Caro Tito, pure a proposito della << https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-581-malinconia-tristezza-e-nostalgia-dei-badolatesi-dargentina-nel-racconto-di-mario-bruno-lanciano/ >> (che hai pubblicato alle ore 00.46 di venerdì scorso 20 dicembre 2024),  ti riporto fedelmente la lettera che ho ricevuto, via email, qualche giorno fa dal mio “doppio cugino” Ariel Battaglia che già conosciamo (da lunedì 29 luglio 2024) per aver letto: << https://www.costajonicaweb.it/badolato-cz-doppia-premiazione-per-la-famiglia-italo-argentina-di-ariel-battaglia-che-intende-investire-in-loco/ >>.  Dico “doppio cugino” poiché la sua nonna paterna era prima cugina di mia madre e il suo nonno paterno era primo cugino di mio padre. La foto di copertina si riferisce all’incontro che ho avuto con Ariel e famiglia, sabato 27 luglio 2024 a Cassino (Frosinone), quando erano di passaggio da Roma verso Badolato, provenienti (come ormai quasi ogni anno d’estate) proprio dall’Argentina.

Questa è la seconda volta che mi incontro a pranzo nella “Trattoria Vecchia Cassino” (sita nella piazza antistante la Stazione ferroviaria della città in provincia di Frosinone), dopo esserci conosciuti personalmente e per la prima volta, tra famiglie, giovedì 27 luglio 2023 nel medesimo locale, alla stessa ora. Ariel e famiglia sempre provenienti da Roma ed io da Agnone del Molise. Qui di seguito riporto, integralmente, al paragrafo 1, la lettera che Ariel mi ha mandato (dopo avere letto la nostra “n. 581”) e, al paragrafo 2, un suo avvincente ed emozionante racconto autobiografico su Badolato e sulla ricerca delle sue origini in vari anni e fasi. Come gran parte degli italiani d’Argentina, il suo sogno sarebbe di venire a vivere in Italia. Ma troppi sono forse gli ostacoli. Speriamo che tale sogno possa avverarsi nel migliore dei modi. Auguri, Ariel e famiglia!…

Nell’incontro dello scorso 27 luglio 2024 ho consegnato ad Ariel e famiglia due distinti premi: IL PREMIO SPECIALE FAMIGLIE di CALABRIA PRIMA ITALIA (per diffondere, anche su Facebook e anche in Argentina, il fatto storico che il nome Italia è nato in Calabria) e IL GRAN PREMIO DELLE RADICI 2024 (per essere attaccato alle sue radici badolatesi, calabresi e italiane, acquistando pure una casa a Badolato borgo). Ariel è nato in Buenos Aires (CABA) il 05 ottobre 1974, la moglie Lorena De Simone (medico-ginecologa, nata a B. A. il 07 dicembre 1975, con nonni originari di una contrada montana di Sambiase, oggi Lamezia Terme), la figlia Inma (Immacolata, nata a Lomas de Zamora, B.A., nel 2009), il figlio Vicente (Vincenzo, idem, nel 2011). Adesso, qui di seguito riporto, integralmente, al paragrafo 1, la lettera che Ariel mi ha mandato e, al paragrafo 2, il suo racconto autobiografico su Badolato. Tale racconto può fare benissimo parte della “Spop-art” (arte contro lo spopolamento).

1 – LA LETTERA DI ARIEL BATTAGLIA DALL’ARGENTINA

Ciao Mimmo, è una bella occasione per salutarti e augurare a te e famiglia un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo.  Condivido con te anche la mia storia su Badolato.  Faccio alcune osservazioni sulla lettera a Tito n. 581 del 20 dicembre 2024. In linea di massima posso dirti che ci sono innumerevoli studi che stimano che il 90% degli argentini abbia almeno un antenato europeo (prevalentemente italiano) e bisogna tenere conto che a partire dagli anni 90 l’immigrazione asiatica in Argentina si completa insieme a quella dei paesi vicini per il restante 10%. Per quanto riguarda << … cugino Ariel Battaglia, il quale cura, da qualche anno, il sito internet “Club dei discendenti di badolatesi in Argentina” preferisco precisare che si tratta di un GRUPPO FACEBOOK anziché di un sito internet, e sarebbe molto utile per la sua crescita, mettere se possibile il link: << https://www.facebook.com/share/g/1Gk3GGRCKg/ >>. Anche se mi piace molto il nome che gli hai dato, il nome attuale su Facebook è “BADOLATO (Descendientes en Argentina y el mundo)”>>.

Tale GRUPPO FACEBOOK sta andando molto bene. Conta più di 500 iscritti e ho visto molto interesse da parte degli stessi abitanti di Badolato, sicuramente con l’idea di conoscere i discendenti in Argentina, abbiamo molte situazioni di iscritti che cercano informazioni su un loro antenato; altri dall’Italia cercano informazioni su parenti, anche il professore Vincenzo Squillacioti (direttore della rivista “La Radice”) ci ha consultato via e-mail tramite “Badolates in Argentina” per ricerche che gli avevano commissionato. Abbiamo membri anche in Irlanda, Australia e altri paesi. Ci sono anche molti membri che si incontrano di nuovo dopo molti decenni perché i loro genitori si frequentavano spesso ed evocano ricordi di quelle visite, generalmente della loro infanzia, come figli di immigrati. Devo confessare un certo disincanto nei confronti degli appartenenti alle nuove generazioni, perché il loro interesse si basa sulla possibilità di ottenere la cittadinanza italiana, nella maggior parte dei casi, per poter emigrare in Spagna. Sono poco interessati al paese, ai suoi costumi e alla sua storia. È difficile per me, ma cerco di capire che quando una persona non soddisfa i suoi bisogni primari, l’interesse deriva dalla sussistenza stessa. In ogni caso cerco di aiutarli anche con l’altro mio gruppo Facebook, “Cittadinanza Italiana Ufficiale CABA” anche se quella che si occupa molto di più di questo aiuto è mia moglie Lorena: << https://www.facebook.com/share/g/14qYk1pckU/ >>.  Questo GRUPPO conta più di 37.000 iscritti: cerchiamo di aiutare i discendenti a raccogliere le informazioni per ottenere la cittadinanza italiana senza la necessità di pagare un agente di intermediazione.

Dopo aver letto tanto su Badolato, ogni giorno mi riesce sempre più difficile trovare informazioni sconosciute che mi possano interessare. In questa tua lettera a Tito ho trovato la frase “Argentina, terra dell’oblio”, una frase che mi ha portato a pensare molto. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata il ricordo che fino alla fine degli anni ’80 avere un telefono era un lusso raro a causa della scarsità e del costo, soprattutto per chi viveva fuori dalla capitale federale. Le proprietà avevano un valore molto più alto se avevano una linea telefonica. Nella casa in cui sono cresciuto, acquistata da mio padre nel 1973, solo nel 1988 è stato possibile dotarsi della linea telefonica, grazie ad un piano di ampliamento della linea da parte della società ENTEL. Ricordo ancora il nome di questo piano di espansione, si chiamava MEGATEL. E le chiamate internazionali erano molto dispendiose. Un altro punto che ricordavo era quanto fosse costoso viaggiare in Italia a quei tempi. Ho il ricordo di un grande amico di mio padre, il sarto Nicola Gallelli, che mi raccontò quella visita di 60 giorni a Badolato. Ebbene, con sua moglie e due bambini, aveva speso il valore della vendita di un appartamento a Buenos Aires! Infine, addentrandomi un po’ più a fondo nel tema della comunicazione, ricordo le lettere tra mio nonno Bruno e il suo gemello Santo: erano lettere praticamente identiche, la prima pagina conteneva tutti i saluti a persone diverse, e poi alcune righe che dicevano che stavano bene. Della vita quotidiana non veniva raccontato quasi nulla. Mi risulta che probabilmente molti fossero semi-analfabeti.

Qualcosa che dico sempre, come nel caso di mia suocera o di mio padre, è che hanno fatto grandi sforzi per integrarsi con il resto dei bambini e, in questo sforzo, spesso hanno rinnegato le proprie radici e addirittura, a volte, la propria prole.

Nel tentativo di essere un altro “porteño” (portegno, quello del porto), il tango è sempre stato loro di grande aiuto, trovandovi malinconia e un senso di identità che non riuscivano a trovare altrimenti. Se chiedessi a mio padre quali sono i suoi 5 ricordi della scuola, sono sicuro che uno di questi sarebbe la frase “Tano (italiano) morto di fame”, che era ciò che alcuni compagni di classe gli urlavano a scuola.

2 – IL RACCONTO DI ARIEL BATTAGLIA

IL PAESE NON MORI’ DISSANGUATO – Scritto da Ariel Fernando Battaglia  (Traduzione di Maria Pia Toto)

L’INIZIO – Le notizie e le novità su ciò che accadeva nel paese arrivavano indirettamente; mio padre era nato lì, ma ne parlava poco; la sua partenza era stata traumatica, così come il suo arrivo in Argentina. Mio nonno aveva lasciato Badolato, un piccolo paese di collina sul mare, un mese prima che lui nascesse, ma quando compì nove anni, decise di portarlo in Argentina, perché lì sarebbe stato meglio, avrebbe indossato le scarpe tutti i giorni, avrebbe avuto l’elettricità, l’acqua corrente e i vantaggi di vivere in una grande città.  Ma tutti i vantaggi di una grande città non valevano molto per un ragazzino di 9 anni, a cui avevano detto: “Ehi! Ti ricordi di avere un padre che non conosci? Beh… tra pochi giorni andrai a vivere con lui in Argentina, l’unico prezzo che dovrai pagare è perdere il tuo mondo, i tuoi amici, i tuoi nonni e anche la tua mamma. Non dimenticare che parleranno un’altra lingua e che d’ora in poi sarai uno straniero, in qualsiasi parte del mondo tu possa trovarti, anche se torni in Italia, sarai sempre uno straniero”.

Naturalmente lui non è stato l’unico; ogni sabato camion e autobus carichi di persone scendevano dalla collina per portarli in qualche posto, lontano dal paese, dove si parlava un’altra lingua e si avevano altre usanze. Badolato aveva sofferto non solo durante la guerra, ma aveva avuto anche terremoti e alluvioni che avevano distrutto molte case, compreso un intero quartiere, San Giovanni, totalmente scomparso. Il paese si stava letteralmente dissanguando. Ogni fine settimana perdeva un po’ del suo sangue, della sua gente; moriva lentamente a causa dello spopolamento. In quei giorni, molte case chiudevano le loro porte per l’ultima volta; molte madri ascoltavano le voci dei loro figli per l’ultima volta; molti fratelli si sono abbracciati alla fermata dell’autobus, accanto al vecchio bar del Fosso, per l’ultima volta…

IL PRIMO VIAGGIO IN ITALIA – Era una domenica soleggiata di marzo del 2000, ero nervoso e stavo percorrendo la SS 106 verso l’antico paese montano, Badolato Superiore. Ero un po’ stanco, i miei amici ridevano di qualcosa che adesso non ricordo, ma io ero più silenzioso del solito, per qualche motivo non mi sentivo in grado di gestire l’incertezza dell’incontro insolito che mi aspettava.  Alcuni anni prima, mio padre era tornato lì per incontrare suo fratello, in realtà fratellastro, poiché erano figli della stessa madre ma non dello stesso padre. Pochi anni dopo la partenza del marito per l’Argentina, mia nonna aveva cercato di formare una nuova famiglia e, di conseguenza, mio padre era stato affidato ai nonni materni. Io continuavo a ripetere nella mia mente quello che mi aveva raccontato mio padre, ma c’erano fatti che non tornavano… innanzitutto, non capivo perché avessero lo stesso nome;  non era logico che una madre chiamasse due dei suoi figli con il medesimo nome. Nella sua fantasia, mio padre spiegava che qualcuno gli aveva detto che era stato perché lui le mancava molto dopo che fosse partito per l’Argentina. Così lei aveva deciso di chiamare l’altro figlio con lo stesso nome. Era una bugia, ma lui aveva scelto di crederla durante tutta la sua vita. La cosa più strana era che mio zio era nato quando mio padre aveva 5 anni ed era ancora in Italia. Lui viveva a pochi metri di distanza dalla madre e dalla sua nuova famiglia, ma non si era mai accorto che, quando aveva lasciato il paese, il suo omonimo fratello aveva già 4 anni.

A volte, la nostra mente ci aiuta a proteggerci da ciò che non vogliamo o non possiamo accettare in un determinato momento della nostra vita, tanto, che lui non ricordava l’esistenza di suo fratello, anche se tutti vivevano nel quartiere Le Margherite, alla Jusuterra, la zona più bassa e remota del paese.  Le risposte alle mie domande sarebbero arrivate molti anni dopo. Una delle prime fu perché avevano lo stesso nome. C’erano usanze che era quasi impossibile non seguire negli antichi paesi: il primogenito doveva portare il nome del nonno paterno… che in questo caso coincideva per entrambi i fratelli. La notte precedente avevamo dormito a Catanzaro, da lì il viaggio verso il paese non era lungo. Eravamo arrivati a Parigi dieci giorni prima e da lì viaggiavamo con l’idea di arrivare in Sicilia prima o poi, passando per la Calabria. Mio zio sapeva che saremmo arrivati in quei giorni, ma non sapeva esattamente quando; erano tempi in cui il cellulare era un lusso e la posta elettronica non era così diffusa.

Siamo arrivati a metà mattina a Badolato Marina, la parte nuova del paese sulla spiaggia. Abbiamo chiesto se c’erano alberghi; ce n’era soltanto uno, non avevamo molto da scegliere. Dopo aver parlato per un po’ con il proprietario, che aveva vissuto per qualche anno in Argentina tentando la fortuna, siamo usciti per cercare un posto per pranzare; non ci sembrava educato arrivare all’ora di pranzo da mio zio e disturbare gli “sconosciuti” padroni di casa. Non è stato facile, il paese sembrava vuoto, aveva le caratteristiche desolate di qualsiasi piccola località balneare in una fredda domenica invernale a mezzogiorno. Abbiamo visto un bar sulla strada, che sembrava fintamente nascosto; abbiamo discusso per un po’ sulla possibilità che fosse effettivamente aperto e che avesse qualcosa da mangiare. Alla fine la risposta è stata ovvia… “non c’è altra alternativa, proviamo!”

Siamo entrati timidamente, come adolescenti che entrano in un luogo proibito; ci siamo seduti al tavolo più vicino all’ingresso. Dietro al bancone del bar c’erano due uomini, uno di loro si è avvicinato e gli ho chiesto, in un italiano inventato, cosa ci fosse per pranzo; non ricordo bene come, ma abbiamo concluso che ci avrebbe portato qualcosa da mangiare. Mentre l’uomo stava tornando verso il bancone, l’altro lo aveva incrociato sul percorso per il nostro tavolo e si era seduto con noi. Guardandomi fisso, e con un perfetto accento di Buenos Aires, mi ha domandato se eravamo argentini.
Essi, due fratelli nati a Buenos Aires, erano arrivati a Badolato più di 20 anni prima, quando i loro genitori decisero di tornare nella propria città natale per continuare la vita familiare lì. Mentre chiacchieravamo gli ho raccontato, in modo un po’ disordinato, che avevo zii e cugini nel paese e gli ho domandato se li conosceva. Naturalmente mi ha risposto di sì; nei piccoli paesi si conoscono tutti. Ci ha domandato perchè non eravamo già andati a casa di mio zio. Gli ho spiegato, in modo complice, che loro non sapevano esattamente quando saremmo arrivati e che, come lui capiva, non potevamo arrivare improvvisamente e all’ora di pranzo. Io aspettavo, naturalmente, la sua immediata approvazione alla mia logica giustificazione. Beh, non è successo! Lui ha subito gridato a suo fratello: “Sospendi tutto!”, per qualche secondo sono rimasto scioccato, poi mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: “Vai via da tuo zio, se ti do da mangiare tuo zio mi ammazza” e si è messo a ridere. Seguirono una ventina di minuti in cui ho cercato di convincerlo in tutti i modi, anche promettendogli che nessuno avrebbe scoperto che avevamo mangiato lì. Eravamo due discendenti di calabresi che cercavano di imporre le proprie ragioni, ma evidentemente lui aveva da perdere più di me.

Siamo usciti dal bar e, grazie alle sue indicazioni, siamo arrivati a casa di mio zio, che si trovava addirittura poco distante. Tutta la famiglia era riunita intorno al tavolo del pranzo domenicale, come al solito. Ero eccessivamente imbarazzato, ma non durò a lungo, l’incontro è stato emozionante per tutti, o almeno così sembrava… Ci siamo seduti a tavola e loro non hanno smesso di offrirci cose da mangiare e da bere fino all’arrivo del piatto principale; che era niente di più e niente di meno che lumache… quelle creature belle da vedere ma disgustose se si pensa di mangiarle. Uno dei miei amici aveva insistito, senza successo, per mangiarle fin dal nostro arrivo a Parigi; perché gli “escargot” sono un piatto tipico della Francia. Mentre lui mi guardava sorridendo, l’altro mi guardava in preda al panico. Ho schivato rapidamente i loro sguardi, dovevo concentrarmi sul mio problema, dovevo mangiare quella disgustosa creatura il più velocemente possibile senza vomitare. Stavo esitando e mia cugina mi ha chiesto se mi piacevano o se preferivo che mi preparasse qualcos’altro per pranzo… naturalmente le ho subito detto che mi piacevano, ho abbassato lo sguardo, ho preso coraggio, ho iniziato a mangiare la prima lumaca… ed è avvenuto il primo miracolo calabrese: era deliziosa. Non potevo credere che quella viscida creatura avesse quel sapore; la mia anima è tornata nel mio corpo.

Abbiamo continuato la giornata come si trascorre una tipica domenica in Calabria, mangiando, e mangiando molto bene, e cercando di combattere la barriera linguistica e i falsi amici. Per chi non lo sa, i “falsi amici” sono parole che si pronunciano in modo simile in due lingue, ma che significano cose completamente diverse; può capitare che l’altra persona ti chieda se ti piace il “burro”, che per un italiano è un prodotto alimentare, ma tu capisci che sta parlando di un “asino” con la coda e quattro zampe. Il pomeriggio è trascorso in modo emozionante; a un certo punto ho visto un materasso che arrivava senza preavviso, il che mi ha fatto pensare che avremmo passato le notti seguenti lì. Abbiamo trascorso giorni meravigliosi, ci siamo sentiti davvero a casa. Erano passati un paio di giorni quando ho visto arrivare mia zia furiosa, ero un po’ allarmato, aveva cominciato a parlarmi velocemente e in dialetto, era offuscata; non ho avuto altra scelta che dirle che non la stavamo capendo affatto e le ho chiesto di parlare più lentamente. Mio cugino si è limitato a guardarla con un’espressione indefinita, ma c’era sicuramente un problema e quel problema era serio… per non dire gravissimo. Dopo qualche minuto abbiamo capito. Qualcuno le aveva detto che prima di arrivare a casa sua eravamo passati dall’albergo; quello che per noi era stato un atto di buona educazione, per lei era stata una vera e propria offesa. Naturalmente, tutti e tre abbiamo pensato subito alla scena dell’argentino che non voleva darci da mangiare la domenica, situazione di cui anche lei era venuta a conoscenza. La prima lezione che abbiamo imparato è stata che nei paesi le notizie non corrono, volano.

Il mio secondo viaggio – Era il mio viaggio di nozze; era l’inizio dell’estate 2005 in Italia e con mia moglie stavamo facendo un itinerario vertiginoso. Restavamo in ogni città solo per poco tempo, avevamo preso voli a giorni alterni fino al nostro arrivo a Venezia, che era stata la nostra ultima destinazione prima di andare a Badolato. Dopo aver soggiornato due giorni lì, siamo andati alla stazione ferroviaria e alla biglietteria ho chiesto due biglietti per Badolato. L’impiegato cercava di spiegarmi che sarebbe stato un treno vecchio e lento, che avrei fatto meglio a scegliere un’altra opzione anche se con diverse coincidenze, ma io, che naturalmente non avevo capito niente, insistevo con la mia idea di prendere un treno diretto. Alla fine, rassegnato, quell’uomo gentile mi ha venduto i biglietti e in poche ore stavamo viaggiando in una cabina condivisa verso il paese. Le ore trascorsero senza problemi, a parte un po’ di noia; arrivò la notte e poi l’alba. Improvvisamente, mentre sognavo, ho sentito urla, colpi, canti, e dopo, altre urla… sono stato preso dal terrore, ho guardato gli altri, sbalordito… una signora che aveva visto il mio volto mi ha detto a bassa voce: “stazione di Napoli”. Lì c’era l’altra metà delle mie radici, mia madre era nata ad Acerra, vicino Napoli. In quel momento ho ricordato mio nonno con la sua voce forte, sempre allegra, sempre a cantare le sue canzonette; mi sono calmato, ho sorriso e mi sono addormentato.

Mi sono svegliato con il sole che mi batteva sul viso, eravamo fermi, ho guardato il cartello della stazione: “Soverato”; eravamo vicini. Pochi minuti dopo siamo arrivati. Di nuovo, come nel 2000, tutti erano lì ad accoglierci, ma ora alla stazione ferroviaria. Ancora una volta mi sentivo a casa, ancora una volta avrei cercato di districare le cose che non quadravano. Il giorno dopo, siamo andati a fare una passeggiata fino alla stazione; ci siamo seduti su una panchina dove c’era un uomo molto anziano che, dopo averci ascoltato, ci ha chiesto se venissimo dall’Argentina. Aveva un forte accento italiano ma parlava spagnolo.

Ci ha fatto delle domande e abbiamo iniziato a chiacchierare come potevamo. Lui viveva sei mesi in Italia e sei mesi in Argentina. Dopo un po’ mi ha detto: “Sono il padrino di tuo padre, lo abbiamo battezzato nella chiesa dell’Immacolata Concezione, a pochi metri da dove abitava, nella casa dell’arco”. Non potevo credere a una tale coincidenza, forse la matassa aveva appena iniziato a districarsi.

L´ultimo viaggio – Domenica 17 aprile 2024, esco di casa, non più in Argentina ma in Italia, percorro i 100 metri che mi separano dal Bar del Fosso. Badolato non è più Badolato Superiore, ora è Badolato Borgo, affari della modernità e del marketing. Il Bar del Fosso non è più l’unico bar della zona antica del paese, che oggi conta decine di caffetterie e ristoranti. Chiedo un caffè, loro sanno che devono riempire la tazzina fino all’orlo come si fa in Argentina. Di traverso guardo il luogo da cui un tempo, il sabato, partivano i trasporti pieni di badolatesi, molti dei quali, non sapevano nemmeno dove andassero; quel luogo dove molte madri hanno ascoltato per l’ultima volta le voci dei loro figli e dove molti fratelli e sorelle si sono dati l’ultimo abbraccio.

Mio figlio Vincenzo… Vincenzo come suo nonno, è in giro con sua sorella e i suoi compagni di scuola in Piazza Castello, a pochi metri da me e dal mio caffè fumante. La gente continua ad arrivare in piazza, il paese è in gara da settimane per essere scelto come il borgo piú bello d’Italia nel concorso “Il borgo dei borghi”. Persino la RAI segue il concorso con uno dei suoi programmi principali; le persone votano da tutto il mondo, e gli operatori turistici delle venti città in gara stanno lavorando alacremente per vincere. L’evento viene trasmesso in diretta su uno schermo gigante in piazza, ma io preferisco seguirlo sul mio telefonino mentre saluto qualche concittadino e bevo la mia terza tazzina di caffè. Infine, Badolato si è aggiudicato il secondo posto nella competizione e io, io porto sulle mie spalle la condanna dell’emigrante, la condanna di essere sempre uno straniero. Quando sono qui mi manca la mia gente e i miei costumi argentini, ma quando sono in Argentina, mi manca Badolato e i suoi gentili camminatori. Torno a casa, domani mi aspetta una lunga giornata di lavoro. (¿Badolato o Buenos Aires? …. 05 maggio 2024 ore 20.23)

3 – LA LETTERATURA DELLO SPOPOLAMENTO

Caro Tito, c’è stato un tempo in cui è nata quella LETTERATUTA DELL’EMIGRAZIONE che tanto ha significato in Italia e ovunque tale fenomeno abbia poi spogliato, in vario modo e in tempi diversi, interi borghi, cittadine e persino città a favore delle metropoli di tutto il mondo. Un ignobile travaso!… Pure la Canzone italiana è ricca di tali riferimenti. Adesso, da qualche anno, si sta facendo avanti pure la LETTERATURA DELLO SPOPOLAMENTO, conseguente alla prima. Ed io stesso sto continuando a proprorre una SPOP-ART che racconti, con le più varie espressioni artistiche, quale “genocidio silenzioso” si stia compiendo. Si pone, così, un problema molto serio: come e dove conservare, studiare e trasmettere tale letteraura?…

Alcune Università fanno ciò che possono con le loro risorse (e/o volontà) limitate e, quindi, spesso non compiutamente o come si dovrebbe fare. Quasi sempre senza sufficienti mezzi economici e di personale e, a loro volta, alcuni Musei dell’emigrazione cercano di fare il massimo possibile, sia a livello centrale che a livelli locali, quasi sempre volontaristici. E, poiché, sia l’emigrazione che lo spopolamento sono una vergogna internazionale, chi governa non ha alcun interesse a curare tale aspetto, tale memoria. Tocca, quindi, al popolo (in particolare quello migrante ed emigrato) a darsi da fare affinché la memoria di tale “genocidio” sia mantenuta viva, così come quella di altri misfatti (altre stragi e altri terrorismi, Shoah compresa).

4 – RIFLESSIONI

A proposito della “Letteratura dell’Emigrazione” e della “Letteratura dello Spopolamento” mi chiedo, ad esempio, Badolato (come paese prototipo di entrambe) come intende conservare, custodire e valorizzare quanto sia stato scritto e si scriverà a tale proposito???…  Il racconto di mio cugino Mario Bruno Lanciano (pubblicato il 20 dicembre 2024 con la lettera n. 581) e questo di mio cugino Ariel Battaglia (che stiamo pubblicando adesso) dove verranno raccolti, conservati e valorizzati (rendendoli fruibili, pure come testimonianza di due protagonisti diretti di tale esprienza)???…. Badolato non ha una Biblioteca Comunale, non ha un Archivio Comunale, non ha un luogo fisico né web dove far consultare queste “pagina di memoria individuale e sociale”. Si pone, quindi, la necessità di realizzare sia la Biblioteca che l’Archivio del Comune (fisico e web) essendo Badolato ricchissimo di documentazione sociale che tanti altri paesi non possono né immaginare né vantare. E le Scuole?…

Ho chiesto, via whatsapp, alla Direzione e Redazione del quadrimestrale LA RADICE di Badolato, di pubblicare in uno dei prossimi numeri sia il racconto di Mario Bruno che questo di Ariel … almeno ne può restare traccia su cartaceo e possono così, andando in giro tale rivista, essere letti pure dai … “badolatesi sparsi per le tante via del mondo”. Accadrà?…. Nell’auspicabile caso, te lo farò sapere.

5 – FESTA DEL TRICOLORE SENZA FESTA DEL NOME ITALIA

Caro Tito, l’imminente 7 gennaio 2025, la Città di Reggio Emilia celebrerà, come di consueto annualmente, la sua “Festa del Tricolore”. Dico “sua” perché non riesce ancora a socializzarla adeguatamente né a renderla veramente “nazionale” con la partecipazione di rappresentanze regionali e di altre simbologie attinenti. E sì che saranno trenta, quarant’anni che cerco di invitare gli Amministratori di tale Comune ad aprirsi anche al nome Italia e di fare una specie di “gemellaggio” o una qualche collaborazione con la “Festa del nome Italia”. Non c’è niente da fare. Si chiude a riccio. Pure questa volta, Reggio Emilia si farà la “sua” Festa del Tricolore, a suo modo, pur con alte Autorità nazionali … ma senza lo spirito di quell’Italia che pulsa e ma che viene ignorata. Mi sembra strano che una Città sedicente popolare, democratica, progredita ecc. ecc. non riesca ad farsi avvicinare da chi, come noi, cerca di proporre un dialogo di collaborazione. Mi sembra che, così, la vera Unità d’Italia sia ancora un miraggio. L’impenetrabile Reggio Emilia è emblematica sullo stato delle cose in Italia. L’orticello del Tricolore è ben protetto e si bea di sé stesso. Amen.

A questa “Festa del Tricolore” di Reggio Emilia dovrebbero partecipare (come ho sempre ipotizzato e proposto) una significativa Rappresentanza dei Sindaci d’Italia o, almeno, di quelle Città che hanno contribuito maggiormente all’identità italiana, come, ad esempio, Catanzaro dove è nato il nome Italia, Genova dove con Goffredo Mameli è nato l’Inno degli Italiani e così via tutti gli altri simboli di uno Stato e di una Nazione. Così ho proposto (con lettere ed articoli giornalistici) da oltre venti anni. Invece, Reggio Emilia, preferisce agire in solitaria, gonfia del suo primato di aver dato i natali al Tricolore il 7 gennaio 1797. E cos sia! Intanto, mi sto giocando un altra carta, di cui non ti posso anticipare ancora nulla. Ti posso soltanto dire che sto tentando con amici di Reggio Calabria a proseguire quella FESTA DEL NOME ITALIA iniziata a Davoli (CZ) il 21 giugno 2023. Vedremo. Sarai il primo a sapere quando avrò qualcosa di concreto e sicuro.

6 – SALUTISSIMI

Caro Tito, alle ore 13.17 di mercoledì 25 dicembre (giorno di Natale), ho inviato al Sindaco di Badolato questo messaggio whatsapp: << Prova a far dichiarare “Patrimonio immateriale dell’Umanità” o almeno “Patrimonio italiano” la Settimana Santa Badolatese o almeno il Sabato Santo (con la Confrunta) >>. A ciò aggiungerei tutte le altre tradizioni religiose e laiche di Badolato, tra cui i “Giro del Bambinello” per le case, una tradizione che (come abbiamo altre volte scritto) pare che appartenga soltanto ad alcune zone della Calabria (in particolare alla ex Diocesi di Squillace) dove è ancora in uso, nonostante lo spopolamento di alcuni borghi dove non si fa più. E’ una tradizione tra le più belle e significative della cristianità, ricca di simbologia e sicuramente assai antica. Varrebbe la pena che qualcuso si impegnasse per delinearne la Storia. Sarebbe qualcosa di veramente meraviglioso e, ne sono più che certo, approfondendo, si potrebbero avere delle belle sorprese storiche-archeologiche.

Per tornare ad augurare a te e ai nostri lettori un OTTIMO 2025 uso questa bella immagine che l’amico Mimmo Badolato di Soverato ha inviato ai suoi contatti whatsapp ieri, primo giorno dell’anno o Capodanno. La foto risale al 31 dicembre 1958 quando al Casello ferroviario n. 327 (in località Ponzo o Càppari, in territorio del Comune di Santa Caterina Jonio, ma confinante con il Comune di Badolato) il parroco di Badolato Marina, padre Silvano Lanàro, con il suo seguito processionale, ha portato la statua del Bambinello in questo casello dove abitava la famiglia di Giuseppe Badolato, padre di Mimmo, ferroviere allora ancora in servizio. A Badolato Marina si usa portare il Bambinello negli uffici, nei negozi e nelle case sparse il 31 dicembre, mentre nelle case del paese a Capodanno. Il piccolo corteo parrochiale era (e dovrebbe essere ancora) preceduto da una fiammella simbolo di luce, dagli zampognari che creavano il clima di festa e il cui suono avvisava la ruga dell’avvicinarsi del Bambinello, da chi aveva il cambio dei vestiti del Bambinello, da chi raccoglieva le offerte (in denaro o in prodotti agricoli) e da altri devoti. Allora, a tutti OTTIMO ANNO 2025.

Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)

ITER-City, giovedì 02 gennaio 2025 ore 07.26 – Da 57 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore). Le foto: alcune sono mie, altre mi sono state fornite da Ariel Battaglia, altre ancora da Mario Bruno Lanciano e altre sono state prese dal web libero e sicuro.