Caro Tito, voglio dar seguito, in un certo senso, alla nostra di lunedì 13 maggio 2024 ore 11.44  << https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-536-euro-spop-ovvero-lo-spopolamento-come-problema-europeo-e-le-porte-del-silenzio-di-francesca-viscone/ >> per evidenziare un genere di lavoratori che ormai sono così rari che quasi non ci sono più persino a Badolato … Sono quei lavoratori (in genere contadini ed operai, solitamente adusi a lavori pesanti e usuranti) che avevano le mani tanto callose da essere così ruvide da sembrare dure e legnose. Attraverso loro voglio ricordare i tanti, troppi lavoratori che perdono la vita sul posto di lavoro; così come coloro che restano menomati, mutilati nel corpo e nell’anima. Un pensiero pure alle loro famiglie e a tutto il mondo del lavoro difficile.

1 – MANI CALLOSE DI BADOLATO

Pure mio padre, operaio nella manutenzione delle ferrovie, nel 1955 (all’età di 50 anni) ha subìto un grave infortunio mentre lavorava sui binari; è rimasto sofferente e fermo per oltre un anno ed io, benché bambino, ho notato quante difficoltà di ogni genere abbia sofferto la mia famiglia in quel periodo. Ed ho avuto parenti morti sul lavoro o per il lavoro, lasciando orfani i loro figli piccoli. La sicurezza sui posti di lavoro è irrinunciabile e non è mai mai mai abbastanza. In queste ultime settimane giornali e TV ne hanno discusso tanto. Però, da che ricordo, sono le solite litanìe, i soliti rituali; nel tempo non è cambiato e non cambia ancora quasi niente. Anzi, peggiora. Non c’è la volontà. E non c’è sufficiente rispetto per la vita altrui, che sembra di una categoria ìnfima. Ho lavorato nella Pubblica Amministrazione e ne ho avuto ampia conferma. Quando ho capito ciò, per la prima volta nel 1967 (quando avevo 17 anni), ho cercato di scrivere “Wita” la vita evidenziando una “W” rafforzativa.

 

Scelgo di onorare la memoria dei caduti e di incoraggiare le loro famiglie mostrando le mani callose di due lavoratori badolatesi che nel 1975 rappresentavano la maggioranza di quei badolatesi che, pur essendo operai, di dedicavano pure ai lavori dei campi, non soltanto per passione “atavica” ma anche per integrare il reddito e per una scelta di genuinità dei prodotti “fatti in casa”. Era difficile trovare un operaio (edile o di altri settori) che non fosse pure contadino e un contadino che non si adattasse a fare l’operaio. Qui la seconda foto mostra le mani di mio zio Domenico Lanciano (zio Mico, 20 agosto 1912 – 21 marzo 1980) il quale, in pratica, è morto a 68 anni con la zappa in mano mentre lavorava, a giornata, “avvisato” (chiamato) in un campo altrui. Infatti il malore che lo ha portato alla morte in pochi giorni lo ha colto “ayhu tagghyu” (cioè proprio mentre zappava). Ero assai affezionato a questo mio zio, non soltanto perché eravamo parenti e vicini di casa, ci frequentavamo quotidianamente con la sua famiglia, avevamo lo stesso nome (che onorava la catena dei nostri antenati, in particolare il primo Domenico Lanciano giunto a Badolato dalla vicina Santa Caterina dello Jonio nel 1743) ma anche perché era di una bontà e di un’onestà totale, senza calcoli o retro-pensieri. Spontaneo e sempre sorridente e cordiale come tutti i Lanciano. Genuino e grande grande lavoratore, che (proprio per la sua bravura e “resa”) veniva conteso quotidianamente da vari committenti. Era stato per parecchi anni pure lavoratore stagionale in Svizzera.

 

Questa altra foto mostra le mani callose di Andrea Lentini (Badolato 07 novembre 1916 – 10 marzo 2005) operaio edile e contadino. Dico subito che Costui è stato una delle persone che ho stimato di più al mio paese per la sua onestà intellettuale e la sua bontà umana e solidale. E per essere grande lavoratore. Comunista di ferro e militante, non era come quasi tutti gli altri dogmatico o ideologico ma ci potevi ragionare con soddisfazione e reciproca stima. Persino affetto. Padre di un mio carissimo amico fin dall’adolescenza, Andrea anteponeva il “rispetto reciproco” (quello tradizionale e secolare dei nostri paesi) a quella politica partitica che aveva lacerato irrimediabilmente la nostra comunità paesana, avvelenandola. Non era, in pratica, il solito sovietista intransigente e irriflessivo. Da lui ho avuto solidarietà quando il suo partito (PCI), che amministrava il Comune, mi discriminava e mi ha poi mandato in esilio. Nonostante tutto ciò che fin da ragazzo avevo fatto per Badolato, in modo continuo e sicuramente come nessun altro. La cosa più brutta è che sono stato mandato in esilio da miei compagni di classe, di giochi e da amici con cui avevo condiviso tante battaglie civili. Purtroppo, le nebbie ideologiche offuscano mente e cuore di chi antepone le logiche delle sette politiche al bene di tutti. Purtroppo, ancora oggi. E sono, tra l’altro, la rovina non solo dell’Italia, poiché portano alle guerre imperialiste.

2 – LE MANI DELL’OPERAIO

Caro Tito, ci tenevo tanto a mostrare, specialmente alle giovani generazioni, le mani callose. Ne ho viste tante pure in Molise ed ovunque abbia avuto modo di girare nelle ruralità, anche estere. Fino a pochi decenni fa, era la norma ovunque, nell’agricoltura, nell’edilizia, nell’industria, in terra come in mare. Ricordo che un libro della mia scuola elementare riportava la seguente famosa poesia “Le mani dell’operaio” di Renzo Pezzani (Parma 1898 – Castiglione Torinese 1951). Una poesia che mio padre ci recitava spesso, pure per farci apprezzare il lavoro, ricordandoci che “buttava il sangue dalla mattina alla sera sulla ferrovia”. Ed io voglio idealmente baciare tutte le mani callose ed oneste che ieri, oggi, domani. Anche i calli intellettuali, quelli del cervello e della fatica quotidiana di vivere, di maschi e di donne. Poiché pure le donne avevano i calli. E come! … E le si sentiva ruvide quando ci accarezzavano. Ruvide ma amorose carezze!…

 

Dice il Signore a chi batte
alle porte del suo Regno:
fammi vedere le mani;
saprò io se ne sei degno.
L’operaio fa vedere
le sue mani dure di calli:
han toccato tutta la vita
terra, fuochi, metalli.
Sono vuote d’ogni ricchezza,
nere, stanche, pesanti.
Dice il Signore: Che bellezza!
Così son le mani dei Santi!

3 – LE INTITOLAZIONI GENERALI

Voglio soltanto qui ricordare la mia insistenza, in varie sedi istituzionali, nell’invitare chi può farlo ad intitolare piazze, strade, sentieri, ponti, gallerie, scuole o semplici aule scolastiche, e tutto ciò che possa essere denominato e dedicato ai lavoratori che hanno perso la vita nei luoghi di lavoro. E’ un tributo minimo, doveroso e civile per onorare chi si è sacrificato per la Comunità. Per noi tutti.  Se non coltiviamo questo senso di riconoscenza e di gratitudine siamo dei veri e propri “incivili”.

 

La prima intitolazione che mi è riuscita di fare realizzare è stata per il giovane poeta e studente universitario Domenico Ferrante, il quale, oltre 20 anni fa, al mare di Ostia ha salvato due ragazzi che stavano per annegare, ma questo gesto gli ha fatto perdere la vita. All’età di 28 anni. A Lui è stata intitolata l’Aula Magna della Scuola Media Statale di Agnone, che aveva frequentato nella prima adolescenza. Poi, nel 2011, con l’aiuto di tanti amici e della Provincia di Isernia, è stato intitolato a Francesco Paolo Longo il ponte sul fiume Sente (che, uno dei più alti d’Europa, unisce Molise e Abruzzo). Nella costruzione di tale grande opera era stato l’unico a perdere la vita nel 1974.

4 – VISTO SU INTERNET

Con mia grande sorpresa e soddisfazione ho appena visto la foto delle mani callose di mio zio Mico in questo articolo di domenica 22 settembre 2019 << https://donpi.it/dalle-tue-mani-capiro-chi-sei/ >>. Ne sono veramente assai contento, credimi. Tale foto è stata presa dalla nostra << https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-37-le-callose-mani-di-operai-e-contadini-anno-1975/ >> di lunedì 10 giugno 2013. Questo << www.donpi.it >>  è un sito di omelie, pensieri e riflessioni di don Pietro Carrara della Diocesi di Bergamo.  La foto di mio zio Mico è posizionata nel contesto della rubrica “L’ANGOLO DI DONPI” e, nello specifico, nella riflessione sulla 25ma Domenica del Tempo Ordinario “Dalle tue mani capirà chi sei”. Ovviamente, essendo un sacerdote cattolico, i pensieri di don Pietro Carrara non potevano che essere riferite alle “mani pulite e pure” e cioè alle virtù cristiane per poter guadagnare il Paradiso. Alla fine delle sue considerazioni pure don Pietro riporta la poesia di Renzo Pezzani “Le mani dell’operaio” come paradigma delle virtù umane, etiche e spirituali.

 

E voglio qui evidenziare con questa foto le mani callose dei bambini usati e sfruttati in tantissimi lavori, specialmente nelle miniere in parecchie parti del mondo, specialmente in Asia, Africa ed America Latina.

Raccapriccio è sapere persino di bambini-soldati! … Ricordo che, almeno qualche decennio fa, era ricorrente vedere qualche servizio o reportage TV o leggere qualche giornale sul dramma del lavoro minorile (pure in Italia).

Ma adesso con la “deregulation” politico-economica e la globalizzazione non si parla più e nemmeno si accenna al lavoro dei bambini.

Non ne parla più nemmeno la Chiesa Cattolica, che solitamente si mostrava sensibile a tali tematiche.

Ai tempi di mio padre e di mio zio Mico (cioè prima metà del Novecento), in Italia e specialmente nel Sud, le famiglie utilizzavano il lavoro dei figli già prima dei dieci anni. Non si usava mandare, nell’Italia post-unitaria, i bambini a scuola ma a faticare sui campi. Alla dura scuola della vita.

5 – SALUTISSIMI

Caro Tito, spero di aver reso l’idea di quanto siano importanti ed irrinunciabili le tutele ed il rispetto per il lavoro (specialmente usurante e rischioso) delle persone. Purtroppo non sento più nemmeno l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) trattare di questi temi, come faceva una volta. E, purtroppo, non si parla più del lavoro sfruttato dei bambini e nemmeno dei migranti clandestini. E’ una omissione intollerabile, che ci ricaccia nello schiavismo. Speriamo che si torni a trattare bene di tali argomenti, poiché altrimenti e in coscienza, ognuno di noi si deve ritenere “schiavista” a tutti gli effetti. Un caro saluto e grazie, grazie ancora e sempre, per voler evidenziare i fatti, i personaggi e le riflessioni che ti propongo di volta in volta. BUONA WITA A TUTTI. Cordialità pure per i nostri gentili lettori. Alla prossima 538. Ciao!

Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)

ITER-City, lunedì 13 maggio 2024 ore 07.26 – Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore). Le foto, cui i diritti appartengono ai legittimi proprietari, sono state prese dal web e due sono mie.