e quindi capaci di controllare i propri istinti, desideri e bisogni senza soffrire eccessivamente per le costrizioni che il mondo reale necessariamente darà. Un bambino è libero quando sa utilizzare e mettere al frutto questa libertà, sa rispettare quella degli altri, sa porsi dei limiti, sa accettare i limiti che gli altri gli pongono. E’ libero quando sa chiedere ma nello stesso tempo sa limitare le richieste, sa accontentarsi, riesce a postergare la soddisfazione dei suoi bisogni.

L’educatore autorevole amando la libertà sa che per poterla vivere pienamente essa ha bisogno di limiti, regole e norme ben precise.

“La disciplina è fondamentale nell’educazione dei figli: la verga e la riprensione sono ciò che dà sapienza; ma il ragazzo lasciato senza freno farà vergogna a sua madre” (proverbi 29; 15) Il termine biblico “verga” indica il bastone che guida il gregge non ha quindi il senso della violenza sui minori quanto quello di una guida e una disciplina attenta ed efficace.

Le regole e le norme sono indispensabili per rispettare gli altri e se stessi. Poiché fanno parte di un progetto educativo globale, che i genitori e gli educatori vogliono far percorrere all’educando, essi variano notevolmente in base all’età, alle qualità, alle caratteristiche di quest’ultimo e dell’ambiente che lo circonda.

Il bambino deve sapere con chiarezza e certezza, ciò che è giusto fare e ciò che non è giusto. Distinguere ciò che è possibile, da ciò che non lo è. Ciò che è bene da ciò che è male. Ciò che è utile a lui, alla famiglia, ai genitori, alla società da ciò che non lo è. Ciò che è indifferente, quindi né utile né inutile, da ciò che è dannoso, quanto è dannoso e perché è dannoso.

Poiché è bene che l’educando sappia distinguere esattamente ciò che può fare da ciò che non può fare, ciò che gli è utile da ciò che non lo è, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, sono necessari dei “sì” chiari, precisi e definitivi ma anche dei “no”, altrettanto netti e chiari, anche se detti con amorevolezza e gentilezza. Dei “no”, che abbiano il valore di un limite, di una norma, e quindi non si modifichino solo perché il figlio piange o protesta energicamente ma, eventualmente, siano adattati, in base alle circostanze e alla maturità di lui, con la giusta flessibilità.

Bisogna invece evitare di esser elastici; cosicché una norma possa essere interpretata in modo eccessivamente difforme o possa essere sconvolta nella sua interpretazione; quindi le regole, le norme, le indicazioni, devono essere fatte rispettare senza rigidità eccessiva, ma anche senza troppa elasticità che le renderebbe povere, non congruenti e ne svilirebbe il contenuto.

Se diciamo ad un figlio adolescente di ritornare a casa alle otto, ciò non significa che alle otto e un minuto, debba scattare la punizione, il rimprovero, o la reprimenda. Ma è altrettanto utile però stimolarlo alla puntualità e sostanziale accettazione e rispetto della norma, per cui non è accettabile, che il figlio si presenti mezzora o un’ora più tardi, perché questo significherebbe stravolgere l’indicazione data, non abituarsi alla puntualità, alla lealtà, alla coerenza.

Questi “no” non dovrebbero essere numerosi. Ciò per permettere all’educando ampie possibilità di scoperte, di scelte e l’assunzione graduale di sempre maggiori responsabilità.

Un sano ed equilibrato rapporto educativo è possibile solo se, il genitore autorevole è sostenuto e confortato dall’ambiente familiare e sociale che lo circonda. Quando questo non avviene, per cui l’altro coniuge, gli altri educatori o l’ambiente sociale in cui la famiglia vive, tendono a svilire, svalutare o peggio contrastare una linea educativa autorevole, diventa estremamente difficile ottenere l’ubbidienza o proporre norme e limiti. Come conseguenza di ciò ritroviamo o una frattura del rapporto con i figli, con il coniuge e gli altri educatori o, quel che è peggio, un abbandono dell’impegno educativo che si traduce in un aumento della vasta schiera dei genitori assenti o permissivi.

L’altro genitore, familiare o gli altri adulti dovrebbero fare proprie queste norme e aiutare i minori a rispettarle, in modo tale che possano tradursi in punti fermi, in paletti entro cui essi possano muoversi liberamente, sapendo di agire bene e correttamente, sia nei confronti di se stesso che verso gli altri. Quando queste circostanze si verificano i limiti e le norme potrebbero essere molto pochi ed essere necessarie soltanto nella fase iniziale del processo educativo; successivamente potrebbero scomparire quasi completamente, perché già interiorizzati dal soggetto e incarnati in tutti i suoi comportamenti.

Ciò attualmente è molto difficile da ottenere, giacché il ventaglio degli atteggiamenti da parte dei genitori e degli educatori non solo è troppo ampio e confuso, ma soprattutto è spostato nettamente in senso permissivo, conseguentemente non si riesce a trovare nell’ambiente sociale, ma spesso anche in quello familiare, un atteggiamento educativo uniforme che giustifichi e sostenga limiti e norme.

Il “no” può e deve nascere quando la richiesta può comportare per il figlio una situazione di reale rischio fisico, morale o sociale. Questa condizione è la più facilmente compresa e accettata dal minore. Più difficile da comprendere, e quindi da accettare, è la necessità di portare avanti un progetto formativo che sviluppi le varie capacità e potenzialità del minore.

Se, per esempio, diciamo ad un giovane che siamo contenti che vada ogni tanto ad una festa, difficilmente potrà capire il perché molte feste non sono utili. Se una festa è un bene, tante feste dovrebbero essere ancora meglio. E’ difficile che comprenda, e forse non è neanche il caso di spiegarlo, che il nostro scopo è anche quello di aiutarlo a conservare il piacere del nuovo, del diverso, dell’eccezionale, del bello, del meraviglioso, della scoperta, facendo in modo che non sia banalizzata “la festa.” E’ difficile che il giovane riesca a capire che una limitazione o un ostacolo al desiderio, esalta l’oggetto del desiderio stesso, lo rende ancora più bello, più splendido, lo fa gustare ancora di più; com’è difficile che riesca a capire che ci sono delle limitazioni che servono a sviluppare la sua volontà, a forgiare il suo carattere o a dare stimoli all’autonomia e all’indipendenza. Le limitazioni, infatti, se non sono eccessive, rafforzano e danno maggiore grinta all’essere umano, lo aiutano a crescere ed a porsi su un piano di maggiore consapevolezza, liberandolo dalle dipendenze infantili.

I “no” vanno se possibile spiegati all’educando, pur sapendo che non sempre egli è in grado di capire o di accettare le motivazioni. A volte non è in grado di capire per motivi legati all’età o all’immaturità. La differenza tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il bello ed il brutto, tra il vero e il falso si conquista gradualmente negli anni. Altre volte, è difficile per l’educando capire in quanto si trova in una situazione ed in un ruolo in cui gli sfugge la complessità del progetto formativo dei genitori. Dal suo punto di vista, i nostri scopi appaiono troppo lontani, indefiniti, oscuri.

In altri casi, i nostri obiettivi e valori si scontrano con quelli di una società che n’è priva o porta avanti esigenze e bisogni opposti a quelli utili e necessari ad una sana educazione. Quest’incomprensione non deve limitare e bloccare il nostro agire, per tale motivo nonostante ciò, dobbiamo ugualmente porli e farli rispettare. Se io dico ad un bambino piccolo che non ha ancora avuto la dolorosa esperienza della scottatura, che il fuoco brucia e che può farsi del male, il bambino non capirà o capirà solo parzialmente che il fuoco è pericoloso. Fargli fare l’esperienza del fuoco che fa male e che brucia potrà sì essere una lezione, ma questa lezione potrebbe lasciare indelebili cicatrici! Lo stesso avviene se mettiamo dei limiti al tempo libero di un adolescente. Difficilmente questi potrà capirne lo scopo, o gli scopi dell’educatore come quelli di evitare rischi inutili, aiutarlo a concentrare la sua attenzione sugli impegni e non solo sulle attività piacevoli, stimolare la sua crescita, responsabilità, condurlo a valorizzare gli elementi piacevoli della vita evitando quindi di banalizzare gli incontri, le feste, l’amore, il sesso.

Un genitore autorevole incarna i valori che propone.

L’autorità educativa si evidenzia non solo nel proporre princìpi etici, religiosi o sociali, ma anche e soprattutto nell’incarnare tali valori. Ad esempio ciò che un educatore dice riguardo all’onestà è importante, ma se dimostra, anche nelle piccole occasioni d’essere onesto è molto meglio. C’è sempre uno scarto tra princìpi e valori che si propongono e quelli che si riesce a vivere concretamente, ma non vi è dubbio che quanto più questo scarto è ridotto, tanto meglio e più profondamente si riesce a seminarli e farli crescere nell’animo di un giovane.

Il genitore autorevole è anche una persona matura e saggia.

Essere maturi significa aver fatto un percorso di vita, che rende possibile capire gli altri, farsi capire dagli altri, essere capaci di guida, di ascolto e di conforto, poiché si è pervenuti ad un buon livello di crescita e d’integrazione tra le varie componenti della personalità. La saggezza è invece, una ricchezza interiore che ci permette di dare la nostra esperienza, il nostro sostegno, consiglio e incoraggiamento nei modi e nei tempi più opportuni. Queste doti facilitano i processi d’identificazione, ma anche di confronto, quando è necessario.

I nostri giovani che stanno molte ore con gli altri coetanei, con questi potranno sicuramente giocare e divertirsi, ma il confronto è parziale e limitante, giacché si ritrovano tra persone che hanno problemi, esigenze, livelli di maturazione molto simili. Per tale motivo, i coetanei difficilmente potranno essere guida efficace, fonte d’esperienza, sostegno ed identificazione. Queste qualità si possono soltanto ritrovare in un adulto maturo, responsabile e saggio.

Un genitore autorevole non ha bisogno della violenza per farsi ubbidire e per affermare le proprie idee.

Basta poco alla persona autorevole per farsi ubbidire. Il rispetto, il fascino, la fiducia, la serenità, l’autorità che emana, la capacità di essere comprensive e ferme nello stesso tempo, permette a queste persone di ottenere obbedienza senza bisogno di utilizzare la violenza e limitando al massimo le punizioni, i ricatti, le minacce. Spesso esse non hanno bisogno neanche di alzare la voce per ottenere quanto richiesto.

I genitori autorevoli non hanno paura del figlio.

I genitori psicologicamente più labili, emotivamente più fragili, spesso hanno paura dei comportamenti aggressivi e distruttivi del figlio, per cui sono costretti a subire continui ricatti. Le minacce possono essere esplicite: “Se non mi concedi questo vado via di casa”, “non ti parlo più”, “mi metto a gridare”, “non studio”, “non vado a scuola”, “non mangio”; oppure, il più spesso, implicite mediante l’utilizzazione di comportamenti e d’atteggiamenti con i quali l’esperienza gli ha dimostrato che può ottenere quanto desiderato.

In tutti i casi cedere significa incamminarsi in una strada fatta di concessioni in seguito a continue pressioni e ricatti. Un buon genitore dovrebbe riuscire, anche con notevole sacrificio e sofferenza, a respingere ogni tentativo di questo genere.

Un genitore autorevole infligge punizioni giuste, equilibrate e limitate nel tempo.

Per quanto riguarda le punizioni è un’illusione tragica il pensare che si può non usarle mai nell’educazione d’un bambino, d’un giovane o d’un adulto. In ogni caso se vi sono dei limiti e delle norme da far rispettare, è indispensabile che chi non li rispetta nonostante li conosca e sia maturo per farlo, ne paghi le conseguenze; anche perché la punizione, se è giusta e non eccessiva, ristabilisce l’equilibrio e controbilanciando la mancanza; essa pertanto evita sensi di colpa e d’indegnità nei minori come negli adulti e aggressività repressa nell’educatore. La persona saggia e autorevole sa però che le punizioni sono necessarie solo se l’educando ha la consapevolezza della mancanza fatta, ed è in grado di controllare efficacemente le proprie azioni; quindi non ha senso castigare i bambini piccoli se ancora non hanno raggiunto la consapevolezza dei loro comportamenti o se non possono averne il controllo. Se un bambino maneggia ancora in maniera maldestra gli oggetti, non è sicuramente colpevole se lascia cadere e, quindi, rompe qualcosa che, incautamente, gli abbiamo lasciato tra le mani. In questo caso i responsabili siamo noi e non lui; se non v’è ancora il concetto di proprietà, che matura dopo i tre – quattro anni, non vi può essere una punizione per furto. Lo stesso vale per le bugie di un bambino negli anni della prima infanzia, periodo in cui ancora la fantasia si confonde con la realtà. In questi casi è giusto soltanto un richiamo e un lieve rimprovero, per iniziare a far comprendere, accettare e far propri gradualmente i principi e i valori etici. Né ha senso la punizione quando il soggetto non aveva alcuna volontà di eludere la norma o la richiesta. Ad esempio quando il fatto è avvenuto per il verificarsi di un evento occasionale. “Io avevo fatto di tutto per tornare in orario ma un guasto (reale!) alla macchina me l’ha impedito.” Come è giusto perdonare o trattare benevolmente un’unica mancanza, mentre è corretto essere più severi quando la mancanza si ripete: “Errare humanum est, perseverare diabolicum.”

Per essere giusta ed efficace la punizione deve inserirsi in un disegno educativo sereno e lineare, non dovrebbe nascere dallo sfogo di un malumore, da un momento di collera, né da paure o ansie immotivate dell’educatore.

Le punizioni date in un momento immediatamente successivo alla colpa sono meglio collegate a questa. Se un genitore castiga troppo frequentemente o impone punizioni eccessive, quasi sicuramente troveremo qualcosa che non va nelle sue capacità educative o nello sviluppo del bambino. Quando un genitore è autorevole e la sua linea educativa è chiara, precisa e ferma, quest’evenienza si presenterà raramente.

Se, ad esempio si è dato un orario ben preciso, si è spiegato il motivo per cui è necessaria la puntualità ed è chiara anche l’eventuale punizione, il bambino, il ragazzo, il giovane ha tutti gli elementi per controllare i suoi comportamenti. Sa che cosa deve fare, perché deve farlo e qual è l’eventuale punizione. Conosce anche in positivo, l’accettazione dei genitori e lo spazio che ha a disposizione. “ I miei genitori sono contenti che io esca, perciò è una cosa buona uscire, è bello parlare e divertirsi con gli amici in modo sano e costruttivo.” La certezza e la chiarezza dei diritti, come delle norme, dei limiti e delle pene, fa diminuire notevolmente il numero delle infrazioni.

Ciò sanno bene i nostri amici giuristi.

Invece, il non conoscere i propri diritti o il sottostare a pene aleatorie scritte solo sui codici ma raramente applicate, fa aumentare notevolmente il numero e la gravità dei reati e porta a comportamenti sempre più devianti e deviati. Per tale motivo, un rimprovero chiaro, netto o un piccolo castigo applicato senza tentennamenti o marce indietro, nel momento opportuno, evita mille rimbrotti, rimproveri e castighi notevolmente più gravi e numerosi in futuro.

L’ultima cosa che vogliamo dire a questo riguardo è di non utilizzare, se non raramente e in situazioni eccezionali, le armi affettive con le quali gli educatori cercano di ottenere qualcosa o di infliggere una punizione stimolando il senso di colpa. “Se tu fai questo mi fai soffrire, morire, dispiacere, mi fai stare male, uccidi tua madre.” Le armi affettive tendono a provocare disagio interiore, ansia, sensi di colpa che possono accentuare piuttosto che risolvere i problemi di comportamento.

Dove stanno i padri autorevoli?

Già da qualche anno, sempre più frequentemente gli psicologi, i sociologi, i pedagogisti, esprimono a gran voce, dopo ogni segno di follia giovanile, la necessità che i genitori, soprattutto i padri, seguano i figli con autorevolezza.

“A.A.A. Padri autorevoli cercasi” è l’appello che viene costantemente ma invano lanciato, anche perché sembra che di questi genitori o padri autorevoli ne sia scomparsa ogni traccia. Purtroppo se non sono evidenziate e risolte le cause che portano a questa quasi estinzione, pensiamo che l’appello continuerà a cadere costantemente nel vuoto.

“A.A.A. Padri autorevoli cercasi”, dovrebbe trasformarsi in “A.A.A. Società responsabile, attenta e coerente cercasi.” Chi se non una società responsabile e attenta potrebbe dar vita a padri ed educatori autorevoli? La loro scomparsa è stata provocata da una serie d’interventi assolutamente irresponsabili da parte di molti settori di quella stessa società che adesso, nei momenti in cui avverte più intensa la crisi delle giovani generazioni, li richiede a gran voce.

Per troppi decenni in maniera massiccia, da parte dei legislatori, dei mass – media, dei politici e degli stessi sociologi, psicologi e pedagogisti che adesso richiedono a gran voce padri autorevoli, le caratteristiche sopra descritte sono state tradotte e presentate in maniera negativa.

COME SI DISTRUGGE L’AUTOREVOLEZZA

• La maturità e la saggezza sono state viste come saccenteria e vecchiaia.

• Gli atteggiamenti responsabili, come interventi fuori del tempo e della storia, lontani dalla realtà del 2000.

• La serenità è stata vista come freddezza, insipienza e noia.

• La virilità nei comportamenti come maschilismo ed oscurantismo.

• La linearità come rigido militarismo.

• I limiti e le norme come offesa alla libertà e ai sacrosanti diritti individuali e collettivi. “Per carità non irreggimentiamo i nostri giovani, non li facciamo diventare come dei soldatini”, è stato per anni il ritornello degli specialisti di turno.

• La coerenza e la fermezza sono state viste come autoritarismo, aggressività, dittatura del padre padrone; quindi, se i figli ubbidiscono, sono visti come delle marionette in mano ai loro genitori tiranni; se non lo fanno, ne hanno molti buoni motivi.

• Sia che venisse dai professori, dai politici o dai genitori, ogni atteggiamento che chiedeva responsabilità, attenzione, coerenza è stato bollato di autoritarismo.

• Le punizioni come gratuita violenza esercitata sui minori.

Sappiamo per certo invece e non da ora, ma dall’inizio dei tempi, che l’unire l’affetto, la dolcezza, la sensibilità, la tenerezza, alla fermezza e alla sicurezza, non è un controsenso.

E’ ciò che ogni buon genitore ha fatto, ogni genitore può fare, deve fare. Non facciamo quindi mancare ciò che è indispensabile: non facciamo mancare dei genitori e degli educatori autorevoli accanto ad ogni bambino, così come accanto ad ogni giovane.

Emidio Tribulato

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