Caro Tito, come ho scritto nel concludere la mia precedente comunicazione, avrei dovuto dedicare questa “Lettera su Badolato n. 8 – Capitolo quinto” al mio periodo universitario compreso tra il luglio 1973 ed il gennaio 1976 (che è coinciso pure con le principali ricerche per la tesi di laurea). Però, nel frattempo, è scaturito prepotente dentro di me il desiderio di parteciparti un altro importante e condizionante elemento legato al grande amore per Badolato, mio paese natìo … un elemento non soltanto assai qualificante ed “eloquente” … ma anche onnipresente (dalla mia infanzia ad oggi e sicuramente anche in futuro) e irrinunciabile come l’aria che respiro … la mia lingua-madre … ovvero ciò che viene comunemente chiamato “dialetto” (rispetto alla lingua italiana nazionale).
Infatti, immediatamente dopo averti inviato la lettera n. 7, proprio nella stessa giornata di San Valentino (domenica 14 febbraio 2016) dedicata solitamente all’innamoramento di coppia ma anche agli innamorati di un qualsiasi valore umano e sociale come ad esempio l’amore verso il proprio paese o altro luogo di elezione … ho riflettuto sul fatto che Badolato non sia riuscito a darmi il grande amore della mia vita, nonostante la quasi affannosa, annosa e dedicata ricerca. Né Badolato e la Calabria mi hanno saputo dare la possibilità di rendermi utile al nostro popolo, nonostante abbia speso tutta la mia migliore gioventù per studiare le problematiche locali al fine di mettermi al loro servizio e nonostante avessi dato prova di poter essere utile (spesso persino a mie spese) alla nostra gente e al nostro territorio.
C’è pure da dire che, molto più probabilmente, sono stato io a non essere riuscito e a non aver saputo trovare quanto andavo cercando. Ad esempio, riguardo la donna della mia vita, numerose sono state le ragazze badolatesi (dalla prima adolescenza fino ai 30 anni, quando poi nel 1980 ho conosciuto mia moglie) con le quali ho intessuto rapporti che avrebbero potuto portarmi alla vita coniugale. Tutte, dico tutte, non hanno accettato il fatto che non avrei voluto figli (anche se alcune, in un primo tempo, mi hanno assecondato). Per quanto riguarda il lavoro (o, meglio, la possibilità di essere utile a Badolato e alla Calabria attraverso un’occupazione remunerata) il discorso è assai più semplice ed è presto detto … l’esperienza quotidiana e storica ha ampiamente dimostrato che di solito in Italia (specialmente in Calabria e, in particolare, a Badolato) taluni posti di lavoro (soprattutto se pubblici) si conquistavano (negli anni Settanta come pure adesso) quasi esclusivamente tramite la cosiddetta “corruzione” (voto di scambio con la partitocrazia oppure attraverso il denaro o altre offerte non tanto normali e alquanto discutibili). In pratica, a Badolato e in Calabria avrei potuto avere un ruolo e così realizzarmi pure per ciò che avevo studiato se soltanto avessi preso una tessera di partito o avessi fatto politica attiva, schierandomi (come mi era stato caldamente raccomandato) con uno qualsiasi dei partiti al governo (cosa contraria ai miei principi di indipendenza, sempre e comunque ed ovunque osservati finora). Infatti, a motivo dei dolorosi racconti di mio padre sul fascismo, fin dall’infanzia ho escluso una tale soluzione, per quanto normalizzata e generalizzata sia ancora oggi in Italia. Tessere di partito mai!… Fino a questo momento ci sono riuscito.
Caro Tito, ho riflettuto per tutta la giornata di domenica 14 febbraio 2016 alla stranezza del mio destino, al mio esilio, al mio approdo sulle fredde montagne altomolisane … proprio io che sono sempre stato e sempre mi sono sentito un “uomo di mare” e di profondo sud dal caldo avvolgente e persistente, dalla luce perenne e intensa … proprio io che non mi sarei mai mosso dalla mia terra, per l’immenso amore ed anche perché non riuscivo a sopportare di sentire parlare un dialetto diverso da quello mio badolatese. La vita, a volte, ci riserva fin troppi ed anche grandi, drammatici ed ingiusti paradossi!…
E a proposito di ciò che maldestramente ci siano abituati a chiamare “dialetto” … per dimostrarti come e quanto è sempre stato importante per me la lingua madre, quella della mia famiglia e della mia infanzia, voglio dedicare questo quinto Capitolo e questa “Lettera n. 8 su Badolato” proprio alla lingua badolatese, quella appresa fin dalla nascita a Kàrdara. Ed ecco come Kardàra ritorna sempre e comunque come assoluta protagonista nella mia esistenza!… Così come ritorna sempre e comunque assoluto il mio grande amore per Badolato, mio paese natìo, e per il suo popolo, per la sue sudate pietre, per la sua anima antica.
Intanto ti dico immediatamente, come prima informazione e curiosità, che ho conservato abbastanza bene l’inflessione del mio parlare riconducibile alla mia Calabria, alla zona di Soverato, a Badolato. Infatti, sono assai lieto (ancora adesso e come mi è successo proprio oggi da parte di un carabiniere del basso Molise) quando qualche mio interlocutore più sensibile si accorge, da come parlo, che sono inconfondibilmente calabrese. Gioisco ancora di più quando qualche interlocutore più esperto mi chiede se sono della parti del catanzarese o della zona di Soverato. Faccio addirittura salti di felicità quando qualcuno (anche se più raramente) mi dice che sono di Badolato. E sì che, praticamente ormai, sono lontano dal mio paese natìo dall’ottobre 1970 (salvo i periodi delle vacanze universitarie e taluni altri periodi come dall’agosto 1978 al giugno 1980, dal novembre 1981 al dicembre 1982 e dall’agosto 1985 all’ottobre 1988).
Comunque sia, le mie orecchie, il mio cuore e la mia anima sono stati abituati al dialetto badolatese di Kardàra (cioè quello in uso a Badolato Superiore) talmente tanto indelebilmente che spesso ho sentito il bisogno (a volte la necessità) di salire a Badolato Paese esclusivamente per ascoltare i badolatesi più veraci parlare la nostra lingua, il nostro dialetto più stretto e non quello più cittadino in uso a Badolato Marina! E ancora adesso, proprio per ascoltare il dialetto più verace, chiamo spesso al telefono alcune persone più anziane che conosco e … cerco di conversare con loro più tempo possibile per bearmi del mio dolce idioma e del lessico ormai più in disuso, con le sue più tipiche espressioni ormai dismesse dalla maggioranza dei miei ex-concittadini, specialmente dalle giovani generazioni. E resto triste, persino afflitto, pensando che fra qualche generazione il dialetto di Badolato potrà essere quasi completamente estinto. Resto triste e persino afflitto pure perché ho più volte cercato di proporre una vera e propria scuola di dialetto. Inascoltato!
Il dialetto (userò questa dizione, seppure impropria, ma soltanto per capirci meglio) mi ha condizionato un po’ la vita e mi ha fatto amare maggiormente il mio paese in un modo che sarebbe difficile immaginare. Ed è per questo che ti racconto alcune vicende che possano dimostrarti almeno l’entità del “condizionamento” ed il profondo valore dell’attaccamento alla mia gente!… Così tanto ho amato il mio paese, Badolato, da farmi coinvolgere e condizionare la vita persino dal suo dialetto!… Ho fondato motivo di ritenere che a me sia capitato ciò che a nessun altro avrebbe potuto capitare. Puoi così avere un’idea di come e quanto profondo e indelebile sia stato il mio amore per il mio paese, la mia gente e tutto ciò che li identifica e li esprime!
Caro Tito, molto probabilmente, tale condizionamento è derivato dal fatto che nella mia famiglia, nella mia parentela e a Kardàra, tutti indistintamente parlavano il dialetto. E se qualcuno tentava di dire qualche parola in pseudo-italiano la storpiava o la pronunciava in modo tale da sollevare ironia e ilarità. Insomma, la lingua della mia infanzia è stato il dialetto più stretto e perfetto! Ad esempio, da mia nonna paterna Domenica Cundò (l’unica dei quattro nonni rimastimi a quel tempo) e da sua sorella Concetta (le due più anziane di famiglia) ascoltavo parole davvero antiche, addirittura di derivazione greca come “anèngastu” (cioè vergine, intatta) per riferirsi a ragazza o a terreno o ad altra cosa non ancora toccata, iniziata, cioè totalmente “pura” e incontaminata. Nel vicino “Dizionario andreaolese-italiano” del prof. Enrico Armogida (Calabria Letteraria Editrice – Rubbettino, Soveria Mannelli CZ – 2008 – pagine 1304) è scritto “anìagnistu” (pagina 73). Se hai bisogno di una copia di tale preziosissimo, unico quanto irripetibile Vocabolario (le cui parole sono molto simili a quelle di Badolato e dei paesi vicini, come il tuo Guardavalle) oppure di un “pronto soccorso glottologico” … l’ineguagliabile e sempre gentile prof. Armogida risponde al n. di telefono 0967-45060 o all’indirizzo mail “enricoarmogida@gmail.com” in Sant’Andrea Apostolo dello Jonio Marina (Catanzaro), Via Giovanni Paolo I n. 4/3.
Se mio padre masticava un po’ di italiano molto semplice (per aver fatto il militare e per lavorare in ferrovia con persone di altre regioni che avevano bisogno di sentir parlare l’italiano per poter capire) e qualche mio fratello o sorella usava la lingua nazionale per gli studi fatti … il resto della famiglia tendeva sempre al dialetto, in particolare mia madre che non aveva fatto nemmeno un giorno di scuola, non andava in chiesa e non aveva frequentato persone acculturate. Che fortuna ritengo di avere avuto con mia madre analfabeta!… sia per il dialetto e sia per l’animo non contaminato (anèngastu) da elementi e valori esterni alla più valida, consolidata ed antica cultura popolare (badolatese e universale) … mio vero “salvagente” da sempre!
Forse pure perché le mie prime parole d’amore sono state in dialetto e in modo assai felice … sta di fatto che ho sempre cercato di avere ragazze del mio paese … tanto il dialetto (e tutto ciò che significa e comporta) è sempre stato importante e determinante per me! … Una volta in prima media (1961-62) mi sono invaghito di una ragazzina mia coetanea che abitava nelle campagne tra Borgia e Squillace e frequentava la medesima classe in una sezione diversa ma accanto alla mia aula a Catanzaro Lido. Nonostante il forte mio interesse sentimentale, non mi ci vedevo sposato a lei proprio per la cadenza del dialetto (che mi sembrava un po’ strano rispetto al mio, anche se comprensibilissimo al 99%). Così mi sono concentrato sulle ragazze badolatesi per la ricerca della donna della mia vita. Inoltre, stavo pure attento a non andare oltre l’ambiente culturale mio proprio per condividere quanto più possibile. Intuivo già allora, da pre-adolescente, che un uomo ed una donna sono più uniti se hanno più cose da condividere, a partire dal comune linguaggio, dai comuni valori familiari e popolari, persino dalle medesime persone e dagli stessi luoghi conosciuti!… A volte sono le sfumature del linguaggio, del gergo, dei gesti, dei comportamenti e dell’animo che uniscono e affascinano più di qualsiasi altra cosa (anche delle cose apparentemente più importanti). Insomma, la mia vita era irrimediabilmente impastata con la terra e le pietre, l’aria e tutte le altre esistenze di Badolato!… Anelavo al mondo, com’era ovvio per un ragazzo, ma connaturato a Badolato!
D’altra parte, un proverbio locale raccomanda in modo assai restrittivo e circoscritto “Cummara ‘e Roma, mugghyera ‘e ruga” (La madrina di battesimo o di cresima sia lontana come a Roma, però la moglie deve essere possibilmente del medesimo caseggiato, al massimo del medesimo rione, non oltre il proprio paese) come mi ha appena ricordato l’amico stimatissimo e glottologo prof. Armogida al telefono … Ed è simile a quel proverbio nazionale che afferma “Moglie e buoi dei paesi tuoi”. Ed, in effetti, fino ai 23 anni, ho cercato (con tutto me stesso ma purtroppo invano) la ragazza-donna della mia vita proprio nel medesimo mio rione prima di allargare lo sguardo al resto del paese e soltanto molto dopo al resto del mondo. Poi (per “destino” e per tante vicende esistenziali) mi sono legato a un matrimonio misto, pur abbastanza felice (anche perché fatto proprio su misura), in Molise (a 600 km da Badolato) che è pur sempre nel medesimo ambiente meridionale e inter-regionale italiano … Tuttavia ritengo che, nonostante i sentimenti personali e i valori nazionali e le culture internazionali più o meno globalizzate, è sempre meglio (sempre se possibile) una unione amorosa o coniugale nel medesimo dialetto. Mi puoi osservare “Ma lo dici proprio tu che ti ritieni un universalista fin dall’adolescenza, pure per avere fondato la band Euro Universal e per aver fatto propaganda, persino nelle piazze, per l’Europa Unita e per l’O.N.U. e per aver vissuto parecchio tempo in ambienti internazionali, viaggiando anche molto!?”…
Sì, hai ragione, caro Tito, però l’amore universale ed umanitario, solidale e interculturale è una cosa (una grande e bella cosa) ma l’amore ìntimo e connaturato, coniugale e per tutta la vita è come il cibo … tendiamo sempre a preferire i gusti cui siamo abituati fin dall’infanzia. Certo ci possiamo abituare a tutto e a tutti … però il proprio paese è sempre il proprio paese! … E te lo dico quando ormai penso di aver accumulato abbastanza esperienza (in giro per l’Italia e per il mondo) da avvalorare maggiormente la necessità insostituibile del proprio paese natìo o del proprio luogo di elezione!… Ecco cosa ha scritto, poco prima di morire, Cesare Pavese (1908-1950) nel suo libro “La luna e i falò” (Einaudi Editore, Torino 1950): “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. E c’è qualcosa di mio, di nostro (anzi, molto, moltissimo di mio e di nostro) soprattutto nel dialetto, nella lingua che è l’anima delle persone e di un intero popolo!…
I nove anni di castità assoluta (dall’ottobre 1962 all’estate 1971) li ho praticamente vissuti (fino al marzo 1968) al pensiero di un’unica, splendida ragazza (ovviamente badolatese) che (pur non ricambiandomi affatto) potevo almeno vedere o incontrare quasi ogni giorno per via del pendolarismo in treno, delle attività di studio o di parrocchia. Poi ho vissuto (sempre in modo puro e casto ma variamente ricambiato) alcuni “flirt” assai romantici fino a quella che potremmo definire “la svolta di Jane” (la ragazza americana che mi ha stravolto in meglio l’esistenza nel giugno 1971). Dopo Jane la ricerca della donna della mia vita è stata, comunque, da me svolta sempre in territorio badolatese (magari con meno castità di prima) poiché era importante il dialetto per la donna della mia vita cui, nonostante tutto, ho creduto fino all’autunno 1973 quando, finalmente, una giovane donna badolatese (quasi di Kardàra) è riuscita a sbloccarmi sessualmente, dando l’addio definitivo alla castità più o meno assoluta e l’addio alla ricerca della donna ideale della mia vita. Determinante fu il dialetto, quel particolare dialetto non ancora contaminato … dialetto come un ancestrale “richiamo della foresta” … voce e grido dell’anima, della natura, delle origini e dell’identità!…
Dall’autunno 1973 mi sentii davvero e completamente libero sentimentalmente e sessualmente. Non avevo obblighi di fedeltà con alcuna donna o con alcun ideale o valore pseudo-morale che mi avevano tenuto prigioniero per così tanti anni. Sebbene, ancora oggi, reputo che la castità sia stata (tutto sommato) un’esperienza utile … tuttavia resto altresì convinto che sarebbe stato meglio averla evitata a favore di una normalità più equilibrata e più in sintonia con l’evoluzione naturale di una qualsiasi adolescenza. Il costo di tale castità, alla fine, si è rivelato troppo alto e destabilizzante (come può dimostrare la vicenda vissuta con Jane in quel fatidico giugno 1971). La mia situazione amorosa e sessuale non era un caso isolato, ma apparteneva, più o meno, alle intere generazioni italiane e cattoliche di quei decenni. Infatti, nel 1972-73 una rivista settimanale giovanile evidenziava una rubrica intitolata proprio molto significativamente “L’amore liberato” … cioè l’amore (specialmente quello sessuale) liberato dai condizionamenti religiosi e dalla mentalità tradizionale. In pratica, in Italia e in gran parte del mondo più attento e volitivo, era in atto (pure con i movimenti giovanili di contestazione) una vera e propria “rivoluzione sessuale” (ma anche un modo nuovo di vedere e concepire l’educazione sentimentale, i rapporti di coppia e allargati, l’amore totale).
Già intellettualmente, comunque, mi sono sempre sentito uno “spirito libero” (grazie pure all’armoniosa infanzia di Kardàra), anche se poi i miei condizionamenti da parte della morale cattolica (dovuti un po’ alla frequenza della parrocchia di Badolato Marina e molto alla frequenza della troppo insistente catechizzazione quotidiana della scuola salesiana di Soverato, come ti ho ampiamente detto) hanno contribuito a bloccarmi e a distorcere la più naturale crescita del cuore e del corpo per quasi 9 anni. E’ fin troppo risaputo (e fin troppo sofferto) che la morale cattolica, in fatto di sesso e di sentimenti, ha provocato (e purtroppo continua a provocare) innumerevoli devastazioni nella gente (portando “scandalo” persino dentro la stessa Chiesa, specialmente tra il clero) … tante e tali devastazioni che alcune persone (specialmente donne) non hanno recuperato più e sono rimaste “squilibrate” (interiormente e nei comportamenti) per il resto della loro esistenza, spesso rendendo infelici le persone che hanno sposato e, in alcuni casi, persino i loro figli.
Lo posso testimoniare pure io per aver toccato con mano tali devastazioni e rovine, attraverso i rapporti interpersonali e attraverso molteplici intime confidenze di numerose persone di entrambi i sessi. Ma si sa, la casistica è quanto mai inquietante e infinita!… La Chiesa Cattolica e le altre Religioni sessuofobiche stanno perdendo da millenni la guerra con il “Sesso” (che comunque si ritiene creato da Dio e non dal demonio) e non riescono a trovare una giusta e “umana” soluzione, provocando inimmaginabili ed infinite disumanità d’ogni genere e persino “genocidi” silenziosi (si pensi a cosa sta causando la proibizione dei profilattici in generale e nei malati di AIDS, in particolare)!… Per non parlare di come sono state trattate le donne nel corso dei secoli (specie nell’oltre mezzo millennio di Inquisizione) e di come ancora vengono avversate ed emarginate (e, in talune religioni, persino martirizzate) in quasi tutto il mondo!… La sessuofobia, purtroppo, offusca e danneggia la missione vera delle Religioni, dei Popoli e della più vera Civiltà umana!
E, visto che è il “dialetto” il più vero protagonista di questo quinto capitolo, penso sia opportuno raccontarti alcuni episodi che mi legano al grande amore per Badolato, mio paese natìo, proprio attraverso il dialetto. Sempre avendo come orizzonte la confluenza di tutto questo amore nella vicenda del “paese in vendita” la quale riassume tutti i fattori della mia immensa dedizione alla mia gente e al mio territorio. Dialetto significa soprattutto parlare. Parlare è essenzialmente “comunicare”… donarsi e scambiarsi un po’ di anima e di vita. Probabilmente ognuno di noi ha prima intuìto, poi capìto e quindi verificato quanto sia importante “comunicare” ed “esprimersi” non soltanto più in generale nella società ma soprattutto in un rapporto familiare, amicale, affettivo, amoroso. Diciamo che, specialmente in amore e nella vita di coppia, la parola può essere o diventare un vero e proprio altro “organo sessuale” ausiliario o coprotagonista di tutta la magìa amorosa. La parola è essenziale nella seduzione così come nel mantenere vivo ed esaltante, appassionato e profondamente amoroso un rapporto di coppia. La parola significa esprimere sentimenti e, si sa, prima si ama coi sentimenti (con il cuore) e poi con il corpo! Ed anche il corpo ha un suo dialetto, un proprio linguaggio che sarebbe meglio conoscere, capire, interpretare e usare fin dall’infanzia!
Devo ammettere che, non essendo un bel ragazzo come fattezze (e sono pure basso di statura), ho dovuto rafforzare con la parola le mie potenzialità seduttive (arricchendole indispensabilmente tanto, pure di contenuti). E altresì devo ammettere che a volte il mio dire seduttivo ha funzionato abbastanza bene, ottenendo il risultato sperato. Perché le parole siano veramente seduttive, è necessario padroneggiarle al di là di ogni possibile fantasia e suggestione. A me con il dialetto è sempre riuscito meglio, pure perché la lingua-madre ha un fascino ed un’efficacia che le lingue nazionali non hanno. Intendersi sul medesimo dialetto significa usare e capire la stessa cultura ambientale di appartenenza e di identità. Perciò, qualsiasi tipo di dialetto tocca più corde dell’animo e esprime tutte quelle sfumature che rendono il nostro linguaggio molto più suadente, più efficace e più appropriato della lingua nazionale, che non sempre ha la stessa condivisione tra i due dialoganti amorosi. In pratica, la medesima lingua-madre riesce ad ottenere più effetto ed affetto. Ma, purtroppo, né il dialetto né tante altre seduzioni e sensazioni bastano, poiché l’amore è un sistema “magico” assai, anzi troppo complesso e quando lo si raggiunge possiamo davvero gridare al “miracolo”!…
Come ti ho altre volte detto o accennato, durante la mia adolescenza (specialmente dopo aver pubblicato il 13 dicembre 1967 il primo libro di poesie “Gemme di Giovinezza”) parecchi miei amici o semplici compaesani (più o meno della mia età) mi davano da leggere i loro racconti o i loro componimenti poetici. Una badolatese, di poco più giovane di me, mi chiamò a casa sua per darmi da leggere le sue poesie e alcune pagine del suo diario intimo. Qui la chiamerò Minerva (come la dea della cultura e delle arti). Fino ad allora l’avevo vista e salutata da lontano. Il vederla da vicino (con i suoi occhioni bellissimi e magnetici) e il sentirla parlare nel suo dialetto (leggermente più stretto dell’usuale) mi fecero un effetto particolare. Notai una qualche emozione pure il lei. Ci fu uno scambio di lettere (lei studiava in collegio) e fu facile per i sentimenti trovare la via del reciproco interesse, non solo letterario. Tuttavia, a quel tempo la mia mente era troppo occupata verso la ragazza della mia parrocchia che mi aveva attratto totalmente ma senza alcuna speranza per me. Poi Minerva andò a scuola a Locri, mentre io andavo ancora a Soverato, ma in orari diversi di treni ed autobus. Però le nostre lettere tradivano aneliti che oltrepassavano i confini dell’amicizia. Forse il nostro era un amore o, almeno, un’attrazione psico-fisica inconfessata, legata a doppio filo dalla Poesia.
Ci ritrovammo però sul treno per Locri ogni mattina e ogni pomeriggio al ritorno, quando dal 7 gennaio fino alla fine di maggio 1969 ho frequentato la seconda classe di quel Liceo Classico. Tra noi però un normale rapporto da pendolari che utilizzano il viaggio del mattino per ripassare le lezioni. Era il viaggio di ritorno che ci dava più possibilità di dialogo, ma non sempre, pure perché spesso eravamo stanchi della mattinata scolastica oltre che sfibrati dal lungo viaggio e delle nostre alzatacce (quasi tutti, quelli che da Badolato andavamo a Locri, ci alzavamo alle 5 di mattina). Però quando avevamo la possibilità di parlare era davvero molto bello, sia perché eravamo soliti esprimerci in dialetto (mia vera goduria) sia perché (conoscendoci sempre di più, giorno dopo giorno, nel concreto) aumentava il reciproco affetto e la reciproca stima. A volte mi faceva andare a casa, con la scusa di qualche spiegazione su lezioni ritenute difficili.
Così, ho conosciuto pure tutta la sua bella famiglia, compresi i suoi bravissimi genitori (una coppia davvero possente in bellezza, fisicità, vitalità e simpatia). Questi non mancavano occasione per cantare insieme, facendosi spesso la contro-voce. Ovviamente erano soliti cantare più in dialetto che in italiano. Sembravano assai affiatati nel canto come nella vita. In verità, ancora negli anni sessanta (e non soltanto a Badolato) la gente era solita cantare, quindi era cosa comune ascoltare due coniugi cantare insieme un po’ dovunque, spesso in duetti nei canti d’amore, del mietere o delle serenate. Cantavano pure i miei Genitori insieme o da soli, specialmente quando lavoravano in campagna. Nella parte più bella e segreta del mio cuore ancora risuonano i canti dei lavori agricoli, specialmente quelli della mietitura e della vendemmia! Ma i canti che ancora mi commuovono (li risento registrati) sono quelli inventati lì per lì durante le serenate agli sposi o agli amici. Ovviamente, pure questi in dialetto. Mi ricordo che a quel tempo il dottore Otello Profazio (Rende 1934 – “maestro cantatore” o “cantastorie” e “antropologo ricercatore della musica popolare italiana” ancora abitante a Pèllaro, alle porte di Reggio Calabria) teneva alla radio nazionale Rai una trasmissione di gran successo, assai bella ed interessante, coinvolgente e indimenticabile, intitolata proprio “Quando la gente canta”. Adesso la falsa modernità ha spento pure il canto spontaneo della gente. Una volta i genitori di Minerva mi diedero un passaggio con la loro macchina e durante il tragitto cantavano cantavano cantavano davvero meravigliosamente. Un vero incanto!… Stupenda meraviglia!…
Mi piacevano così tanto i canti dialettali che già dall’adolescenza avevo cominciato a trascriverne le parole. Poi, da quando nel luglio 1973 mi sono dotato di un fono-registratore, andavo in giro a registrare i canti badolatesi, specialmente presso coloro che (era risaputo) erano i maggiori depositari della tradizione. Mai goduria intellettuale mi ha mai appassionato e avvinto tanto!… Con i canti popolari il mio amore per Badolato, mio paese natìo, diventava sempre più ìntimo e struggente. Nei canti c’era il migliore cuore della gente e la mia commozione (spesso fino alla lacrime) mi trovava sempre presente e partecipe in quest’Arte Sublime!… Una volta andai nella classe dell’insegnante Immacolata Larocca, a Badolato Superiore, per far condurre delle ricerche ai suoi alunni (alcuni dei quali ancora adesso, quando mi incontrano, mi ricordano quella meravigliosa e indimenticabile esperienza). Tutti i paesi hanno (più o meno) canti popolari, ma dalle stime che ho fatto, ritengo che Badolato sia uno dei paesi che (addirittura in tutta Italia) abbia più canti popolari (in numero e qualità). E qui non posso non fare riferimento alla superlativa tradizione napoletana, così tanto cara ed avvincente, cui quella badolatese è similare nei temi pur avendo una propria personalità.
Devo dire, sinceramente, che (pure per questo cantare appassionato) mi sarebbe piaciuto fare parte della famiglia di Minerva … così serena, allegra e ben amalgamata. A volte una buona ed affabile, accogliente e affettuosa atmosfera familiare è un potente attraente nei matrimoni. Ho avvertita più volte una tale fascinazione a casa di Minerva, la quale non si sarebbe comunque palesata in amore se non per fare “le cose serie” (cioè puntare al matrimonio, come usuale tradizione di serietà familiare, a quei tempi). Mi accorgevo, però, che aspettava che fossi io a fare il primo passo. Primo passo che non potevo fare, in quanto non ero del tutto sicuro che la profondità dei nostri sentimenti fossero all’altezza di una decisione del genere. Con lei non potevo considerarmi “fidanzato” ma soltanto semplice “amico” … però era chiaro che i sentimenti reciproci tendevano più all’amore che all’amicizia. Ci sentivamo in sintonia ed eravamo, comunque, felici della nostra semplicità. Un episodio forse ti può dire quanto semplici e felici, caro Tito. Leggi più attentamente l’episodio che ti sto per raccontare …
Al ritorno da Locri, il nostro treno del pomeriggio quasi ogni giorno si fermava ad un chilometro circa dalla stazione della tua Guardavalle poiché doveva incrociare un altro treno proveniente da Catanzaro. Eravamo verso i primi di maggio del 1969. A lato della ferrovia, proprio sul punto dove si era fermato il treno, i campi erano pieni pieni pieni di bellissime viole che brillavano sotto il sole già canicolare. Guardai Minerva negli occhi. Lei comprese quanto intendevo fare. Fu un attimo. Scesi dal treno e cominciai a raccogliere più viole possibile e molto velocemente. Non mi avvidi però che il treno (ottenuto il segnale di via libera) era ripartito prima del previsto. Fu una corsa forsennata per raggiungere la stazione, dove il treno attese il mio arrivo perché tutti i viaggiatori erano affacciati ai finestrini e pregavano il capostazione a non far ripartire il treno senza di me. Arrivai quasi senza fiato, ma con tante viole nelle mani. Ne detti una al capostazione per ringraziarlo di avermi atteso. Poi, salito sul treno, ne diedi un bel mazzo a Minerva che mi abbracciò tutta euforica (addirittura saltellante ed esultante), fiera ed eccitata, baciandomi sul viso. Poi ho percorso tutti i vagoni per dare ad ogni passeggero una viola. Fu un treno felice. Felice di viole ma anche per quella originale gentilezza e divertente stranezza che soltanto io avrei potuto fare. Ecco pure perché pochi mesi prima, nel dicembre 1968, nelle “Determinazioni” scrissi che avrei dovuto e voluto fare cose che altri non avrebbero fatto e andare dove altri non erano ancora andati … è stato così per tante cose da quel dicembre 1968 in poi. Ma sempre nel e per il bene sociale … quel bene che dovrebbe e deve assolutamente “stupire il mondo”!!!…
Quando siamo scesi a Badolato, tutti i rimanenti viaggiatori del treno, affacciati dai finestrini salutavano in noi due “innamorati” che almeno l’imprevedibile episodio delle viole aveva rivelato come tali. Non eravamo né innamorati né fidanzatini o sul punto di esserlo, però il ricordo di quelle viole ci accompagna ancora adesso che le nostre vite hanno preso strade troppo divergenti e distanti … io senza figli (come da determinazione del dicembre 1968), lontano da Badolato … lei con tanti figli lontana da Badolato. Eppure, nonostante le reciproche peripezie, ci fu un ritorno di fiamma nel luglio 1973 quando io (dopo il trauma con Jane nel giugno 1971) ero in piena attività per sbloccarmi sessualmente, alla ricerca di una donna con cui tornare a fare sesso e possibilmente per trovare l’Amore. In questa ricerca preferivo sempre e comunque ragazze di Badolato, proprio a motivo del medesimo dialetto ma anche assai vicine a me nell’anima culturale e sociale, negli ideali e nelle prospettive di vita. Ritenevo (forse non a torto) che il dialetto, l’intimità della lingua, mi avrebbe facilitato il compito. Minerva avrebbe potuto essere una delle candidate per il mio ritorno a quell’amore che avevo lasciato 11 anni prima a Kardàra, con le stupende contadine delle mie prime, preziosissime ed esaltanti esperienze amorose. Esperienze che (ne sono sempre più convinto) mi hanno salvato la vita! Pure per questo non finirò mai e poi mai di ringraziare, devotamente e commosso, quelle mie contadine di Kardàra e Kardàra stessa per tutto ciò che ha significato, pure in sèguito, nella difesa della mia dignità di maschio e di uomo, di cittadino e di universalista!
Ci ritrovammo immediatamente, come se non fossero passati 4 anni dal quel maggio 1969 delle viole sul treno. Passammo una intera giornata dentro una Fiat 500 parcheggiata in un luogo solitario ed ameno (pensa un po’ … non in riva al nostro stupendo mare, come era più ovvio e naturale, ma tra le frescure dei boschi delle Serre!). Abbiamo fatto un po’ di tutto, ma lei non volle rinunciare alla sua verginità. Voleva andare illibata all’altare. A quei tempi era ancora questa la convinzione prevalente di parecchie ragazze, anche per molte di quelle che sembravano le più spigliate, libere, disinibite e disponibili. La ringraziai per questo, soprattutto perché non avrei avuto un buon ricordo del mio ritorno all’amore dentro spazi ristretti come quelli di una 500 con i sedili reclinati all’indietro ma alquanto scomodi. Inoltre la 500 non era nemmeno mia!… Però Minerva mi piaceva, e tantissimo!… Continuò a piacermi, perché era straordinaria!…
Per il grande evento del mio ritorno all’amore avrei, comunque, preferito un grande letto e per più tempo possibile … almeno due giorni con una notte di mezzo!… Ritenevo che dormire insieme, trascorrere una notte a stretto contatto (e non accontentarsi di un incontro soltanto diurno), oltre ad essere bello per la maggiore intimità, poteva essere rivelatore di altre meraviglie uomo-donna. La notte non porta soltanto consiglio (come afferma un proverbio) ma porta con sé tante verità, del tutto ignote alla luce del giorno!
Ed ho sempre pensato (avendone poi numerose prove) che quel dire di voler andare illibate all’altare era o poteva essere per le ragazze un pretesto con cui nascondevano talune remore, insicurezze, inibizioni, un insufficiente amore o la pochissima passione … infatti, chi ardeva veramente di desiderio o di sentimento si lasciava andare, eccome! … a qualcuna di queste più focose ragazze (pure del mio paese) è sfuggito pure un figlio, rimanendo ragazza-madre o giungendo ad un matrimonio-riparatore!… ed altre (pur ferventi religiose) si affidavano a uomini maturi per venire svezzate nel sesso e nell’amore! … Con Minerva, per quanto attraente e fascinosa, stimata e agognata, finì lì, pure perché sentivo urgente l’esigenza di liberarmi, completamente e definitivamente, delle incrostazioni e delle inibizioni cattoliche. Le vicende della vita ci portarono troppo lontani, pure perché lei non volle credere più alla poesia e all’arte, bensì al denaro e alla vita comoda e lussuosa. Grazie ad una simpaticissima sua zia (cui sono rimasto devoto) che vedeva di buon occhio il nostro matrimonio e che mi pregò di telefonarle, restammo a conversare (soprattutto a ricordare e a commentare con grande serenità ed affetto adulto) quasi una intera mattinata nel luglio 2008 quando le promisi che le avrei mandato per posta tutte le mie pubblicazioni a stampa. Per tale invio (alquanto cospicuo) non ebbi nemmeno un riscontro di qualsiasi tipo (telematico, telefonico, postale o per interposta persona). E’ proprio il mio destino non avere “privilegi” di tal genere!… Seppi che le erano pervenuti i libri dalla ricevuta restituitami da Poste Italiane SpA.
Caro Tito, strana è la vita e ancora più strani siamo noi, uomini e donne. Troppe volte! … Infatti, da quando nel giugno 1971 decisi (nel dopo Jane) di riprendermi la mia sessualità, pur con la dovuta gradualità e tenacia, ho incontrato diverse donne con cui avrei potuto fare sesso (e forse anche trovare l’Amore) ma che per un motivo o per un altro non mi hanno permesso (a volte non ho voluto io) giungere a risultato pieno. Tutte rigorosamente badolatesi, perché – ripeto – era essenziale per me (almeno nell’enfasi dell’amore ritrovato) entrare in confidenza, con l’anima e con il corpo, prioritariamente con il dialetto. Condizione “sine qua non” … condizione senza la quale non sarei riuscito ad avvicinare una donna, almeno in quel periodo in cui cercavo di tornare ad amarne una, con l’importanza e con il significato (e quasi con la solennità e la ritualità) che si deve ad un evento addirittura “rifondante” per la mia vita sessuale futura in cui avrei voluto conoscere il più possibile bene la geografia e le emozioni del mio corpo e della mia anima, la geografia e le emozioni del corpo e dell’anima delle donne. Ero intenzionato a “recuperare” il tempo perduto della mia adolescenza e dintorni (ovvero i tanti anni di castità assoluta). Ti racconto soltanto un episodio significativo tra i più rilevanti ed emblematici che mi sono capitati in tale biennio (estate 1971 – estate 1973) di ricerca della ragazza o donna giusta per me e per la mia vita.
Estate 1972. Appartamentino di Piazzale Tiburtino 28 scala B interno 6. Dopo un lungo corteggiamento e tanti incontri-scontri corpo a corpo, sublimi affettuosità, sono riuscito a portarmi a casa una assai cara amica d’infanzia, una delle più belle ragazze mai viste in vita mia (ma proprio per questo super-corteggiata da tanti ragazzi e da uomini adulti). Rispondeva al mio tipo di donna (anima e corpo)!… Mora, viso e fisico stupendi e carattere delizioso. Proprio una donna da sposare, pure perché la sua dolcezza e mitezza riuscivano a trasformare il dialetto badolatese in un perenne invito all’amore. Voce sensualissima, tanto da liquefare l’anima. Occhi intensi in cui perdersi senza ritorno. Pure lei era un po’ attratta da me, ma intuivo una qualche riserva mentale. Dopo le prime effusioni dettate dalla passione giovanile, restammo entrambi nudi. Che corpo! Non avrei mai più visto una bellezza simile! La perfezione in persona! E un sorriso che avrebbe fatto impazzire le galassie e stramazzare ai suoi piedi l’intero universo!… Eppure … “Come mai non ti sei tolta la catenina?… Ti sei tolta tutto, anelli e orecchini …” le feci notare … “Così …” – sussurrò lei, un po’ impacciata, avendo capito il significato di quella mia osservazione. “Penso che senza quella catenina tu ti sentiresti davvero nuda e tu non vuoi venire a letto con me totalmente nuda nuda!” le “sparai” a bruciapelo, pure un po’ indispettito poiché sentivo di aver centrato l’argomento. “Sì è così … ma ti prego … facciamo l’amore, non vuol dire niente per me” disse lei togliendosi solo meccanicamente e formalmente la catenina.
A letto combinammo poco, poiché quella catenina ci sovrastava come un macigno. Seppure troppo a malincuore dopo tanto corteggiamento (e sempre alquanto visibilmente irritato) ho, quindi, preferito finirla là poiché non aveva più senso continuare in presenza di quella sua misteriosa remora psicologica che mi impediva di amarla. Quella volta il dialetto, il lungo corteggiamento e il grande desiderio non sono bastati. Però (in tal modo, con un guizzo di intuizione improvvisa ma ispirata e brillante) avevo cominciato ad entrare nella psicologia delle donne. In sèguito, ho saputo per certo da numerose testimonianze televisive che le spogliarelliste, le prostitute e le pornostar rimangono quasi sempre con le scarpe ai piedi o con qualche anello o altro piccolo ornamento addosso … proprio per non sentirsi “nude” del tutto … proprio per non darsi tutte, anima e corpo, nei loro spettacoli o nelle loro prestazioni sessuali. Nel 1972, a 22 anni, avevo intuìto questa “legge universale” dell’eterno femminino. In seguito avrei appreso tante altre occulte profondità psicologiche femminili. Un mondo affascinate. Una sfida! … Una sfida come fu per Cristoforo Colombo raggiungere le nuove terre americane. Una sfida come inoltrarsi nel firmamento inter-stellare!
Così come, piano piano, ho intuìto o conosciuto molteplici altre sfumature psicologiche-amorose che sono assai attraenti ma che però non ti fanno mai sentire tranquillo sulla totale sincerità e sul più totale dono di sé stessi in un incontro amoroso cui si tiene tanto. Pure per questo dico che è un vero “miracolo” d’amore quando la totalità avviene e si manifesta tra due amanti (ho conosciuto questo paradiso, più volte). Ma forse l’amore è bello pure per questo, per tutte le sue infinite sfumature, infinite come il numero stesso delle persone e come il numero stesso degli incontri, poiché ogni incontro è ed ha una storia a sé stante!…
Tuttavia, ritengo che il fenomeno dell’Amore tra uomo e donna è troppo bello per non viverlo in tutta la sua pienezza, ricchezza e potenzialità!… Penso che sia pure la più grande, difficile ma anche esaltante e sublime avventura umana! Un inevitabile confronto!… Ed è, comunque, un’altrettanto grande, difficile ma gratificante sfida e avventura umana l’Amore per il paese natìo o per il proprio luogo di elezione! … Nonostante tutto e tutti, poiché quando si ama veramente sia ama prima l’Amore e poi una donna o un paese. L’Amore verso Badolato resta intatto in me, nonostante il doloroso esilio!… E (ho imparato) si può essere felici, nonostante il martirio, poiché la felicità viene data da altri valori (prima tra tutti l’onestà), non dalla gente, dalla gloria o dai possedimenti!… Il vero Amore è partecipare all’Assoluto, là dove la cattiveria umana non giunge!… “Fuggire dove l’eco – di questa vita – si perde e non giunge … “ (Tedio in Gemme di Giovinezza, 1967).
ANNO 1973
Caro Tito, sono sicuro che tu e tutti i nostri lettori siate d’accordo con me nell’asserire che non c’è minuto nella nostra esistenza senza amore, senza che la nostra mente non pensi a qualcuno o a qualcosa che meriti il nostro interesse, i nostri sentimenti, il nostro amore!… Non c’è mai un palpito del nostro cuore senza amore, senza un nome! … Però c’è un amore permanente e inattaccabile e indistruttibile (nonostante mille insidie interne ed esterne) che è quello per il nostro paese natìo o per il proprio luogo di elezione!… Possiamo andare in giro per il mondo (come penso sia capitato a me, a te e a chiunque) e innamorarci di luoghi anche oggettivamente più belli del nostro “sempre amato” … però il nostro “stare al mondo” è indissolubilmente legato a questo luogo “sempre amato” … tanto che spesso l’indissolubilità vale più per i luoghi amati che per le persone!… Così è stato pure per me durante la mia decisa ricerca (svolta senza fretta e senza ansia) … costante ricerca di una donna con cui riprendere la mia attività sessuale. Non volevo soltanto fare sesso, ma volevo tornare all’amore fisico anche con un po’ di significato, di bellezza, di altri bei valori e possibilmente di Amore. Spesso mi innamoravo soltanto con gli occhi. Oltre che con il pensiero. Ma fondamentale ed irrinunciabile restava legare questo mio ritorno all’amore (e possibilmente alla donna di questo ritorno) al mio paese natìo pure tramite il suo dialetto.
Non ti sto qui a raccontare episodi che nulla hanno a che vedere con il tema di queste lettere, ovvero il mio grande amore per Badolato, mio paese natìo. Ma l’episodio che più a pieno titolo ha a che fare con questo mio grande amore accadde nel luglio-agosto 1973, quando venne proprio a Badolato un gruppo di ricercatori di una università della Germania per studiare l’emigrazione calabrese e fare anche un po’ di vacanza tra mare e monti. Io avevo da poco avuto dal prof. Gianni Statera l’argomento per la mia tesi di laurea e mi ero recato subito dal sindaco di allora, Antonio Larocca, sia perché fosse il primo a saperlo (avevo ancora il rispetto delle Autorità) e sia per chiedergli un’intervista e l’autorizzazione ad effettuare le ricerche demografiche all’Anagrafe e quelle socio-economiche in altri Uffici del Comune. Dopo qualche giorno, il sindaco Larocca mi chiamò per presentarmi i due referenti e responsabili del gruppo tedesco e per chiedermi se mi volevo mettere a loro disposizione, pure perché ci potevamo essere reciprocamente utili in quanto erano sociologi e antropologi venuti a Badolato proprio per studiare il paese e la sua emigrazione.
Così conobbi i coniugi Stephen Castles (professore universitario inglese, adesso all’Università di Sidney) e sua moglie Godula Kosack (docente universitaria tedesca, adesso a Lipsia), i quali avevano già pubblicato insieme come coautori nel 1972, in inglese, un vero e proprio trattato (un grosso volume) su “Immigrazione e struttura di classe in Europa Occidentale”. L’età di questi coniugi si aggirava attorno ai 30 anni e tra i 25 e i 30 quelli dei loro studenti e collaboratori. Vi erano pure alcuni loro bambini, tra cui Freyia di due anni, figlia di Godula e Stephen. Godula ha poi scritto 6 racconti su Badolato (due dei quali ho pubblicato nel 2010, con la traduzione di Olivia Pastorelli, sul sito del prof. Pasquale Andreacchio, www.gilbotulino.it ed uno, subito dopo, sul mensile di Soverato “Jonio Star” diretto dall’amico Pietro Melìa, giornalista Rai). Nell’estate 2012 Godula è tornata (su mia esortazione) questa parte dello Jonio dopo circa 39 anni, prima con un’amica e poi nell’ottobre 2014 con sua figlia Freyia. Proprio due anni fa stavo per dare alle stampe questi 6 meravigliosi racconti di Godula raccolti nel libro “Ancora un commiato” (di cui riporto qui la copertina), ma purtroppo ho subìto insormontabili impedimenti di varia natura. Spero di poterli pubblicare come e-book appena possibile, utilizzando l’impianto esecutivo già realizzato alla Grafica Isernina dal maestro e valido amico Ernesto Forte.
L’estate 1973 è trascorsa sempre intensamente per me, tra la collaborazione con gli studiosi tedeschi, l’Agosto Universitario, le ricerche per la tesi e della donna con cui ripartire, ma anche occupato in alcuni lavori agricoli in aiuto ai miei Genitori. La frequentazione degli amici tedeschi risultava sempre più interessante. A me è sempre piaciuto avere contatti e rapporti internazionali, specialmente con persone da cui potevo imparare qualcosa di nuovo (non dimenticare che mi sono sempre considerato un “eterno alunno” e ancora adesso mi ritengo tale). Mi trovavo spesso a trascorrere pure qualche serata di svago e di divertimento con tutti o con qualcuno di loro. Una sera li ho portati a scoprire l’amenissima e suggestiva costiera alla moda da Soverato a Copanello, sostando in quasi tutti i locali notturni a bere, conversare e ballare. Ci siamo divertiti molto. Si suole dire “Dove c’è gusto non c’è perdenza” … tuttavia, per me, povero studente o studente povero (che dir si voglia), i doveri di disponibilità e di pur minima ospitalità (assegnatimi dal sindaco Larocca verso questi amici) comportavano spese che fuoriuscivano dalle mie possibilità.
Ciò è da tenere presente pure per il biennio 1986-88 del “paese in vendita” quando ho speso parecchio denaro mio specialmente per un minimo di cortesia verso giornalisti, visitatori e compratori che venivano da lontano. E’, questo, un aspetto non secondario dell’essere diventato negli anni (volontariamente o per stato di necessità) quasi unico punto di riferimento e dinamica guida per chi veniva da fuori-Badolato. Adempiere ai doveri di ospitalità sociale, a proprie spese, è stato possibile soltanto e esclusivamente per il grande amore verso Badolato, mio paese natìo. Ma, appare logico e persino ovvio, avrebbe dovuto esserci una “strategia” di condivisione pubblica-istituzionale. Invece si è preferito far pagare ciò ai privati e, nel mio caso, a uno studente povero, seppure resosi volontariamente disponibile e utile (ma non era giusto rimetterci pure soldi oltre al tempo). Infatti, non è giusto approfittare del volontariato!… Specialmente quando il volontariato viene reso sostitutivo di precise responsabilità e circostanziati doveri degli Enti pubblici (i quali si vogliono fare belli a spese di altri, come si suole dire pure adesso).
Il volontario può rimetterci tempo e impiegare la propria professionalità, non certamente proprie risorse economiche! Eppure, in questo come in tanti altri casi i responsabili di Enti pubblici (ma pure la Parrocchia a volte) hanno spesso approfittato della mia bontà e disponibilità a rendermi utile per la collettività. Nonostante questo fastidio di fondo, fui pienamente disponibile per il gruppo tedesco, però cominciavo a sentire tale disagio che non mi ha mai abbandonato proprio perché sempre è stato presente il mio utilizzo (improprio economicamente, in forma gratuita o precaria) in attività pubbliche-istituzionali non adeguatamente tutelato e remunerato (pure come contributi pensionistici).
C’è pure da dire che, a parte la logica e la ragionevolezza di tale discorso, per gli Amministratori di un piccolo Comune come Badolato (che sotto il sindaco Larocca ha visto, comunque, moltiplicare i dipendenti) erano proprio quelle di inizio anni Settanta le prime esperienze di vera e propria “rappresentanza” verso ospiti esterni. Ospiti esterni che, per il dinamismo internazionale di quell’epoca, sarebbero stati sempre più presenti in Badolato, essendo questo un paese assai interessante paesaggisticamente, turisticamente e come oggetto di studi. Infatti, nei decenni mi sono trovato ad essere utile a parecchie delegazioni universitarie. Occorreva, quindi, ed era necessaria una qualificata figura (alle dipendenze del Comune) che fungesse da animatore culturale e da guida, da bibliotecario e da promotore turistico (che fossi io o altri aveva poca importanza). E ci voleva un ufficio apposito o una sede culturale pubblica che fosse punto di riferimento, ritrovo e attivismo sociale. Cominciavo così a pensare già ad una apposita struttura di coordinamento e di promozione socio-culturale per Badolato ed interzona.
Infatti, mentre la proposta del 1972 del Consorzio “Riviera degli Angeli” avrebbe dovuto aiutare i Comuni nel governare meglio possibile le attività e i flussi turistici, già nel 1973 pensavo ad una Biblioteca pubblica polifunzionale (libri e valorizzazione pure della cultura locale, relazioni anche internazionali, ecc.). Così, nell’estate 1973 andai a parlare di questi temi ai giovani della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) che avevano la sede in un alloggio popolare di tre stanze e servizi proprio in zona centrale sulla Via Nazionale vicinissimo alla Stazione ferroviaria. Per qualcuno di tali giovani era più facile (agevolato dal PCI potente forza di governo locale) ottenere un posto di animatore culturale e turistico. Tutti questi giovani erano da me assai conosciuti, pure perché ero stato loro catechista ed animatore sportivo in parrocchia ed ero solito organizzare per loro pure attività ricreative anche in piazza. Ritenevo che il Partito Comunista locale (di cui questi giovani adolescenti erano emanazione) si potesse impegnare seriamente a formare e valorizzare queste generazioni che poi sarebbero stati la classe professionale e dirigente del nostro domani.
Così, per favorirne la formazione umana e politica, ho realizzato una piccola biblioteca nella sede della FGCI con il dono mio personale di una cinquantina di libri che potessero interessare quei giovani, che in verità mostravano tanta buona volontà, specialmente il loro presidente (diventato poi abile avvocato). Mi resi disponibile per qualsiasi mio intervento socio-culturale e pregai il presidente di tale gruppo a interessare gli organi anche provinciali del Partito Comunista a curare la formazione dei più volenterosi. Morale della favola: dopo qualche mese non uno di tutti quei miei libri ritrovai in quella sede. E, dopo i primi entusiasmi, non ci fu alcun sèguito. Ne rimasi assai addolorato pure perché, nella grande voglia di rendermi utile a quei giovani amici, avevo affidato loro alcuni libri importanti e di pregio, privandomene personalmente.
La realtà era, però, che dal Partito i ragazzi della FGCI (come accadeva un po’ ovunque) erano tenuti quasi esclusivamente per attaccare manifesti e come aiuto manuale ed organizzativo nelle manifestazioni politiche. La mia ingenuità avrebbe dato ancora fin troppo spettacolo a Badolato. Infatti, pur di dare al mio paese e alla sua interzona un Centro culturale davvero dinamico ed attivo mi stavo preparando alla proposta di una Università Popolare sul modello di eguali strutture assai efficienti in cento e nord Italia, animate da quelle persone assai impegnate che oggi definiamo “società civile”. In Badolato Marina era molto sentita l’esigenza di un Centro Culturale autonomo dai partiti e dalle confessioni religiose (la Parrocchia aveva supplito fino ad allora pure in campo laico, civile e culturale!). Infatti, da lì a qualche mese, il 23 febbraio 1974 fu inaugurato il “Centro Culturale Interzonale” promosso, organizzato e aperto in Via Nazionale (Palazzo Staiano) da elementi di diversa estrazione sociale e culturale, primo presidente il capostazione Antonio Loprete (il quale ne descrive la storia e gli esiti alle pagine 17-22 del suo opuscolo “Ricordi badolatesi” da me edito nel 2004 e distribuito gratuitamente in duemila copie dall’associazione culturale “La Radice”). “Ricordi badolatesi” è presente pure nel “Libro-Monumento per i miei Genitori” alle pagine 159-194 del quinto volume.
L’estate 1973 vide pure il passaggio da Badolato Marina di uno giovane psicologo argentino, Roberto Piginelli, il quale era alle prese con il giro d’Italia (patria dei suoi avi) in “autostop”, dopo avere conseguito la laurea a Buenos Aires. In quegli anni Settanta era frequente vedere passare o sostare pure da noi numerosi “viaggiatori fai da te” provenienti da ogni parte del mondo. Conosciuto al Lido “2 Ruote” l’ho ospitato a casa dei miei genitori per due giorni. L’ho fatto dormire sul mio letto, mentre io mi sono adattato, con un materasso messo sulla lunga tavola da pranzo. Questo mio dormire sul tavolo da pranzo era per me una consuetudine, poiché c’era sempre qualcuno da ospitare (parenti o amici) e il posto all’Ina-Casa (tre stanzette appena) era quello che era (specialmente quando ancora c’era qualche mia sorella). Per fortuna (pure da questo punto di vista) che a fine agosto 1973 si è sposata mia sorella Concetta, l’ultima delle quattro rimasta ancora a casa. Si liberava per me la stanza delle sorelle ed io non fui più costretto a dormire nella camera da pranzo, ma ebbi finalmente (a 23 anni e mezzo) una camera tutta per me. Forse pure per ringraziarmi per l’ospitalità, il simpatico e arguto Roberto Piginelli, da Roma (prima di ritornare in Argentina) mi ha mandato “L’essere e il nulla” un grosso volume in italiano (oltre 700 pagine) del grande e famoso filosofo francese Jean Paul Sartre (pubblicato in prima edizione nel 1943).
Nell’àmbito dell’Agosto Universitario 1973 ho introdotto, tra tante altre attrazioni e attività, le “Targhe di riconoscimento e di lode” rilasciate a persone di Badolato che si erano particolarmente impegnate e distinte in tutta la loro vita per il bene della nostra comunità. La targa n. 0003 è stata donata al prof. Nicola Caporale (laureato, insegnante nella scuola elementare e nella scuola media, poeta, narratore, pittore, scultore, giornalista, fotografo sociale), nato al borgo antico nel 1906 e deceduto nella sua casa in Marina nel 1994. Quando ero adolescente ho letto alcuni suoi libri al serale Centro di Lettura (unica sede aggregativa pubblica e volontaria badolatese, sita nel contesto della piccola Biblioteca scolastica delle scuole elementari). Oltre alla sua fama di ottimo insegnante per tante generazioni, conoscevo, quindi, il valore delle sue Opere e dai più anziani del paese avevo saputo di tanti suoi meriti sociali e del suo carattere forte e deciso, con il coraggio delle proprie idee. In pratica era l’unico intellettuale completo che abbia avuto Badolato nel 20° secolo. Ecco quanto ho trovato scritto (dopo tanti anni) sulla Targa a lui assegnata in quell’Agosto Universitario 1973 che evidenziava la foto della “Statua del Cavatore” (uno dei più eloquenti ed amati simboli del popolo calabrese) posta nella piazza più importante e centrale di Catanzaro città (da poco divenuta ufficialmente capoluogo di regione) … Pure io ho amato tanto questa statua poiché mi rappresentava il duro lavoro di mio padre e di tutti coloro che, nel mondo, su sudano troppo la vita.
“Agosto Universitario 1973 – Badolato Marina – Questo è preso da noi come simbolo della costanza, della tenacia e della tempra di tutto un popolo che si batte per la Giustizia Sociale. Questo è il simbolo di chi ha un impegno! – Targa n. 0003 – Targa di riconoscimento e di lode rilasciata al Prof. Nicola Caporale per il suo impegno di uomo e di artista a favore della sua gente. – A te vada la nostra stima e la fiducia che tu possa, sempre di meglio in meglio, riuscire utile a te stesso e alla Comunità umana cui appartieni. La nostra vocazione di uomini è il coraggio: siamo più che certi che tu hai nella tua esistenza questo inamovibile giuramento con te stesso e con chi sei più legato. Tutto questo anche e soprattutto perché i contenuti della nostra esistenza possano diventare dignità di vita. Con un forte abbraccio, i tuoi Amici Universitari.”
Come ti avevo scritto (un po’ indignato) nella precedente “Lettera su Badolato n. 7” … le nuove generazioni badolatesi mie coetanee non avevano più (sempre salvo eccezioni) quel “rispetto” e quella “riconoscenza e gratitudine” che erano valori propri e assai usati dalle generazioni precedenti, cui mi sono sempre ispirato per queste antichissime e “sacre” consuetudini interpersonali e sociali. I badolatesi adulti e anziani del borgo antico lamentavano spesso questo fatto che ormai i “marinoti” (i nuovi abitanti della Marina) non avevano più “rispetto” per nessuno. Ma, purtroppo, non erano soltanto i “marinoti” a non sentire e a non osservare quasi più il dovere della “riconoscenza e della gratitudine” (nemmeno a “piatto pronto” … cioè a cose facili e fatte, presentate, come si suole dire, su un piatto d’argento, belle e pronte da usare o da mangiare). Pure parecchi giovani delle nuove generazioni di Badolato Superiore ormai avevano perso il “rispetto” verso gli anziani (ma anche verso parenti, compari ed amici) fagocitati dalle mode moderne venute prevalentemente dalle prevaricazioni e dagli arrivismi politici, ma anche e soprattutto dal mondo anglosassone (decisamente più egoista e filosoficamente “solipsista”) per via delle migrazioni dei badolatesi e dei meridionali nelle grandi città, in Paesi del Centro-Europa e negli Stati Uniti a fronte di una solidarietà tutta mediterranea, che aveva ancora, negli anni settanta, la cultura del “dono” e dello scambio generoso, ma anche della considerazione umana e della vicinanza affettuosa e reciproca. Tanta parte di responsabilità aveva pure l’incipiente “consumismo” e il volersi divertire senza lavorare, con i soldi e i sacrifici degli altri … per cui parecchi giovani cominciavano persino a rubare nelle case proprie e in quelle di altri pur di avere denaro per fare “la bella vita” secondo modelli esterni e multi-mediatici sentiti persino come “pretesa” ancora più che un diritto. Era pur vero che lavoro non c’era, ma ciò non autorizzava a rinunciare a rispetto e onestà!…
Inoltre, il passaggio da una società contadina (per quanto povera ma più o meno omogenea dove comunque tutti avevano un ruolo, un senso ed una “occupazione”) ad una società ibrida (che produceva sempre più disoccupati, disorientati, irrequieti e “spostati”) squassava la comunità badolatese e tutto quel mondo rurale che in Italia e in Europa non riusciva a reggere le troppe ed improvvise novità “imposte” dai popoli che avevano vinto la seconda guerra mondiale. Cominciava (pure come metodo di sopravvivenza oltre che di affermazione personale e familiare) una forsennata corsa al denaro e al potere, alla vanagloria e a tutte quelle posizioni sociali che erano quasi del tutto ignote almeno al mondo umile e rurale come quello badolatese (essendo tipici soltanto delle classi egemoni). Sono, poi, stati proprio gli ultimi anni Sessanta e gli anni Settanta e Ottanta quelli che, in Badolato Marina, hanno dato un immane spettacolo … nel senso che c’era una corsa a chi costruiva il palazzo più grande (anche al di là del fabbisogno abitativo per sé stessi e per i figli). Nasceva così quella che veniva definita “la cultura del pilastro” … cioè dell’irrazionale e avventurosa e diffusa edificazione di palazzi (eretti a pilastri di cemento armato, spesso rimasti incompiuti) che assorbivano – disumanamente a volte – la vita di intere famiglie prosciugando le loro risorse economiche, provocando piano piano (tra tanti altri squilibri sociali) quel drammatico spopolamento di Badolato Superiore sicuramente in misura maggiore che negli altri paesi della costa jonica.
In questa forsennata corsa edilizia e comportamentale non si guardava più in faccia a nessuno, nemmeno ai propri familiari, per cui i valori tradizionali (ancora utili o da superare) erano sacrificati sull’altare dei disvalori della cosiddetta “cementificazione” selvaggia nonché (più in generale) della “civiltà industriale” e della falsa democrazia partitocratica. I valori della riconoscenza, della gratitudine e del rispetto (basilari nella civiltà contadina badolatese) erano i primi a soffrirne in modo esasperato e spesso allucinante. Pure per tali motivi, da quell’Agosto Universitario 1973 fino a questo preciso momento in cui scrivo ho sempre cercato e sempre tento di evidenziare (con una frequente distribuzione di targhe, premi, medaglie e riconoscimenti ma anche con l’evidenza giornalistica e con il sostegno sociale ai più umili e meritevoli) i valori della cultura della frugalità ed anche i sacri valori della riconoscenza e della gratitudine verso chi si impegna in modo particolare e generosamente a favore della propria Comunità di appartenenza.
Nicola Caporale (qui in una foto alla scrivania del suo studio, scattata da me proprio in quell’agosto 1973 e adesso presente nel sito www.nicolacaporale.it curato dalla figlia Luisetta), posso ben affermarlo, è stata la persona adulta che mi ha voluto più sinceramente bene dopo i miei stessi Genitori. E sì che Egli era quasi coetaneo di mio padre (1905) essendo entrambi nati ad un anno di distanza nel medesimo mese di gennaio e, quindi, appartenevano alla stessa generazione culturale badolatese, ricca di valori e di umanità, nonostante tanta miseria e povertà. Ed anche io ho voluto molto bene a Nicola Caporale, verso il quale aumentava, di anno in anno, la mia devozione, pure perché mi aiutava ad amare sempre più il nostro paese, essendo anche il migliore “Maestro di badolatesità” che io abbia mai avuto!…
Egli, per realizzare meglio la sua passione letteraria ed artistica, aveva cercato di trasferirsi a Firenze (dove ha vissuto per un anno scolastico), ma poi la nostalgia di Badolato lo ha fatto ritornare definitivamente nel luogo natìo, al cui popolo e al cui territorio ha dedicato, in pratica, tutta la sua Opera (libri, quadri, foto, articoli giornalistici, sculture, ecc.). Posso ostentare sicurezza nel dichiarare che Badolato non avrà più (purtroppo) un cantore così innamorato persino delle sue “pietre” (come si è sempre detto di Lui). Nel 1978 ho scritto che Nicola Caporale avrebbe meritato il “Premio Nobel per la Letteratura” poiché è riuscito (come nessun altro) a cantare e descrivere il proprio paese e la propria gente in tutti i momenti della vita personale e sociale e con tutti i mezzi espressivi disponibili nell’Arte. E’ difficile trovare in uno stesso autore un’Opera così totale, omogenea e dedicata! Spero che tutta questa “epopea” badolatese (che è paradigma della vita umana e universale, evidenziata con così tanto amore e passione da tale grande Artista) non vada dispersa ma trovi almeno un unico luogo dove mostrarla e farla fruire alle presenti e alle future generazioni.
Nel corso degli anni (dall’agosto 1973 al giugno 1994) ero solito andare a trovare spesso e sempre con grande gioia Nicola Caporale, con immenso e reciproco vantaggio umano e culturale. E come segno di rispetto nei miei confronti (o di chiunque altri, al mio posto) ogni volta che entravo nel suo studio, cessava immediatamente di fare ciò che stava facendo, per accogliermi con la sua proverbiale cordialità e spegneva all’istante la televisione o il fono-registratore se erano accesi (cosa che ho sempre apprezzato e che sempre voglio evidenziare e celebrare non soltanto come simbolo di buona educazione e lodevole stile della persona, ma anche come esempio eccelso di rispetto e sacralità dell’ospite, retaggio saggio quanto antico). Voglio qui ricordare, inoltre, una bella consuetudine che Egli aveva preso negli anni in cui abitavo a Villacanale di Agnone … mi telefonava sempre e puntualmente alle ore 10 di tutte le domeniche mattine, in tempo a fargli ascoltare il lungo e corposo, squillante e festoso concerto delle campane della vicina chiesa parrocchiale che annunciava la Messa delle 11 agli abitanti di tale ameno villaggio molisano. Il più grande poeta di Badolato si beava di quei suoni e quell’appuntamento domenicale rendeva felici entrambi. Mi sento ancora oggi assai onorato del privilegio della sua affettuosa amicizia durata ininterrottamente oltre venti anni da quell’Agosto Universitario. Gli ho dedicato alcune doverose e devote pagine nel sesto e nel settimo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori”. Ma tutta la sua famiglia è stata importante per la comunità badolatese, in particolare la figlia Luisetta, cui ho dedicato adeguato spazio nello stesso Libro-Monumento alle pagine 211-223 del quarto volume come “Grande Vip della sana aggregazione sociale” in Badolato e dintorni.
Nel gruppo dei sociologi tedeschi c’era una molto bella e assai simpatica ragazza sui 25 anni. Qui la chiamo Marlene (che ovviamente non è il suo vero nome). Si mostrava la più interessata a sapere e a conoscere un po’ tutto di Badolato, della Calabria e dell’Italia, non soltanto gli aspetti legati all’emigrazione. Ci capivamo in francese. Parlavamo molto e molto stavamo insieme. Si era creata una certa amicizia tra noi e c’era tanto di quel “feeling” (intesa) pure nel pensiero dell’esistenza e della vita che, fosse stata badolatese, me ne sarei innamorato immediatamente e perdutamente. E non mi sarei sbagliato, poiché mi ha dato più volte prova di cercare la mia compagnia. Marlene rappresentava per me la “bellezza totale” (anima e corpo), intelligenza e sensualità, cose assai difficili da trovare in una stessa persona (donna o uomo che sia). Lei avvertiva questa mia considerazione “assoluta” e se ne compiaceva (come è pure più naturale per una giovane e avvenente donna molto emancipata). Fu principalmente un grande idillio amicale… una delle cose più belle della mia vita che mi fanno “campare di rendita” (psicologica e umana) ancora adesso!… Ce ne vorrebbero di più frequenti di queste Marlene nella esistenza di tutti perché l’esistenza possa diventare vera Vita, anzi Wita!
Il gruppo dei tedeschi abitava a Badolato Superiore e potevano contare su una sola automobile (una Citroen Dyane 6). Una volta che, in un primo pomeriggio di inizi agosto, ero rimasto a piedi e con il mio pesante borsone a Badolato Superiore per le mie ricerche sulla tesi di laurea, Marlene mi vide in attesa di trovare un passaggio a Piazza Fosso e chiese a Godula di poter usare quella utilitaria di fabbricazione francese (allora assai di moda presso i giovani non soltanto d’Europa) e mi accompagnò a Badolato Marina. Era chiaro che voleva stare con me. Così, per ringraziarla, la invitai a mangiare dell’uva nella vigna che mio padre coltivava proprio al limite della spiaggia, sul lato destro del torrente Vodà, in località San Miglianò, a circa 200 metri dal Lido “2 Ruote” frequentato quasi quotidianamente dal gruppo tedesco. Ci venne assai volentieri.
Il pomeriggio era sereno, azzurro e pieno di sole (come sapeva esserlo soltanto l’estate jonica di quegli anni). Ristoratrice e tenue era la brezza proveniente da sud-est (‘a menza-jornata, la mezza-giornata perché cominciava proprio a mezzogiorno per quasi tutta la seconda parte della giornata). Il calore del sole pomeridiano e la brezza marina giocavano, si alternavano e si inseguivano sui nostri visi e sulla nostra pelle a lievi e gradevoli soffi in gioiosa rincorsa tra loro. Stavamo comodi, liberi e sciolti, entrambi in costume da bagno. Lei era in ridottissimo bikini. Bellissima! Stupenda! Erotizzante! Ci accovacciavamo a mangiare l’uva dalle basse viti, avendo sotto le ginocchia una terra calda come un vero abbraccio. Eravamo assai vicini, spesso ci sfioravamo tanto che sentivo le sua prorompente elettricità, tutta femminile e giovanile. Le porgevo o le mettevo in bocca gli acini dei vari tipi di uva presenti in quella vigna. Pure lei cercava e mi porgeva i grappoli più maturi (mio padre avrebbe vendemmiato da lì a un mesetto). C’era una serena ed affettuosa reciprocità. Marlene (donna nordica e continentale) mi ripeteva tra tante pacate esclamazioni di meraviglia che era la prima volta che viveva quell’esperienza così bella e unica come mangiare uva dalle basse viti di una vigna mediterranea ad appena 100 metri da un mare calmo e intenso che ci salutava con le sue onde appena accennate come un sorriso e ci inondava delle sue luminose e saline azzurrità. Uno spettacolo suggestivo e toccante pure per me che non mi abituavo mai a queste meraviglie … infatti, quella vigna era il mio frequente eremo spirituale per i miei contatti, anche notturni, tra la mia anima e l’universo, ma anche il luogo dei miei amori stagionali, ineguagliabile dono pure delle vicine spiagge alla ricerca della donna badolatese della mia vita. Quella è stata per me la vigna delle meraviglie! E le ragazze ne erano affascinate e, alcune, addirittura ammaliate. Qualcuna diceva che addirittura mi avrebbe sposato proprio per quella vigna così solatìa e vicina al mare, ma anche prossima alla Marina. Ideale per il vero relax!
I gesti amicali e confidenziali tra me e Marlene … l’atmosfera … il luogo … l’aperta campagna senza alcuna persona in giro a quell’ora calda (tipica del torpore pomeridiano) … la situazione del tutto nuova per lei … i nostri corpi giovanili, seminudi e abbronzati … tutto poteva agevolare un magico approccio amoroso. Era una vera situazione da favola!… Marlene lo desiderava molto, me lo faceva capire, stava quasi per chiedermelo, ma io – senza farlo pesare – ho evitato, facendo finta di non capire e distraendola, descrivendole l’altra parte della vigna dove c’erano i fichi d’India, l’orto e la piantagione di sesamo per il dolce natalizio. Incanto svanito!… Mi sarei pentito, in seguito, per non aver fatto l’amore nella vigna, quella volta! … Però, è stato più forte di me evitare. Infatti, sentivo che era un sacrificio grande (più che grande, immenso) ma necessario per tendere ad un ritorno all’amore tutto badolatese. Seppure tanto, davvero troppo sofferta, la rinuncia a Marlene mi venne ricompensata con un ritorno all’amore che sarebbe avvenuto da lì a due mesi proprio così come avevo sempre sognato e voluto con tutto me stesso. La mia tenacia sarebbe stata premiata alla grande!… Con Marlene non ebbi il medesimo rimorso che con Jane nel giugno 1971, poiché la bella e più giovane tedesca non lo avvertì come rifiuto o umiliazione, piuttosto come mancata opportunità.
In quelle settimane stavo comunque frequentando molto intimamente un’amica badolatese con la quale mi sarebbe piaciuto tornare a fare l’amore, riprendendomi la mia sessualità dopo la lunga astinenza volontaria chiamata “castità”. Era mia volontà tornare a fare sesso con una badolatese, pure perché (come ho prima spiegato) era importante per me poter parlare il dialetto natìo almeno nel ritrovare l’amore. Poi avrei accettato e cercato qualsiasi ragazza o donna e di qualunque nazionalità (così come in effetti è stato negli anni seguenti), ma il ritorno all’amore avrebbe dovuto essere unicamente badolatese, come la prima volta di Kardàra! … Inconsciamente volevo ripetere le magie di Kardàra e ripartire da una donna badolatese, proprio come con una badolatese avevo iniziato molto empaticamente la mia vita sessuale e sentimentale! … Se avessi accettato un rapporto fisico con Marlene, sarebbe stato quasi esclusivamente sesso, per quando meraviglioso e nonostante ci fosse ormai tra noi davvero molto “feeling” (tante, infatti, le affinità elettive e le emozioni già condivise) ed anche molta attrazione fisica, tipica pure della passione che possono avere ed hanno due ventenni, specialmente se di diversa provenienza geografica e culturale, per l’attrazione degli opposti o tra sconosciuti. Volevo evitare che questo mio ritorno all’amore fosse “monco” (cioè privo degli elementi che mi erano necessari, anzi indispensabili, per essere a mio agio e con mio pieno gusto) e con poche o nulle prospettive future.
Il giorno dopo, Marlene volle assicurarsi che io avessi capito che lei voleva fare l’amore tra i filari della vigna di Vodà. Le dissi di sì. Capivo pure che lei, così giovane e bella, desiderava comunque fare l’amore con un ragazzo locale, per ovvi motivi. La confidenza tra noi era ormai divenuta tanta e tale che mi potei permettere di dire sorridendole “Guarda che non tornerai in Germania senza avere assaggiato un vero maschio calabrese”. Le proposi un amico. Accettò e preparai per loro il letto della casa di campagna dell’agrumeto al Vallone (sede poi di altri incontri amorosi per coppie di amici e per mie varie avventure, tutte dolcissime come le arance di mio padre). L’agrumeto era oltre il torrente Barone che ne lambiva il terreno distante qualche centinaio di metri dall’abitato nord della Marina mentre la casetta rurale era assai ben nascosta e riservata a motivo delle centinaia di piante che la circondavano da ogni sua parte. La suggestione e l’atmosfera sarebbero stati egualmente assai coinvolgenti quasi come nella vigna di Vodà poiché l’agrumeto del Vallone era molto ricco di profumi tipici e di altre fragranze rivierasche mediterranee. Da maggio fino alle prime piogge di ottobre, una volta alla settimana (quasi sempre di notte) aiutavo i miei Genitori a portare l’acqua all’agrumeto dal torrente Gallipari lungo un tortuoso e insidioso percorso di un paio di chilometri. Assieme ad un contadino amico di famiglia dovevo “sorvegliare” l’acqua che (dal torrente e lungo un piccolo canale detto “acquaru”) era necessario giungesse tutta quanta all’agrumeto senza perdite e senza che altri contadini la “rubassero” (deviandola sui loro orti). A me piaceva e continua a piacermi l’agricoltura: ho sempre aiutato i miei in campagna (pure mia suocera qui a Villacanale di Agnone) a vendemmiare, raccogliere olive e a fare lavoretti vari. A volte penso che, se avessi potuto tornare indietro, mi sarei limitato a fare il contadino. Me lo ha impedito la inguaribile malattia della “Scrittura” e del conseguente impegno sociale, primo tra tutti l’Amore per Badolato, mio paese natìo, come pretesto di vera Umanità!
Tuttavia Marlene voleva dimostrare che teneva a me, in modo più preferenziale. Mi chiese se potevo trovarle una casa per l’estate seguente 1974. Anzi, sapendo del nostro clima estivo senza pioggia, si sarebbe adattata a stare pure in una tenda se le avessi permesso di stare nella mia vigna, tanto le era piaciuto quel luogo assai riservato ma anche vicino all’onda del mare e allo stabilimento balneare del lido “2 Ruote”. E mi andava altresì ripetendo (nel tessere le meraviglie di Badolato e dintorni) … “se avessi soldi mi comprerei una casa a Badolato Superiore, una casa con la vista del mare” … Sembrava una promessa d’amore … ma in un anno sarebbero potute succedere (così come sono successe) parecchie cose per entrambi, così tanto divergenti che non ci saremmo ritrovati più. Quegli anni erano pure troppo frenetici e il sangue dei giovani corre fin troppo!… Ho voluto inserire (in modo criptato) Marlene e altre donne (con cui ho avuto dei rapporti assolutamente speciali) nella pagina 58 “Affinità elettive” (Die Wahlverwandtschaften) nel sesto volume (dedicato ai miei “VIP” e Marlene è una mia grande VIP) del “Libro-Monumento per i miei Genitori”.
Oltre a Marlene, sicuramente eguale effetto ed affetto aveva suscitato Badolato su Godula, la quale, innamoratasi di un giovane badolatese, sarebbe tornata l’anno seguente a stare su questa stessa spiaggia nella sua tenda come “nido d’amore” proprio nei pressi del Lido “2 Ruote” (come ho visto con i miei occhi e come afferma lei stessa nei suoi sei racconti badolatesi, la cui raccolta è intitolata “Ancora un commiato”). Al discorso di Marlene di comprare una casa a Badolato Superiore e poi al vedere la tenda dell’amore di Godula sulla spiaggia l’anno dopo, lì per lì non diedi peso. Però ho registrato nella mia mente l’interesse particolare dimostrato da queste due tedesche per il territorio jonico-badolatese. E più che interesse era vero e proprio affetto. E creare degli affezionati sarebbe stato, poi, il mio cavallo di battaglia culturale-turistico-promozionale per Badolato e interzona, ancora prima della vicenda del “paese in vendita” quando l’interesse ad acquistare casa al borgo antico sarebbe pervenuto soprattutto proprio dai tedeschi di Svizzera, Germania ed Austria! … In fondo, il mondo tedesco ha dimostrato sempre (nel corso della Storia) di prediligere la Calabria a cominciare da un tedesco come San Bruno da Colonia (1030-1101) il quale si è voluto insediare in questo nostro profondo sud mediterraneo (nelle amenissime e vicinissime montagne delle Serre Joniche), confermando così di intendersi di luoghi stupendi e irresistibili!…
Sulla necessità di realizzare un “turismo degli affezionati” avevo già cominciato ad intuire qualcosa evidenziando le molteplici potenzialità della “Riviera degli Angeli” per il turismo estero, specialmente di persone provenienti dal centro Europa. Intuizione che si rafforzò notevolmente fino a diventare convinzione, nell’estate 1974, quando l’attore greco Stavros Tornes portò a Badolato da mezza Europa numerosissimi suoi amici del mondo del cinema (attori, sceneggiatori, costumisti, comparse, tecnici e altro) dopo la bella esperienza vissuta su questa parte dello Jonio, partecipando come protagonista al film “Domani” che il giovane regista catanzarese Mimmo Rafele ha girato (al suo esordio, come “Opera prima”) principalmente a Badolato Superiore (nel settembre-ottobre 1973) per la seconda rete televisiva Rai (che lo ha trasmesso il 19 ottobre 1974). Negli anni Novanta lo stesso Mimmo Rafele risulterà decisivo (sia per la sceneggiatura sia per la “location” alla Villa Pietra Nera del barone Gallelli) per far girare in Badolato alcune scene di un film di mafia, incentrato su un bambino, trasmesso con successo da Rai Uno. Nel 1975 lo stesso Stavros Tornes ha tentato di girare, come regista, un film su Badolato e dintorni, ma senza poterlo portare a termine per mancanza di soldi. Badolato sarà poi la “location” di importanti film (per il piccolo e grande schermo) diffusi anche a livello internazionale. Ormai questo paese ha una propria filmografia e videografia televisiva, bibliografia e saggistica che sarebbe bene valorizzare e far fruire alle nuove generazioni.
All’arrivo di Mimmo Rafele, il sindaco Antonio Larocca mi convocò per dirmi se potevo prestare amichevole e volontaria assistenza alla troupe per il periodo (alcune settimane) in cui si girava questo film che avrebbe reso noto Badolato a quei milioni di telespettatori che avrebbero visto tale “fiction” … un commovente racconto incentrato sul dramma di un emigrato che ritorna dopo venti anni al paese da cui era partito per andare a lavorare negli USA e trova la sua famiglia semi-distrutta. Mi resi disponibile e restai vicino a questi artisti per tutto il tempo della permanenza in zona. Ho scattato parecchie fotografie di scena e ho scritto articoli pubblicati dai giornali regionali. Una volta tornato a Roma, Mimmo Rafele mi invitò a vedere come procedeva il montaggio della pellicola e segnalò il mio nome al dinamicissimo e simpaticissimo Nino Zucchelli, ideatore e direttore del Festival Internazionale del Film d’Autore di Sanremo, alla cui 17ma rassegna agonistica “Domani” avrebbe partecipato nel marzo 1974 immediatamente dopo il Festival della Canzone Italiana. Così fu. Ma è evento che racconterò in altra lettera, pure perché appartenente all’anno 1974.
Fatto sta che per la seconda volta il sindaco Larocca si affidava a me, che avevo dimostrato di amare il nostro paese con la mia attività giornalistica-promozionale, tante iniziative socio-culturali (tra cui la Riviera degli Angeli osteggiata e sabotata da lui personalmente e dal suo partito comunista, non so quanto in buona fede) e con l’avere scelto l’argomento della tesi di laurea. Insomma, il rappresentante e responsabile della principale istituzione pubblica locale, non avendo altre figure di riferimento (né sue istituzionali né altre adeguate, nemmeno dentro al suo stesso partito) interpellava un semplice studente come me, indipendente dai partiti o “apprendista intellettuale” (a quei tempi, specie nel gergo comunista, era di moda parlare di “intellettuali” non sempre benevolmente e con rispetto). Dopo qualche tempo (consultando i registri delle delibere comunali) mi accorsi che il sindaco Larocca aveva dato proprio in quei primi anni Settanta degli incarichi retribuiti (anche di minore importanza come impegno rispetto ai miei incarichi di assistenza al gruppo dei tedeschi e alla troupe di Mimmo Rafele) a ragazzi e a giovani appartenenti al suo Partito Comunista. Alla luce di quanto avevo appreso, mi sono sentito come sfruttato e strumentalizzato, nonché discriminato. Infatti avrebbe potuto benissimo deliberare pure per me, riconoscendo il ruolo sociale del mio impegno. Carenza di mentalità, di consapevolezza oppure preciso e consolidato metodo politico-amministrativo?…
E’ opportuno tenere presente tale aspetto per capire meglio non soltanto il mio grande amore per Badolato (nutrito fin dall’infanzia) ma anche per comprendere maggiormente la vicenda del “paese in vendita”. In fondo mi sto impegnando nello scrivere tutte queste “Lettere su Badolato” proprio per spiegare come e perché sono giunto al 07 ottobre 1986 e per far facilitare il più possibile la comprensione di quell’evento-caposaldo della storia di questo mio paese-prototipo di decine di migliaia di altri nelle medesime condizioni di sfinimento demografico, abbandono e degrado (o cattiva amministrazione?!). A ben vedere (pure con l’esperienza attuale), l’abbandono dei paesi (specialmente quelli delle dorsale appenninica ed alpina, in Italia, e di altre zone d’Europa e del Meditarraneo) era soltanto uno dei tanti fenomeni iniziali della “deregulation” ovvero il liberismo più sfrenato voluto dalle plutocrazie globali, come quelle di Carter (anni Settanta), Reagan e Thatcher (anni Ottanta) per sottomettere, soggiogare, schiavizzare gli Stati e, quindi, i Popoli al Mercato selvaggio …
Liberismo e Neo-liberismo (anni Novanta e Duemila) che avrebbero portato al taglio netto e progressivo dei diritti dei popoli (così tanto faticosamente conquistati) e dei servizi sociali essenziali (primi tra tutti la capillare rete ospedaliera di cui lamentiamo attualmente assai il drammatico e spesso tragico e drastico annullamento, specialmente nel centro-sud )… tutto ciò a favore delle privatizzazioni e, ovviamente, di Sua Altezza Reale il Mercato. “Badolato paese in vendita” suonò come un campanello d’allarme indirettamente pure per queste situazioni sociali e territoriali ben più allargate e devastanti!… Penso che, alla fine, la vicenda del “paese in vendita” sia stata osteggiata proprio perché evocava tutto ciò, essendo diventata come una piccola rivoluzione e, comunque, “un manifesto” di dolore e rivolta dei popoli sfruttati, disgregati, distrutti persino nell’essenza delle loro identità … il proprio paese, le proprie mura … che avevano resistito a millenni di assalti e di barbari invasori ma non riuscivano a resistere all’atrocità di Sua Altezza Reale il Mercato!… E, questo, un aspetto che bisognerebbe approfondire, pure rileggendo più approfonditamente le corrispondenze dei vari giornalisti ed inviati a Badolato durante e dopo quel “biennio 1986-88”.
Infatti, tutto concorre a spiegare il come e il perché si è giunti al 07 ottobre 1986 giorno in cui è iniziata ufficialmente la scrittura personale e sociale di quel capitolo della “Storia di Badolato” legato al tentativo (più o meno riuscito) di salvare il borgo antico dallo spopolamento totale e da morte quasi certa verso cui si stava inesorabilmente avviando. Ma, nel risvolto mio personale, è pure opportuno tenere presente come l’utilizzo delle persone (me in questo caso) da parte delle istituzioni (locali) fosse fatto a “cuor leggero” senza preoccuparsi delle perdite di tempo e di denaro da parte del volontario cui si è assegnato un compito che avrebbe potuto e dovuto essere svolto con incarico istituzionale e adeguatamente deliberato e retribuito (almeno nei rimborsi-spese). Ma l’Italia è fatta così, ancora oggi nel 2016, a tutti indistintamente i livelli istituzionali e socio-culturali, con poca o senza progettualità, con poco o nessun rispetto per le persone e la loro dignità. Mentre i responsabili, gli appartenenti e i parassiti delle istituzioni, per buona parte, fanno la “grande abbuffata” (documentata, dimostrata e evidenziata dalla cronaca e da tutta una letteratura sociale e in quello stesso anno 1973 dall’omonimo e “scandaloso” film di Marco Ferreri intitolato proprio “La grande abbuffata”) … chi si impegna veramente e costruttivamente per il bene sociale non viene nemmeno aiutato a sopravvivere e a diventare ancora più utile per la collettività. Misteri della politica partitocratica!
Stavo quasi per dimenticare. Ho fatto pubblicare alcuni articoli giornalistici sulla presenza del gruppo dei tedeschi a Badolato non soltanto sui miei consueti giornali calabresi (di cui ero corrispondente da Badolato) ma anche su un noto e assai diffuso settimanale nazionale. Ho aiutato Godula e Stephen a incontrare intellettuali badolatesi e dell’interzona. Mi sono fatto promotore di un significativo pomeriggio tra questi docenti universitari e altri studiosi sociali, tra cui lo storico badolatese Antonio Gesualdo e uno degli esponenti più noti e importanti della “intellighenzia” della Calabria di allora a livello nazionale, il vibonese prof. Maria Luigi Lombardi Satriani (a quel tempo docente di Antropologia Culturale all’Università di Messina e, in seguito, pure senatore di sinistra). Ho ottenuto la presenza di Lombardi-Satriani a tale assai proficuo incontro “inter-nazionale” e “inter-universitario” tramite l’amico avvocato badolatese Giuseppe Caporale (figlio del già evidenziato prof. Nicola Caporale) suo parente per parte della moglie, che ringrazio anche adesso e anche qui. Riportando la foto di quell’utilissimo evento, ne scrivo nel mio personale “Omaggio a Godula Kosack e Stephen Castles” alla pagina 311 del sesto volume (i miei VIP) del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2005-2007).
FINALMENTE IL RITORNO ALL’AMORE
Nell’ottobre 1973, dopo un’estate per me assai intensa, impegnata ed emozionante, sono tornato a Roma per riprendere la frequenza di alcune lezioni e per dare altri esami. Caso volle che proprio in quei giorni ho incontrato una giovane donna di Badolato, i cui genitori erano molto amici della mia famiglia pure perché erano soliti frequentare la Karàra degli anni Cinquanta e Sessanta. E di Kardàra la potrei quasi considerare per le sue origini e per quella che era ancora, anche se ormai lavorava da qualche anno nella Capitale. Qui la chiamerò Afrodite, come la dea greca dell’Amore, poiché con lei ho finalmente ritrovato sesso e amore, in tante loro valenze e sfumature. Qualche anno più di me, assai bella nel corpo e nell’anima, la bontà e la semplicità in persona, Afrodite poteva pur essere il mio tipo di donna (specialmente per la sua dolcezza, pacatezza e femminilità) ed aveva anche il fascino pieno e ricco del dialetto badolatese parlato alla maniera più popolare e tradizionale (un’attrazione in più, enormemente eccitante per me!). Non era andata oltre le scuole elementari, però era assai arguta nelle cose della vita, quelle più vere e importanti. Carattere allegro e sorridente, Afrodite era soprattutto una donna sincera e leale, tanto profonda come sentimenti quanto sensuale nel portamento e negli atteggiamenti, nel linguaggio e nei desideri di essere e di apparire donna. Insomma, era l’ideale per ritornare alla vita amorosa, alla riconquista della mia vita sessuale così tanto lungamente interrotta e non vissuta. Mi sentivo assai fortunato, credimi!…
Nell’ottobre 1973 abitavo già nell’appartamentino studentesco di Via dei Campani 26 scala B interno 6, però avevo ancora le chiavi dell’altro appartamentino di Piazzale Tiburtino 28 scala B interno 6 che usavo per portarci le ragazze quando i miei due amici (Mirigliano e Saccà) non c’erano. Ci portai Afrodite per un intero fine-settimana, per cui abbiamo avuto tutto il tempo e tutta la riservatezza e l’intimità utili ad un incontro memorabile. Così fu. E fu un amarla per ciò che mi significava lei stessa ma anche per risarcire idealmente il torto fatto a Jane proprio in quella stessa stanza. Dicendo la verità fino in fondo, in quel sabato e domenica mi è sembrato di amare due donne insieme nella mia mente e nel mio cuore, Afrodite e Jane. Fu, spontaneamente, una rivincita con me stesso e ci misi tutta l’energia, l’entusiasmo e la passione che avevo accumulato in tanti anni di assoluta e totale castità. Fu bello pure per tutti questi effetti ed affetti collaterali. Inoltre, fu più significativo e meraviglioso (e di molto) l’avermi potuto riprendere amore e sessualità proprio nell’appartamentino di Piazzale Tiburtino 28 piuttosto che in altro luogo (per quanto bello). Sarebbe stato meglio riprendere a Badolato il discorso amoroso interrotto con le contadine di Kardara nel 1962, però va molto bene pure Roma che resta ancora adesso la mia città preferita (soprattutto perché vocazionale), quella dove tornerei a vivere ma, ovviamente, soltanto come seconda solo a Badolato (“Badolato caput mundi et Roma secunda” dicevo scherzando con i miei amici!).
Mi trovavo così bene insieme ad Afrodite (anche a parlare continuamente e profondamente di tante cose e in … dialetto) che tra noi è nata una relazione molto bella e matura, durata in modo continuo per dieci mesi, fino al luglio 1974 quando a Badolato avrei incontrato una giovane donna italo-americana con la quale ho poi “convissuto” per circa quattro anni, fino alla primavera 1978. Ma, d’ora in poi, non farò più riferimento alle mie vicende amorose, poiché penso sia stato finora abbastanza chiaro ed utile far capire come e quanto il mio grande amore per Badolato (in particolare per il suo dialetto) abbia influito sulla mia formazione, sulle mie scelte e sui miei comportamenti non soltanto intimi e personali, ma anche interpersonali e sociali (ti assicuro, molto utili, per certi versi, pure per il biennio della vicenda “Badolato paese in vendita”).
Dall’ottobre 1973 (trionfo di Afrodite) fino al febbraio 1980, quando ho incontrato mia moglie, innumerevoli e di tante nazionalità sono state le donne con le quali ho tentato di conquistare e conoscere il mistero femminile e quello dell’amore totale. In tale tentativo è stato, comunque, quotidianamente presente la brama di avere, per la vita, una donna dialettale badolatese. Purtroppo il destino ha voluto altrimenti. Però, al centro della mia esistenza restava pur sempre Badolato (pietre e cuore). Fino al 19 dicembre 2012, quando Badolato è crollato in me – in modo improvviso e verticale come in un terremoto totale – con quasi tutte le sue pietre. Spero di potertene scrivere a momento opportuno.
Afrodite mi ha ripagato dei due anni e più di attesa dal dopo-Jane (giugno 1971). Così (proprio da quel giugno 1971) ho voluto assai caparbiamente attendere una donna che fosse badolatese dal dialetto più suggestivo e affascinante possibile, una donna giovane, del mio stesso ceto sociale e del mio ambiente interfamiliare, con i miei medesimi valori umani e di riferimento. Una donna, in particolare, con cui vivere altri momenti, giorni e mesi dopo il primo incontro. Infatti ho evitato (anche a costo di forti e grandi rinunce) quelle donne con cui avrei rischiato di fare soltanto un incontro o poco più, senza poi poterle rivedere e viverle anche da amiche (come ad esempio la memorabilissima ma troppo lontana Marlene). Generalmente ho bisogno di far maturare gli eventi … perciò avevo assolutamente bisogno di vivere con calma e completa convinzione le delizie del corpo e dell’anima. Mi sono sentito quindi assai lieto che Afrodite sia stata sempre presente per dieci mesi, pure al fine di perfezionare alcune reciproche conoscenze psico-sessuali in perfetta apoteosi. Tutto ciò era agevolato pure dal fatto che eravamo entrambi reciprocamente motivati e “liberi” e principalmente perché nemmeno lei intendeva avere figli (né voleva sposarsi o legarsi ad un uomo soltanto). Anche se lei aveva molta più esperienza di me, siamo stati l’un l’altro una “nave-scuola” poiché entrambi avevano curiosità di sperimentazione e brama di perfezionarci in tutti gli aspetti di questo infinito miracolo che la Natura (o chi per essa) ha donato alle persone e che noi chiamiamo semplicemente “sesso” o “amore” anima e corpo. Una bella storia d’amore!
Con Afrodite si è stabilita poi una splendida, solidale e generosa amicizia che ci ha permesso di ritrovarci intimamente per qualche anno ancora (fino al gennaio 1980, vigilia del mio incontro con mia moglie), ogni qual volta uno dei due era in solitudine ed aveva bisogno di sana, dolce e beata compagnia. Ringrazio anche da qui questa magnifica donna, con la quale (senza complicazioni o ipocriti impegni sentimentali o false promesse) sono riuscito a raggiungermi fino in fondo come maschio e come uomo, conquistando finalmente e completamente nella reciproca libertà, quell’equilibrio umano e psico-sessuale che è un diritto-dovere per ogni persona … un diritto-dovere cui nessuno purtroppo (né famiglia, né istituzioni, né religione, né cultura ufficiale) ci aveva preparati (salvo eccezioni, ma purtroppo goccia nell’oceano). Ed ancora oggi, nonostante tante apparenze istituzionali e multimedialità, trovo (in troppi adolescenti, giovani e persino coppie sposate o conviventi) carenze indegne di una vera civiltà amorosa e di una equilibrata ed efficace psico-salute dell’essere umano (persino a livelli igienico-sanitari). Chissà quanto tempo ancora dovrà passare per poter giungere ad una piena, sincera, diffusa e lieta educazione psico-sessuale nel nostro mondo occidentale ancora fin troppo catechizzato, osteggiato e inibito, mentre purtroppo in altri popoli sesso e sentimenti sono assai spesso persino causa di discriminazioni, schiavitù, torture, morte e martirio. L’Umanità è proprio conciata ancora troppo male quanto a diritti personali, interpersonali e sociali! … Come si può non valorizzare l’Eros, esaltando tale meraviglia (dono-divino) e rendendola veramente e gioiosamente diffusa in tutto il mondo?!…
Riguardo il dialetto (cui anche per dovere di riconoscenza ho voluto dedicare un proprio titolo e capitolo) mi tocca informarti, caro Tito, che nel progetto di una “Università Popolare” proposto all’Assemblea Generale di Badolato dell’8 dicembre 1975 (te ne parlerò in altra lettera), era prevista una particolare sezione tutta dedicata allo studio e alla valorizzazione del dialetto non soltanto badolatese. Inoltre nel giugno 2012 ho addirittura proposto (pure attraverso la stampa) a tutte le istituzioni nazionali la realizzazione di una vera e propria “Università dialettale” da localizzarsi possibilmente nel borgo medievale di Badolato (o altrove in Italia) per catalogare, salvare dalla sparizione, valorizzare tutti i dialetti italiani e i loro studiosi come, ad esempio, il famoso glottologo tedesco Gerhard Rohlfs cui qualche anno fa è stata intitolata una piazza (da parte del Comune e con la collaborazione dell’associazione “La radice”) davanti all’edificio scolastico del nuovo quartiere Cardarello di Badolato Marina, alla presenza dei suoi due figli su proposta e collaborazione dell’amico avvocato catanzarese Giovanni Balletta. Qui mi sembra giusto e doveroso evidenziare che sono stato io a convincere Balletta a fare la sua proposta al sindaco di Badolato (prima che ad altri) e a fare da tramite con l’associazione “La radice” perché si potesse intitolare quella bella e nuova piazza (lambìta da Viale Aldo Moro) al prof. Rohlfs, il maggiore studioso di dialetti non solo calabresi. Pure questa è stata (seppure piccolissima) una delle innumerevoli tappe concrete ed operative del mio grande amore per Badolato, mio paese natìo.
Una simile istituzione potrebbe essere bene realizzata pure nella città che mi ospita, Agnone del Molise, dove c’è una lunga ed antica tradizione di studi dialettali e di eventi di valorizzazione tra cui il premio nazionale di poesia dialettale “Cremonese” portato ad altissimi livelli dal prof. Antonio Arduino quando era Direttore della locale Biblioteca Comunale. Ma, in pratica, ogni regione potrebbe avere dei “Centri Studi Dialettali” strettamente collegati con l’Università Dialettale ovunque questa possa venire collocata. Infatti, ogni regione italiana ha tanti cultori della materia più affascinante e suggestiva che esista per chi, come me, si nutre di valori che affondano le proprie radici nell’autenticità della cultura popolare. Tra i primissimi e numerosi aderenti da ogni parte d’Italia alla proposta dell’Università Dialettale sono stati il già citato prof. Enrico Armogida, il prof. Vincenzo Falasca (Grumento Nova, Potenza 1942 www.grumentum-basilicata.it e falascavincenzo@libero.it) e l’amico Domenico Meo di Agnone del Molise, autore di un formidabile vocabolario dialettale addirittura multimediale (vedi http://meodomenico5.wix.com/cultura-popolare e meo1961@alice.it).
Personalmente sono un grande appassionato di dialetti. E mi incanto quando ascolto la gente parlare nel suo dialetto, nella sua lingua-madre. Pure per questo mi piace davvero tanto seguire film (al cinema o alla televisione) o rappresentazioni teatrali in dialetto. Qui in Agnone del Molise, per fortuna, ci sono tre (a volte quattro) compagnie amatoriali che quasi si sfidano a chi scrive e mette in scena la migliore e più divertente commedia in dialetto locale o dei dintorni. Mi delizia tanto ascoltare pure alla radio l’idioma locale. Adoro tutti i dialetti italiani, persino quelli più difficili da comprendere, poiché resta pur sempre salva l’efficacia del loro dire. Non ho preferenze per un dialetto in particolare, poiché tutti mi trovano interessato e gioioso. Ovviamente, i dialetti del sud Italia mi rappresentano più sfumature godibili per via della cultura più o meno identica nelle espressioni e nei valori (anche quelli più criptati). Però, sento tutti i dialetti come l’anima più profonda (e a volte segreta) della gente quale la stessa lingua nazionale, quella italiana, non potrà mai rendere al nostro cuore, per quanto perfetta ed amabile possa essere. I dialetti sono necessari come e più di ogni altra identità locale (cibo, abitudini, tradizioni, religiosità, monumenti, ecc.). Il dialetto badolatese, in particolar modo, rappresenta pure il miglior modo di esprimere me stesso. Comincio a parlare immediatamente il mio dialetto anche se sono lontano dalla Calabria, quando mi accorgo che c’è qualcuno che possa intenderlo o qualcuno con cui dialogare!…
Caro Tito, questa volta come “Lettura parallela” propongo la trasposizione in lingua italiana (per una maggiore comprensione, pure per chi italiano non è ma ne capisce la scrittura) di una poesia in lingua napoletana dedicata a Badolato, segnalatami da mia moglie che l’aveva trovata su “facebook” oltre un mese fa alle ore 14,34 di domenica 24 gennaio 2016. I versi che seguono sono stati scritti da due napoletani doc, Giorgio Di Noia e Giorgio Cangiano.
LETTURA PARALLELA
BADOLATO
E sono un sali e scendi
le strade di questo paese.
Si trova sopra la cima
di una collina
con un’aria fina
ed una veduta bella
e sotto ci sta il mare
che ti fa incantare.
Un monastero
sopra una montagna
che quando a sera
un fascio di luce
si può vedere.
Ti porta agli occhi
tutta l’arte antica.
Badolato Badolato
sempre più bello sei nato.
C’è vita in queste pietre
quanta gente ha faticato.
Per vichi stretti che ci stanno
qua ci trovi sempre ospitalità.
Come fai a scordarti
questo paese nato qui
sulla cosa calabrese
in mezzo al verde degli ulivi.
Ogni volta che ti vedo
penso agli amori che sono
nati. Provo sempre
un’emozione.
Poi mi prende l’allegria
e tengo il cuore in fantasia.
Caro Tito, fra pochi giorni, il 04 marzo 2016, compirò 66 anni. Questa può essere considerata l’età del distacco e della migliore verità per tutti coloro che arrivano nel pieno della propria anzianità. Pure io sto cominciando a vedere quanto da me fatto e vissuto in precedenza con distacco e migliore verità … proprio come un pittore o uno scultore che si stacca dalla sua Opera e vuole vederla da lontano per capirne le proporzioni, l’entità ed il senso. Così mi appare la mia vita anche e soprattutto attraverso le lettere che ti scrivo su Badolato per numerosi motivi, tra i quali la trasmissione intergenerazionale, il dovuto e responsabile rendiconto pubblico delle mie principali attività sociali, la libera diffusione della mia eredità storica e valoriale …
Devo dirti che per lungo tempo mi sono tormentato assai per non aver potuto scrivere molti anni prima di adesso questi “Appunti” sulla mia grande storia d’amore verso Badolato, mio paese natìo, con particolare riguardo alla vicenda del “paese in vendita”. Tante volte ho cominciato a scrivere questo dovuto e necessario “rendiconto sociale”, questa testimonianza in prima persona, ma non sentivo né i tempi pienamente maturi né il mio animo sufficientemente pacato e distaccato. Adesso, a 66 anni, mi sento nell’età migliore per dare (ai badolatesi e a tutti coloro che ne sono interessati) la mia storia sociale legata al mio forsennato Amore per Badolato (narrato come evolutosi ed accresciutosi prima – durante e dopo il biennio del “paese in vendita”). Adesso, spero soltanto di avere sufficiente forza e salute per portare a termine almeno questi Appunti. Ma, se la vita vorrà darmi ancora più futuro, potrei (proprio da questi “Appunti”) scrivere una più estesa, vera e propria Storia di Badolato per gli anni che ho vissuto, documentandola minuziosamente (mentre adesso sto andando, più o meno, a memoria). Sarà quel che sarà! Per ciò che dipende da me, sono assai concentrato nel rendere il migliore servizio possibile alla memoria di una importante pagina di Storia sociale, specialmente per le presenti e le future generazioni.
Spero, così, che queste “Lettere su Badolato” (che, ripeto e ribadisco, ti appartengono – come diritti d’autore – per mia donazione e libera volontà) possano giungere alla conclusione del racconto affinché sia tutto il più chiaro possibile sulla mia presenza sociale nel mio paese natìo … Paese che (non mi stancherò di ripeterlo e di evidenziarlo) ho amato come pochi finora hanno dimostrato di amare. E ciò rende la mia coscienza e i giorni che mi restano assolutamente sereni e gioiosi come soltanto il vero amore riesce a sortire e “premiare”. Infatti (ti ho spesso scritto) soltanto la propria coscienza assegna meriti e demeriti, nella giusta misura, al di là di ogni pessima o eccellente valutazione che ne possiamo fare noi stessi o ne possano fare gli altri. Dentro di noi sappiamo fin troppo bene quali sono le proporzioni, l’entità e il senso della nostra vita. Personalmente, posso dire ed affermare ancora (dalla prima volta dal 1967) W la Wita!… assolutamente felice di aver finora vissuto al massimo possibile, soprattutto a favore del bene sociale, sempre ovunque e comunque la mia esistenza o il mio destino mi abbia portato! Quindi, buona Wita a te e a tutti coloro che ci onorano della loro lettura e attenzione! Wiva la Wita! Cordialità a te e a tutti!
Domenico Lanciano – Agnone del Molise, sabato 27 febbraio 2016 ore 11,44.
Caro Mimmo, auguri affettuosi per il tuo compleanno, anche se un po’ in ritardo .anch’io amo il dialetto del nostro paese ,lo considero la mia lingua.
” un paese ci vuole ”
ccà on è
‘u pajìsi meu,
‘u pajìsi meu
esta
a nn’attra vanda
e ccomu quandu
ca pe’ mmìa
on c ‘è cchjù :
cu si’
ni dìcia cu ni ncuntra
quandu tornu,
l’àrbari e ‘a terra
on sugnu cchjù ihri,
nenta e nnuhru
stàcia u n’aspetta.
ciao,Mimmo,saluti affettuosi. nicolina