Caro Tito, mio padre, cantoniere delle ferrovie dal 1922 al 1967 (sì, hai capito bene, per 45 anni operaio d’armamento!), ha subìto diversi infortuni sul lavoro, di cui uno grave alla colonna vertebrale che lo ha costretto a girovagare per parecchi ospedali, prima calabresi, poi settentrionali. Da queste sue esperienze dirette e molto sofferte e da altri negativi esiti ospedalieri di familiari, parenti ed amici consumati in strutture pubbliche e private nostrane, egli fin dai primi anni cinquanta ha tratto la irremovibile convinzione che fosse consigliabile e più opportuno rivolgersi ad ospedali del Centro-Nord quando si hanno problemi di salute. Tanto è che, per qualsiasi necessità (persino per l’asportazione delle mie tonsille), mio padre portava moglie e figli a Bologna (specialmente al Policlinico Sant’Orsola o all’Ortopedico Rizzoli) … una consuetudine che hanno mantenuto pure altri familiari e discendenti, trovandosi anche loro sempre molto bene! E (facendo tale “cultura sanitaria”) tanti suoi amici e colleghi lo hanno imitato con piena soddisfazione.
Frequentando i centri sanitari del Nord Italia ho notato che sono stracolmi di persone di ogni età provenienti dal Sud, specialmente dalla Calabria e dalla Sicilia… persino per una semplice visita ambulatoriale specialistica!… Inoltre, viaggiando spesso sui treni, fin dal 1957 ho avuto conferma di ciò ed ho raccolto molteplici esperienze (considerazioni, riflessioni, lamentele, rabbie, indignazioni, inquietudini, proposte e quanto altro si possa immaginare) di chi, per necessità o per mancanza di fiducia sul sistema sanitario regionale e meridionale in genere, era costretto ad una “emigrazione sanitaria” assai dolorosa e al prezzo di grandi disagi (pure per le rispettive famiglie oltre che per gli stessi malati), in tali defatiganti trasferte di migliaia di chilometri. E, anche se adesso parecchi “emigrati della salute” viaggiano in aereo, disagi e spese gravano troppo.
Si potrebbe e di dovrebbe dire di più, ma, ciò premesso, mi chiedo e ti chiedo come mai non si è finora creato (da quando, decenni fa, la gestione della sanità pubblica è passata alle Regioni) almeno un Polo d’eccellenza sanitario interregionale o meridionale tanto attrezzato da arginare (se non proprio eliminare) una emigrazione sanitaria di migliaia di chilometri che persiste tutt’oggi (e chissà per quanto tempo ancora) in modo indegno per una società civile sia nazionale che locale (specialmente quando si dichiara popolare e cattolica!). Personalmente, il 25 giugno 2006 ho scritto all’allora Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, prof. Lorenzo Ornaghi (diventato poi Ministro per i Beni e le Attività Culturali nel governo Monti dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013) per chiedergli di portare la Facoltà di Medicina al Sud, in una “Città della Salute” attorno al Santuario della Madonna della Sanità di Badolato oppure nel centrale Istmo di Catanzaro proprio per fungere da Polo Sanitario Interregionale “frena-emigrazione sanitaria” (ma anche come attrazione per l’utenza dei popoli euro-mediterranei, dell’Africa e della vicina Asia). Da Milano, il 02 agosto 2006 (prot. R-13412) Ornaghi (nella foto) mi ha risposto: “Come può immaginare, questi sono tempi assai difficili per ogni avviamento di iniziative universitarie. L’Ateneo, per corretti criteri di gestione economica, è maggiormente impegnato a qualificare le strutture già esistenti, che non a intraprendere percorsi nuovi”.
Qui mi tocca ricordare, non senza una punta di polemica (“costruttiva” però) che l’Università Cattolica è presente (con le sue facoltà e con altre sedi formative ed operative) soltanto nel Centro-Nord (Milano, Piacenza, Cremona, Brescia, Roma e Campobasso). Infatti considero Centro Italia (anche orograficamentela e come geopolitica) la città di Campobasso (che ha, più o meno, il medesimo parallelo di Roma), dove dal 2002 opera una grande struttura sanitaria (bio-medico-ospedaliera) di alto livello la quale, intitolata a Giovanni Paolo II per averne posta la prima pietra il 19 marzo 1995, è attualmente fagocitata dalla Regione Molise per non ben comprensibili strategie ed interessi pubblico-privati. Voglio altresì ricordare che in Italia negli anni cinquanta e sessanta venivano raccolti periodicamente soldi casa per casa, a cura delle parrocchie anche meridionali, a favore dell’Università Cattolica. Posso testimoniarlo, poiché ero uno di coloro i quali in Badolato Marina hanno bussato a tutte le famiglie (meno che a quelle di fede evangelica). Cosa ha fatto in quanto a formazione e a centri sanitari l’Università Cattolica (e quindi la Chiesa) per il nostro profondo Sud?… E, intanto, è da ritenersi privilegiato chi riesce a farsi ricoverare al Policlinico Gemelli di Roma, operativo dal 1964 con i soldi della gente e gli aiuti di Stato!
Noto, però, che la Chiesa Cattolica ha aperto in Albania (Tirana ed Elbasan) nel 2004 l’Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio, riuscendo a farsi riconoscere il titolo di laurea anche in Italia!… Possiamo, così, affermare che il Sud Italia è, pure per la Chiesa Cattolica, meno dell’Albania!… Così come lo fu nell’Italia appena riunificata per lo Stato, il quale, nel suo irresistibile ìmpeto colonialista, già oltre cento anni fa costruiva strade ed altre importanti infrastrutture in Libia e in Africa Orientale …. mentre nel Sud Italia (serbatoio di braccia, di soldati e di emigrati) non c’erano strade, acquedotti, fognature, scuole, ospedali ed altre infrastrutture decenti, lasciando il nostro Meridione addirittura più arretrato delle stesse Colonie! Ricordiamoci sempre che la strada statale jonica 106 è stata ultimata verso il 1940. Ricordiamoci sempre in quale e quanta pericolosità è tenuta una strada del genere (tanto da essere definita “la strada della morte” e classificata come una delle più indegne d’Italia!), eppure è sulla direttrice Sud-Nord e viceversa servendo soprattutto ben tre regioni!
E se di colonialismo si può parlare, ritengo che condizioni colonialistiche siano quei “risaputi” accordi, ad esempio, tra istituzioni calabresi e lombarde, fatti proprio per incrementare quell’emigrazione sanitaria al Nord che qui cerco di evidenziare con il chiaro proposito di arginarla al massimo, sperando che si possa prima o poi eliminare del tutto. Anzi, ho fiducia nei paradossi e nei corsi e ricorsi storici per i quali verrà un tempo (vicino o lontano o addirittura remoto) che il Nord Italia dovrà “pagare” o “espiare” (in vari modi) le conseguenze non soltanto della voluta dipendenza del Meridione ma anche gli orrori inflitti già con la conquista del Sud e poi con la cattiva Unità d’Italia. Intanto ci tocca soffrire! Eccome!… Però, ne sono certo, verrà quel domani della rivalsa! Intanto, perché non cerchiamo di avere tutti noi cittadini meridionali uno scatto di orgoglio e di dignità, anche da parte dei politici, degli amministratori e soprattutto della classe medica e paramedica?!… Perché al Sud (che nei secoli ha sempre avuto una gloriosa tradizione medica fin dall’antichità) non possiamo essere autosufficienti almeno in campo sanitario?…
Adesso che Reggio Calabria sta per diventare ufficialmente “Città Metropolitana” e considerato che lo Stretto di Messina è un’Area omogenea consolidata anche da apposite Istituzioni … posso immaginare ed auspicare che queste due sponde di Calabria e di Sicilia possano diventare un efficiente Polo Sanitario interregionale di eccellenza e di alto livello risolutivo che sia utile non solo per frenare o addirittura eliminare l’emigrazione sanitaria ma anche ad attrarre (in modo industriale, solidaristico, umanitario) quell’utenza cui facevo riferimento sopra, quando ipotizzavo la localizzazione di eguale Polo Sanitario a Badolato come “Città della Salute” o nell’Istmo tra Lamezia Terme e Catanzaro Lido!… La logistica interregionale, mediterranea ed intercontinentale potrebbero dare ragione a questa fattibile ipotesi. Ne ho dato conto pure nella “Lettera a Tito n. 20 – Calabria, il parco della salute” dell’11 febbraio 2013 (che può essere letta o riletta in questo stesso sito nel reparto Rubriche). E, poi, se lo Stato aveva trovato i finanziamenti per costruire il “Ponte sullo Stretto” … potrebbe utilizzare una parte di questi soldi per realizzare, in alternativa, un tale auspicabile Polo Sanitario Interregionale (e internazionale, mediterraneo) assieme a tutte quelle infrastrutture che possano rendere lo Stretto (e, quindi, Calabria e Sicilia) vero Polo di attrazione euromeditarraneo (e non soltanto in campo sosio-sanitario). Mi sembra che un simile sistema integrato di infrastrutture serva di più (almeno nella presente epoca storica) di un assai rischioso Ponte sullo Stretto. O questa area d’Italia avrebbe meritato soltanto il Ponte e niente più?…
Perdonami, caro Tito, se insisto soprattutto con la irrisolta questione sanitaria in Calabria e dintorni … ma la salute, oltre ad essere un diritto costituzionale, è una necessità umana e sociale. Avere cittadini più in buona salute è una grande risorsa per tutta la nazione. La salute è un bene strategico, è una bene comune da difendere e valorizzare al massimo e collettivamente! Intanto, però, l’inefficienza sanitaria è una tassa in più per coloro che sono costretti ad andare fuori regione o addirittura al Nord (quando non all’estero). E noi meridionali, oltre ad essere poveri rispetto al resto d’Italia, resteremo sempre più poveri anche perché abbiamo troppe spese aggiuntive, specialmente perché costretti a soffrire infiniti disagi e a pagare (indirettamente) tante altre tasse proprio per quei servizi non resi che dobbiamo ricercare quando non elemosinare altrove e per i quali già, comunque, paghiamo (anche abbondantemente) le nostre rispettive Regioni. Ti sembra giusto?…
Saluti e baci, Domenico Lanciano