Trionfale successo per Sebastiano Lo Monaco, protagonista assoluto dello spettacolo dal titolo Per non morire di mafia, (tratto dall’omonimo volume del magistrato Pietro Grasso), che domenica scorsa ha inaugurato, presso il Teatro Trifiletti, la Stagione Quinteatro, giunta alla quinta edizione, diretta dal regista e attore Giuseppe Pollicina e organizzata da Tali Arti di Tania Alioto in collaborazione con il Comune di Milazzo.
Potere, giustizia, libertà; queste le parole attorno alle quali ha ruotato l’intera piéce e attorno alle quali ruota la vita di chi opera nella giustizia. Un lungo excursus di stragi, a partire dagli anni ’70, che lega uomini vissuti in epoche diverse accomunati dal medesimo obiettivo: sconfiggere la mafia, in tutte le sue forme.
Sul palco un grandissimo Sebastiano Lo Monaco, il quale, una volta aperto il sipario, ha lasciato il posto alla travagliata vita del magistrato Pietro Grasso, abbattendo con estrema naturalezza la quarta parete ed emozionando i presenti sin dalle primissime battute. “Finché la mafia esiste bisogna parlarne, discuterne, reagire. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e potere si rafforza. I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi”.
A fine spettacolo Sebastiano Lo Monaco ci ha concesso una breve ma significativa intervista:
– Cinema, fiction o teatro, in quale ambito artistico si riconosce maggiormente?
– Il teatro è la mia vita, sono quarant’anni che sto sul palcoscenico. Mi piace fare anche cinema e televisione, ma il teatro è ciò in cui mi riconosco maggiormente.
– Lo spettacolo s’intitola “Per non morire di mafia”, ma qual è l’antidoto per non soccombere?
– Semplicemente seguire le regole, vivere addentrati nelle regole dello Stato, vivere secondo i codici della Legge, e in questo modo dovremo farcela. Purtroppo c’è sempre chi fa il fuorilegge, e allora subiamo.
– Esiste al giorno d’oggi qualcuno che possa eguagliare le figure di Falcone e Borsellino?
– Ci sono tantissimi magistrati che lavorano onestamente e con fatica, affrontando quotidianamente il pericolo. Il fatto che oggi giorno non vengano uccisi che non lavorino con dedizione e con meno serietà. Semplicemente la mafia ha cambiato strategia. Si fa notare di meno.
– E, infine, è giusto continuare a parlare di mafia, oppure si rischia di enfatizzare la sua immagine, il suo mito?
– Dipende da come se ne parla. Se nelle fiction tv si crea un alone di romanticismo intorno alla figura del malavitoso ecco che si dà vita alla bellezza del male, del malvagio; e questo certamente non è il modo giusto di affrontare il tema. Farlo come abbiamo fatto noi stasera, e come tanti altri li hanno interpretati in teatro, non è un beatificare la mafia, ma dare e assestare dei colpi, amplificare la voce dei magistrati che l’hanno combattuta, e ancor di più amplificare, attraverso il linguaggio teatrale, la voce dei magistrati che ci hanno anche lasciato la vita.
Mai come in questo caso in teatro si sono attraversate le molteplici sfumature della vita.