Caro Tito, la giornata del primo maggio 1975 (raccontata con la precedente lettera n. 26), è stata interamente dedicata a fotografare il territorio, assieme a Jimmy (Pasquale Piroso) e alla sua Simca 1000, e mi ha ridato pure la possibilità di un’ulteriore ricognizione sulla troppo diffusa frammentazione e sull’impoverimento dell’agricoltura badolatese e sul caotico avanzare dell’antropizzazione, specialmente edilizia. Le mie ricerche avevano dato già un panorama numerico sufficientemente completo per poter asserire come e quanto (dal 1974 al 1974) la Comunità di Badolato soffrisse un così drammatico declino che avrebbe dovuto destare forti preoccupazioni (anzi, veri e propri allarmi!) nei responsabili delle istituzioni e delle associazioni delle categorie sociali e produttive e tali da indurre tutti, proprio tutti (comune, cittadini, governo regionale e nazionale) a prendere immediati provvedimenti. Invece nulla, proprio nulla!… E l’indifferenza è un male ancora peggiore dello stesso declino, pure perché ne è la causa maggiore. Ed io, sinceramente, non potevo rimanere distratto, indifferente, dormiente o inerte di fronte a tanto dolore!
Infatti, Badolato sembrava un paese orfano di cittadini, di autorità e di istituzioni. Il Comune, in particolare, sembrava volesse o potesse o dovesse limitarsi a fare quell’ordinaria amministrazione che, però, sempre molto burocratica, poco o niente serviva al nostro territorio e ai nostri concittadini, specialmente alle nuove generazioni studentesche in continua crescita. Perciò, la prima risorsa del territorio (cioè i suoi abitanti) … sembrava un “peso” piuttosto che una leva su cui agire per lo sviluppo ben coordinato del nostro paese. Come accade ancora adesso, i partiti e gli amministratori si ricordano che esistono i cittadini specialmente in prossimità del periodo elettorale. Poi chi si è visto si è visto!… Quei pochi che osavano criticare o sollecitare o a proporre nuove iniziative o collaborazioni gratuite venivano variamente considerati “ingenui” “fuori dal mondo” – “facinorosi” – “nemici” o addirittura “sovversivi”. Questo più in generale perché, poi, su misura e personalizzato, ti veniva cucito addosso un vestito di maldicenze e di massimo discredito.
La strategia per isolare chi non la pensa come il “potere” in corso è un’antichissima prassi (come la cosiddetta “fabbrica del fango”) che viene preferita ad atteggiamenti più convenienti, vantaggiosi e concreti quali può disporre il buon senso, la serena convivenza sociale, la convergenza al bene comune e, non ultima, la vera “democrazia” (non quella parolaia, strumentare, demagogica ed opportunista). Perciò, il primo ad indebolirsi era il tessuto sociale civile e democratico. E, purtroppo, questo era un atteggiamento assai diffuso nella classe dirigente politica locale ed anche nazionale. Per cui, pure Badolato era “paese dei veleni” come innumerevoli altri, poiché chi “tocca i fili del potere” rischia o muore (socialmente).
LO SPOPOLAMENTO DEGLI ABITANTI
A parte l’impoverimento democratico, a preoccupare davvero molto era nella primavera del 1975 l’incessante impoverimento demografico. Infatti, nel censimento ISTAT (istituto nazionale di statistica) del 1951 i residenti anagrafici in Badolato erano 4.842 mentre dieci anni dopo, nel 1961, le diminuzione cominciava ad essere considerevole con la perdita di 421 unità, attestandosi sui 4.421 abitanti. Ancora dieci anni dopo, nel censimento del 1971, i residenti sono ulteriormente scesi di ben 640 unità, oltrepassando in negativo la soglia (pure psicologica) dei quattromila abitanti, posizionandosi sulle 3.781 presenze registrate.
In pratica in 20 anni (1951-71) il Comune di Badolato aveva perso 1.061 abitanti, pari al 22% sul totale. Ma, torno a precisare, i suddetti numeri sono solamente anagrafici, poiché gli assenti dal paese (per gran parte dell’anno o definitivamente per motivi di lavoro o di studio) rappresentano quasi la metà con meno 48,7% secondo una stima degli stessi uffici anagrafici comunali (dopo un computo effettuato famiglia per famiglia, dal momento che ci conoscevamo tutti e sapevamo chi era fuori dai confini comunali, regionali e nazionali e per quale motivo).
Badolato, dunque, era nel 1971 un paese dimezzato (“orfano”) in tutto e per tutto, mentre invece (nel normale svolgimento demografico di una Comunità) avrebbe dovuto contare ben 7.150 abitanti (tenendo presente la sola differenza tra nati e morti) invece dei 3.781. Mancavano in pratica all’appello e all’anagrafe ben 4.369 unità pari al 61,1% (molto più della metà). Ma Badolato non è mai stato un paese normale (nel bene e nel male) ed anche dentro al grande fenomeno dell’emigrazione ha voluto rappresentare primati addirittura regionali. Addirittura “apocalittici” a mio sentire!
E, a parte i numeri complessivi comunali (che contemplavano pure Badolato Marina) ciò che preoccupava era il forte decremento demografico del borgo antico, cioè di Badolato Superiore. Infatti, dati e proiezioni alla mano, nel 1975 calcolavo che, di questo passo, il borgo sarebbe stato quasi completamente spopolato entro il 2011 (cioè a distanza di 30-40 anni).
Con i miei calcoli su tale distanza mi sono avvicinato alla realtà, se è vero come è vero che nel 1986 (agli inizi dell’S.O.S. “paese in vendita”) gli abitanti del borgo erano 800 circa, mentre attualmente (al 30 aprile 2017 – fonte “La Radice” n. 1-2017 pagina 40), a distanza di 30 anni, sono comunque calati a 215 , mentre tutto il Comune conta soltanto 2826 più 177 stranieri provvisori perché richiedenti asilo, per un totale di 3.003 abitanti. In pratica tenendo presente l’anagrafe comunale normale (senza stranieri rifugiati che non sono residenti permanenti) di 2826 abitanti, Badolato dal 1951 perde (in 66 anni) il 41,7 dei residenti (4842 – 2826 = 2016). Dati da record!
Ma il dato più sconfortante è che il borgo nel 1951 contava 4800 abitanti, mentre adesso (al 30 aprile 2017) ne conta 215 domiciliati con una perdita di ben 4717 unità pari addirittura al 97,5%. In pratica a Badolato Superiore c’è rimasto soltanto il 2,5% degli abitanti rispetto al 1951 e il 4,3% rispetto al totale attuale di 2826 unità. Ovvero il 95,7 abita in Badolato Marina che passa ad assorbire quasi tutti gli abitanti del borgo (non emigrati) dal 1952 in poi. Sono numeri da vera e propria “desertificazione” umana, sociale e territoriale! Dunque, nel 1975 avevo intravisto giusto: il borgo si sarebbe svuotato. E tale svuotamento è avvenuto nonostante tutta la pubblicità internazionale, pur gestita molto male dalle istituzioni (derivata prima dalla vicenda del “paese in vendita” 1986-88 e poi del “paese solidale” 1997-2000), che ha indotto il trasferimento in loco di numerose famiglie dal resto d’Italia e dall’estero. Com’è mai possibile un simile abbandono e svuotamento in un borgo attrezzato di quasi tutto (bellezza, arte, acqua, luce, fognatura, strade, ecc.) e distante dal un mare altamente turistico soltanto 5 km? Misteri del potere!
Il mio calcolo del 1975 sul quasi completo abbandono e spopolamento del borgo antico entro il 2011 (altro anno di censimento ISTAT) mi ha indotto poi, nel 1986, a fare qualcosa per salvare almeno il patrimonio edilizio ed artistico di questo “paese d’arte” con un’attenta ed intelligente “riconversione” da paese residenziale normale a paese residenziale turistico, possibilmente riservato a veri intenditori provenienti da ogni parte del mondo, in particolare dal centro-nord Europa. Queste erano le mie proposte.
Ritenevo, infatti, che con la salvezza totale ma anche parziale delle case, delle chiese, dei palazzi e di tutto il sito storico, sarebbero state salvate pure alcune tradizioni socio-culturali che hanno resistito più di mille anni. Ed ero certo che gli stessi badolatesi trasferitisi in Marina fossero stati indotti a valorizzare pure loro il vecchio borgo se fosse stato abitato sebbene da “stranieri” e da altri italiani. Ecco perché, poi, nel 1986, ho avuto la preziosa e fortunata occasione di lanciare quel mio “S.O.S.” noto a livelli anche internazionali come “Badolato paese in vendita” (per salvarlo dallo spopolamento, dal degrado e dallo sgretolamento anche fisico oltre che demografico). Oggi posso ben dire che quel mio “S.O.S.” ha raggiunto buona parte dei suoi obiettivi, nonostante la mia iniziativa sia stata ampiamente boicottata dalle Istituzioni (Regione e Comune). Tuttavia 215 abitanti sono ancora troppo pochi. Sicuramente sono meglio di niente, ma siamo lontani da una rivitalizzazione soddisfacente, per cui bisognerebbe lavorare di più! Possibilmente tutti o in tanti!
Nel 1975 la proprietà fondiaria evidenziava alcuni grossi intestatari che detenevano la maggior parte dei 34,10 kmq del territorio comunale. Oltre ai cosiddetti “baroni” latifondisti, lo stesso Comune possedeva ben 776 ettari pari al 78,9% della proprietà pubblica (Demanio). E non meravigli che una buona fetta appartenesse pure alla Chiesa cattolica, in particolare alla Parrocchia di San Nicola (48 ettari e tanti altri immobili), frutto di donazioni avute nel corso dei secoli. Il resto delle proprietà risultava troppo parcellizzata e se coltivata era prevalentemente per uso di sussistenza familiare. Ma gran parte dei terreni risultavano incolti da moltissimi anni, causa l’emigrazione o la non redditività, nonostante la “femminilizzazione” dell’agricoltura (importante fenomeno sociologico del tutto nuovo) che sopperiva in parte all’assenza degli uomini di famiglia lontani per lavoro.
Le risorse del territorio badolatese erano (nel trentennio considerato 1944-74) assai variegate svolgendosi da quota zero del livello del mare fino a quota 1100 metri circa (con ricchi boschi) su un’ascesa quasi immediata di appena 15 km circa dalla spiaggia fino all’estremo confine montano. Peccato che ogni tanto ci scappava un incendio più o meno grave, come quello devastante dell’estate 1964 (ricordo molto bene) che impoveriva le proprietà private e pubbliche! Quasi tutti incendi dolosi, in un modo o nell’altro, o comunque volontari. Quasi nessuno crede negli incendi per autocombustione. Parecchi di questi incendi erano dovuti a pastori che si assicuravano, per l’autunno, l’erbetta fresca per i propri armenti. Altri motivi: la vendetta (che può scoppiare anche a distanza di molti anni per un torto subìto) o la mafia dei boschi ma anche il fuoco sfuggito di mano agli stessi contadini per la cattiva ma antica abitudine di bruciare sterpaglie, rovi o residui di lavorazione agricola. Purtroppo, in ogni caso, ci poteva scappare il morto.
L’agricoltura da esportazione oltre i confini comunali trovava nell’olio d’oliva, nel vino e in alcuni tipi di frutta (pesche e agrumi in particolare) i prodotti più antichi e tradizionali, mentre per il resto è doveroso parlare di economia di sussistenza (grano, cereali, orto-frutta, castagne, ecc.). Gran parte della popolazione andava avanti con le rimesse degli emigrati, i quali investivano quasi tutti i loro risparmi sulla casa da ristrutturare al borgo o su quella di nuova costruzione in Badolato Marina. Dagli anni sessanta in poi andava di moda costruirsi il “palazzo familiare” fino a 6 piani (compreso quello terreno). Era la cosiddetta “politica del pilastro” (di cemento armato) da cui dipendeva pure buona parte della politica amministrativa locale.
Pur essendo un luogo di mare, Badolato da sempre non esercita affatto e minimamente la pesca commerciale. E, pur essendo un luogo di collina e di montagna, il “tartufo” (bianco o nero) che pure c’è non viene nemmeno considerato. I contadini, se per puro caso trovavano un tartufo, lo davano ai maiali!… L’ho visto spesso con i miei occhi!… Pure quello della ricerca e coltivazione del tartufo è stata, negli anni, una mia proposta e ripetuta esortazione (a livello locale e regionale), vista l’enorme e redditizia attività osservata in Molise, ma invano. E dire che il tartufo calabrese è considerato di migliore qualità rispetto ad altri pur celebrati. Nemmeno i funghi (di bosco o coltivati) trova un interesse produttivo e commerciale in Badolato, mentre in altre zone della Calabria ci guadagnano bene. Insomma, il territorio comunale badolatese, pur così variegato geomorfologicamente e climaticamente, pare che non venga utilizzato per tutto ciò che potrebbe dare come reddito e cultura sociale. Mancano le persone?… Però molte che vi abitano sono disoccupate, inattive o addirittura “inerti” (pure perché guidati male o non guidati affatto). Badolato ha un oro nascosto ma ancora non lo sa meglio conoscere e massimamente utilizzare.
Pure il vino o l’olio d’oliva sono ottimi da esportazione. Mi ricordo che da sempre e da più parti si parlava di imbottigliarli e commercializzarli. Però, a parte qualche commerciante o frantoio che lo vendono sfuso, non si è dato un marchio o una denominazione protetta e pregiata a tali come ad altri ottimi prodotti per cui Badolato era famosa in Italia, come le squisite pesche biologiche. Badolato è tutto da rifare, pare! Ecco perché ho voluto insistere (nella conferenza del 17 aprile 1974 sugli “81 Enunciati”) con il metodo della “Repubblica di Badolato” … un inventario ed una valorizzazione delle risorse presenti o da inventarsi!
L’artigianato che era un grande vanto per Badolato, ma dal 1951 in poi si è via via ridotto enormemente e in alcuni settori adesso non se ne trova più nemmeno uno. Nei primi anni sessanta c’è stato un tentativo di passare da parte di tre artigiani sarti dalla produzione singola alla produzione associata in piccola azienda per la produzione di “camicie” che per un periodo esportava in altre regioni italiane. Questa era la “PIREGA” dove hanno lavorato fino a 30 operai, in maggioranza ragazze. Fu una bella esperienza non soltanto produttiva. Ma poi, incomprensioni e dissapori hanno portato a chiudere un’azienda che avrebbe potuto portare (con altre lavorazioni attinenti) Badolato a diventare addirittura un piccolo polo tessile.
Bisogna comunque notare che l’attività associativa o cooperativa non ha fortuna nelle nostre zone del sud Italia, non attecchisce per motivi prettamente antropologici e caratteriali, se non in via eccezionale. Tutte le esperienze che non siano solo familiari falliscono nella cooperazione. E a proposito di ciò, con altra lettera, ti porterò (a riprova) l’eccezionale esperienza delle calzature prodotte dalla “famiglia impresa” di Montegranaro nelle Marche, una cittadine del tutto simile a Badolato come premesse generali. E nemmeno l’ideologia e l’organizzazione comunista sono riuscite qui da noi a portare avanti cooperative e nemmeno la fede e l’etica cattolica. Infatti, nell’immediato dopoguerra il PCI e la DC locali hanno realizzato due distinte cooperative di produzione e consumo … però, purtroppo, non soltanto ebbero vita breve ma fatti traumatici portarono alla chiusura e alla non ripetibilità di tale esperienza socio-politica.
Anche nel periodo considerato (1944-74) il settore zootecnico era prevalentemente riservato al consumo o all’uso familiare per quanto riguarda suini, equini e bovini, mentre l’allevamento produttivo di ovini e caprini (sebbene ridotto ormai a poche aziende familiari) continuava una tradizione di millenni con prodotti consumati quasi tutti in zona. Anzi, dobbiamo asserire che i badolatesi si rifornivano (allora come adesso) altrove di formaggi e latticini come a Davoli (10 km) e a Russomanno di Satriano (12 km) località con produzione e vendita quali Badolato non ha mai saputo esibire, pur avendone tutte le possibilità. Ma quello dei prodotti caseari non era l’unico settore dove i badolatesi non ci hanno saputo fare nella commercializzazione fuori dei propri confini … figuriamoci che a Badolato s’importa persino il pane da altri paesi!… Il pane?!… capisci caro Tito! … proprio il pane che ogni badolatese vorrebbe con il gusto tradizionale di quello fatto in casa e a forno a legna!… importarlo con altri gusti e altre forme ha significato un trauma psicologico notevole. Ma tant’è!… Quando una comunità è in declino, i dettagli non contano!…
LO SPOPOLAMENTO DEI MAIALI
Un capitolo a parte bisognerebbe dedicare agli animali tradizionali badolatesi, in particolare all’allevamento dei maiali. E potrei cominciare col dire che Badolato non ha più un asino delle centinaia e centinaia che c’erano! … Però, siccome queste mie lettere devono dimostrare unicamente come e quanto abbia amato il mio paese natìo, basta citare in questo contesto una mia proposta inerente non soltanto il fabbisogno annuale della carne dei maiali ma anche di tutti quei prodotti che la tradizione non riusciva più ad assicurare, ma che tutti desideravamo per il mantenimento degli antichi gusti e sapori. Infatti, nel periodo considerato (1944-74) pure l’allevamento dei maiali ha subìto una vistosa diminuzione che tradurrei in un considerevole impoverimento economico ma anche culturale proprio per i significati familiari e sociali che hanno sempre caratterizzato la nostra Comunità come quasi tutte le Comunità similari alla nostra nei confronti di tale riserva annuale di carne di maiale, tanto squisita quanto evocativa di veri e propri sentimenti di unità e di minima indispensabile prosperità familiare … quasi che era da considerare veramente povera (quasi in miseria) quella famiglia che non riusciva a farsi il “commatu” ( il “comodo”, la riserva o il fabbisogno … annuale) almeno di maiale (se non di altri prodotti utili per tutto o gran parte dell’anno). Quindi, il maiale era molto di più di un maiale, cioè di animale macellato, ben lavorato e ben conservato! Ma, per capire meglio, è necessario fare almeno un po’ di storia locale a riguardo.
Nel 1931 un’Ordinanza del Podestà (cioè il Sindaco ai tempi del Fascismo) riuscì a fare allontanare i suini e le galline dalle case e dalle vie del paese. A quel tempo pochi avevano in casa uno spazio riservato alle “evacuazioni corporee” (che noi definiamo comunemente WC o bagno o “toilette”). Se non effettuate nelle stalle, era abitudine (per quanto disdicevole ma diffusa e comune) buttare urine ed escrementi sulle vie (a volte pure su qualche malcapitato che passava in quel momento), specialmente la produzione notturna … produzione che immediatamente veniva smaltita dai maiali e dalle galline che gironzolavano liberi ed incontrollati sempre in cerca di cibo per le vie, i vichi e le viuzze. Inoltre c’era un’altra deprecabile abitudine quasi generalizzata: buttare da finestre e balconi gli avanzi dei pasti più o meno frugali (bucce comprese di qualsiasi frutta) sulla via sottostante. Persino nel 1977 mentre fotografavo il passaggio di una processione religiosa si è vista un’anziana signora che (secondo antica abitudine) “scrollava” la tovaglia da tavola con ogni rimasuglio (tra cui abbondanti e colorate bucce di arance) proprio … sulla processione e … proprio vicino alla statua della Madonna! Era talmente l’abitudine non ragionata del gesto che la povera signora non si era accorta che stava passando una processione (con tanto di squillante banda)!…
Dunque, abbiamo un documento pubblico che dimostra come, nel 1931, maiali e galline coabitavano con gli umani (alla maniera dei “Sassi di Matera”). A parte l’igiene (pubblica, familiare e privata), tale impropria coabitazione minacciava la sicurezza delle persone, specialmente dei bambini. Ho intervistato nel 1975 una signora la quale, nata nel 1910, quando aveva pochi anni e una volta che dormiva sul lettone dei genitori ha avuto entrambi i piedi rosicchiati dal maiale di casa. Per tale incidente ha camminato tutta la vita sempre barcollando e con visibile fatica, pur usando calzature ortopediche e a lei adattate.
Ma gli incidenti con le persone di ogni età erano quotidiani per le strade del paese a causa di maiali che, furoreggiando a volte come i tori di Pamplona, caricavano adulti e bambini. Una di queste vittime è stato pure mio padre quando aveva 16 anni (vale a dire nel 1921) … se l’è vista davvero brutta! Ovviamente, attratti dall’odore o indotti dalla ricerca del cibo, maiali e galline erano soliti entrare pure nelle case degli altri. Possiamo immaginare. Dobbiamo poi considerare che il borgo medievale pullulava pure di asini e muli che però, essendo grandi lavoratori, avevano almeno una stalla propria, anche se messa sotto l’abitazione, come oggi noi abbiamo il “garage” per l’automobile. Insomma, c’era un po’ di traffico per le vie di Badolato, specialmente nelle ore di punta (mattina e sera) con chi andava a lavorare con asini e muli (e, anche, diciamolo, qualche pecorella o caprettina). Ognuno di questi animali non faceva complimenti nel lasciare per le vie urbane un odoroso dono (che veniva variamente trattato da maiali e galline oppure prelevato ed insaccato da taluni contadini come letame per la campagna (specialmente la cacca seccata delle vacche).
Dopo l’Ordinanza comunale del 1931, le numerosissime famiglie (interessate all’allevamento di uno o più maiali e delle galline) si trovarono costrette a costruire i loro porcili e i loro pollai attorno al borgo antico, il più possibile vicino alla propria abitazione. Alcuni trovarono più comodo trasferire tali animali nelle proprie campagne (se non troppo lontane, poiché la cura dei due punti produttivi doveva essere preferibilmente quotidiana).
Il periodico cartaceo “La Radice” di Badolato (pagina 1 del 30 giugno1998 – anno 4 n. 2) così intitola e ricorda “LA SUINOPOLI” (con accanto una foto in bianco e nero): “Questa suinopoli (da “santicehra”) ed altre a mo’ di corona intorno al paese, unitamente alle centinaia di porcili sparsi dappertutto, ospitavano da quattrocento a cinquecento maiali ogni anno: per secoli il sostentamento e la ricchezza principali della maggior parte della popolazione badolatese. Se un monumento si decidesse di erigere un giorno a Badolato, i soggetti dovrebbero essere due: il maiale e la zappa. Noi non lo proponiamo. Ma ci limitiamo ad offrirvi la visione di questo “quadro”, prima che cadano anche queste pietre”.
A proposito di “monumenti” da erigere a Badolato, nel giugno 1995 alle pagine 126-129 del libro “Prima del Silenzio” proponevo non soltanto di realizzare (oltre che per gli emigrati) un monumento all’asino (altro utilissimo animale per la popolazione badolatese) ma anche un “Memorial Park” ovvero una Fattoria Pedagogica con almeno un esempio di tutti indistintamente quegli animali che hanno sostenuto la nostra “civiltà contadina”. Un momento, tra l’altro, di pubblica riconoscenza. Proposta che si associava all’idea del “Museo-territorio” o del “Borgo-museo” promossa nel 1986 dal prof. Vincenzo Squillacioti quando ancora non era direttore del trimestrale “La Radice” (periodo che va dal 1994 a tutt’oggi).
E, a proposito della “zappa”, il 15 giugno 1975 sono andato a votare (con grande sorpresa e clamore dei presenti sulla antistante piazza) al seggio elettorale per le Comunali proprio tenendo sulla spalla una “zappa” … per ricordare specialmente al Partito Comunista badolatese (io che ero stato promotore della innovativa Terza Lista “Tre Torri”) che l’agricoltura non andava abbandonata, ma valorizzata al massimo possibile, secondo tradizione e dignità del nostro popolo. Ma pure per dire che il PCI si era quasi dimenticato dei contadini e degli operai. Era soltanto il 1975. In seguito ne avremmo viste veramente delle “belle”!!!… Badolato ha sempre anticipato di anni le politiche nazionali del PCI (specie il tanto famoso e discusso “compromesso storico” con la DC).
Negli anni 1973-77 (quelli spesi nelle ricerche per la mia tesi sociologica) la simpaticissima guardia municipale Vincenzo Criniti (grande amico di famiglia, abitante proprio davanti alla chiesa di Santa Maria), reduce della seconda guerra mondiale, mi ha aiutato davvero assai nel ragguagliarmi su tante cose di Badolato. Stavamo facendo persino l’elenco (seguendo i registri anagrafici) dei soprannomi dei nostri concittadini. Peccato che ci siamo fermati alla lettera C. Nel caso dei maiali, mi ha assicurato che almeno una famiglia su tre aveva in Badolato Superiore un porcile con una media di almeno due maiali allevati per la macellazione invernale a motivo del fabbisogno familiare. Solitamente il secondo maiale veniva venduto a privati o ai macellai del paese … così come faceva pure mio padre quando eravamo al casello di Kardàra (1939-67), ma anche all’agrumeto del Vallone (1968-80).
Data la citata Ordinanza del Potestà, dal 1931 in poi attorno al perimetro del paese antico, sorse un altro mini-paese in muratura … quello dei maiali. Secondo la guardia Criniti, nel ventennio avanti la seconda guerra mondiale quasi tutte le famiglie allevavano maiali e polli … per cui si può ben immaginare come e quanto si potesse sentire la presenza di tali simpaticissimi amici a quattro e due zampe, nonostante tutte le precauzioni, le cure e/o i lavaggi (quasi quotidiani) dei singoli porcili come di ciascun pollaio. Ma, dove c’è gusto non c’è perdenza (avverte un antico proverbio). Comunque, sicura fonte la stessa guardia municipale Criniti, fino agli anni settanta il numero dei maiali allevati nei porcili attorno al paese era attorno al migliaio di unità.
Dopo l’alluvione del 1951 (che ha fatto franare buona parte del rione Destro provocando quasi 2000 senza tetto), nelle case distrutte o abbandonate furono collocati molti porcili e pollai. La mia stessa zia Concetta (sorella di mio padre), l’ultima rimasta dei Lanciano sulla natìa Via Siena n. 1 nel rione Jusuterra, ha utilizzato il rudere di una di queste case crollate come porcile e come pollaio. Fino ai primi anni duemila anche io ho mangiato di quelle uova fresche e davvero ruspanti e biologiche, quando lei ormai sola e troppo anziana e malandata riusciva ancora a trascinarsi in mezzo a quelle viuzze scoscese e pericolose. E a tutti noi parenti che la sollecitavamo a lasciare stare, poiché avrebbe potuto cadere, zia Concetta, sicura di non cadere, ci rispondeva che “l’ovicehyu” cioè l’ovetto quotidiano le era utile per la salute, pure da donare a chi l’andava a trovare, come antico senso dell’ospitalità imponeva alle persone gentili. Non so se è stato l’uovo quotidiano di quelle vie scoscese a farla arrivare a 97 anni. So che, per paradosso, non è caduta tra quegli “sciohy” (vie scoscese e pericolose), ma è caduta scivolando sulle linde mattonelle di un appartamento di Badolato Marina, quando lei ormai esausta non poteva più abitare da sola al borgo già semideserto. Una caduta che, dopo un lungo allettamento per il femore rotto, l’ha portata in Cielo!
Dunque, Badolato Superiore aveva ovunque attorno a sé una vera e propria “porcipopoli” (come attesta pure “la Radice” nel passo sopra riportato)! Ovvero un “paese di maiali” attorno al paese degli umani. Una antica “felice” interdipendenza! Ma la cosa non poteva durare a lungo, per diversi motivi (tra cui igiene e decoro). Molti protestavano perché non era un bel biglietto da visita per i forestieri che arrivavano al glorioso borgo antico dovendo percorrere la strada provinciale principale costeggiata da porcilaie e pollai. Il coro di benvenuto (fatto di grugniti e chicchirichì) poteva pur essere gradito alle orecchie ma la vista e l’odorato (nonostante tutte le accortezze) non deponeva affatto bene. Noi indigeni ormai eravamo più che abituati … non ci facevamo nemmeno più caso … tanto tutto ciò era parte del nostro paesaggio! E poi bisognava pur fare un qualche sacrificio in nome della gola e della tradizione familiare!
Così, nel 1972 (dopo 40 anni di porcilaie e pollai che incoronavano il borgo), il sindaco comunista Antonio Larocca, con un’Ordinanza, impose il trasferimento di porcili e pollai in luoghi lontano almeno 500 metri dall’abitato. Il che significava, praticamente, posizionare i nuovi siti “produttivi” oltre i due torrenti che delimitano la montagnola su cui sorge il borgo. Ciò rendeva ancora più difficoltoso (persino impossibile, in alcuni casi) l’allevamento familiare di maiali e galline. Ci fu una vera e propria “rivolta popolare” … di quelle belle robuste e rumorose come avevano insegnato al popolo badolatese proprio gli stessi comunisti! … Ma non ci fu nulla da fare, il sindaco aveva dalla sua la “Legge” e forse anche una nuova mentalità di igiene e decoro, portata energicamente avanti specialmente da chi, vivendo lontano da Badolato, contribuiva ad introdurre in paese la cosiddetta … “civiltà”!… Specialmente quella turistica del decoro visivo, del silenzio e della gradevolezza.
Come era immaginabile, tale provvedimento di civiltà contemporanea ha prodotto una forte diminuzione dell’allevamento di maiali per il fabbisogno delle famiglie badolatesi più tradizionali, specialmente là dove i conduttori erano anziani. In paese c’era tanto smarrimento perché non era possibile rinunciare al fabbisogno annuale della carne di maiale fresca o conservata (che, ricordo, era anche cibo per la mente oltre che del corpo!). La carne di maiale (fresca o conservata) faceva parte integrante della dieta e della cultura di quasi tutti noi badolatesi. E, si sa, la carne della “chyazza” cioè della “piazza” (ovvero acquistata alle macellerie) non aveva ( o si credeva non potesse avere) il sapore ed il gusto di quella casareccia, anche se spacciata per “locale” o addirittura “paesana” (di provenienza realmente contadina) !…
Legittima e spontanea riflessione. Un partito comunista (o qualsiasi altro governo comunale) che si rispetti, prima di fare un’Ordinanza sindacale così importante e restrittiva, avrebbe (forse) potuto e dovuto porsi (sociologicamente ed antropologicamente ma anche economicamente) il problema di sopperire alla carenza di maiali allevati dalle famiglie con un allevamento alternativo (magari pure centralizzato, tecnologico quanto e come vuoi) che offrisse garanzie di genuinità, di nutrimento naturale e di “libertà” e di “rispetto” per i maiali così come per le galline. Non maiali e polli da batteria, cresciuti al chiuso (magari con mangimi e integratori chimici) ma “ruspanti” cresciuti all’aperto da una cooperativa o da una famiglia di allevatori professionisti e con prodotti tipici delle stesse. Così si dava lavoro alla gente nella produzione, nell’indotto, nella trasformazione e nelle vendite … mentre tutti i cittadini potevano accedere a tale cooperativa per il fabbisogno annuale o settimanale, senza avere il cruccio di tenere un porcile familiare! … Niente di tutto questo. In Italia, spesso, si naviga a vista! E senza il senso della consequenzialità!…
Come per il turismo badolatese, invocavo presso i comunisti locali la collaborazione con i comunisti romagnoli ed emiliani (i più famosi ed efficienti, allora) pure per l’allevamento dei suini. Ad esempio, come si sa il ”Prosciutto di Parma” (crudo o cotto) usa proprio i suini. Era spontaneo chiedere come mai non si potesse avere con tale industria e con la filiera degli allevatori di Emilia-Romagna (in gran parte coordinate dalla Cooperative rosse) una qualche collaborazione. Le fresche grotte delle cantine (catoja) di Badolato (quelle già esistenti e altre da scavare nella roccia) forse potevano ospitare la stagionatura di prosciutti e salumi badolatesi per il mercato delle Coop. Ma ci poteva o non ci poteva essere una solidarietà comunista Nord e Sud ?… Confesso che ancora adesso non mi capacito del fatto che una simile solidarietà tra compagni comunisti non si sia realizzata e che ognuno (nord e sud) sia andato per conto proprio. Sarà stato vero comunismo??? ….
A parte la solidarietà nord-sud con i compagni emiliano-romagnoli che era una mia fissazione, mi consta che più di un badolatese si è posto la necessità di una utile alternativa all’abolizione dei porcili urbani … magari si poteva risolvere la domanda-offerta con un allevamento ruspante e campagnolo di tipo familiare (il territorio di Badolato aveva tanti luoghi dove posizionarlo). Il partito comunista di Badolato non si pose tale problema, per niente o in modo adeguato, perché se ne sono viste le conseguenze. Ordinanza e basta!… E c’è chi ha pensato persino maliziosamente (magari ignorando o sottovalutando pure la necessità dell’igiene e del decoro urbano) che i comunisti avessero voluto favorire i macellai locali (quasi tutti loro “compagni” o “sottocompagni”) con quella drastica decisione, non preparata in modo da rispettare e dare risposte al popolo. Ma il PCI badolatese non era più quello di una volta che si avvaleva persino delle cellule rionali di discussione e convincimento oppure delle assemblee popolari. Adesso il PCI a Badolato come nel resto d’Italia cominciava ad essere “verticista” e “dirigista” ed il popolo stava diventando un inevitabile corollario di cui, sotto sotto, si poteva fare pure a meno!
Così, pure per curiosità oltre che per spirito di programmazione, volli chiedere al capo di una storica famiglia di allevatori e di grandi lavoratori quanta e quale possibilità ci fosse per realizzare un allevamento intensivo ma garantito di maiali e di polli ad uso delle famiglie badolatesi, anche su ordinazione e prenotazione. L’interpellato era Andrea Bressi (della famiglia dei “Brugghyani” di religione e di etica cristiana-evangelica) il quale, pure perché giovane (essendo nato nel 1943), aveva dimostrato aperture ed acquisizioni a più moderni metodi di allevamento e di distribuzione delle carni. Ed in effetti ha capito i tempi nuovi e, ringraziandomi del suggerimento, mi ha promesso che sicuramente qualcosa avrebbe fatto. Così come ha fatto. Però non secondo le mie aspettative e indicazioni. Ma ognuno sa misurare le proprie possibilità! Cosicché il fabbisogno storico annuale dei badolatesi di carne di maiale ad uso familiare resta ancora adesso (2017) indistinto e approssimativo e, comunque, non risolto adeguatamente. Peccato!
Giusto per completare il discorso, dico che per tale mio spirito di lungimiranza e di impegno produttivo e sociale, invitai poi, nel maggio 1975, Andrea Bressi (1943) a mettersi come aspirante consigliere comunale nella Terza Lista “Tre Torri” per le elezioni amministrative del 15 giugno 1975. Il Documento politico-amministrativo ( che allego a questa lettera nelle 4 sue pagine e che pur tratta di “risorse del territorio” ) elencava i maggiori e più urgenti bisogni dei cittadini badolatesi, partendo proprio dalle risorse del nostro territorio, specialmente quelle da incentivare al massimo possibile. Ad esempio, estrapolato dal Programma della Terza Lista (datato 3 giugno 1975 e diffuso in mille copie) ti anticipo un passo che tratta proprio del problema di garantire ai cittadini il fabbisogno annuale, tra l’altro, pure di carne di maiale secondo i parametri di genuinità della tradizione e del gusto. Il passo seguente è leggibile alla pagina 4 in alto del Documento.
“La programmazione locale in agricoltura deve tenere conto delle richieste interne (pomodori per salsa, olive, ortaggi e frutta da conservare; particolare attenzione all’allevamento del maiale molto importante nell’economia domestica badolatese) e di quelle dei mercati regionali e nazionali.”
Ma tutte le 4 grandi pagine del Documento programmatico della Terza Lista (da me personalmente promosso e indirizzato, ma redatto da un gruppo di esperti con il contributo dei 16 aspiranti consiglieri comunali) sono ricche di riferimenti sulle risorse locali e sui fabbisogni materiali ed immateriali dei cittadini badolatesi nel contesto interzonale della “Riviera degli Angeli”. Preciso che questo è il primo vero documento-programmatico politico amministrativo presentato da una lista concorrente alle Elezioni Comunali. Nei decenni precedenti al 1975 (che io abbia visto e che io sappia ancora oggi) né il PCI né la DC avevano avuto bisogno di presentare il rispettivo testo programmatico sulle cose da fare e come farle … tanto si votava per disciplina di partito o per clientelismo … non c’era bisogno di consultare o ascoltare le necessità del popolo che cresceva con nuove esigenze, non sempre percepite o considerate dalle due forze politiche locali. Nelle elezioni comunali, seguenti al 1975, tutti i partiti hanno poi preso l’abitudine di distribuire volantini o depliant con il loro programma elettorale. Un piccolo passo avanti, ti pare Tito?…
Una curiosità. Anni fa (attorno al 2011) il sindaco rag. Giuseppe Nicola Parretta ha provveduto a far ripulire alcune porcilaie in muratura addossate alle falde della montagnola su cui sorge il borgo di Badolato, facendole persino illuminare (come prova la foto qui evidenziata in notturna a firma dell’amico fotografo professionista Gori Campese di Badolato Marina). A parte quelle mie, le altre foto che sono a corredo di questa Lettera su Badolato n. 27 sono tratte dal web. Ringrazio Gori e gli altri autori per la gentile disponibilità.
Grazie sempre grazie!… a te, caro Tito, e a presto! Domenico Lanciano
Azzurro Infinito, venerdì 11 agosto 2017 ore 21,56
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