Caro Tito, come ho più volte e variamente affermato nelle prime sette lettere dedicate a “Capo Sud” (dal 01 ottobre al 12 novembre 2012) sono sempre del parere che la zona dello Stretto di Messina sia una delle più belle del mondo e, quindi, volendo, anche … “una gallina dalle uova d’oro”!… Me ne sono innamorato fin da bambino quando, con i miei genitori, ero solito frequentarla per almeno due motivi: perché a Reggio c’era la Direzione Compartimentale delle Ferrovie dello Stato cui mio padre si recava spesso per motivi di servizio e perché a Pellegrina (frazione di Bagnara) abitava con la famiglia zio Vincenzo (cantoniere dell’Anas), fratello maggiore di mio padre. Venivamo sempre con il treno, di prima mattina, ed io ero sempre affacciato al finestrino e sempre incantandomi nell’intravedere la Sicilia etnea già dalla ampia curva di Capo Spartivento.
Poi mi estasiavo ai diversi panorami da una costa all’altra e da più livelli di osservazione; mi entusiasmava la traversata con il traghetto, l’imbarco e lo sbarco, la gente, i portuali e, soprattutto, mi beavo di quella magìa del posto che conservo ancora adesso e che ho cercato di valorizzare, da innamorato, con il “Progetto Capo Sud” (1999). Lo Stretto è sempre una grande emozione! Ci porto pure tanti amici.
Tra i molteplici aspetti captati e vissuti frequentando lo Stretto (negli anni cinquanta/sessanta), uno, in particolare, ti voglio raccontare come ennesima conferma dei tantissimi forti legami tra Calabria e Sicilia che la scrittrice Erminia Nucera evidenzia meravigliosamente nel suo interessante e bel libro UNITI DAL MARE (www.cittadelsoledizioni.it Reggio Calabria 2011, pagine 448, euro 25): il “contrabbando” del sale siciliano, specialmente quello fino marino. E metto tra virgolette la parola “contrabbando” poiché era così tanto diffuso (prevalentemente per i fabbisogni familiari, almeno fino all’abolizione del monopolio di Stato nel 1973) tale traffico “nascosto” tra Sicilia e Calabria che non si potrebbe nemmeno parlare di vero e proprio “contrabbando” (essendo questo un termine da usare per grossi livelli speculativi dalle ragguardevoli dimensioni).
E ben lo sapeva sicuramente la Guardia di Finanza che mi dava l’impressione di chiudere un occhio davanti a innumerevoli persone che, con borsoni e capienti valige, entravano (spesso carichi proprio di sale siciliano) nei traghetti al porto di Messina alla volta del continente. Si sa che i negozi di “Sali e Tabacchi” (appunto) erano, fino ai primi anni settanta, gli unici che potevano detenere e vendere il sale. Questo era praticamente di due categorie: il sale (prodotto nelle saline marine) e il salgemma (ricavato dalle miniere).
La Sicilia era, allora, grande produttrice di sale marino (specialmente Trapani), ma anche di salgemma (San Cataldo, Enna, Lercara Friddi, Petraia, ecc.), mentre quest’ultimo era estratto da alcuni grossi giacimenti minerali di Calabria (specialmente Lungo, Montalto), di Toscana (Volterra, San Gimignano, Ponteginori). Comunque sia, spesso conteneva residui rocciosi ed era comunque più costoso il salgemma venduto nei cosiddetti “tabacchini” (quei negozi che all’esterno esibivano una tabella caratteristica di colore nero o blu con una grande lettera “T” e sotto le parole “Sali e tabacchi” oppure “Monopoli di Stato” intendendo pure i “Valori” cioè marche da bollo e francobolli). Perciò, parecchi calabresi preferivano, avendone l’occasione o la possibilità, rifornirsi di sale marino a Messina, risparmiando parecchio e accontentando pure parenti ed amici. Era un po’ come oggi, quando intere famiglie si spostano da un paese all’altro, percorrendo addirittura un centinaio di chilometri, per fare la spesa in alcuni supermercati meno cari, riuscendo (ora come allora) a guadagnarci, persino pagandosi pure le spese del viaggio. Così faceva spesso la mia famiglia, approfittando delle frequenti visite al Compartimento FS e a casa di mio zio Vincenzo a Pellegrina, negli anni cinquanta e sessanta del secolo appena trascorso.
Ricordo le nostre escursioni familiari a Messina, il carico del sale e il passaggio guardingo davanti agli uomini della Guardia di Finanza all’imbarco del traghetto. Ero partecipe dei timori e delle emozioni dei miei, ma (per fortuna o, meglio, perché, come dicevo, quegli agenti chiudevano un occhio, con benevolenza e comprensione verso il popolo dei “contrabbandieri”) non abbiamo avuto mai problemi. All’arrivo a Badolato, c’era la fila di parenti ed amici per avere parte di quel sale siciliano, che, ovviamente, i miei genitori (nella loro proverbiale generosità e magnanimità) non si facevano mai e poi mai rimborsare. Non tutti sanno che le “vie del sale” hanno sempre avuto, nel mondo, una grandissima e strategica importanza.
Specialmente l’Italia è trapuntata di paesi e città che, fin dalla preistoria, hanno vissuto sul passaggio e sul commercio del sale. Ad esempio, alcuni storici sostengono che tutti i nomi che finiscono il “tola” (come Angitola, Limatola, Terontola, Antola, ecc.) sono legati al “sale” ovvero legati all’oro bianco per eccellenza, come “stazioni sulle vie del sale”. Altro esempio: il nome della celebre Salisburgo (in Austria) significa proprio “città del sale” (specialmente per le sue importanti miniere di salgemma presenti pure in altre parti d’Europa, come in Germania, Polonia, Russia, Spagna, Francia, ecc.). Il “sale” fu e continua ad essere merce “sacra” perché indispensabile per il condimento e la conservazione dei cibi pure oggi nonostante che abbiamo frigoriferi, congelatori e surgelatori!… Si pensi alla lavorazione dei prosciutti, degli altri salami (appunto!), dei formaggi e di tanti altri cibi di cui siamo ghiotti!… Ma anche per la salute, che viene aiutata dal sale iodato. Un grazie alla Sicilia, anche per il preziosissimo “dono” del sale! Cordialità.