Caro Tito, fa mi ha telefonato una carissima ed antichissima amica di famiglia, una di quelle persone che amo ascoltare al telefono pure perché parlano ancora un dialetto badolatese più stretto e tradizionale e, quindi, più autentico. Qui la chiamerò Celeste (anche perché lo è sempre stata di fatto, davvero angelica e paradisiaca). Lei è più grande di me di sei anni, è una super-nonna ed ha una sensibilità umana e sociale che ho riscontrato davvero in pochissimi. Ama come me le canzoni popolari del nostro paese e molte ne conserva trascritte sotto dettatura della madre. L’ho conosciuta quando lei aveva 17 anni ed era fidanzata con il ragazzo che poi sarebbe diventato suo marito, un bravissimo giovane e grande lavoratore, la cui famiglia era amica della mia. Qui lo chiamerò Cherubino. Sempre con tanto rigoroso, cordiale e reciproco rispetto, con Celeste ho condiviso numerosi e intensi momenti familiari, gioiosi e tristi, e pure per questo la porto nell’animo tra le poche e più deliziose e indimenticabili persone, davvero in assoluto. Ed assoluti erano l’onestà ed il candore suoi e del suo compagno di vita. Che gente davvero eccezionale! Mi è ancora difficile trovare una coppia di coniugi così meravigliosi! E, quando penso a loro, ho la prova che possano esistere gli angeli pure su questa martoriata terra.
Ricordo il giorno del loro matrimonio, erano entrambi giovani e belli, pure perché illuminati dal loro grande amore. Lei aveva appena 18 anni, lui poco di più. A quel tempo (parlo degli anni 50 e 60) c’era la consuetudine, alquanto consolidata, che un giovanotto si “cresceva” la ragazza che poi avrebbe portata all’altare. Insomma, il maschietto tradizionale teneva tanto a sposare una femminuccia conosciuta unicamente da lui (in tutto e per tutto), sotto il suo diretto sguardo e “controllo”. Doveva, appunto, “crescere” sotto i suoi occhi (e a volte anche sotto gli occhi dei propri familiari, spesso fin da bambina). Ovviamente non a tutti i ragazzi riusciva una simile grande “impresa” … sia perché le insidie erano troppe, specialmente se la ragazza era particolarmente bella, e sia perché le ragazze cominciavano a diventare sempre più “ribelli” a tale consuetudine … tanto è che oggi come oggi è ormai impossibile il verificarsi di un simile “miracolo” di esclusiva appartenenza fin dal primo sogno d’amore. A quei tempi, uno degli accorgimenti (per assicurarsi nel modo più assoluto ed unico la donna della propria vita) era quella di “adocchiarla” già nell’infanzia e, quindi, di “crescersela” (dopo aver fatto la dichiarazione di un amore serio e perpetuo) e di “sposarla” prima che raggiungesse i 20 anni. Infatti, una ragazza tradizionale (che non avesse intrapreso gli studi) se superava i 20 anni (o al massimo i 25) senza sposarsi avrebbe potuto dare adito a qualche pettegolezzo in più o addirittura a qualche “sospetto”.
Specialmente nella società contadina, si coltivava la convinzione che le donne avrebbero dovuto avere figli prima possibile, nel mentre che erano nel pieno della loro gioventù. In effetti la scienza medica conferma oggi ciò che i contadini sapevano già per conto loro da secoli (essendo sempre stati in diretto dialogo con la Natura) e cioè che l’età migliore per generare figli è tra l’avvenuto sviluppo psico-fisico (attorno ai 14-16 anni) fino ai 25 anni (almeno nelle nostre zone e a quei tempi). Ho avuto conferma di ciò pure qui in Alto Molise, dove ho conosciuto donne che si sono sposate a 15 anni ed hanno avuto i loro primi figli tra i 16 e i 20 anni (cosa oggi quasi impensabile).
Celeste divenne mamma per la prima volta attorno ai 20 anni. Ricordo bene quell’episodio, pure perché lei aveva una bellezza ed una luminosità (materna e femminile) tale che era impossibile non rimanere estasiati. La bellezza e lo splendore di Celeste erano dovuti sicuramente alle sue fattezze naturali e al suo dolcissimo carattere personale, a quello della famiglia di provenienza, ma anche al suo matrimonio felice, poiché con Cherubino è stato un incontro di vero amore e insieme formavano davvero una bellissima ed affiatatissima coppia.
Per lunghi anni, Celeste è stata uno dei miei principali modelli di bellezza, di femminilità e di donna riuscìta e felice. Tale convinzione è legata pure alla mia prima esperienza di partecipazione ad una serenata per gli sposi. Infatti, abitando al casello di Kardàra fino ai 12 anni (pur avendo ascoltato spesso cantare canzoni tradizionali badolatesi dai contadini che frequentavano quella contrada della mia nascita), non avevo mai assistito al rito della lunga serenata agli sposi durante la prima notte di nozze. Dico “lunga” perché durava appunto tutta la notte fino a quando, di prima mattina, familiari e più ìntimi amici erano ricevuti dalla giovane coppia a festeggiare ancora il loro matrimonio, ammettendoli (con malcelato orgoglio, come tradizione di onore imponeva) a vedere e constatare il letto della donata (o perduta) verginità (con le proverbiali macchie di sangue sulle lenzuola). Sono stato “testimone” di alcuni letti simili, negli anni sessanta a Badolato e dintorni.
La serenata per gli sposi Celeste e Cherubino è stata la prima in assoluto cui ho assistito e per tutta la notte. Da allora sono stato come rapìto e conquistato dalla musica e dai testi di quelle bellissime ed emozionanti canzoni d’amore!… Molte delle poesie che venivano cantate erano personalizzate, singolarmente o per entrambi gli sposi. Particolarmente commoventi erano le parole dei familiari, che, avvicendandosi davanti alla porta nuziale, raccontavano (come in un poema) la vita dell’una o dell’altro in modo tale che tutto sembrava prendere la magìa di una favola. Dopo qualche tempo ho saputo che quelle personalizzate erano “canzoni di testa” cioè inventate sul momento su una metrica tradizionale che ogni badolatese adulto ben conosceva e bene esercitava all’occorrenza.
Non c’era, infatti, badolatese (uomo o donna di qualsiasi età) che non sapesse cantare ed inventare canzoni all’istante e per qualsiasi occasione, lieta o triste che fosse. Infatti, ho conosciuto pure le nenie ed i racconti cantilenanti per celebrare la vita e la bontà del defunto durante i lutti, quando le donne usavano sciogliersi i capelli e pestarsi le membra in segno di grande dolore davanti alla bara (forse antica eredità delle cosiddette “prefìche” greco-romane). Le serenate per gli sposi e le nenie per il defunto avevano alcune somiglianze. Prima di tutto erano entrambe espressioni assai commoventi, pure perché entrambe le situazioni raccontavano un distacco da elaborare (seppure in modi diversi, anzi opposti). Gli sposi si distaccavano felicemente dalle loro famiglie per costituirne una propria e, pur tuttavia, provocavano una qualche sofferenza alle rispettive famiglie, ogni componente delle quali reagiva, cantando, a modo suo esprimendo sentimenti che spesso nascondevano un insospettato e morboso attaccamento al congiunto che intraprendeva la via della propria nuova vita.
Forse non a caso, dopo il giorno delle nozze più tradizionali, gli sposi erano “obbligati” ad accettare l’invito di parenti ed amici a pranzare con quella famiglia. Cosicché dipendeva dalla ampiezza interfamiliare e dal rispetto goduto dagli sposi se questi erano tenuti a sostenere una maratona (lunga settimane o addirittura mesi) di pranzi proporzionati alla gioia e all’ossequio ispirato dalla nuova coppia coniugale. Ho partecipato a tanti di questi pranzi, dati dai miei genitori in onore di parenti, che continuavano la festa di nozze e contribuivano pure ad elaborare il “lieto lutto” del distacco dagli sposi i quali spesso (sempre negli anni cinquanta e sessanta) erano destinati ad andare lontano, in luoghi di emigrazione quali potevano essere il centro-nord Italia, la Svizzera o la Germania o addirittura le Americhe o la lontanissima Australia, che si considerava veramente allora ai confini del mondo (essendo ancora la più sconosciuta e remota).
Queste tradizioni, veramente assai amorose ed intense (sia quelle del distacco per matrimonio o per morte), hanno toccato veramente assai la mia infanzia … tanto che ne custodisco una traccia tenera ed indelebile nell’animo mio più affettuoso per la mia gente ed il mio paese. Ma non c’erano soltanto quelli che considero “i canti del distacco” o “i canti dell’addio” (come le nozze o i funerali). Infatti, ogni lavoro aveva i suoi canti. Persino i lavori più faticosi. Ho visto e sentito cantare la mia gente mentre mieteva il grano, vendemmiava, raccoglieva olive, legava la vigna, zappava, costruiva case, pascolava, lottava politicamente oppure seguiva le funzioni religiose e in tante altre occasioni (come, ad esempio durante il carnevale o nelle serenate agli amici). Ogni luogo e situazione della vita sociale aveva i suoi canti.
Cosicché, quella dei canti del mio popolo è stata una tradizione che ho avuto la fortuna di constatare come e quanto fosse bella, ma anche di assimilare quando non si era ancora affievolita nelle sue espressioni quasi quotidiane. E me ne sono innamorato così tanto da voler andare in giro per tutto il paese, dalle persone che avevano fama di sapere tutti questi canti, per registrarli fonograficamente e per annotarne i versi, molti dei quali restano autentica e sublime “Poesia”. Le tradizioni canore di Badolato mi hanno fatto amare questo paese e questo popolo davvero con tanto slancio e convinzione, poiché il canto è uno dei modi migliori e più autentici per conoscere e capire più nel profondo una persona e una comunità. Badolato della mia infanzia e della mia giovinezza cantava sempre … cantavano pure i miei genitori e gli altri familiari e parenti. Badolato, infatti, è conosciuto (anche all’estero) pure perché è uno dei paesi con una più ricca tradizione di canti popolari. Il suo patrimonio, in numero e qualità, è senza dubbio uno dei più importanti del meridione italiano ed è una delle dimostrazioni che la felicità non è condizionata dalla povertà o dalla miseria. In seguito ho avuto ampie dimostrazioni che la felicità è legata all’onestà, alla frugalità, alla solidarietà, al dono e alla reciprocità affettuosa ed amicale … proprio come erano Badolato e quasi tutti gli altri paesi della più semplice ruralità ricca di valori umanistici e sacri.
Da allora, dalla mia primissima serenata agli sposi (Celeste e Cherubino), per me è sempre stata una gioia sublime poter partecipare non soltanto ai canti nuziali ma anche alle più consuete serenate per gli amici. E ancora adesso vado in estasi anche per tutti gli altri tipi di canto popolare, specialmente per i canti della Settimana Santa. Mi piace così tanto la letteratura badolatese (soprattutto canora) che avevo tentato di realizzare, nell’estate 1987, assieme all’allora presidente della Pro Loco, Pasquale Nisticò (neo-medico chirurgo), un primo “Festival delle Serenate” ma senza poterlo effettuare per vari motivi, indipendenti dalla nostra pur buona volontà. Avevamo già stampato persino i manifesti murali di cui conservo ancora qualche copia tipografica originale! … Sono stato perciò assai lieto quando, poi, dopo tanti anni da quel primo tentativo, ho constatato che altri siano riusciti a realizzare al borgo antico e con molto successo e in più edizioni non soltanto il “Festival della canzone popolare” … ma anche grandi raduni nazionali di “tarantella” (Tarantella Power) e, adesso, per il 23-24 aprile 2016 è in programma sul lungomare di Badolato Marina addirittura il primo “Festival della canzone calabrese”.
Riguardo la tarantella, nel corso della mia vita a Badolato ho avuto la preziosa opportunità di vedere ballare un tipo di tarantella che ormai è andato in disuso, ma che era quello più congeniale, poiché unisce la tarantella originale, quella del corteggiamento e quella della gelosia … la tarantella ballata con il coltello, durante la quale i due maschi si contendono una donna, schermando la sfida con i coltelli in un rito tanto appassionante quanto intenso e coreografico. Inoltre, ho avuto il sommo piacere di vedere ballare con tanta foga e focosità (ma anche tanta grazia di movenze) la tarantella da numerosi turisti (specialmente esteri), trascinati dentro al vortice terapeutico dei ritmi sincopati e accelerati di questa antichissima e travolgente danza, che da qualche decennio è stata ripristinata e valorizzata a livelli internazionali nelle regioni meridionali italiane, specialmente nella Puglia salentina (come la “taranta” di Melpignano, di Cursi e di altri paesi della provincia di Lecce). A Badolato la tarantella veniva ballata anche e soprattutto durante le feste religiose. Famosa era la tarantella ballata al suono di zampogna e ciaramella attorno al santuario della Madonna della Sanità (in agosto), il che mi ha fatto pensare ad una qualche attinenza tra tarantella e salute presso i santuari di epoche pre-cristiane. Infatti, la tarantella è ritenuto un ballo terapeutico, quasi un antico esorcismo.
E non a caso Badolato è così attivo in tale tradizione, antica e nuova, sia creativa che organizzativa. Ci sono parecchi gruppi di semi-professionisti che hanno composto proprie canzoni dialettali che hanno diffuso con gli attuali mezzi multi-mediatici, come ad esempio Mimmo Audino (leader della “band” dei Marasà) o Andrea Naimo (ex Euro Universal, ex Quinte Colonne, ex Bronzi di Riace, ex Bronzi) che ha addirittura una propria etichetta musicale-editoriale, la Namus. Ed io stesso ho collaborato con Andrea Naimo e con il cantautore calabrese Claudio Sambiase (Zagarise 1949, residente a Milano) con testi dialettali che loro hanno bellamente musicato, come ad esempio “Pe’ fortuna ca nci sini tu” (Per fortuna che ci sei tu, con Andrea, nel 1985) e “Cumanda a panza” (Comanda la pancia, con Claudio, qualche anno fa).
Ogni volta che ascolto una serenata mi ricordo di Celeste, andata in sposa a 18 anni, nella sua più sfavillante e speranzosa bellezza. Allora, ripeto, era la prima serenata alla quale partecipavo, avevo appena 12 anni e, quindi, fu facile ed immediato per me identificare Celeste come la sposa-ideale (protagonista di una favola felice) cui venivano dedicate tutte quelle canzoni, quelle musiche, quelle commozioni … perché, sì, immancabilmente si commuove e commuove o piange chi dedica e canta le canzoni agli sposi nella loro prima notte (mentre questi sono intenti ad amarsi anima e corpo). Perciò, non sono soltanto belle e suggestive le serenate di per sé stesse, ma sono anche suggestive e coinvolgenti proprio per i sentimenti che vengono espressi e vissuti davanti alla porta della casa dove gli sposi sono immersi nelle delizie dell’amore. Che meraviglia questa tradizione che allietava la prima notte d’amore degli sposi, ma anche molte altre notti a seguìre (se la coppia era tanto amata da familiari ed amici). Infatti, più la coppia veniva allietata di serenate per numerose altre notti e più aveva prestigio nella comunità. Inoltre, ricordo, era consuetudine che, a turno, tutti i loro familiari e parenti avevano come ospiti a pranzo gli sposi, nei giorni immediatamente quello della festa matrimoniale. Pure questa tradizione aggiungeva prestigio ed affetto alla neo-formata coppia di sposi, stringendo ancora di più legami già saldi.
Adesso, purtroppo, tale bellissima tradizione è quasi sparita, poiché molte giovani coppie (specialmente dagli anni 70 in poi) hanno preferito sposarsi lontano dal paese, in santuari famosi, rinunciando così pure all’antica ritualità delle serenate. Adesso, quasi che tutte le coppie partono per un viaggio di nozze (preferibilmente all’estero) appena concluso il sempre più abbondante e sfarzoso pranzo nuziale, mentre prima bastava un semplice, frugale ma assai lieto rinfresco in casa. Dico spesso a Celeste che è stata fortunata ad avere assaporato quelle antiche tradizioni che personalizzavano la festa, mettendo gli sposi al centro del mondo in modo così tanto amorevole da rendere quel giorno davvero un grande e solenne evento per tutta la vita quale in effetti era, pur nella povertà di quei tempi. Un vero e grande evento quale oggi non dà l’impressione di esserlo, nonostante ricchezza o opulenza, pure perché i matrimoni sono sempre più consumistici e formali. E c’è da dire che sempre più giovani coppie evitano le festa matrimoniale (civile e religiosa) per convinzione, per laica convivenza ma anche per mancanza di denaro, poiché alcuni ceti sono, in proporzione, più poveri oggi addirittura dei poveri degli anni cinquanta e sessanta.
E Celeste è stata fortunata pure perché c’è uno, come me, che la celebra e pensa ancora e sempre che la bellezza di una sposa-tipo e ideale sia quella sua, così luminosa e splendente, semplice ed autentica, giovinezza esuberante, così indissolubilmente legata al giorno del suo matrimonio prima e poi a quella della sua prima notte d’amore, impreziosita dalle avvincenti serenate. Per Celeste era la prima notte, per me era la prima serenata nuziale vissuta. Sono ancora assai lieto che la mia prima serenata (la mia prima notte canora) sia stata quella in onore suo!… E lei lo sa!… E se ne compiace!
Serenate e canti popolari che, ripeto, hanno contribuito tantissimo a farmi amare Badolato e il suo popolo. E se finora non ho dato alle stampe i tantissimi testi di canzoni raccolte nel corso di tutta la mia vita … è soltanto perché Badolato non mi ha permesso (facendomi restare alla Biblioteca Comunale) di potermi dedicare a questo tipo di cultura sua molto originale ed identificativa così come pure alla valorizzazione di tutto il suo enorme patrimonio storico-culturale (come avevo già cominciato ad evidenziare a livello pure internazionale, primo in assoluto anche nell’interzona). Chi ci ha perso, così, alla fin fine?… Tutti. Tutti abbiamo perso!… Perché, alla fine, perdiamo tutti. Nel male siamo tutti perdenti così come nel bene siamo tutti vincitori!…
Un pensiero particolare voglio riservare ai tamburi di Badolato, così incalzanti che il loro suono rimbomba nello stomaco prima che nel cuore e nella mente. A me piacciono tantissimo i tamburi di qualsiasi genere e in qualsiasi occasione. Ho imparato ad amarli non soltanto alle feste religiose ma anche quando a Badolato si mettevano davanti ai cortei degli scioperanti … e questo mio paese è vissuto di scioperi, specialmente prima e dopo il periodo della mia infanzia e fanciullezza. Ah, i tamburi della mia infanzia!… E, nei miei viaggi per il mondo, mi sono esaltato al suono dei tanti tamburi locali e, massimamente, a Braga (nord Portogallo), dove nella ricorrenza del 24 giugno (San Giovanni) si sfidano tantissimi gruppi di tamburi che, poi, suonano insieme lungo le strade della città. Una eccelsa e sublime meraviglia!… Rullano ancora nella mia anima!…
Caro Tito, oltre al fascino e al grande ricordo della bellezza giovanile e nuziale ma anche attuale di Celeste, c’è un altro episodio che mi lega a Badolato fin dalla mia prima infanzia … la prima partita di pallone. Come già sai, molte delle nostre marine joniche sono nate a sèguito di alcune calamità naturali (come il terremoto del maggio 1947 e le disastrose alluvioni del 1951-53) e delle conseguenti calamità sociali (quelle endemiche della povertà che ha generato ripetute emigrazioni). I primi 78 alloggi per i senza-tetto badolatesi dell’alluvione del 17-18 ottobre 1951 furono consegnati direttamente dall’allora capo del governo Alcide De Gasperi venuto appositamente sullo Jonio e, quindi, pure nella marina di Badolato il 24 marzo 1952 (data ufficiale di nascita di Badolato Marina), ma le 335 case complessive e le infrastrutture (la chiesa, l’edificio scolastico, quello della pretura, ecc.) furono terminate nel 1956. Però, già, attorno al 1954 erano numerosi gli abitanti della neonata Badolato Marina. Numerosi erano i giovani, i quali volevano giocare a pallone (almeno la domenica pomeriggio), ma non c’era nemmeno un campetto dove poter dare sfogo alla loro esuberante energia e alla loro passione sportiva pure emulativa (che aumentava in modo esponenziale poiché venivano conosciute sempre di più le grandi squadre calcistiche nazionali, come Juventus, Inter e Milan delle quali molti erano grandi tifosi).
L’unico posto dove poter ricavare un campetto era un terreno (meglio sarebbe dire un fossato) tra la strada nazionale e la ferrovia nel tratto di circa 200-300 metri che andava dal passaggio a livello fino alla sponda sinistra del torrente Vodà, prospicente la grande villa-tenuta del barone Pàparo. Da parecchi anni, questo tratto di strada nazionale jonica 106 è stato intitolato ad Anna Leuzzi (una delle grandi protagoniste delle lotte contadine dell’immediato secondo dopoguerra, effettuate cioè orientativamente dal 1944 al 1960). Oltre 40 anni fa quel fossato è stato colmato di terra per costruire una serie di palazzi di civile abitazione con qualche negozio. Quel campetto nel 1954 sembrava grande, invece, con gli occhi di oggi possiamo constatare che non era nemmeno, in larghezza, la metà di un normale campo di calcio. Ma per quei tempi poteva bastare e bastò, infatti, per tantissime partite, finché non si trovò di meglio, dopo pochi anni per interessamento del parroco trentino padre Silvano Lanaro.
Così i giovani neo-marinoti si misero a ripulire e bonificare quel fossato ricavandone un campetto, sufficiente per poterci giocare. Poi c’è stata la prima partita inaugurale ed io c’ero, assieme a centinaia di neo-marinoti. Ricordo che erano assai affollate di spettatori (e di tifosi dell’una e dell’altra squadra di compaesani) le due scarpate della strada e della ferrovia (quasi come due tribune da stadio). Ricordo ancora come fosse adesso che il pallone fu messo al centro del campo e che ad uno dei giocatori (o era l’arbitro?) venne l’idea di far dare ad un bimbo il calcio d’inizio della prima partita in assoluto giocata nella neonata Badolato Marina. Cercò tra la folla un bambino e scelse me che avevo 4 anni, quasi sicuramente perché ero il più vicino al centro del campetto. Però non posso escludere che quel giocatore (o arbitro) sapesse già che io ero tra i primissimi ad essere nato nella marina e non al borgo e, quindi, rappresentavo il futuro del nuovo paese … forse quel giocatore corteggiava una delle mie sorelle e le voleva fare cosa gradita … forse … forse …
Sta di fatto che tirai il calcio inaugurale della prima partita di pallone di Badolato Marina, la cui squadra si è sempre fatta onore nei campionati interzonali, provinciali e persino regionali. Lo sport del calcio è da sempre il più diffuso e praticato in Badolato (anche nelle piazzette del nuovo paese, come quella antistante la chiesa) ed è uno dei più confortanti aspetti della sana aggregazione giovanile. Non a caso il primo vero campo sportivo regolamentare venne realizzato (distante poche decine di metri da quel precario antesignano campetto) alla fine degli anni cinquanta proprio su iniziativa della parrocchia su donazione del locale barone Pàparo, seppure in zona spesso acquitrinosa, poiché era sotto il livello del confinante letto del torrente Vodà. Purtroppo, a metà anni sessanta, lo stesso barone Pàparo tolse ai giovani badolatesi quel regolamentare e frequentatissimo campo di calcio per farci costruire un grande edificio per ospitare la scuola media. E meno male che, dopo qualche anno, il Comune non deluse i giovani e gli sportivi e si apprestò a costruire uno “stadio” ampio, moderno e dignitoso nella zona verde sotto la ferrovia, a lato del lungomare.
Ecco, caro Tito, ti ho raccontato due significativi episodi e due belle situazioni che mi hanno legato fortemente a Badolato, mio paese natìo: la prima serenata nuziale cui ho assistito e la prima partita di calcio giocata ufficialmente in Badolato Marina che ho inaugurato simbolicamente. Due episodi e due situazioni particolari che hanno contribuito a farmi amare notevolmente questo ormai mio ex-paese. In seguito, da adolescente, ho organizzato con successo e gradimento vari tornei di calcio tra squadre giovanili, ma anche tra il complesso e i fans degli Euro Universal ed altri schieramenti.
E, adesso, come ormai è consuetudine, ti propongo un testo scritto da altri sulle bellezze e le caratteristiche del borgo medievale di Badolato. Questa volta ho tratto la descrizione dal blogspot “calabrianostra” di cui ti trascrivo l’indirizzo: http://calabrianostra.blogspot.it/2015/12/il-pittoresco-borgo-di-badolato-un.html#more che riporta pure alcune foto del mio amico, compaesano ed ex- vicino di casa, ”photographer” Pino Codispoti, che vive e lavora nei dintorni di Napoli. Tale celebrazione di Badolato borgo è stata postata pochi mesi fa, venerdì 18 dicembre 2015. Eccola!
LETTURA PARALLELA
http://calabrianostra.blogspot.it/2015/12/il-pittoresco-borgo-di-badolato-un.html#more
Il pittoresco borgo di Badolato, un luogo dove la bellezza ti travolge
Chiesa dell’Immacolata, foto di Pino Codispoti |
Percorrendo la litoranea (la SS 106) che collega Reggio Calabria a Catanzaro, a pochi km (circa 30) da quest’ultima, poggiato su una collina a 240 m. sul livello del mare, troviamo il borgo medievale di Badolato, uno dei più belli e conosciuti della Calabria. L’origine di Badolato viene fatta risalire intorno alla metà del decimo secolo, al tempo in cui in Calabria governava il principe normanno Roberto il Guiscardo. Il borgo (ricco di bellezze medievali, arte, cultura e tradizioni) è immerso in una natura stupenda, meraviglioso il paesaggio che si può godere dai suoi rioni. Passeggiando per le sue vie ci si immerge in un’atmosfera davvero particolare, incantati dalle bellezze che si incontrano ad ogni angolo, il tutto allietato dalla più che nota ospitalità delle sue genti.
Badolato è a poca distanza sia dalle bianche sabbie della costa jonica e sia dai verdi boschi delle montagne delle Serre. In definitiva, un luogo in cui ci si può immergere nelle sue bellezze storiche e architettoniche nonché della stupenda natura dalla quale è avvolto, il tutto nell’eccezionale clima mediterraneo che si può godere in ogni stagione dell’anno. L’insieme della caratteristiche di Badolato ne fanno un posto ideale dove trascorrere una vacanza, un weekend o anche una visita di un solo giorno.
(fine lettura parallela)
Le foto presenti nel sito (come quella della chiesa dell’Immacolata con il suggestivo sfondo del convento francescano) sono di Pino Codispoti (www.codispoti.eu) che vanta numerosi premi e riconoscimenti per la sua arte di “photographer”.
Caro Tito,
dopo due lettere (9 e 10) che mi hanno fatto deliziosamente deviare dal solco tracciato del racconto cronologico del mio amore per Badolato, spero di poter rientrare nella descrizione dell’autunno 1973 con la prossima lettera numero undici e il prossimo capitolo ottavo. Grazie, ancora e sempre, per la benevolenza e l’ospitalità. Cordialità, anche ai nostri gentili lettori.
Domenico Lanciano
(Mare del Vasto, sabato 16 aprile 2016 ore 16,16)