Il bambino disubbidiente ha scarsa aderenza alle richieste dell’altro, ha difficoltà a coinvolgersi in attività condivise, ha poco rispetto per le regole, ha un comportamento oppositivo, a cui corrispondono, se i genitori e gli educatori vogliono costringere il bambino ad effettuare quanto richiesto, crisi di collera
Questo comportamento, per cui il bambino rifiuta di sottostare alle richieste impartite dai genitori o da un’altra autorità, è considerato dalla psicoanalisi caratteristico della fase anale dello sviluppo psichico (secondo – terzo anno). In questa fase il bambino ha bisogno di differenziare il proprio Io da quello della madre e da quello delle persone che l’accudiscono, in modo tale da avere una sua autonomia e, di conseguenza, un maggior controllo su se stesso e sul mondo esterno. A quest’età, pertanto, questo tipo di comportamento non dovrebbe essere valutato come patologico, né dai genitori, né dagli altri educatori. Questo sintomo dovrebbe invece essere degno di attenzione solo se lo si rileva in maniera abnorme ad un’età superiore.
Ritroviamo comportamenti disubbidienti in molti bambini che presentano vari altri segnali di sofferenza: bambini con paure, iperattività, irritabilità; bambini che presentano disturbi dell’attenzione o disturbi oppositivi-provocatori. Il massimo della disubbidienza crediamo sia appannaggio dei bambini con disturbo pervasivo dello sviluppo. Questi sembrano non udire nemmeno le richieste fatte dagli altri, per cui continuano imperturbabili nell’attività o nel gioco intrapreso e quando li si costringe a smettere rispondono con irritazione ed aggressività. In questi piccoli, se la patologia è molto grave, questo sintomo viene meglio accettato dagli educatori e dai genitori, in quanto l’handicap evidente lo giustifica; se invece è presente nei bambini con disturbo autistico ad alto funzionamento, la vivace intelligenza, unita alle notevoli capacità nel ricordare, calcolare e nell’effettuare spontaneamente attività complesse, provoca nei genitori e negli insegnanti, dei giudizi nettamente negativi, nonché manifestazioni di stizza con minacce e castighi, in quanto sono giudicati come bambini molto capricciosi e insubordinati da mettere in riga mediante delle punizioni, piuttosto che come piccoli esseri sconvolti da gravi problemi psicologici.
Interventi
1. Isaacs (1995, p. 89) consiglia, intanto, di dividere le richieste fatte al bambino in tre categorie:
o le cose per cui pretendiamo un’obbedienza assoluta. In questo caso se la nostra richiesta è saggia e utile, è bene comportarsi con decisione, anche se gentilmente e affettuosamente. È importante però che queste richieste non siano numerose e frequenti in quanto, se così fosse, costringeremmo il bambino in modo eccessivo, limitando notevolmente le sue possibilità di giudizio e di scelta, per cui rischiamo di alimentare nel bambino o dei comportamenti eccessivamente deboli e inibiti o, al contrario, atteggiamenti aggressivi, oppositivi, distruttivi e ribelli.
o Le cose nelle quali abbiamo delle speranze e delle preferenze che suggeriamo direttamente o indirettamente ma che non imponiamo. In questo caso è bene far chiaramente capire al bambino quali sono, secondo il nostro parere, le scelte migliori, ma evitiamo di imporgliele.
o Le cose nelle quali lasciamo il bambino libero di scegliere. In questo caso accettiamo con gioia le sue scelte senza fargli pesare il fatto che noi avremmo fatto diversamente.
2. Nel fare delle richieste è utile ricordarsi che il bambino ha una visione temporale diversa della nostra. Per tale motivo cerchiamo di non intralciare all’improvviso le attività nelle quali è impegnato. Quando abbiamo bisogno di chiedergli qualcosa, avvisiamolo per tempo, in modo tale che possa completare ciò che ha già iniziato. Se i genitori vogliono fare tutto in fretta si ritroveranno con un bambino che non collaborerà.
3. Dopo esserci assicurati che quanto chiediamo sia giusto, nelle nostre richieste usiamo un atteggiamento nel quale la fermezza sia associata alla dolcezza, all’affettuosità e alla fiducia. Così che egli avverta la nostra stima, il nostro rispetto ma anche la fiducia che abbiamo verso di lui. Fiducia che quanto abbiamo chiesto egli lo farà. Se rimaniamo calmi, affettuosi e fiduciosi, è molto più facile che il bambino ubbidisca alle nostre richieste se, invece, dentro di noi vi è già il preconcetto che lui si comporterà in maniera disubbidiente, egli avvertirà la nostra scarsa fiducia nei suoi confronti, ma anche la nostra rabbia e collera pronte a manifestarsi, per cui interpreterà quello che gli chiediamo come una violenta, ingiusta imposizione. Pertanto è sicuramente controproducente urlare. Quando i genitori urlano i bambini ubbidiscono solo in quanto si spaventano, ma questo spaventarsi li sconvolge, per cui in futuro tenderanno a vivere ancora di più nel loro mondo e a vedere i genitori come dei nemici cattivi, e quindi ubbidiranno sempre meno.
4. Teniamo inoltre presente che nel rapporto con un bambino è bene non considerare ogni momentaneo rifiuto come una disobbedienza assoluta. A volte i suoi “no” significano soltanto che ancora non ha finito quello che aveva iniziato, per cui, dopo che egli ha concluso il suo gioco o a messo ordine nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, i suoi “no” possono benissimo trasformarsi in “si”.
5. Se il bambino manifesta un atteggiamento aperto di sfida, di rabbia e si mette a fare capricci, non è utile sgridarlo. È molto meglio aspettare che si calmi e poi fare di nuovo la nostra richiesta, sempre con molta calma e affettuosità. L’importante è assicurarci che non ottenga niente con i suoi capricci (Isaacs, 1995, pp. 92-93).
6. Per distinguere ciò che è capriccio da ciò che non lo è, dobbiamo necessariamente metterci in ascolto dei suoi vissuti interiori. Se il bambino è psicologicamente disturbato e quindi è ansioso, teso, stanco e nervoso, non potrà sicuramente rispondere prontamente alle nostre richieste. Il nostro compito, in questi casi, non è imporre la nostra disciplina e farci ubbidire a qualunque costo, ma renderlo più sereno, in modo tale che possa avere la possibilità e la capacità di essere ubbidiente, senza effettuare un notevole sforzo su se stesso. Se, in questi casi, come spesso accade, attuiamo delle imposizione violente, rischiamo di accentuare il suo disagio e, quindi, rischiamo di peggiorare tutta la sua vita affettivo- relazionale, compresi i suoi comportamenti disubbidienti. Abbiamo detto che il massimo della disobbedienza la ritroviamo nel bambino con disturbo autistico ma non è un caso che in questi bambini ritroviamo il massimo dei disturbi psicologici.
Dr. Emidio Tribulato – Neuropsichiatra e psicologo. Direttore del Centro Studi Logos di Messina
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