L’eclettismo e la poliedricità nel teatro sono doti appartenenti a pochi attori e tra questi si può legittimamente annoverare il celebre Giuseppe Pollicina, in grado con istrionesca lungimiranza di trasformarsi non solo in regista ed attore cinematografico, ma di eseguire performance d’alto livello anche nei generi drammatico, satiresco, dialettale, tragico fino ad approdare al musical: tutte siffatte peculiarità sono state espresse simultaneamente in occasione del suo trentacinquesimo anniversario della sua carriera artistica consacrata al teatro con lo spettacolo dal titolo «ÉccòMÉ», dove, avvalendosi della collaborazione degli allievi afferenti rispettivamente ai laboratori «Tanti Amici» e «FuCinema», ha fatto raccontare a costoro tutta la sua vita da teatrante.
La rappresentazione si apre con quattro attori, che ricevono raccomandazioni concernenti l’interpretazione comica da discepoli, che, mescolati fra il pubblico, hanno recitato uno stralcio dell’atto III, scena 2, dell’«Amleto» di Shakespeare, brano a lui molto caro, giacché costituisce un’esortazione ad osservare e non esagerare imparando una lezione di vita e di teatro. Dopo l’esecuzione della canzone «Aggiungi un posto a tavola», condotta dai suoi iscenti, guidati per l’occasione dall’attore Ivan Bertolami, in omaggio alla commedia musicale di Garinei e Giovannini, tre allieve (Valeria Di Brisco, Emanuela Mendolia, Ludovica Fazio) narrano in maniera semiseria il loro approccio e la loro collaborazione con il «megalomane» Giuseppe Pollicina, ma il loro racconto viene continuamente interrotto dalle gag di altri attori (Gaia Foti, Tania Alioto, Nino Pollicina) nonché dallo stesso protagonista, che cerca di prendersi la scena.
Nel momento, in cui lo fa, egli incomincia con i ringraziamenti verso tutti coloro che hanno cooperato con lui o semplicemente hanno incrociato il suo percorso artistico. Degna di rilievo è la descrizione del suo iter verso il successo, per il quale ha molte volte rinunciato alla vita sociale come un sacerdote a custodia del sacro fuoco dell’arte; così come non ha mai mentito al pubblico, poiché sul palcoscenico ha offerto sempre il suo cuore. Fra uno sketch e l’altro non sono mancati gli ospiti canori: Silvia Pianezzola ha interpretato un adattamento del testo tratto dal «Jesus Christ Superstar» dal titolo «Io non so proprio come amarlo». Un altro interessante interludio è stato fornito dalla medesima Valeria Di Brisco nell’interpretare la parte di Clementina, la quale ha duettato con Giuseppe Pollicina nel ruolo di Don Silvestro.
Molto toccante è stato l’intervento di Giusy Schilirò, che ha interpretato la canzone «Terra ca nun senti» di Rosa Balistreri, rivolto ai giovani affinché non emigrino e si riapproprino del loro territorio natale. Un altro omaggio è stato tributato a Saverio Castanotto con l’interpretazione personalizzata del mito di Colapesce. Altrettanto intensa la prestazione canora di Annamaria Fugazzotto con il brano «Figli» dal musical «Pinocchio», mentre profonda riflessione e commozione ha destato l’esecuzione di «Imagine» di J. Lennon, cantata da Katia Chiofalo, accompagnata dai componenti il laboratorio «Tanti Amici» e commentata dal medesimo Pollicina, che ha voluto infondere il messaggio di umanità e pace, insito nel pezzo canoro.
Dopo avere mandato in onda una sequenza del film «Angeli» di Salvo Bonaffini, dove ha recitato un monologo intitolato «Aurora e Speranza», un altro momento d’emozione è stato manifestato dal protagonista allorquando, chiamando a raccolta tutti i suoi collaboratori, ha voluto declamare il suo testamento teatrale passando il testimone di alcune parti alle nuove generazioni. A seguito della presentazione della favola «Cenerentola 2.0», da lui rielaborata in chiave contemporanea, ha voluto sottolineare la collaborazione con la RAI avendo recitato come personaggio principale in «La balia», tratto da «Novelle per un anno» di Pirandello. Decisamente simpatico lo sfogo di alcuni allievi nell’esporre i suoi pregi ed i suoi difetti, un modo intelligente per manifestare tutta la sua immagine sincera al pubblico.
Col «Monologo di Zac», egli fa notare come qualsivoglia artista viene visto come un soggetto inutile all’interno della società, ma al quale nessun componente sociale vuole rinunciare, perché gli riconosce l’indispensabile funzione catartica. «Ho fatto la
scelta di non farmi standardizzare in un genere unico. – ha sottolineato Giuseppe Pollicina – Gli spettatori devono rimanere tanto attenti alla mia imprevedibilità da apprezzare la mia versatilità: infatti, il teatro viene visto da me come una grande famiglia, nella quale ciascuno deve avere molta autoironia di ciò che dice e che fa. È questo il messaggio, che sono determinato nel trasmettere soprattutto ai miei allievi, affinché possano con continuità portare avanti i miei insegnamenti e contribuire al progresso culturale e sociale della vita umana».
Indubbiamente si deve dare merito a Giuseppe Pollicina di avere rivitalizzato le attività teatrali in un territorio, come quello milazzese, rimasto per tanti decenni orfano e grazie al suo apporto costruttivo riportate in auge.
Foti Rodrigo