Caro Tito, sai bene che durante la nostra infanzia, come tutti i bambini del mondo, eravamo attenti osservatori del comportamento delle persone più in età che ci giravano attorno. Era un modo per imparare la difficile arte di vivere!… Poi ascoltavamo i loro discorsi. Ed eravamo affascinati dai racconti degli anziani. I nostri genitori ci educavano a saggi proverbi millenari e scrutavamo i loro gesti. Persino la mimica dei loro visi. Erano piccole lezioni dello stare al mondo. E’ ciò che noi, adesso, definiamo lezioni di “etica” ovvero l’apprendimento dei valori per il miglior comportamento possibile verso gli altri ma anche con noi stessi e la Natura che ci circonda. Era la popolare “Filosofia dell’Armonia”. Poi, durante le scuole elementari, tra tante altre attività pedagogiche, è arrivato anche il catechismo in parrocchia e (pur tra tante ancora incomprensibili e superflue “fantasie”) una verità era la più comprensibile “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Così (anche per predisposizione ed esempio familiare) siamo più o meno tutti diventati “altruisti” (ad oltranza, alcuni di noi). Poi, a Natale, a Capodanno e all’Epifania, il dolce suono di zampogna e ciaramella ci infondeva tanta tenerezza ed armonia celestiale. Armonia che io, nato sul mare e sul mare cresciuto in piena campagna, ho fatta mia per sempre, ascoltando il silenzio del cielo e le onde nelle diverse stagioni, il profumo delle fioriture primaverili dei frutteti, l’odore della terra coltivata, gli uccelli e le cicale … godendo dell’affetto gioioso dei fedeli cani di casa, miei primi veri e indimenticabili compagni d’infanzia.
1 – L’ALTRUISMO AD OLTRANZA
L’apprendistato è avvenuto abbastanza serenamente e utilmente, aiutàti pure dalle prime letture moraleggianti. Poi, in prima media, è intervenuta, tra tanto altro, quell’educazione civica che ormai non si usa più … e purtroppo se ne nota l’assenza. Nonostante qualche innocente monellerìa o marachella, siamo venuti su bravi ragazzi. La migliore educazione devo ai miei Genitori … non ha caso ho dedicato Loro un vero e proprio “Libro-Monumento” (in sette volumi, andati in stampa nel maggio 2007 e distribuiti a familiari, parenti, amici e biblioteche). Un monumento pure come riconoscenza e gratitudine sempiterna. Mentre mia madre ci sollecitava costantemente alla pace, alla concordia in famiglia e con gli altri, in questa educazione familiare, mio padre si preoccupava dei migliori rapporti esterni. Non potrò mai dimenticare quel giorno di primavera del 1962, quando avevo dodici anni e mi ha detto una mattina di un sabato: “Finisci di fare i compiti entro stasera. Domani andiamo in Paese perché ti devo presentare le persone cui dovrai rispetto e venerazione. Ormai sei grande e la gente si aspetta da te comportamenti adeguati a un bravo giovanotto di buona famiglia”.
Per noi che abitavamo in Marina, “il Paese” era il borgo antico dove ancora risiedeva la maggior parte dei badolatesi e dove era la culla della mia numerosa parentela. Ero l’unico ad essere nato in riva al mare, per cui mi era quasi del tutto sconosciuto il Paese dove c’erano familiari, parenti, compari ed amici cui i miei genitori erano legatissimi e ai quali bisognava portare il “sacro” e tradizionale rispetto interfamiliare e interamicale. In Marina, invece, ero a contatto quasi quotidiano con familiari, parenti, amici e compari che abitavano nelle case riservate agli alluvionati del 17 ottobre 1951. Con tutti questi c’era già un rapporto di frequentazione, grande affetto e rispetto. Invece, in Paese non conoscevo quasi nessuno, al di fuori dei fratelli di mio padre e delle loro famiglie. Ed erano così tante le persone da visitare che non è bastata una sola domenica per conoscerle tutte. Girando per vie e viuzze del “Paese” mio padre salutava ed era salutato da tutti. E da tutti veniva invitato per un caffè, un bicchiere di vino o per “smorzare” (cioè fare uno spuntino a base di pane, soprassata o altro salame pregiato, olive trattate in salamoia, formaggio pecorino e un bicchiere di vino). Chi era davanti al bar, invitava prontamente e faceva tante cerimonie ed insistenze, cui spesso era davvero difficile resistere. Insomma, un bagno di affetto e di rispetto. Così tanto che sono tornato a casa stanco, frastornato ma felice.
2 – AMICI CON TUTTI FEDELE CON NESSUNO
In quel girare (in lungo e in largo, sopra e sotto) nel Paese, mio padre mi diceva tante cose e mi dava informazioni sulle case e sui palazzi che vedevo, sulla storia di quel borgo antico, dei suoi baroni e feudatari. Sul castello diruto. Insomma di tutto e di più. Gli chiedevo come mai tutti salutavano tutti. Così mi dava “lezioni di civismo e di rispetto” cioè mi spiegava cosa era una “comunità paesana” il “rispetto” tra persone. Mi ha colpito un passaggio che ricordo nitidamente ancora oggi. << Dobbiamo salutare e rispettare tutti, non soltanto perché è buona educazione e ci possiamo incontrare spesso … ma anche perché, un giorno, per matrimonio o per altri motivi, potremmo imparentarci con una famiglia, la quale ha una razza numerosa; e se ti fai nemico uno di questa razza, ti fai nemico tutta la razza. E come fai, poi, se tuo fratello o tua sorella (ma anche un tuo cugino o una tua cugina) s’innamora e si vuole sposare con qualcuno o qualcuna di questa famiglia? >>. Il saluto è per tutti; il rispetto familiare è per quelli più ìntimi. “Amici cu ttutti e fedeli cu nnessunu” (Amici con tutti e fedele con nessuno). Non c’era discorso senza un intercalare di proverbi attinenti. Proverbi, un antico distillato di pedagogia!…
C’è da dire e precisare che, essendo nato e cresciuto al casello ferroviario di Cardàra a due passi dal mare, io di Badolato Superiore (come veniva chiamato il Paese) conoscevo soltanto quei contadini e quegli operai che, solitamente, affollavano soltanto d’estate quella mia contrada per lavorare gli orti e i frutteti. Quindi, le amicizie di miei coetanei, figli di quelle famiglie, erano stagionali, soltanto estive. Per me era una grande gioia poter giocare e passare parecchio tempo d’estate con loro; mentre d’inverno ero praticamente da solo e, dopo aver fatto i compiti, potevo giocare soltanto con i nostri tre cani, quando non andavo in giro per i quattro paesi del Mandamento con mio fratello Vincenzo che lavorava nella locale Pretura come Ufficiale Giudiziario. Pure questa esperienza mi è stata eticamente e praticamente assai utile, anche perché questo mio fratello (maggiore di 18 anni) mi ha insegnato a scrivere a macchina, a fotografare, ad ascoltare musica e ad aprirmi all’interzona che, in seguito, ha avuto molta importanza per me.
3 – L’ETICA FILOSOFICA
Non finirò mai di ringraziare la mia famiglia per l’amorevole educazione datami e anche il mio paese natìo (quello più vero e non quello politicizzato che è stato dannoso). La gente del mio paese, quella vera, aveva basi socio-culturali solide e antichissime. Pure per questo amo tantissimo questa mia gente, quella che non si è lasciata corrompere dalle ideologie di qualsivoglia tendenza. La mia famiglia e la mia gente mi hanno fortificato, salvandomi dalle inevitabili bufere dell’esistenza sociale. Infatti, così, ben corazzato, posso dire di aver attraversato abbastanza bene percorsi difficili o scoscesi, piccole e grandi tempeste umane e sociali; persino la scuola pubblica e privata mi ha reso paradossalmente un “sopravvissuto”. Infatti, dopo la scuola elementare pubblica frequentata a Badolato Marina e la scuola media statale a Catanzaro Lido, ho scelto di proseguire nell’ottobre 1965 gli studi al Ginnasio-Liceo Salesiano di Soverato, abbandonato alla vigilia di Natale del 1968 alla seconda classe del liceo, ripresa il gennaio seguente nell’Ivo Oliveti di Locri – RC. Una grande delusione pure questo, anche se statale e certamente migliore di quello privato. Poi l’Università, scegliendo il percorso di laurea in Filosofia, per cercare di capire meglio il disastro socio-antropologico appena attraversato e subìto pesantemente. Come sede ho scelto Roma (capitale d’Italia e “universale”) per capire ancora meglio e di più. Così è avvenuto. Se non stai dentro alle cose, se non le respiri e non ne senti l’odore o la puzza non le potrai mai capire bene (almeno quel tanto necessario).
Innanzi tutto, capire “il peccato” con cui la Chiesa Cattolica ci ha ossessionati all’inverosimile; per tale motivo sono approdato alle lezioni del prof. Franco Lombardi (Napoli 1906 – Roma 1989) docente di Filosofia Morale. Nei primi due anni ero convinto di dover dare la tesi di laurea proprio in Filosofia Morale e, se possibile, restare nel suo gruppo di studio, magari prima come assistente volontario per poi, man mano, avventurarmi in quel tipo di carriera universitaria che mi affascinava e per contribuire a liberare le persone dalle ossessioni religiose e recuperare la ragione e la più giusta spiritualità. Però, al terzo anno, ho capito che non dovevo pensare a me stesso, per quanto motivato e giustificato; ma avrei dovuto dare qualcosa alla mia gente, al mio paese, alla Calabria … Così ho cambiato addirittura piano di studi e per la tesi di laurea ho chiesto un tema di sociologia per conoscere meglio il mio popolo, al fine di poter essere utile al mio territorio, tanto, troppo sofferente (il più depresso del già depresso Sud, tuonava uno studio del 1966). Questa è stata una scelta che ho pagato molto cara, credimi. Tuttavia, non poteva essere altrimenti, poiché ero (come quasi tutti) tra l’incudine cattolica e il pressante ed invadente martello politico-ideologico che monopolizzava la nostra vita. Due sciagure enormi, questa, peggio della disastrosa alluvione del 1951. Con tale scelta esistenziale ho messo un po’ da parte gli studi filosofici di Etica e di Morale … anche se, poi, in fin dei conti, le ricerche sociologiche sul campo mi fornivano elementi assai utili pure per curare questi due aspetti per cui mi sentivo particolarmente portato. Soprattutto l’Etica.
4 – L’ETICA SOCIOLOGICA
Nella mattinata di un sereno giorno di giugno 1973 ho bussato alla porta del prof. Franco Ferrarotti (Trino Vercellese, 07 aprile 1926) che stava nel suo ufficio sito in un palazzo della Galleria di Via Torino a Roma. Ex deputato socialdemocratico (1959-63), costui era considerato uno dei primi e maggiori sociologi italiani e a quel tempo dirigeva le cattedre di Sociologia al Magistero e alla Città Universitaria. Gli ho spiegato le mie intenzioni e la ricerca sul campo che intendevo affrontare. “Ah, tu vuoi fare ciò che il mio conterraneo piemontese Nuto Revelli sta facendo nel suo territorio!” ha esclamato. Non risposi, poiché – lo confesso – non conoscevo ancora questo ex partigiano, poi divenuto ricercatore e, quindi, scrittore (paladino, in particolare, della gente delle Langhe). Mi ha indirizzato ad uno dei suoi assistenti, al prof. Gianni Statera, il quale mi ha assegnato l’argomento da me desiderato “Evoluzioni delle caratteristiche socio-economiche di Badolato nel dopoguerra” (tesi discussa poi, dopo quattro anni di intense e costose ricerche, lunedì 25 luglio 1977). Poi, piano piano ho cominciato a conoscere questo studioso Nuto Revelli (Cuneo 1919-2004) sia per le tematiche, molto simili alle mie, e sia perché, durante le mie ricerche su Badolato, il mio amico e compaesano, professore Antonio Gesualdo (1936-2021, il quale aveva vissuto a Novara per qualche anno) mi disse che stavo facendo ciò che Nuto Revelli, appunto, aveva fatto e continuava a fare in Piemonte.
Ho cominciato a effettuare immediatamente registrazioni fonografiche (circa 300 ore), intervistando almeno 400 badolatesi sulla storia, gli eventi, la cultura popolare, le lotte contadine e quanto altro potesse essermi utile per conoscere meglio la mia gente (il suo passato, il suo presente e immaginare, anche statisticamente, il suo futuro). Al testo narrativo ho abbinato migliaia di foto, alcune delle quali trovate nell’archivio del grande fotografo sociale badolatese Giocondo Rudi (02.02.1928 – 21.02.2006) o donatemi da altri fotografi professionisti (come, ad esempio, Vittorio Conidi) e da privati cittadini. In Sociologia non era usuale usare le fotografie (come descrizione visiva del testo narrativo); sicuramente sono stato uno dei primi, specialmente in forma così massiccia e documentata (ottenendo il plauso della rivista nazionale “Fotografare”). Per me tutto ciò è stato un benefico bagno di “etica popolare” (molto coincidente con quella etica familiare che mi è stata travasata dai miei genitori). Ne vado ancora fiero. Con questa lunga ed approfondita ricerca sul campo ho potuto conoscere l’anima più vera della mia gente, per la quale ho speso, anche dopo, gran parte della mia giovinezza e della mia esistenza totale. Mi spiace che la partitocrazia non mi abbia permesso di utilizzare al massimo possibile notizie e dati che avrebbero potuto giovare non soltanto alla società badolatese ma pure a quella calabrese e meridionale. Un grosso danno per Badolato e dintorni, così come per tutta la Calabria ed il Sud. Non a caso, tra tanto altro, ho concluso la tesi di laurea con il “suicidio del Sud”. Una raccapricciante realtà ancora di più oggi, a distanza di 47 anni da quel 1977. Che dolore immenso e inconsolabile!…
5 – LA FELICITA’ E L’ARMONIA
Comunque sia, le esperienze precedenti, lo studio appassionato sulla e per la mia gente, ma anche tutto ciò che è intervenuto dopo … mi portano a dire e ad affermare, a 74 anni compiuti, come e quanto io sia felice e in Armonia per tutto ciò che ho fatto. Caro Tito, come potrai ben ricordare, in queste ormai 520 corrispondenze (sommate alle 36 Lettere su Badolato, alle 6 Lettere all’Amore, alle varie Lettere per stupire il mondo e così via) ho frequentemente fatto riferimento alla “felicità e all’Armonia” proprio per come tratte dalla mia esperienza etica. Chi ha letto i sette volumi del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (2007) può testimoniare che il binomio “felicità e Armonia” ricorre spesso. Infatti, nella mia vita non ho mai perso di vista sia la felicità che l’Armonia. E nemmeno quell’escatologia indispensabile per non perdere di vista il senso personale e sociale dell’esistenza umana. Della Wita! Ricorda, dal 1967 scrivo “Wita” con la doppia V per quanto prezioso sia lo stare al mondo!…
Tra tanto altro, per esperienza sul campo, ho sempre insistito nel dire che la sofferenza e il dolore non inibiscono né la felicità né l’Armonia. Me lo hanno confermato i miei stessi Genitori e tutte quelle persone che, nel presente e nella Storia plurimillenaria del genere umano, hanno patito persecuzioni e martirii senza perdere la loro “felicità etica”. La quale, mi sono permesso di affermare, consiste soprattutto nell’onestà di un individuo o di una comunità. Se all’onestà (possibilmente più pura) si abbina l’altruismo (il più generoso possibile) e il sentirsi utile ad oltranza … ecco, allora la “felicità etica” è più completa e diventa Armonia. Infatti, sentirsi in “Armonia” è uno stato dell’anima ineguagliabile. Quasi divino. Nel “Libro-Monumento per i miei Genitori” ho lasciato intravedere e intendere (pure come significato stesso dei sette volumi) che la “genitorialità” vera può essere ed è candidata alla felicità e all’Armonia. Genitorialità come generare non soltanto figli di carne ma anche tutto ciò che sia utile alla propria Comunità e all’Umanità intera. Non a caso, nell’ottobre 1993, ho fondato l’associazione culturale “Università delle Generazioni” (ancora attiva ed efficace, nel mio piccolo paradigmatico).
6 – L’ETICA IN TEMPI DI GUERRA
Nel mondo attuale, pieno di guerre e conflitti di ogni genere, con la minaccia ed il ricatto di una distruzione nucleare globale, che posto ha l’Etica?… L’etica dovrebbe spegnere qualsiasi male o, almeno, tentare di ridurlo al minimo. Ma, popolarmente, si dice che “la cattiveria umana è più grande della misericordia divina”. Siamo, quindi, condannati al pessimismo totale?… Siamo, allora, senza speranza?… E’ difficile dirlo. Certo, la follia umana è tanta e tale che, a furia di scherzare con il fuoco, si rischia davvero di restarne bruciati, forse definitivamente. E, a parte le guerre guerreggiate (come, ad esempio, in Ucraina, in Medio Oriente, ecc.), ci sono le molteplici guerre più o meno silenziose contro la Natura, il Clima, le dannose sofisticazioni alimentari o sanitarie, tutti gli inquinamenti mortali (persino nello Spazio) e così via. Ci sentiamo impotenti; anzi, annullati. Sicuramente siamo traumatizzati, affranti, assai doloranti per tutte le innumerevoli morti (specialmente bambini), le immani distruzioni, le troppe diffuse povertà, i crimini molteplici e tutte le conseguenti situazioni di odio e di vendetta che preparano altri futuri conflitti e guerre. I pazzi non si saziano mai di sangue! Lo dice la Storia.
Tuttavia, ci possiamo anche sentire impotenti ed annullati dalle prepotenze negative, però mai rassegnati. L’etica ci vuole presenti e combattenti sempre fino all’ultimo respiro. E non dimentichiamo che, per difendere e testimoniare i propri valori etici, nel corso dei millenni sono morti innumerevoli màrtiri. L’etica comporta spesso persecuzioni, esilii e martirii; a volte anche la morte. Ne so qualcosa pure io, nel mio piccolo. Primi nemici dell’etica sono i sistemi ideologici di qualsiasi natura, legati ai più disparati interessi di potere e di economia. Recentemente ho cercato di fissare nei versi della canzone “Cumanda a panza” (Comanda la pancia, musicata dall’amico cantautore Claudio Sambiase e attualmente in sala di registrazione, quindi di imminente uscita) le vere, nude e crude leggi quotidiane che orientano il comportamento umano (purtroppo molto lontano dall’etica). Questa canzone è dedicata all’indimenticabile Otello Profazio (1935-2023), il nostro affettuoso amico e re dei cantastorie.
7 – SALUTISSIMI
Caro Tito, come accennavo sopra, fin da bambino, ho osservato i comportamenti dei miei genitori, degli altri familiari, di parenti ed amici e di tutte le persone che incontravo, specialmente della mia gente di Badolato. Osservavo per capire ciò che poi ho saputo essere “dignità” e soprattutto “ètica”. Poiché sono stato abbastanza precoce in quasi tutto, ho cominciato a viaggiare fin da piccolo (accompagnato da adulti di famiglia) e poi dai 13 anni in su ho viaggiato da solo per tutta Italia e, a 15 anni, pure all’estero. Mi è sempre piaciuto il confronto con altre persone e altre genti. E ho avvertito sempre più il fatto che noi calabresi (e meridionali in genere) apparteniamo davvero ad un altro tipo di civiltà valoriale e comportamentale (più umana o umanistica, ricca di valori che altri non hanno in così grande portata ed evidenza solare, ecc.). Parzialmente mi spiegavo il perché … la nostra antica cultura … il distillato di filosofie e saggezze sperimentate sul campo.
La nostra Scuola istituzionale però si è fermata alla Magna Grecia, mentre io cercavo di capire cosa ci fosse stato, specialmente nella nostra Calabria, prima della Magna Grecia (prima dell’ottavo secolo avanti Cristo) … ed ecco che nell’aprile 1982 ho scoperto la “Prima Italia” (ovvero la civiltà nata qui da noi molto prima dell’ottavo secolo a.C. almeno con il neolitico e re Italo, la nascita dell’Italia, ecc.). Poi, dopo il 1995, mi sono arricchito delle sempre più progressive e approfondite scoperte del filosofo Salvatore Mongiardo di Sant’Andrea Jonio (CZ), il quale ha cominciato a studiare pure Lui l’immenso giacimento culturale della “Prima Italia” … fino a giungere all’etica pitagorica, trattata in quasi tutti i suoi libri e fissata in particolare nel suo PENTALOGO che si può leggere gratis al seguente link << https://www.costajonicaweb.it/wp-content/uploads/2019/07/SALVATORE-MONGIARDO-IL-PENTALOGO-DI-PITAGORA-SABATO-13-LUGLIO-2019-ORE.pdf >> oppure nel suo sito “salvatoremongiardo.com”. Assai interessante è l’etica che risponde a criteri matematici ed immutabili. “Universale” ciò cui ho sempre fatto riferimento, fin da quando (settembre 1967) ho denominato “Euro Universal” il gruppo musicale cui facevo parte assieme ai fratelli Franco e Vincenzo Serrao del Vescovo, Pasquale Andreacchio, Nazzareno Audino, Giuseppe Naimo, Enzo Spasari.
Caro Tito, giunto a 74 anni, posso dire che, nonostante tutto, sono molto felice pure “eticamente”. Anzi in Armonia. Questo grazie ai miei Genitori, principalmente, e a tutti coloro che mi hanno variamente voluto bene e a coloro che nei millenni hanno sofferto tante persecuzioni e martirii, restando nostro esempio permanente ed ineludibile. Grazie ai tanti silenziosi “eroi del quotidiano” (come ho scritto nel 1995 in “Prima del Silenzio” e come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella intende evidenziare ogni anno con i Premi e i Riconoscimenti civili assegnati a persone comuni che hanno una marcia etica in più). Pur nel pessimismo più atroce delle guerre e delle distruzioni, noi abbiamo l’obbligo di mantenere nel nostro vocabolario e nella nostra Wita le parole “dignità” – “etica” – “felicità” e “Armonia”. Lo dice pure l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) che ha dichiarato il 20 marzo di ogni anno GIORNATA MONDIALE DELLA FELICITA’ (assieme ad altri valori da tenere ben presenti e vibranti e che hanno una propria giornata di ricordo e celebrazione durante l’anno). Lo ricordo pure al mio vecchio amico e compagno al Liceo di Locri, il poeta Roberto Fuda fiorentino di Gioiosa Jonica, il quale è nato il 20 marzo ed è da poco “nonno felice”. Auguri! Caro Tito, noi ci diamo appuntamento alla prossima “Lettera n. 521” con la speranza che tacciano le armi, si fermino le distruzioni e si riscopra la Pace e l’Amicizia tra i Popoli. Si renda armonioso tutto il Pianeta come era in origine. Grazie e alla prossima! Cordialità,
Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)
ITER-City, lunedì 04 marzo 2024 ore 22.55 – Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).
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