Caro Tito, dall’estate 1973 i miei concittadini badolatesi erano ormai abituati a vedermi passare con il mio borsone di cuoio nero (contenente registratore fonografico, macchina fotografica e quanto altro occorrente per le mie interviste, le annotazioni, la raccolta di documenti utili alla mia tesi di laurea). A volte giravo soltanto con la mia fedelissima Yashica per catturare in fotogrammi momenti che mi sembravano preziosi e significativi per documentare la vita della mia comunità di appartenenza. Qualcuno (simpaticamente, per sfottò o malevolmente) mi chiamava “Clik facile” perché scattavo molte foto (come d’altra parte è in uso ancora adesso presso i fotoreporter, specialmente documentaristi o giornalisti o paparazzi).
Infatti, una volta che ormai mi trovavo “in ballo” (come si suole dire), avevo deciso di andare, con le foto, a documentare il mio paese al di là delle strette esigenze universitarie. Volevo lasciare ai posteri un documento visivo di come era Badolato negli anni 70 del 20° secolo. Un “reportage” mai fatto da nessuno (almeno fino ad allora). Così, cercavo di non tralasciare niente delle persone e del territorio che potesse raccontare ai futuri curiosi (non solo miei compaesani) come eravamo tra 1970 e il 1980. Ed in effetti, è suggestivo, spesso anche commovente, sicuramente illuminante rivedere luoghi e persone di quasi 50 anni fa (alcune delle quali non ci sono più e i luoghi possono essere stati nel frattempo anche trasformati o addirittura stravolti). E non tutti i paesi della mia Calabria possono, ancora oggi, vantare una simile documentazione (antropologica e sociologica).
Tutti, ma proprio tutti i badolatesi (direttamente per avermi visto almeno una volta o soltanto per sentito dire o addirittura per puro pettegolezzo o per maldicenza) sapevano, più o meno, cosa stessi facendo. Inoltre, tramite amici e conoscenti, la voce si era sparsa anche nei paesi vicini. Intuivo, in quegli anni di ricerca, che stavo facendo una piccolissima “rivoluzione socio-culturale”. Infatti, come ti ho già accennato, le persone (già chiedendosi o domandandomi cosa stessi facendo sempre in giro per il paese a parlare con la gente e a fare fotografie) erano costrette, volenti o nolenti, a porsi il problema della memoria storica collettiva della nostra comunità e della necessità di continuare la tradizione pure attraverso i nuovi mezzi tecnologici quali le fotografie e le fonoregistrazioni. I mezzi offerti oggi nel 2017 dalla super-tecnologia multimediale (computer, smart-phone, droni, microcamere, ecc.) non erano, allora (nel 1973-77), nemmeno immaginabili … ma è sicuro che li avrei usati pure io … come in parte sto già facendo adesso.
Sono stato enormemente lieto quando uno studente mi fece osservare (in modo acuto quanto inatteso) che stavo cercando di trasmettere la storia badolatese proprio come i nostri anziani e i nostri vecchi erano soliti raccontare ai bambini e ai più giovani con le narrazioni (cunticehy) proprie del popolo (solitamente attorno al braciere nelle lunghe serate d’inverno o sul mignano – davanzale, d’estate). Un travaso di esperienza propria o di antiche tradizioni, spesso assai pedagogiche. Era, questa mia, una delle tante prove che si può parlare agli altri senza alcun clamore, soltanto facendo il proprio dovere, con il buon esempio.
Fino al mese di aprile 1975 (cioè a quasi due anni dall’inizio della mia ricognizione) avevo fotografato prevalentemente persone, situazioni, eventi e quanto altro nei due centri abitati di Badolato Superiore (borgo) e Marina. Molto meno nelle campagne. Per tale motivo mi ero ripromesso di dedicare almeno una intera giornata esclusivamente al territorio rurale, dal mare alla montagna. E, poiché non ero dotato di automobile né di altro mezzo di locomozione, nemmeno animale, ho pregato il mio amico e coetaneo Pasquale Piroso (detto Jimmy come poliedrico cantautore) di accompagnarmi in giro per le strade interpoderali con la sua poderosa Simca 1000 verdina, una macchina francese capace di procedere bene anche sulle strade sterrate. In quel periodo Jimmy lavorava in Badolato Marina come aiutante nella Farmacia del dottore Andrea Bressi (oggi Farmacia Carella). Avremmo dovuto, pure per questo, scegliere una giornata festiva per poter scorazzare in lungo e in largo per le nostre campagne. Scegliemmo il primo maggio, festa dei lavoratori.
Così, preparai nei particolari il tanto desiderato e necessario monitoraggio fotografico di tutto il territorio badolatese (circa 34 km quadrati) dal livello del mare fino a quota 1200 metri delle pre-Serre joniche, da realizzare possibilmente tutto in un solo giorno, con alzata all’alba. Preparai pure l’occorrente per la nostra ristorazione, tenendo presente che la giornata si preannunciava tutta serena e assai calda. Pagai il pieno di benzina della Simca e ci avviammo.
In gran parte conoscevo non soltanto il nostro territorio comunale, ma anche quello dei paesi confinanti, dove mio padre aveva delle piccole proprietà agricole. Invece, per Jimmy molte cose erano una assoluta scoperta e novità, poiché egli era cresciuto con la famiglia in Svizzera da dove era tornato da poco tempo. Per lui fu più sorprendente la variegata bellezza delle dimensioni marine, collinari e montane. Il primo maggio, poi, tutto il nostro territorio jonico è quanto mai bello e lussureggiante per una molteplicità di fiori e piante, erbe e colture al massimo dello splendore. Ricordi, caro Tito, il maestro Marcello Giombini (musicista e compositore romano, assai noto a livello nazionale per colonne sonore di film e per la Messa Beat)?… Era venuto a trovarmi a Badolato proprio verso la fine del mese di aprile 1971 e, vista l’ineguagliabile ricchezza cromatica dei campi, rimandò di alcuni giorni il ritorno nella Capitale, preferendo soffermarsi a fotografare la nostra esaltante natura jonica!
Con l’obbediente ed agile Simca 1000, guidata abilmente da Jimmy, ci azzardammo persino a percorrere approssimative mulattiere e impossibili strette piste di campagna e di montagna, impattando pericolosamente arbusti e rovi. Ah, cosa non si fa per amore del proprio paese! Si travalica addirittura la giovanile incoscienza!… Ma la bellezza del territorio era inebriante e il desiderio di documentarla (il più possibile tutta) era incontenibile. Come gli esploratori avvinti dallo stesso motivo della ricerca, io e Jimmy osavamo sempre di più finché non ci fermarono le prime ombre del crepuscolo. Che meraviglia persino il tramonto e quell’aria impregnata di profumo di mare, di fiori, di vegetazione, di frescura montana ed osannata da intrecciati cinguettii e richiami di uccelli, pecore belanti e mucche che richiamavano vitellini indisciplinati come noi. Un’orchestra sinfonica non avrebbe saputo fare o commentare meglio il tripudio di quella natura jonica che fece esclamare a Jimmy “Quanta bellezza mi sono perso lontano da questi luoghi!… Maledetta emigrazione!”…
Quel primo maggio 1975 realizzai centinaia di fotografie, in gran parte a colori per evidenziare e documentare la tipologia anche cromatica del nostro territorio. Panorami da tutte le angolazioni, alcune mai immaginate prima, aprendo ad altri fotoamatori o fotografi professionisti, un modo nuovo di guardare e vedere e leggere Badolato. Ne sono fiero ancora adesso! Ho vissuto e vivo pure ora il ricordo (che nutro sempre con grande ammirazione e tanto rispetto verso quei contadini) degli ampi e bene ordinati terrazzamenti sulle colline e persino a mezza montagna per coltivare ogni genere di prodotto, in particolare la vite per quel “vino di scoglio” che resta ancora oggi uno dei vanti dell’agricoltura e dell’abilità dei badolatesi (e di altri appassionati che, sullo Jonio, hanno le medesime condizioni geo-climatiche).
E gli uliveti? … giovani e secolari con i loro tronchi nodosi che sembrano una scultura vivente! E i frutteti?… E i parchi d’agrumi?…. e le “armacére”? … quegli efficientissimi muri a secco che rispettano l’ambiente e la natura!… E i fichi bianchi e neri come i gelsi bianchi e neri, i peschi, i mandorli, i pruni, i carrubi, i fichi d’india, i corbezzoli, i melograni, i meleti, i peri e i tanti alberi da frutta che hanno ingemmato e fatto gioire la nostra infanzia!… Nel secolo 16° le campagne di Badolato venivano chiamate “il Perù” tanto erano variegate nelle ottime e ricche produzioni e nella bellezza, nella redditività. C’era persino (documentata) la coltivazione della mitica e biblica “manna” (oggi relegata in una parte della Sicilia) … tanto è che c’è da noi addirittura il “Monte Manna”.
Caro Tito, la ricognizione di quel primo maggio 1975 mi ha reso un territorio badolatese ancora ben curato in modo abbastanza diffuso. Non era così negli anni passati, quando, per pura curiosità, nel gennaio 2012 ho voluto rifare gran parte di quello stesso giro effettuato con Jimmy e la sua valorosa Simca 1000. Peccato! Forse perché le generazioni, quelle di una volta che amavano la campagna, non ci sono più … ma sta di fatto che ho constatato un territorio impoverito e triste, nonostante qualche benemerita eccezione. E la società badolatese mi appare quasi irriconoscibile. Ogni volta che tornavo sul mio Jonio, a parte il mare e qualche buon amico, sentivo il mio antico orizzonte restringersi sempre più. E il territorio non mi parlava come tantissime volte in passato. Ma torniamo a oltre 40 anni fa.
Dopo il Premio assegnatogli dell’Agosto Universitario, dal 1971 avevo cominciato a frequentare lo scrittore badolatese Nicola Caporale (1906-1994), il quale era un “pozzo di san Patrizio” su fatti, persone e avvenimenti del nostro paese, per il cui progresso si era speso in modo alacre e continuo, fino a rimanerne deluso e amareggiato (come gran parte di chi ha visto vanificato l’amore per Badolato). Egli, tra tanto altro, era un ottimo botanico amatoriale. Sottocasa curava un giardino di alberi da frutto e molteplici piante ornamentali, davanti alle quali bisognava passare per accedere all’appartamento posto sulla scuola elementare di Via Garibaldi 26. In alcuni periodi dell’anno, giungevo a bussare alla sua porta che ero inebriato e quasi stordito dall’intensissimo profumo di tutte quelle presenze odorose e belle pure a vedersi! Nicola Caporale, pure come poeta e pittore, amava smisuratamente la natura. Inoltre era stato cacciatore e, quindi, conosceva a menadito tutto il nostro territorio. Chi meglio di lui poteva ragguagliarmi sulle caratteristiche delle nostre campagne, ch’Egli aveva pure dipinto nelle varie stagioni dell’anno?!…
Così mi rivelò una cosa che non sapevo. In pratica, mi diceva che (prima delle attuali medicine a sintesi chimica) erano in gran parte piante e fiori ed erbe a fornire la materia base per la farmacopea tradizionale. E il territorio jonico era ricercato dalla case farmaceutiche proprio per la ricchezza di flora medicinale. Non a caso, gli Olandesi avevano scelto nel dopoguerra la zona di Monasterace Marina (a 15 km da Badolato Marina) per la coltivazione di fiori e piante da vendere poi in tutto il mondo. Il clima qui è ottimo.
E non fu un caso che la signora Margot Yvonne ALMOND, a seguito del clamore pure nella sua Austria di “Badolato paese in vendita” sia venuta sullo Jonio nel 1987 per comprare una casa rurale con attorno un esteso terreno dove coltivare piante esotiche (tra cui cactus giganti). Margot era diventata solare amica di tutti ed apprezzava molto questo nostro territorio. Soleva ripetere che aveva girato quasi tutto il mondo e che solo qui aveva trovato il clima e le condizioni più adatte per le sue coltivazioni. E lo ha ripetuto e dimostrato pure davanti alle telecamere di Rai Uno – Linea Verde nel febbraio 1988. Peccato che fosse giunta da noi che era ormai una donna avanti con gli anni! Ma, anche con qualche difficoltà, era così felice della sua pur isolata campagna jonica … tanto che è rimasta qui, impavida e con molto coraggio, per ben 16 anni … fino a quando l’età avanzata e i timori della figlia la fecero tornare in Austria, sul lago di Costanza. A questa ammirevole donna, pure per riconoscenza e gratitudine del suo amore per questa nostra terra, ho dedicato uno significativo spazio (con 4 belle foto) dalla pagina 76 alla pagina 79 del sesto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2007).
Da alcuni anni, vengono rivalutate le erbe benefiche. Si fanno mostre, convegni e varie manifestazioni. Siamo in tanti ad essere tornati alla … “natura” pure per tisane che s’erano dimenticate. Molti hanno ripristinato le erbe commestibili che però non si coltivano ma vivono sui prati. E, devo proprio dire, che l’insalata verde (pure con erbe montane e marine) risultano essere un mix assai gradevole e genuino. Avevamo dimenticato che il nostro territorio è ricco di preziosità che fanno bene alla nostra salute!
Caro Tito, non vorrei dilungarmi, pure perché avrai immaginato già la consistenza del discorso. Penso di continuare a descriverti le maggiori potenzialità del nostro territorio in una prossima apposita lettera! Quindi, ringraziandoti come sempre, come sempre ti saluto molto cordialmente.
Domenico Lanciano – Azzurro Infinito, lunedì 07 agosto 2017 ore 23,14