Caro Tito, lunedì 08 luglio 2013 Papa Francesco, nel suo primo viaggio italiano fuori dal Vaticano, ha voluto ricordare a Lampedusa “i morti senza nome del Mediterraneo”. Anche in questi giorni, purtroppo, le cronache riportano l’ennesima tragedia di migranti inghiottiti dal mare! Si stimano in alcune centinaia di migliaia i migranti morti negli ultimi decenni nella traversata della speranza dall’Africa all’Europa (includendo anche il passaggio orientale, su fronte greco, e quello occidentale, sul fronte spagnolo). Ti riporto integralmente, qui di seguito, quanto ho scritto nella primavera del 2004 (poco più di nove anni fa) a proposito dei “morti senza nome del Mediterraneo” e poi pubblicato (nel 2007) alle pagine 311-313 del quarto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” nel capitolo del “Pantheon familiare”. Ho notato che sono quasi del tutto coincidenti le motivazioni e i sentimenti che hanno spinto il Papa Francesco fino a Lampedusa. Per la cronaca, nell’autunno 2007 ho inviato in omaggio alla Biblioteca Vaticana i sette volumi (freschi di stampa) del “Libro-Monumento per i miei Genitori”. Eccone il testo delle pagine 311-313:
I MORTI SENZA NOME
Quasi tutte le Nazioni hanno la tomba di un “Milite Ignoto” (soldato sconosciuto, senza nome) o un monumento a Lui dedicato. Ma (che io sappia) non c’è ancora una stele, un monumento, un qualsiasi segno che ricordi ed onori “I morti senza nome” … coloro che muoiono “senza Veroniche e senza Cirenei” come direbbe la poetessa termolese Norma Malacrita. E “senza pie donne” (aggiungerei io, giusto per completare la via dolorosa, la via-crucis di un qualsiasi essere umano).
Da parte mia, vorrei almeno tentare di riparare a questa dimenticanza, evidenziando ed accogliendo in questo mio “Pantheon familiare” tutti, indistintamente tutti “I morti senza nome” del passato, del presente e del futuro. Un’ultima carezza a coloro che non hanno nemmeno una tomba, a coloro che chiudono gli occhi senza avere accanto nessuno, a coloro che muoiono in situazioni tragiche o nella più completa solitudine e disperazione.
La cronaca quotidiana dei giornali e dei telegiornali ci mostra una realtà di cui dovremmo avere tanto e tale orrore da non permettere più il ripetersi di ogni tipo di tragedie. Invece, giorno dopo giorno, siamo abituati, ipnotizzati e narcotizzati da immagini di morti (individuali o di massa) di sangue e di distruzione … e finiamo, così, di rimanere indifferenti o addirittura ne restiamo sadicamente attratti. Orrore nell’orrore! Non c’è più nemmeno la “pietas” latina … la “compassione” cristiana … nemmeno la semplice considerazione umana. Ci stiamo, piano piano, disumanizzando! … Il mondo è ormai in preda ad una nuova barbarie e l’intera Umanità rischia davvero grosso, se non si mette in moto un “nuovo umanesimo”, se non si perviene ad un “nuovo rinascimento”.
I MORTI SENZA NOME DEL MEDITARRANEO
Nel corso dei millenni, le coste italiane (specialmente quelle orientali e sud orientali) hanno visto una infinità di sbarchi da parte di innumerevoli genti che fuggivano da situazioni di guerra come Enea o naufragàvano come Ulisse o attualmente lottano contro oppressioni politico-territoriali come il curdo Ochalan…. “ Da Enea ad Ochalan”, da millenni non si ferma … il flusso dei profughi, naufraghi, ostracizzati, esiliati, perseguitati, di “migranti” in generale. Lo stesso popolo italiano è una sintesi dei vari popoli migranti … discesi dal nord, avanzati dal Sud o pervenuti da Oriente e da Occidente. Come dimostra la realtà attuale, una parte di tali “migranti” non riesce a raggiungere “la terra promessa” … muore prima. Il mare Mediterraneo, specialmente, ha ingoiato pure le loro speranze di salvezza, così come le Alpi e i lunghi itinerari defatiganti e difficili (quanti “clandestini” sono morti dentro i cassoni dei camion o lungo i confini delle nazioni)!
A tutti questi morti voglio qui tributare particolare omaggio e speciale memoria. Un esempio, per ricordarli tutti. Verso la metà dell’ottobre 2003, ha subìto naufragio una delle tante imbarcazioni (“carrette del mare”) che cercava di raggiungere la costa italiana dell’isola di Lampedusa (posta al centro del Mediterraneo, tra Africa ed Europa). Tredici profughi (provenienti dalla Somalia) hanno perso la vita. Non avevano documenti e nemmeno i compagni di viaggio, superstiti, sapevano i loro nomi. L’Italia (per merito del Comune di Roma, sindaco Walter Veltroni) ha voluto dare un sentito e significativo omaggio a questi tredici “Morti senza nome” proprio in Piazza del Campidoglio, cuore della città, venerdì 24 ottobre (strana coincidenza, poiché, non a caso, questa è giornata dedicata all’ONU, organizzazione delle nazioni unite).
Il 09 novembre, io ed il mio amico cantautore Claudio Sambiase, abbiamo dedicato a questi “Morti senza nome” … a questi “Fratelli del mare” … il “Concerto Capo Sud” che ha avuto luogo al teatro Verga di Milano. La notizia (su mio comunicato-stampa) è stata riportata ed evidenziata da vari giornali e da alcuni siti internet. “Fratelli del mare” è una canzone (parole mie, musica di Claudio Sambiase) che celebra gli immigrati, specialmente quelli che da millenni vengono dal mare (come i profughi della nave Ararat, sbarcati il 26 dicembre 1997 ed ospitati in Badolato). Un’altra canzone a loro dedicata (con parole mie e musica di Claudio Sambiase) è “Angela di Badolato” per la prima bambina kurda nata in Terra di Calabria dal flusso dell’Ararat, come ho evidenziato nel Primo Volume.
Il 03 dicembre 2003 ore 11,44 ho scritto al sindaco di Lampedusa e ad altre autorità siciliane (tra cui al Presidente della Regione Sicilia) per proporre di realizzare nell’isola il “Museo dell’immigrazione” ed il “Monumento ai morti senza nome del Mediterraneo”. L’08 dicembre 2003, nella pagina di presentazione della raccolta di poesie “Buon Natale 2003” il poeta agnonese Vincenzo Balbi ha voluto dedicare “Un pensiero anche ai cosiddetti Morti senza nome che sono naufragati nel mare Mediterraneo nel tentativo di giungere in Europa per un futuro migliore”. Con prot. 338 del 04 febbraio 2004, da Palermo, il Presidente della Regione Siciliana on. dott. Salvatore Cuffàro mi ha inviato una lettera, il cui testo mi sembra opportuno riportare per intero qui di sèguito.
Egregio Dottore Lanciano,
la Sua proposta riguardante la realizzazione di un museo dell’immigrazione ed un monumento ai morti senza nome del Mediterraneo, Le conferisce grande merito per la sensibilità nei riguardi di una tragedia epocale, che si rinnova giornalmente e che sembra non avere fine. Condivido il Suo ragionamento, ma credo che l’ultima parola spetti all’Amministrazione Comunale di Lampedusa, con la quale si potrebbe successivamente avviare un percorso concreto per la realizzazione della Sua proposta. Rendere omaggio alle vittime dell’emigrazione clandestina è certamente un atto che testimonia la sensibilità della nostra Regione, che in passato ha avuto tra i propri conterranei numerosissimi eroi emigrati in terre lontane ed inospitali. Le rinnovo i miei più sentiti complimenti ed attendo eventuali notizie da parte del Sindaco di Lampedusa. Cordiali saluti, Salvatore Cuffaro.
Fotocopia di tale lettera ho, poi, partecipato venerdì 13 febbraio 2004 ore 11,44 al Sindaco di Lampedusa, Bruno Siracusa. Lunedì 16 febbraio 2004 ore 12,12 ai Presidenti delle Regioni del fronte sud-est italiano Puglia, Basilicata, Calabria ho esteso la proposta di partecipare alla realizzazione in Lampedusa del Museo dell’Immigrazione e del Monumento ai Morti senza nome del Mediterraneo, come momento unificante di civiltà italiana ed europea. Invano, per ora!
Voglio ricordare che il poeta kosovaro Ysmen Pireci ha voluto intitolare “Il villaggio senza nome” la sua prima raccolta di poesie (riportata più avanti nel Volume Quinto di questo stesso Libro-Monumento) … proprio per evidenziare che gli immigrati presenti in Europa formano un villaggio che ancora non ha un nome, eppure è una vera e propria comunità dentro la più grande Comunità Europea. Ricordo altresì che pure i monaci certosini hanno tombe senza nome e che vengono inumati avvolti soltanto da un telo. Medesima modalità viene usata per alcuni cimiteri islamici (come in Arabia Saudita). Le tombe sono senza nome, poiché la morte ci rende tutti uguali (vedi il poemetto in dialetto napoletano “A livella” di Antonio De Curtis in arte Totò). In particolare, sicuri di un Aldilà divino, i Certosini trascorrono la vita in silenzio, in preghiera, in umiltà e povertà … quasi come contraltare di quel mondo chiassoso e spudoratamente opulento che ha dimenticato Dio ed i suoi fratelli emarginati, esclusi e spesso … senza nome. Senza nome in vita, senza nome in morte. Pur non essendo credente (almeno al momento) voglio auspicare anch’io che ci possa essere un Aldilà che renda giustizia a tutte le sofferenze, specialmente a chi è senza nome e senza tant’altro in vita come in morte.
Caro Tito, il 28 giugno 2008 è stata inaugurata su una scogliera dell’isola di Lampedusa la “Porta d’Europa” opera dello scultore beneventano Domenico Paladino (Paduli 1948) proprio come “Monumento ai migranti morti nel Mediterraneo”. Adesso c’è da realizzare il “Museo dell’Immigrazione” pure per far capire alle nuove generazioni europee (comprese quelle derivate dai migranti degli sbarchi clandestini passati, presenti e futuri) questo nostro periodo storico, così come le nuove generazioni americane (derivate dagli immigrati tra 1882-1954) possono capire l’emigrazione transoceanica visitando il “Museo dell’Immigrazione” di Ellis Island, isola che è stata la “Porta degli Stati Uniti”. La proposta di realizzare a Lampedusa (oppure a Badolato o in qualsiasi altro posto dove storicamente sbarcano o soggiornano in massa i migranti) il “Museo dell’immigrazione” è, per me, anche un’occasione per evidenziare il “fronte jonico” degli sbarchi (Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia) ma anche un pretesto per auspicare politiche adeguate di sostegno (da parte dei Paesi “impropriamente ricchi”, specialmente dell’Europa) affinché tutta questa gente migrante dall’Africa e dall’Asia non sia costretta a lasciare il proprio di Paese se non in numero indispensabile, garantito e controllato. Chi come me è emigrato o è in esilio sa bene che è sempre meglio stare nel proprio paese natìo, per tantissimi motivi ma pure perché, come ha scritto Dante Alighieri “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scender e ‘l salire per l’altrui scale” (Paradiso, Canto 17). E, purtroppo, alcuni sanno, ancora prima dell’arrivo, il sapore salato della morte! E’ ovvio, ribadisco, che ognuno starebbe meglio a casa sua, avendo pace, lavoro e dignità! La principale sfida del terzo millennio è proprio questa: garantire a tutti pace, lavoro e dignità! Cordialità.