Caro Tito, il recente grande e bellissimo murales realizzato (all’esterno dell’Istituto Nautico “Gioieni-Trabia” di Palermo) con il volto sorridente degli indimenticabili magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (entrambi, come narrano le cronache, martirizzati dalla mafia molto probabilmente in concorso con alcuni settori deviati dello Stato, o viceversa, tra il maggio ed il luglio 1992) mi ha fatto venire in mente la proposta (fatta al Partito Comunista di Badolato nel marzo 1975) di realizzare 35 murales sulle pareti esterne di altrettante palazzine popolari della frazione Marina. Ti racconto il fatto, cominciando da come ci sono arrivato.
Devi sapere, infatti, che nel 1969 (in piena contestazione studentesca ed operaia), un gruppo di ragazzi milanesi realizzò alcuni “murales” (descrittivi e politici) su delle pareti esterne di case nel paese di Orgosolo in Sardegna. Era la prima volta in assoluto che in Italia venivano eseguiti i “murales”. La fama del luogo (ricordiamo il drammatico film “Banditi ad Orgosolo” del 1961 del regista calabro-siculo Vittorio De Seta), gli stessi temi dei murales e l’ideologia degli artisti (prevalentemente anarchici) fecero sì che se ne occupasse con grande clamore la stampa nazionale. In questo modo venni a sapere dei murales che, diffusisi poi immediatamente in altri paesi sardi, attraevano un gran numero di curiosi, turisti ma anche di artisti interessati a tale particolare tecnica pittorica da realizzare in altre parti d’Italia.
I servizi giornalistici più accorti evidenziavano che l’arte dei murales era nata in Messico, proprio per descrivere e celebrare la rivoluzione del 1910. Nel Paese centro-americano si creò un movimento culturale ed artistico che ha fatto diffondere il metodo dei murales nel resto del continente e, quindi, via via, in Europa e in altri Paesi del mondo. In Calabria, la capitale dei murales potrebbe essere considerata la cittadina di Diamante, sulla costa tirrenica cosentina, nota anche per essere capitale del peperoncino con l’annuale festival. Pure i murales contribuiscono (assieme a tanti altri eventi, manifestazioni e tradizioni) a ritenere assai interessante visitare quella splendida località marina e a trascorrere beate vacanze anche nei dintorni.
I più informati fanno derivare la narrazione pittorica fin dalle incisioni rupestri (autentici “murales” delle epoche preistoriche e non solo). Infatti c’è proprio un libro intitolato “Dalle pitture rupestri ai murales” (di C. Branca, G. Cellini, A. Diomede, G. Pepe). In effetti, dalle caverne ai grattacieli, ogni popolo, ogni civiltà ha lasciato tracce dei suoi racconti storici ed esistenziali attraverso ogni tipo di scrittura (oggi persino con giganteschi “murales” luminosi … soprattutto di pubblicità, New York docet). Giusto per restare a casa nostra, in Italia, quasi tutti abbiamo visto (da vicino o in TV) i bassorilievi in marmo della Colonna Traiana (113 d. C.) o della molto simile Colonna Aureliana (192 d. C.), fatte realizzare al centro di Roma dai rispettivi imperatori per illustrare e narrare le loro distinte imprese militari (attraverso strisce consecutive mosse a leggera spirale verso l’alto, quasi come un “fumetto” di oggi che però si dispiega in orizzontale).
Ma è soprattutto nel medioevo e nel rinascimento che la narrazione pittorica è stata preferita su ampi spazi (dentro e fuori gli edifici) per l’esigenza del potere (principalmente politico e religioso) di celebrare con grande enfasi eventi storici e di educare specialmente le masse popolari ai valori della Bibbia e del Vangelo. Infatti, tutte le imponenti pitture descrivevano scene tratte dai racconti del vecchio e del nuovo Testamento oppure di santi celebri o locali (poiché anche le chiesette rurali a volte avevano pregevoli affreschi di questo tipo). Erano, dunque, pitture didascaliche o celebrative, come poi lo sono stati i grandi e splendidi arazzi realizzati con vari tessuti in Europa e collocati in regge, palazzi nobiliari, sedi istituzionali, case private. Giusto per citare le realizzazioni più famose, ricordiamo l’enorme dipinto murale della “Battaglia di Anghiari” (Leonardo da Vinci 1503), i cicli pittorici di Giotto ad Assisi (1992-96) e a Padova (1303-5), la Cappella Sistina di Michelangelo in Vaticano (1537-41) su una superficie di ben 1200 metri quadrati!
E, in effetti, non potrebbero sfuggire a tale classificazione (di auto-celebrazione e di pedagogia sociale) nemmeno i murales moderni, mentre i graffiti urbani hanno meno pretese (realizzati persino sui vagoni dei treni, sugli autobus e ovunque è possibile intervenire con le attuali tecniche di fissazione veloce dei colori). Attorno a tali tecniche sono sorti movimenti variamente ispirati pure nelle esecuzioni espressive, come la “street-art” (arte di strada), spesso scollegate tematicamente e idealmente dai contesti dove vengono eseguite. Altra arte di strada è quella dei cosiddetti “Madonnari” che dipingono figure religiose (soprattutto Madonne, da ciò il nome) sulle pavimentazioni di piazze, spiazzi e marciapiedi ma con i gessetti colorati, per cui alla prima pioggia tutto svanisce. Invece, i murales tendono ad essere dipinti durevoli o indelebili, pure per la forza espressiva che comunicano e per la identità ideologica che s’intende dare al proprio dipinto, alla propria scena, alla propria opera complessiva e di stile personale o di gruppo.
Nell’estate 2014, come già sai, ho tentato di proporre ad alcuni artisti italiani (tra cui Roberto Giglio, architetto di Badolato impegnato a valorizzare il nostro borgo) la “SPOP-ART” l’arte dello spopolamento, per descrivere principalmente e attirare l’attenzione della società e delle istituzioni sullo spopolamento e la morte dei paesi e dei borghi, in particolare di quelli montani delle Alpi e degli Appennini, emblematici esempi pure di altre realtà europee e globali. Ma l’idea-proposta (almeno finora) non ha avuto alcun sèguito, forse perché tale tema specialistico non è sufficientemente sentito a livello artistico-pittorico-descrittivo.
Probabilmente tutto confluisce nei “murales” comunque sia lo stile o l’ispirazione, ma la “Spop-Art” non è soltanto “murales” ma dovrebbe usare tutti i mezzi espressivi dell’arte e della comunicazione sociale (persino teatro, film e musica) per evidenziare uno dei più drammatici problemi della nostra epoca … la morte dei paesi medievali! O, meglio, il genocidio dei borghi!… Spero che da qualche parte, prima o poi, si possa fare un “Festival della Spop-Art” come momento descrittivo, artistico ma anche forma di protesta contro lo spopolamento che aumenta sempre più fino alla distruzione di un’intera civiltà e sistema produttivo, idrogeologico, ambientale e socio-culturale. Badolato e i paesi attorno sono ancora molto coinvolti in tale rischio di scomparsa persino geografica, nonostante gli attuali sforzi di salvezza!
E, poiché i murales di Orgosolo e dintorni del 1969 tentavano di descrivere la vita e le lotte degli operai, dei contadini e di altri ceti popolari (compresa l’emigrazione), nel marzo 1975 proposi la realizzazione di “murales” ai comunisti badolatesi pure con lo scopo di descrivere e celebrare la vita e le lotte locali e nazionali per la terra, per il lavoro. Badolato era conosciuta in Calabria come “la roccaforte rossa” non soltanto perché (già nell’immediato dopoguerra 1943-48) quasi tutti gli abitanti erano comunisti ma soprattutto perché la classe dirigente comunista aveva contribuito a creare sezioni del PCI in taluni paesi calabresi dove ancora tale partito non aveva attecchito e (specialmente dal 1944 al 1960) aveva realizzato lotte davvero importanti. E’ stata un’epopea! Un’epopea che andava raccontata possibilmente con tutti i mezzi espressivi!
“Generazione epica” ho definito tale classe dirigente e l’intero popolo di Badolato dell’immediato dopo-guerra … “generazione epica” ho evidenziato nella tesi di laurea e in altri scritti e ripetuto in eventi pubblici. Quel movimento di popolo (anche non comunista), guidato dal PCI, era davvero una generazione che aveva dato un grosso contributo all’emancipazione delle masse rurali e a tante altre meritevoli azioni, tra cui restò famoso anche all’estero lo “sciopero a rovescio” del 1950-51 per la costruzione di una strada di collegamento per le Serre, ma ancora prima l’impresa popolare del ripristino rapido dell’acquedotto interrotto dal terremoto dell’11 maggio 1947. Per il PCI badolatese, inoltre, fu una grande prova di coraggio (sicuramente di attenta ed appassionata amministrazione) la costruzione di Badolato Marina lontana 6 km dal borgo originario (335 case popolari per circa duemila senzatetto) dopo le disastrose alluvioni del 1951 e 1953. Ed altrettanto sollecito è stato il governo De Gasperi nel far nascere abbastanza bene e a tempo di record le altre Marine joniche, come gemmazione dei borghi collinari e montani alluvionati.
Tutte cose che il PCI però non ha inteso affidare alla memoria storica delle future generazioni (come, ad esempio, la mia). Infatti, a me (che ne avevo sentito parlare poco) è toccato intervistare mezza Badolato ed effettuare faticose ricerche bibliografiche per saperne qualcosa di meglio e di più. Avevo spesso sollecitato, in ogni occasione utile, i comunisti di Badolato a fissare la loro epopea nei libri, nelle foto, nelle fonoregistrazioni sistematiche di testimonianze dei tanti protagonisti (finché erano vivi). Invano!… pur essendomi sempre reso disponibile persino a donare tutta la mia documentazione e ad aiutarli in questo dovere di trasmissione storica e di tradizione socio-culturale e … politica. Nulla di fatto, purtroppo!
Ancora oggi, 30 luglio 2017, non c’è una descrizione completa e sistematica (autorizzata dalla fonte ex PCI) che (a stampa, a voce, a immagini o sul web) possa essere strumento di conoscenza garantita per le presenti e le future generazioni, le quali (nate, in gran parte, molto dopo l’epopea comunista) poco o niente sanno della Storia di Badolato dal 1943 in poi. E non fa certo onore a nessuno tale mancanza! Anzi! Ma non deve meravigliare, poiché Badolato mi sembra essere “il paese delle occasioni mancate” (da ciò che ho potuto osservare direttamente, almeno dal 1957 a questa parte, praticamente negli ultimi 60 anni).
Poiché le avevo provate tutte e pensando alla “volta buona”, ho proposto un altro sistema (forse pure più visibile e con maggiore ritorno di consensi) per raccontare l’epopea della generazione epica. Infatti, rifacendomi ai murales sardi, ho più volte esortato il PCI badolatese a cominciare a realizzare, proprio attraverso i murales, la narrazione delle imprese politiche non soltanto del partito ma anche di tutti i badolatesi (di ogni colore politico) che hanno contribuito a portare a termine tante rivendicazioni per i diritti personali e sociali. Infatti lo “sciopero a rovescio” è stato un moto popolare di tutti indistintamente gli abitanti e i partiti, poiché si trattava del maggior progresso di Badolato attraverso uno utile sbocco viario verso i paesi della nostra montagna. Al fine di mostrare praticamente dove avrebbero potuto essere localizzati i “murales” … avevo realizzato ben 35 foto, tante quante erano le case popolari di Badolato Marina che avevano un’intera parete libera o con una finestra soltanto. Ogni parete aveva una superficie utile di circa 80 metri quadrati … uno spazio sufficiente per narrare qualsiasi evento storico attraverso un murales ben fatto e sicuramente suggestivo ed attrattivo!
Ho mostrato ai dirigenti del PCI locale le foto di queste 35 pareti che avrebbero potuto evidenziare murales celebrativi e descrittivi. Tenevo i contatti in particolare con l’artista più riconosciuto del PCI badolatese, quel Vincenzo Piperissa (comunemente ed amabilmente denominato “Cenzu u Longu” perché è alto, lungo) che aveva collaborato con me nel maggio 1961 come disegnatore nella realizzazione del giornale del primo centenario dell’Unità d’Italia, quando frequentavamo la quinta elementare. Vincenzo, amico fin dai banchi di scuola, era davvero un bravo pittore ma assai discontinuo e distratto dal suo (anche troppo ricercato) “esistenzialismo” fatto di politica, sindacato, sport, amori, teatro, canzoni popolari e tante altre attività che facevano corona al suo lavoro principale (infermiere all’ospedale di Soverato). Un artista a tutto tondo! … però non saprei adesso dire cosa resta veramente di lui quanto ad arte pittorica sistematica, essendo stato alquanto dispersivo quando invece avrebbe potuto essere un vero nome d’arte. Resta, comunque, una personalità poliedrica e onnipresente nella vita politica e sociale di Badolato e dintorni (e, quindi, assai influente)… tanto da giocare quasi sempre ruoli strategici e tanto da essere diventato sindaco nella primavera del 1987 ed anche componente essenziale in altre successive amministrazioni comunali.
E, nel maggio 1987, proprio in veste di sindaco (quindi di maggiore responsabile istituzionale) ha affidato al suo vice di comunicarmi (soltanto a voce e senza fornirmi nemmeno una benché minima spiegazione) il mio “licenziamento” da bibliotecario comunale … meglio sarebbe dire che l’Amministrazione comunista di Badolato non riteneva di dovermi rinnovare il contratto di un anno sottoscritto con apposita delibera dal precedente sindaco comunista Ernesto Menniti per il periodo 01 giugno 1986 – 31 maggio 1987 quando, tra tanto altro buon lavoro, ho portato (tutto e sempre a mie spese, è bene precisare) il nostro borgo semi-spopolato all’attenzione internazionale come “paese in vendita” contribuendo a iniziare una rivitalizzazione che ancora dura (sebbene pure con il concorso di altre utili situazioni in seguito intervenute). Non ho avuto nemmeno l’onore di essere convocato e di sentirmelo dire direttamente dal lui che era il sindaco (ed era pure vecchio amico, avendo condiviso, nonostante la diversità politica, tanti momenti sociali di particolare significato pure per Badolato e dintorni)! Amen!
Pur rispettando doverosamente e pienamente la discrezionalità di un’Amministrazione pubblica che decide di non rinnovare un contratto, dal punto di vista umano non posso non ricordare Vincenzo Piperissa come il “sindaco del mio esilio” nel maggio 1987 (era stato eletto appena un mese prima). Il caro e vecchio amico Vincenzo sa bene che lo riterrò sempre e comunque “sindaco del mio esilio” pur continuando a volergli bene come fin dall’infanzia (ormai ciò che è stato è stato ed io sono sopravvissuto abbastanza bene, tutto sommato, e ne sono davvero davvero assai felice, nonostante non mi sia stato permesso di essere utile al mio paese per il cui progresso mi ero preparato e già lavoravo). Molti mi rimpiangono ancora!
Purtroppo il settore cultura e turismo di Badolato, dopo di me non è stato curato adeguatamente (ad eccezione dell’affidamento della Biblioteca Comunale per qualche tempo all’associazione “La Radice” nel dicembre 1999, dopo 11 anni dalla mia estromissione, e poi sempre molto precariamente ad un signore per poi non funzionare più). A dimostrazione che coloro i quali in Badolato hanno governato (salvo eccezioni) non intendono organizzare adeguatamente e bene le risorse culturali, come dimostrerò raccontandoti le vicende della biblioteca e del turismo tra 1981 e 1988.
E, paradosso dei paradossi, ero stato proprio io il primo a spingerlo a candidarsi sindaco (quando lui nemmeno ci pensava o lo avrebbe creduto possibile), durante il nostro viaggio in treno del 19-20 febbraio 1987 verso Wetzikon (Cantone di Zurigo, Svizzera) dove andavamo a spiegare ai nostri emigrati la vicenda del “paese in vendita” (il 22 febbraio). E’ pur vero, come afferma la saggia tradizione orale, che di solito i più dolorosi dispiaceri ci provengono maggiormente da vecchi amici, da stretti familiari e da cari parenti piuttosto che da sconosciuti o semi-sconosciuti!
Ma diceva Buddha (India 566 – 486 a.C.), il fondatore della religione buddista (nato 566 anni prima di Cristo e coevo di Pitagora di Crotone!): “Perdona gli altri, non perché essi meritano il perdono, ma perché tu meriti la pace”!… Non ci crederai, caro Tito, ma è il medesimo concetto che mia madre (analfabeta) soleva ripetere, con altre parole e in dialetto, quando esortava noi figli a comprenderci e a compatirci a vicenda (pure con gli altri), a raggiungere la concordia, la pace e l’armonia!… “Vogghyu a paci!” (Voglio la pace!) era il suo eterno ritornello. Significativa l’antica saggezza popolare! Come darle torto!?…
Dunque, dal marzo al maggio 1975 Vincenzo ed io ragionavamo pure sui materiali migliori, più espressivi, resistenti e duraturi da applicare alle 35 pareti per i murales descrittivi e celebrativi dell’epopea popolare badolatese (e calabrese) del dopoguerra. Pur se il costo era maggiore, rimanemmo d’accordo che il migliore metodo era fare i nostri murales in mosaico o in ceramica, che sono i più duraturi e si difendevano bene dal sole e dalle intemperie. Così concordammo che nell’imminente estate 1975 si sarebbe potuto realizzare almeno un murales-prototipo, uno dei due fattibili sulla piazza Giuseppe Pisani, di fronte al bar che oggi ha nome Solesi e che allora si denominava “Tre Ancore” (appartenente sempre alla stessa famiglia Criniti del mio amico d’infanzia Pietro). Vincenzo Piperissa avrebbe dovuto essere il direttore artistico e il supervisore dell’operazione “Murales di Badolato” ed insieme avremmo cercato i fondi economici e gli artisti disposti ad eseguire le opere, scegliendo il tema e la parete. Anzi, mi diceva Vincenzo, se non nel 1975, ma nell’estate 1976 sarebbe stato possibile fare (come in altri paesi) un apposito concorso e far venire gli artisti tutti insieme, così si sarebbe fatta maggiore e migliore cultura, creando pure più movimento ed attrazione turistica (forse anche più clamore sui giornali). Perfetto!
Però, poi, dopo qualche settimana, entrammo in campagna elettorale per le comunali del 15 giugno 1975. A tale competizione politica-amministrativa subentrò la “mia” Terza Lista (di cui ti dirò più in là) e così Vincenzo mi ha negato la sua antica amicizia (poi ripresa dopo qualche tempo), per il solo fatto “democratico” e “costituzionale” di aver dato vita ad una lista alternativa a PCI e DC. Evviva la democrazia! Evviva la Costituzione repubblicana! Evviva le regole del gioco politico!…
Ovviamente, non si parlò più dei “Murales di Badolato”. Non soltanto Vincenzo, ma gran parte dei comunisti di Badolato mi hanno emarginato, non risparmiandomi ogni sorta di malevole commento (diciamo così), per cui mi trattavano quasi da “nemico” (alcuni persino sul piano personale!). Per fortuna che il PCI mantenne il potere al Comune … altrimenti non so proprio cosa avrebbe potuto succedere. Comunque, per i comunisti sono sempre rimasto come colui che voleva togliere il Comune al PCI. E sotto questa luce, ho dovuto subire molte umiliazioni ed aggressioni verbali (e, diciamolo pure, da qualcuno persino “minacce di morte” non so quanto veritiere, pur nella forsennata foga elettorale, ma il tipo non era dei migliori, come la cronaca nera di anni successivi ha evidenziato).
Con questo sfavorevole clima nei miei confronti (molto ingiusto a mio parere) sono naufragate tutte le mie proposte che man mano (ricerca dopo ricerca su Badolato) proponevo all’amministrazione comunale comunista … perciò neanche più a parlare di “Murales di Badolato” anche se, a ben vedere, avrebbero potuto e dovuto essere veramente la celebrazione delle loro lotte sociali e politiche! Il tutto contribuendo pure come “attrazione” culturale e turistica, anche con qualche significativo ritorno economico. Era loro interesse una simile iniziativa che nel 1975 nessun paese della nostra zona jonica aveva ancora intrapreso!
Una curiosità. I comunisti badolatesi preferivano emarginare me e gli altri componenti della Terza Lista, non curandosi del fatto che fin troppi elettori si dichiaravano stufi della piega che aveva preso il loro governo comunale … tanto stufi che, poi, nel 1980, dopo 34 anni di ininterrotto potere, i comunisti entrarono al Comune come minoranza per i consueti cinque anni, per poi riprenderlo nel 1985. Forse avevo visto bene e lontano nel realizzare (anche se soltanto come verifica “sociologica” per quel che mi riguarda) una lista alternativa sia al PCI che alla DC. I fatti, poi, mi diedero ragione. Avevo ottenuto la mia piccola soddisfazione a fronte di un’infinità di denigrazioni. Il PCI badolatese non aveva fatto tesoro della Terza Lista!…
Sempre nel maggio 1975, avevo già individuato alcune pareti non impattive per la realizzazione di murales pure al borgo, cioè a Badolato Superiore. Il Partito Comunista, sempre tanto zeppo di artisti, avrebbe potuto veramente organizzare un evento estivo così tanto rilevante (con gran ritorno di immagine, diremmo oggi) da prendersi un merito che non poteva non giovane a livello locale, provinciale e anche nazionale. Avevo pensato che si sarebbe potuto mettere su un “campo estivo” (così come accadeva allora e accade anche adesso in alcune zone con l’interesse e l’aiuto di Comuni, di Pro Loco o di associazioni varie).
Un’altra curiosità. L’amico prof. Vincenzo Squillacioti (con cui ho condiviso mille premure per Badolato fin dagli anni sessanta) nell’autunno 1986 (appena iniziata la vicenda del “paese in vendita”) si fece promotore di “Badolato museo-territorio” … una formula formidabile (intesa anche come “Badolato borgo-museo”) che ha realizzato molto lodevolmente, sebbene in parte per mancanza di collaborazione, dal 1994 in poi in qualità di presidente e/o di direttore del periodico “LA RADICE” distribuito con una media di 2000 copie in Italia e all’estero, specialmente come prezioso collegamento con i badolatesi emigrati o esiliati.
Caro Tito, pure grazie alle molteplici esperienze fatte in oltre 60 anni di vita sociale, ritengo che la politica partitica (la “partitocrazia” per dirla con il compianto Marco Pannella) nei nostri paesi abbia rovinato e continua a rovinare gli stessi paesi, specialmente perché ha prodotto e continua a produrre divisioni spesso insanabili (persino tra familiari, parenti ed amici) impoverendo le comunità, invece di arricchirle di buon senso e di collaborazione indistintamente tra tutte le presenze politiche e sociali, poiché il paese è di tutti e tutti ci devono vivere, volenti o nolenti … quindi è meglio migliorare la qualità della vita proprio per tutti!
Ritengo altresì che il mal orgoglio, l’avidità (personale e di partito) e l’incultura (in senso generale) siano prime cause del disfattismo italiano, pure a livello nazionale. Sarà bene riflettere sulle origini delle povertà e delle insensatezze politiche, non soltanto in Italia. Personalmente, in tutti questi anni di azione sociale e culturale, ho assai riflettuto e penso che (se ritrovo gli appunti ed avrò pure salute e vita) qualcosa su tale argomento (la “vera democrazia sociale e politica”) scriverò, come testimonianza, pure perché tali valori benèfici sono la base indispensabile della serena convivenza umana, senza la quale non ci potrà essere né pace e né progresso, nonostante tutte le più splendide iniziative promozionali che pur potremmo mettere in campo, come questa (secondo me davvero bella ed utile) dei “murales”.
Grazie e tanta cordialità!
Domenico Lanciano Azzurro Infinito, domenica 30 luglio 2017 ore 19,06