Caro Tito,trattando questo tuo sito web la nostra Costa Jonica, ho pensato di raccontarti in più lettere alcuni “rapporti jonici” intercorsi tra la costa calabrese e quella siciliana negli ultimi due secoli. Voglio partire con i pescatori catanesi che di questi tempi, tra maggio e giugno, erano già sulle coste joniche calabresi (in particolare al mare di Badolato) per fare la cosiddetta “stagione”. Ne sono diretto testimone per gli anni cinquanta e sessanta dell’appena trascorso secolo ventesimo. Infatti, in territorio di Badolato, generalmente dalla foce del torrente Gallipari fino alla foce del torrente Vodà, per oltre due chilometri, si addensavano centinaia di barche di pescatori provenienti dalla costa catanese per la pesca del pesce azzurro (sardine, alici, ecc.).
Quasi sempre restavano per l’intera estate e barattavano il pescato con i prodotti della terra (olio, vino, salami, frutta, verdura, cereali, ecc.) anche perché in quei tempi difficili di povertà (e di miseria endemica e post-bellica, quando “la fame parlava con gli Angeli”) erano veramente pochi coloro che potevano acquistare qualcosa con il denaro. Quasi tutte le nostre famiglie mettevano in salamoia questi piccoli pesci come provvista invernale, così come si faceva con pezzi riquadrati di carne del maiale conservati nei “salaturi” (vasi cilindrici di terracotta porcellanata di varie misure, con la possibilità di contenere da alcuni a parecchi kilogrammi di carne o pesce sotto sale).
Perché proprio sulla costa badolatese e dintorni così tanti pescatori venivano da lontano (almeno da una distanza di oltre 100 miglia marine, pari a circa 185 km)?… Prima di tutto perché la nostra Calabria Jonica (salvo pochissime eccezioni) non aveva e non ha ancora adesso una tradizione marinara; e poi perché il nostro mare, specialmente quello antistante Badolato (in particolare con la cosiddetta “secca di Gallipari” – qui nella foto in un’alba dell’agosto 1987), era molto pescoso … tanto che ci potevano stare alcuni mesi!
I numerosi pescatori siciliani animavano e caratterizzavano l’estate badolatese con la loro presenza e, oggi, a pensarci bene, possono essere considerati, in qualche modo (se non altro per i luoghi di provenienza catanese) gli eredi dell’epopea dei “Malavoglia” così tanto decantati e descritti dalla letteratura di Giovanni Verga nel suo romanzo del 1881, poi ripresa magistralmente dal cinema di Luchino Visconti con il film “La terra trema” (1948) e di Pasquale Scimeca “Malavoglia” (2010). A me personalmente che allora ero pure alle prese scolastiche con i poemi omerici, alcuni di questi pescatori sembravano i compagni redivivi del mitico Ulisse, carichi di salsedine e di avventure, come quei “Contadini del mare” (1955) e “Pescherecci” (1958) descritti mirabilmente dai documentari del grande regista calabro-siculo Vittorio De Seta (1923-2011).
E belle e caratteristiche erano non soltanto le barche colorate (decorate quasi come i classici carretti siciliani) ma soprattutto le reti che si asciugavano al sole o che venivano rammendate. La spiaggia di Badolato, per alcuni mesi sembrava proprio quella di un borgo marinaro vero e proprio. Ricordo che alcuni pescatori erano soliti stendere le loro reti sulle corde dove la mia famiglia stendeva i panni del bucato ad asciugare attorno al casello ferroviario di Cardara. Una volta, le scintille provenienti da una locomotiva (alimentata a carbone, poiché quelli erano ancora i tempi delle vaporiere “ciuf-ciuf”) hanno incendiato alcune di queste reti. Dopo questo episodio i pescatori non vollero stendere le loro reti al casello km 324 (lungo la linea ferrata Metaponto – Reggio Calabria).
E belle e caratteristiche erano, di notte, le lampare che trasformavano il mare di Badolato in un cielo ricolmo di tremule stelle. Uno spettacolo che noi bambini ammiravamo dalla spiaggia assieme ai contadini che, per non tornare al borgo in collina, si adattavano a dormire sulla sabbia in vario modo, alcuni dentro a pagliai fatti di canne o di frasche della macchia mediterranea di cui erano ricche le dune che limitavano la spiaggia dai campi coltivati. Vedevamo le lampare che tremolavano, appunto come le stelle, e sentivamo le voci di lavoro dei pescatori che si affannavano per tutta la notte nel seguire i banchi di pesci da tirare su. Poi, appena dopo l’alba, il loro sbarco era atteso da abitanti e da pescivendoli dell’interzona, ma pure da automezzi che avrebbero portato il pescato nei mercati delle grandi città. Nella mattinata, mentre i bagnanti pullulavano sulla spiaggia oppure dentro primi metri di mare, gran parte dei pescatori dormivano all’ombra delle loro barche o sotto gli alberi dei campi vicini. Questa era la Badolato Marina estiva in quegli anni cinquanta e sessanta. Poi, l’emigrazione ci ha derubato pure dei pescatori siciliani, impoverendoci ulteriormente di quei simpatici personaggi, delle caratteristiche lampare e di un elemento importante della nostra “dieta mediterranea” costituito proprio dal pesce azzurro fresco e in salamoia. Nei nostri paesi, piano piano, andarono in disuso pure le immancabili “pescherie” fino ad essere persino cancellate dalla topografia urbana, come quella comunale c’era in piazza Santa Maria a Badolato borgo!… Ah, il falso progresso!
L’ultimo mio contatto con i pescatori catanesi è stato nell’agosto 1977 quando di giorno, al largo della spiaggia di Monasterace (distante appena 15 km da Badolato Marina), erano ancorati tre pescherecci provenienti proprio da Catania e dintorni. Una mattina, allo sbarco del pescato, ho avvicinato il signor Natale, il capitano del “Nettuno”, chiedendogli se fosse stato possibile per me passare la nottata di pesca con loro, proprio per rivivere i tempi della mia infanzia e prima giovinezza delle lampare siciliane. Gentilissimi il capitano e i pochi uomini dell’equipaggio del “Nettuno”, mi presero a bordo, mi offrirono la loro frugale cena ed il loro caffè, mi illustrarono le nuove tecnologie per l’individuazione dei banchi di pesce che venivano seguiti sui monitor. I tre pescherecci facevano squadra e il luogo di pesca fu, non certo a caso, proprio quella secca davanti al torrente Gallipari che era la zona storica delle lampare siciliane di mia infantile memoria. Fu uno spettacolo indimenticabile, all’alba, assistere alla cattura di una gran massa di pesci, alcuni dei quali, come è caratteristico alle prime luci del giorno, diventano acrobati, saltando vorticosamente non si sa se per sfuggire alla loro fine o come ultimo e istintivo inno alla vita. Quella notte trascorsa con il “Nettuno” di capitan Natale, “dentro” le operazioni di pesca, ha così completato il ciclo della pesca estiva che, da bambino e da ragazzo, avevo visto innumerevoli volte dalla spiaggia di Badolato. E ne fui veramente felice! Grazie pescatori siciliani di ieri, di oggi, di domani! Cordialità