Caro Tito, il 18 febbraio del 2013 abbiamo dedicato la “Lettera a Tito n. 21” al giovane “Riccardo Ceres, il cantautore che ama il mare Jonio” (https://www.costajonicaweb.it/lettera-a-tito-n-21-riccardo-ceres-il-cantautore-che-ama-il-mare-jonio/). Adesso ti voglio dire di un nuovo Album realizzato da Riccardo alla boa dei suoi primi 40 anni. Il nuovo lavoro contiene dieci brani e s’intitola “Spaghetti Southern”. Francesca Grispiello (la giornalista del suo “ufficio stampa”) scrive tra l’altro presentando la biografia del cantautore: “Nell’ottobre 2018 Soundfly pubblica il suo quarto Album “Spaghetti Southern”, il più importante della sua storia”.
IL TEMPO DELLA MATURAZIONE
Ecco … l’album più importante della sua storia. Solitamente i quaranta anni vengono considerati, un po’ per tutti (uomini e donne), “l’ingresso nell’età matura, così come i 18 anni sono quelli che ci fanno entrare nella “maggiore età” anche legale. E, in gran parte, è vero, anche se le femminucce pare maturino molto prima di noi maschietti già fin dall’infanzia. Comunque sia, per Riccardo Ceres (nato a Caserta il 24 luglio 1978) i 40 anni rappresentano non soltanto la maturità anagrafica ma anche e soprattutto la “maturità musicale e poetica”.
Così scrivevo il quella Lettera n. 21, quasi sei anni fa: “Riccardo Ceres è un autore di talento e, con il tempo e la maturazione umana ed artistica, non mancherà di rivelarsi un vero “genio” musicale con un posto che potremmo dare già per assicurato nella storia della musica”. Con l’Album “Spaghetti Southern” il maggior genio è uscito fuori e possiamo ben dire che è sulla buona strada per conquistare un posto nella storia della musica. In tale Album si è realizzato un “incontro tra motivazioni artistiche e individuali, storiche e private, dieci canzoni intorno alla misteriosa linea-guida del blues”. Da notare poi che voce, parole, musiche ed arrangiamenti sono tutti del nostro cantautore Riccardo Ceres. Opera artistica completa, quindi!
In un’altra recensione senza firma ho letto: “”Spaghetti Southern è un lavoro di notevole maturazione, nel quale le storie in musica di Ceres trovano perfetta sintesi tra blues, jazz, roots, psichedelica, rock e canzone d’autore. Ecco, i critici musicali che seguono i lavori di Ceres sono tutti concordi che questo suo quarto Album rappresenta una più compiuta e serena “maturazione” non solo musicale e tematica ma anche umana.
LA MISTICA MUSICALE
Spesso, ascoltare e percepire una qualsiasi musica può essere un fatto del tutto soggettivo, forse anche troppo personale. E’ raro che ognuno di noi capti le medesime intenzioni dell’autore e del compositore. Un brano che per me può rappresentare una “mistica musicale” per altri può diventare ben altra cosa. Perciò, non fa testo la mia convinzione secondo cui il genere compositivo e vocale di Riccardo Ceres (fin dal suo primo Album) tende al misticismo musicale e che il suo modo di dire e di cantare strascicando le parole sia come pregare, nonostante ogni tanto si conceda alle parolacce (soltanto apparentemente volgari), poiché ogni parolaccia può essere interpretata come una invocazione (come lo sono, a volte, talune bestemmie o imprecazioni).
Ovviamente questa mia può essere ed è una delle tantissime interpretazioni del genere artistico di Ceres. Il famoso proverbio latino (“quot capita, tot sententiae” ovvero ogni testa ha un suo modo di sentenziare e di dare pareri) vale per la musica come per qualsiasi altra espressione umana e sociale. E mi permetto di pensare ad una calda “mistica musicale” per il fatto che ho la fortuna ed il privilegio di conoscere Riccardo fin da quando il 22 luglio 1980 stava per compiere, due giorni dopo, due anni … quindi sono 38 anni di pur vaga “amicizia”. Infatti, non ho avuto occasione di vederlo tutti i giorni, però l’ho visto crescere e conosco le principali tappe della sua vita dalla sensibilità davvero ultrasonica. Inoltre, il suo genio artistico non è ancora del tutto emerso. Può essere considerato ancora un “iceberg” poetico-musicale. Molta parte non è ancora emersa e resta come un vasto giacimento aurifero per il futuro.
Come per tanti di noi, l’ambiente in cui si vive ha gran parte di responsabilità (meriti o demeriti) sul fatto che potremmo dare di più, se solo ne avessimo le possibilità di portare ai massimi livelli la nostra espressività. Così Riccardo Ceres ha già sbalordito abbastanza, pur avendo esperienze umane e artistiche che potremmo considerare limitate (tra Caserta, Napoli e Roma) se guardiamo a quanto è grande il mondo sociale e musicale. Sarebbe stato già a 20 anni ciò che è costretto ad essere oggi a 40 … se solo avesse avuto la possibilità di frequentare ambienti ed artisti a lui più affini e congeniali, al top dell’arte, e in ambienti dove si vive solo di musica elevata ed assoluta … certamente fuori da un Italia che tollera ed ostacola gli artisti, quando non li massacra. A valorizzarli non se ne parla nemmeno. Come per tanti altri talenti. L’Italia (ed il Sud in particolare) non è paese per autentici artisti e visionari della vita e di prospettive future. Il cosiddetto “merito” è un miraggio in gran parte del Sud e dell’intera Repubblica Italiana.
Ancora di più delle precedenti tre raccolte, le dieci canzoni di questo suo quarto Album “Spaghetti Southern” sono la dimostrazione pratica (a mio modesto parere) di come e quanto Riccardo tenda le corde della sua chitarra e del suo animo al massimo possibile in questo nostro ambiente dove pure chi ascolta (e giudica) non ha avuto la possibilità di affinare orecchio e vita. Caro Tito, non scrivo questa lettera da “critico musicale” poiché non lo sono e nemmeno da amico e grande fan di Riccardo perché non lo voglio e non lo devo compiacere. Scrivo queste pagine, abituato come sono a leggere dentro le note e dentro la persona che le ha emesse, confortato pure dall’essere io stesso visionario cacciatore di parole audaci e permanentemente sintonizzato con i suoni (specialmente quelli che è difficile percepire se non hai una mistica vibrante).
Si potrebbe e si dovrebbe approfondire e completare tale discorso, non solo per Riccardo Ceres ma pure per i tanti spiriti eletti che da una parte hanno avuto il dono del “sublime” mentre dall’altra faticano (ma sempre con tenacia ed efficacia) a conquistare dimensioni insolite e fin troppo eccelse. Sono personalità che vogliono vivere al massimo possibile, pur sfidando le leggi di gravità imposte da un ambiente non sempre esaltante (se non per gli affetti familiari ed amicali, oltre cui il deserto è pressoché totale). Tuttavia, la sua generazione sta lottando bene, nonostante venga impedita e torturata da una cattiva e caotica globalizzazione la quale (a parte taluni vantaggi apparenti, ludici e non sostanziali) ha bisogno di riequilibrio. E la musica di Riccardo ha in sé questo valore urgente e necessario del “riequilibrio” semantico ed emotivo, lungimirante quanto destinato ad una maggiore e migliore perfezione stilistica ed evocativa.
L’ESTASI MISTICA
A confermare questa mia percezione di “mistica musicale” (che ha a che fare con il sacro, quasi religioso e rituale della musica) è lo stesso Ceres il quale ha affermato, completando il pensiero di questo suo commentatore che dice: “”(Ceres) nel 2012 con l’Album “E il mondo non c’è più” si è avvicinato a un obiettivo che finalmente ha raggiunto con “Spaghetti Southern” … un incontro tra motivazioni artistiche e individuali, storiche e private, dieci canzoni attorno alla misteriosa linea-guida del blues. Il blues è una scelta, ma anche un percorso inevitabile per Ceres, che sente, pensa, scrive e vive questa musica come una confessione, un rituale””.
Infatti, Riccardo completa con la seguente chiosa: “”Credo che il blues sia la migliore colonna sonora per raccontare se stessi. Sono “solo” tre accordi, quelli indispensabili da raccontare e per raccontare. In varie forme lo si trova in tutti i sud del mondo. Per me è una sorta di cerimoniale religioso. In tutte le culture del sud del mondo le religioni più ortodosse sono costellate di riti pagani. Soprattutto nelle zone rurali la musica di queste cerimonie è composta dallo stesso giro armonico che si ripete ancora e ancora, fino allo sfinimento. Per raggiungere l’estasi mistica, per sentire e vedere quello che non si riesce a sentire e vedere nella vita reale. Per respirare a ritmo del respiro del mondo””.
L’ASCETISMO MUSICALE
Ho notato (già fin da primo Album) che Riccardo Ceres ha una tendenza musicale all’ascetismo. Egli è personalmente dotato di forte e profonda spiritualità (che gli ho percepito fin da bambino), pure perché non riusciva mai ad essere banale, bensì sempre più maturo dei suoi anni e con un volto sempre illuminato da un sorriso come preso da un universo a noi impercettibile. Il misticismo e l’ascetismo sono doti naturali che non è facile spiegare, poiché possono dipendere da tantissimi fattori e da presenze che, spesso, si assorbono fin dall’infanzia. La ricca letteratura mediterranea (e non solo) della mistica e dell’ascetismo dimostra che questa essenza del proprio animo riflette una natura elevata della persona fin dalla nascita.
Quanto a Riccardo Ceres, la sua musica è quasi sempre tendente alla soavità mistica e alla profondità ascetica … specialmente se pensiamo di sostituire la sua voce con vari strumenti solisti (a seconda del caso) ovviamente supportati dal suo peculiare arrangiamento. E tale musica sembra non appartenere alla nostra contemporaneità, ma ad un’elegia perenne che lega l’Umanità fin dalle sue origini. Sotto questo aspetto, la musica di Riccardo è universale, per certi versi “epica” nelle sonorità e nelle concettualità.
Già nella “Lettera a Tito n. 21” del 18 febbraio 2013 sostenevo, evidenziando la genialità compositiva e di ispirazione, che la musica di Riccardo fosse “sapiente” e con tutti i colori e le sfumature dell’arcobaleno. E non era soltanto una sensazione ciò che adesso è sempre più realtà. Un vero artista come Ceres prende le note direttamente dal firmamento, quel firmamento che – i più grandi scienziati ed astronomi hanno affermato – è scritto in musica e matematica. E musica e matematica sono i linguaggi più universali che si completano a vicenda. E Riccardo Ceres vuole “respirare a ritmo del respiro del mondo” (come ha affermato) e quindi dell’universo, tra sacro e mistero, tra sublime e immortalità.
LA POETICA E LA FILOSOFIA
Caro Tito, indipendente dalla musica, Riccardo Ceres ha dimostrato (con i suoi testi letterari coniugati con le sonorità e le espressività canore) di essere un grande poeta. E, si sa, i più grandi poeti (fin dall’antichità) erano anche musici e, quindi, “cantautori” né più né meno come taluni nostri artisti. Il cosiddetto “cantautorato” è sempre esistito, pure perché la bella poesia, quella più sentita ed accorata, ci fa cantare. E’ stato detto e scritto che Riccardo Ceres è un “menestrello”. Oggi tale termine può sminuire un vero artista, specialmente quello che non si sente di appartenere ad alcuna “corte”, poiché il menestrello lo si associa, storicamente, ad un cortigiano chiamato per allietare il proprio padrone e i suoi ospiti. Riccardo (come si accorgerà chi lo vorrà conoscere attraverso le sue Opere) è fuori dal comune, ha una propria personalità umana e artistica e va, quindi, ben oltre i “luoghi comuni” e le situazioni atte a compiacere il proprio pubblico.
Infatti, oggi come ieri e come domani, il cantautore medio-normale cerca di strizzare l’occhio a chi lo ascolta, regalandogli fraseggi poetici e musicali adatti ad un gusto e ad un orecchio ormai standardizzato nella facile piacevolezza. Invece, Ceres espone in ogni suo disco i risultati delle sue ricerche musicali, poetiche e persino filosofiche. Perché sì, a livelli dove è arrivato e dove ancora arriverà il nostro “Riccardo nazionale”, si viaggia nell’iperuranio, là dove c’è quella materia primigenia e quell’essenza che nutre il nostro essere affinché la nostra vita sia sempre degna e migliore.
L’IPERURAIO DI CERES
Disco dopo disco, Album dopo Album, Opera dopo Opera … mi accorgo sempre di più che l’Arte di Riccardo Ceres è costantemente tesa ed elevata (appunto) a livello dell’Iperuraio di platonica memoria. E così Egli fa (consapevolmente o istintivamente per intima ricerca) una triplice operazione socio-culturale. Primo, racconta la propria quotidianità (e ci dà perciò un documento generazionale imperdibile). Secondo, èleva il discorso cercando di dare un senso a tale quotidianità umana (ed è l’invito implicito a chi lo ascolta di non accontentarsi del proprio vissuto ma di tendere verso l’infinito significativo). Terzo, crea l’osmosi necessaria tra il quotidiano vissuto con la nostra “terrestrità” e tra quell’iperuranio dove vibra l’eterno e il miglioramento ad oltranza di noi stessi (ovvero l’interscambio tra l’essere e il dover essere).
LA PEDAGOGIA SOCIALE
Cari Tito, sai bene che ogni nostra azione, specialmente nel dare l’esempio quando siamo in mezzo agli altri, ci porta a vestire (nolenti o volenti) i panni dell’educatore (in male e in bene). Per un cantautore che, come Riccardo Ceres, usa stare in mezzo a tante gente (con i concerti, con l’audizione anche personale e riservata delle sue proposte, ecc.), dare l’esempio è una responsabilità in più verso sé stesso e verso gli altri, in particolare verso i giovanissimi in stato di formazione sentimentale, mentale e comportamentale. Mi pare di aver capito che Egli senta questa responsabilità pedagogica-sociale. Pure per questo, con il linguaggio poetico-musicale adottato, Ceres dimostra di essere vicino alle generazioni del suo ascolto con una sana pedagogia sociale, sentimentale e valoriale. Riccardo è una persona che nel suo DNA è uno che tende ad andare sempre “oltre” come si addice ad un vero ricercatore artistico e ad un vero esploratore esistenziale. Egli va “oltre” e chi lo ascolta capisce che c’è in lui una tendenza permanente a dare di più. Addirittura pare che voglia distribuire a ciascun suo ascoltatore un po’ di quell’amore che la vera poesia e la vera musica gli hanno regalato.
La generosità gli è naturale e spontanea nel dare al suo “prossimo” (inteso come ascoltatore, come destinatario del suo lavoro di ricerca e di elevazione) i risultati delle sue conquiste. Nulla vuole tenere per sé. Egli appartiene a tutti. Infatti, quando gli ho chiesto l’autorizzazione a pubblicare (alla fine di questa “Lettera”) i dieci testi letterari di “Spaghetti Southern” Egli mi ha risposto candidamente e con ovvietà: “I miei testi appartengono a tutti”. E così la sua musica. Ciò la dice lunga sulla sua elevata filosofia di vita.
MUSICA ETICA
Tale suo atteggiamento di “generosità a prescindere” mi conferma quanto di etico ci sia nella vita di Riccardo Ceres. E una vita profondamente ed interamente “etica” non può che produrre un’Arte etica. Quindi, una poetica etica, una musica etica … cioè libera e dedicata a tutti. E come se i “diritti d’autore” fossero concepiti soltanto come un semplice “rimborso spese” … ma il cuore di Riccardo non rivendica diritti, nemmeno da chi ama più intimamente o, come il pubblico, più universalmente. Il cuore si dona e basta! L’arte di dona e basta!
IN “7 – CORRIERE DELLA SERA”
La nota rivista “7” (diretta da Beppe Severgnini, pluripremiato giornalista e scrittore, nato a Crema il 26 dicembre 1956) è il prestigioso settimanale del Corriere della Sera (il più diffuso e tra i più antichi quotidiani italiani). Così ha evidenziato giovedì 08 novembre 2018 alla pagina di “Musiche e Spettacoli” a firma di Antonio Castaldo: “” SPAGHETTI SOUTHERN – di Riccardo Ceres – Edizioni Soundfly su CD e Spotify. Musica d’autore declinata con sonorità originali, e un gusto particolare per il racconto. “Spaghetti Southern” è l’ultimo album di Riccardo Ceres, musicista e compositore, autore di colonne sonore per il cinema, con altre due produzioni importanti al suo attivo. Le canzoni raccolte nel disco attingono alla grande tradizioni americana, e sembrano echeggiare gli immortali pezzi di Fred Buscaglione e Paolo Conte. Tuttavia Ceres cerca una propria strada espressiva e un modo tutto personale per far sentire la propria voce””.
PERCHE’ “SPAGHETTI SOUTHERN”
I perché di questo titolo al suo quarto Album ce li dice lo stesso Riccardo Ceres: “”Se i film sono degli “spaghetti western”, il mio disco è uno “spaghetti southern” e racconta del mio sud e forse anche del vostro, poiché il sud è di tutti. Sud del cuore, sud del basilico e dei pomodori, degli stereotipati luoghi comuni, del mare infinito, dello stringere i denti. Il sud del volersi bene, delle donne necessarie e del darsi una mano. Tutte queste cose a mio modo di vedere sono l’Italia migliore, quella che si vede nel momento dell’estrema difficoltà, quella ad un passo dal punto di non ritorno. Qui al sud tutto questo è quotidianità, perciò consiglierei a tutti di partire dal sud, anche perché partendo dal basso non si può fare altro che salire in alto””.
Non a caso, il sottotitolo di “Spaghetti Southern” è “Non si capisce l’Italia se non la si guarda da sud” (per come ben evidenziato al centro della seconda pagina di copertina del suo Album). Così, leggendo questa frase, mi è venuto in mente ”A sud delle cose” il titolo di un bel libro di poesie pubblicato a Roma nel 2006 dall’amico professore Pasqualino Bongiovanni (nato nel 1971 a Lamezia Terme – Catanzaro), libro poi tradotto in spagnolo e inglese (www.pasqualinobongiovanni.it). Ceres e Bongiovanni, con le loro Opere, sembrano dire, concordemente, che è necessario andare al sud più sud delle cose per capire meglio la Vita, la Storia e, ovviamente, la musica e l’animo umano.
Continua Riccardo Ceres sul Sud: “”Il sud è la nuova terra di frontiera, troppo spesso trascurato, deriso e lasciato a se stesso. In balia di bande organizzate che ne fanno quello che vogliono, con diligenza. Non è mai troppo tardi per cambiare le cose, bisogna cominciare a farsi giustizia personalmente ed armarsi sempre di più: di cultura, passione e tolleranza””.
Non lo dice apertamente, ma questo suo insistere sul Sud dà la netta sensazione che si riferisca anche a tutti i Sud del mondo, pure a quelli dei migranti che bussano alle porte dei paesi ritenuti evoluti, civili e ricchi di soldi ma, spesso, non certo dotati di cuore e di quella “tolleranza” appena pronunciata da Riccardo. Il quale, forse non a caso, ha scritto le musiche dell’emblematico film “Permesso di soggiorno” sulla difficile integrazione dei migranti in Europa. Così dimostra di aver maturato, nei suoi 40 anni di età, assieme alla musica, pure quei temi intergenerazionali tipici del Sud che vive e annota quotidianamente, specialmente in Caserta e dintorni.
TEMI E VALORI INTERGENERAZIONALI
Il tema del nostro “Sud” è assai e potentemente “intergenerazionale”. E’ appartenuto ai meridionalisti del 19° secolo (specie dopo la discussa Unità d’Italia, con la nascita della Questione Meridionale), così come è stato (bene o male) interpretato e concretizzato da politici e studiosi del 20° secolo. In entrambi i casi è stato, comunque, un tema grandemente testimoniato e sofferto soprattutto dalle classi umili e popolari, contadine, operaie, artigiane e persino intellettuali che in gran parte hanno varcato oceani e frontiere altrui, con le bibliche migrazioni che hanno spopolato in particolare il Sud e altre periferie pure del Centro-Nord. Un “Sud” italiano e mediterraneo che in questo nostro 21° secolo rischia di scomparire addirittura dai radar dei governi e persino delle nuove generazioni (sagomate e risucchiate da ben altre situazioni e dalle culture globali dominanti). Fa bene, perciò, Riccardo Ceres a metterlo al centro della attenzione sua e del pro-memoria degli altri che potrebbero rischiare di dimenticarsene con tutto ciò che ne consegue. E’ un altro merito di questo Album “Spaghetti Southern”. Un merito tutto personale che gli fa onore.
STAFFETTA INTERGENERAZIONALE
Caro Tito, ho iniziato la “Lettera n. 21” del 18 febbraio 2013 (dedicata proprio a Riccardo Ceres) con questa frase che ben si attaglia (quasi profeticamente) al nostro giovane amico. Così, dunque, scrivevo: “”Ho concluso la precedente lettera n. 18 con un riferimento alle nuove generazioni che dovrebbero innamorarsi di temi e valori che la nostra generazione sta portando avanti con convinzione ma pure come continuità delle lotte e delle conquiste delle generazioni a noi precedenti. Adesso penso sia giunto il momento di evidenziare il casertano Riccardo Ceres, un validissimo elemento delle nuova generazione di musicisti italiani (categoria compositori e cantautori) …”””.
Con questo quarto Album “Spaghetti Southern” Ceres veste e fa suoi molti dei temi e dei valori appartenuti alla staffetta generazionale più antica ma anche alle ultime generazioni che al Sud (e al Sud dei Sud) hanno dedicato e dedicano buona parte della loro vita e delle loro lotte di giustizia e dignità sociale. Un Sud che, a fronte di tante sofferenze e afflizioni provenienti principalmente dall’esterno, trova la propria compensazione esistenziale nei valori essenziali e continui dell’Umanità, a dispetto delle sempre arroganti classi egemoni o dominanti di turno. Uno dei modi per meglio sopravvivere e significare è proprio quello della musica più ancestrale ed universale, a dispetto di quella imposta dal mercato di turno.
Così, possiamo ben dire che tutta la musica di Ceres, in particolare “Spaghetti Southern” (a cominciare da questo titolo), arricchisce il Sud dolosamente penalizzato da popoli più giovani e irriverenti ma, nonostante ciò, resta sempre capace di espressioni che non si possono avere o inventare se non si ha un saldo e indistruttibile retroterra valoriale di millenni.
LA DEDICA E IL GRAZIE
Caro Tito, sai bene come e quanto tenga in conto la “riconoscenza”. Quindi ho apprezzato molto che Riccardo Ceres abbia ringraziato, a motivo di questo suo Album, persone ed elementi per lui particolarmente significanti come: la notte, il sud, il mare, le Peroni da 66cl, mia madre, le scatolette di fagioli, l’alopecia universale, Marseille, Toinou, Santa Maria Capua Vetere, Pasquale Ziccardi, Carlo di Gennaro, Michele Signore, Simone Lino, Ciro Staro, Andrea Russo, Luca Mastroianni, Diego Manduri. Un ringraziamento speciale a Bruno Savino e Giuseppe Polito.
LA FOTO DI COPERTINA
Assai eloquente ed originale mi sembra la foto di copertina dell’Album “Spaghetti Southern”. Una forchetta che arrotola una corda di chitarra, similmente ad uno spaghetto. Che la musica sia un cibo per l’anima è del tutto scontato nella rappresentazione grafica e simbolica di questa copertina, realizzata da Andrea Klainguti. Tuttavia la forchetta e la corda-cibo di chitarra è il simbolo di tutti quei popoli che si nutrono di musica per mantenersi coerenti alla propria natura vocazionale, nonostante vengano disgregati dai popoli dominanti, i quali solitamente sono invidiosi dell’eccellente anima musicale dei popoli sottomessi. E’ risaputo che la musica sia la prevalente anima dei popoli, specialmente di quelli più sofferenti. Riccardo Ceres fa la sua parte per ribadirlo, con affetto e devozione. Cosicché il suo modo di fare musica è una delicata carezza non soltanto al nostro Sud (e al Sud dei Sud) ma a tutto il mondo, persino a quello che ci prevarica.
GLI ARTISTI
Pure per capire meglio l’origine delle sonorità presenti nei dieci brani dell’Album (durata complessiva 44 minuti), evidenzio gli artisti che hanno collaborato alla migliore riuscita di “Spaghetti Southern” (a parte il titolare dell’Opera, Riccardo Ceres, che canta e suona chitarre, banjo, armonica, bendir, Elektra piano): Fabio Tommasone (Rhodes piano, Hammond), Raffaele Natale (batteria), Vincenzo Lamagna (contrabasso), Ciro Ricciardi (tromba, flicorno), Andrea Russo (fisarmonica), Artan Tauzi (violoncello), Rebecca Dos Santos (percussioni). L’Album è stato prodotto da Bruno Savino per Soundfly ed è stato registrato e mixato da Giuseppe Polito presso Kammermuzak Studio, Starlight Studio, One Beard Studio (tutti di Napoli).
RIFERIMENTI WEB
www.riccardoceres.it * www.facebook.com/riccardocereslive * www.soundfly.it * www.synpress44.com * spaghetti.booking@gmail.com
DISCOGRAFIA
EP: I figli della signora 44 (debutto 1999) Album: 1- Puro Stile Italiano (2001), 2 – James Kunisada Carpante (2009), 3 – E il mondo non c’è più (2012), 4 – “Spaghetti Southern” (2018).
Molti critici musicali hanno scritto di Riccardo Ceres, specialmente quando ha effettuato il tour italiano “Se non si parte non si riparte” (2012-2013) con ben 73 date in tutta Italia, da nord a sud, da est ad ovest.
FILM PER I QUALI HA SCRITTO LE COLONNE SONORE
Riccardo Ceres ha firmato le colonne sonore dei seguenti film: “Quanta donna vuoi” (di Edoardo de Angelis – 2004 – 8’ 17” – pluripremiato), “La merendina tropicale” (di Edoardo De Angelis – 2005 – pluripremiato), “Mistero e passione di Gino Pacino” (di Edoardo De Angelis – 2006 – 24m), “Mozzarella Stories” (di Edoardo de Angelis – 2010 – 1h 43m – pluripremiato – con Luca Zingaretti, Luisa Ranieri, Marina Suma, Giovanni Esposito, Massimiliano Gallo, Aida Turturro), “Come prima, più di prima mi amerò” (di Alessandro Capitani – 2011 – 50m), “Perez” (di Edoardo De Angelis – 2014 – 1 h 34m – pluripremiato – con Luca Zingaretti, Massimiliano Gallo, Simona Tabasco, Marco D’Amore, Ivan Castiglione), “Permesso di soggiorno” (di Mohammed Hammoussi – 2016).
PRINCIPALI PREMI – RICONOSCIMENTI – PIAZZAMENTI
1- Premio internazionale “Efebo d’oro”, 2005 per il corto “La merendina tropicale”.
2- Premio internazionale “Non solo Barocco”, 2007, per il corto “Mistero e passione di Gino Pacino”.
3- Premio della Giuria al Kunstendorf Festival 2008 – Serbia – per il corto “Mistero e passione ….”
4- Vincitore del “Rock Contest” di Radio Popolare – Firenze, 2008.
5- Fasi finali del Premio Tenco – Sanremo, 2009.
6- Candidatura al “Globo d’oro” per la migliore colonna sonora per il film “Perez” (2014).
SANTA MUERTE
Consentimi, prima di concludere, di evidenziarti il testo letterario e musicale della canzone n. 7 dell’Album, dedicati alla “Santa Muerte”. Diciamo che è l’esecuzione più accattivante e orecchiabile di tutta questa quarta raccolta. Secondo me, tale canzone potrebbe avere un successo addirittura internazionale ed essere “venerata” nel Messico e in altri Paesi dell’America Latina, dove è presente il culto della “Santa Muerte”. Ne avevo sentito parlare nel lontano 1988 (giusto 30 anni fa) quando ho ideato e promosso l’Istituto di Tanatologia (studiare la morte per amare di più la vita), dopo aver ideato e promosso l’EWA (Erotology World Association) per completare la visione umanistica, classica e anche leopardiana di “Amore e Morte” le dimensioni più attinenti alla natura di tutti indistintamente gli esseri viventi.
Non mi voglio dilungare a descriverti la “Santa Muerte” (pure per non appesantire questa lettera), perciò ti rimando alla tua discrezionale voglia di approfondire il tema, ricercando su internet. Ti assicuro, però, che ne troverai giovamento almeno culturale. A Riccardo Ceres va il merito di aver fatto “vera cultura” internazionale evidenziando, anche musicalmente, un tema ed una figura etnografica di grande rilievo.
MUSICAFORUM – MUSICA D’ASSAI
Per parafrasare Riccardo quando dice che “Spaghetti Southern” deriva da “Spaghetti Western” … ho pensato che la sua possa essere ben considerata “Musica d’assai” come lo sono i famosi “film d’assai” (cioè film colti, sperimentali e d’arte). Quindi al “Cinema d’assai” potrebbe corrispondere la “Musica d’assai” e al “Cineforum” (dove si proiettano e si discutono i film d’assai) potrebbe corrispondere il “Musicaforum” (dove si esegue e si discute musica d’assai).
CONCLUSIONE
In conclusione Riccardo Ceres afferma: “… e comunque i curriculum non servono a niente. Se dico che so fare il pane, invitatemi a fare il pace, poi ne parliamo”.
LETTURE PARALLELE
Caro Tito, appena ho pensato di scriverti questa “Lettera n. 228”, avrei voluto evidenziare le frasi e i sapienti abbinamenti di parole che più mi hanno colpito, ascoltando i dieci brani di “Spaghetti Southern”. Poi ho ritenuto meglio (avendone avuta la gentile autorizzazione dallo stesso Riccardo Ceres) di riportare (come “Letture parallele”) i testi completi delle dieci canzoni presenti in questo suo quarto Album. Ognuno potrà toccare con gli occhi e l’anima non soltanto le immagini (spesso ardite) elargite da questo geniale Autore, ma percepirne pure la filosofia di vita e di mondo, a partire da una possibile autobiografia.
UN LIBRO CON I TESTI LETTERARI
Nutro un’altra speranza … che Riccardo Ceres voglia raccogliere tutti i suoi testi letterari dei 4 Album finora realizzati e pubblicarli in un apposito libro web oppure diffuso e stampato da Amazon. Inoltre, magari voglia e possa inserire in questo stesso libro (o pubblicarli a parte) pure gli spartiti delle sue musiche!… Intanto godiamoci e deliziamoci con i dieci testi di questo Album. Troveremo degli abbinamenti e delle immagini veramente suggestive ed elevate.
SALUTISSIMI
Nella mail di lunedì 19 novembre 2018 ore 12,44 con cui mi ha dato l’O.K. alla pubblicazione di questa Lettera n. 228, Riccardo Ceres mi ha scritto “Ti ringrazio della cura, dell’amore e della professionalità che hai profuso in queste parole, sicuramente sentite”. Eh sì, caro Riccardo, se non le sento non scrivo parole e, di conseguenza, non faccio gesti o fatti. In questo sono assai rigoroso, coerente e intransigente, come lo sei tu per la tua arte musicale. Buona Musica, Riccardo, e Buona Wita!
Con te, caro Tito, l’appuntamento è per la Lettera n. 229. Grazie e cordialità!
Domenico Lanciano (Azzurro Infinito, martedì 20 novembre 2018 ore 19,09) Le foto sono state prese dal web oppure fornite da Francesca Grispello dell’Ufficio-Stampa “Synpress.44” (che ringrazio per la gentilezza). In particolare le foto artistiche raffiguranti Riccardo Ceres sono di Paola Salvetti.
LETTURE PARALLELE
PRIMA LETTURA PARALLELA
Ecco i dieci testi letterari che compongono l’Album “Spaghetti Southern” (2018) di Riccardo Ceres:
1 – Tu vai con gli altri uomini (durata minuti 4:15)
Tu vai con gli altri uomini ed il resto è solamente storia, sapore amaro carta straccia, bagno le mani con la faccia di un uomo che in realtà potendo non t’ha mai amata mai. Tu vai con gli altri uomini perché sbagli ma da professionista dell’amore perché l’amore costa caro, si paga ad ore e poi finisce tutti di nuovo a far la fila sen¬za spingere. Sapessi che piacere ritrovarsi in una stanza a dire sì ai muri bianchi che non la smetton di parlare mentre i profeti e le valigie con le istruzioni per la vita se ne sono andati a mare; e se sapessi ritrovare quella timida tristezza ritrovare le parole dentro al mio ventilatore, e la strada è un film d’agosto che non va mai a nessuno ed io ho sete. Tu vai con gli altri uomini ed il resto è un filo teso d’odio, sa¬per amare conta poco, serve annusare e poi le mani di un uomo che potendo non t’ha mai cercata mai. Tu vai con gli altri uomini per la proliferazione della specie credo, tra ciò che credo e quel che vedo ci passa un gran palmo di naso ma d’altro canto si trova sempre qualcosina per cui fingere. Sapessi che piacere ritrovarsi in una stanza a dire sì ai muri bianchi che non la smetton di parlare mentre i profeti e le valigie con le istruzioni per la vita se ne sono andati a mare; e se sapessi ritrovare quella timida tristezza ritrovare le parole dentro al mio ventilatore, e la strada è un film d’agosto che non va mai a nessuno ed io ho sete.
2 – Tutta colpa del mare (4:55)
Tutto quello che ho detto, tutto quello che ho fatto un po’ di bolina, un po’ di latrina ha virato ed è passato oltre. Sarà colpa del mare che si ostina a bagnare, l’ultima boa che rimane è sempre la ciliegina sulla torta di merda. La risacca distratta di naufraghi d’altr’onda conta, se la matematica non è un opinione si possono fare i conti senza l’oste così il vino è sempre gratis. Sottospecie di irriverenza, che si ostina, e l’inchiostro sporca la carta. Parliamo pure d’amore, parliamo di sogni tanto sono un gran bugiardo tanto ci pensa il mare che continua a schiumare con la bava alla bocca, come cane al cancello, ti sto aspettando. Dio ha un piano per me e non c’ho mai creduto, è scordato, dimenticato e poi non l’ho mai saputo suonare sto cazzo di pianoforte. Il mare si placa, si prospetta una bella giornata, mano in fronte a coprire il sole che troppa luce non ti fa vedere. Apparente bonaccia e nell’acqua mi specchio la faccia. Cerco di cavare qualcosa dal fondo amabili resti ed un bacio bagnato, se mi dai un bacio ti do tutto quello che voglio dal fondo del mondo reale, un altro mondo in fondo al mare. Il vento s’alza, cazzo vita, tempo, rabbia. C’è bisogno d’amore e se si fa vivo come se avessi accettato. Tutta colpa del mare che: SHA-SHUM-SHA-SHA! Come unghia felina che graffia la notte ed io mi sento vivo. Il rimpianto è legale, non importa chi ha perso, se non fosse così non saprei dove andare. Tutta colpa del mare.
3 – Chetelodicoafare (4:29)
Non sento niente
con le tue unghie conficcate nella carne ed il mio labbro che sa di sangue.
Non penso a niente
mentre mi guardi dal tuo odio ed il sudore ti ribolle sulla pelle.
Non è così quello che credi, dici e vomiti riassume la tua mitica pochezza
tu vuoi da me la sazietà di verità
chetelodicoafare.
Non vedo niente
se ti vedessi esisteresti e sarebbe un mondo che non m’appartiene.
Non dico niente
le tue parole come serpi strisciano, sputan veleno e tu non muori. Che vuoi da me? Cerca risposte nella notte e non toccarmi che io brucio come stella
la tua vendetta come la tua
verità chetelodicoafare.
E vuoi sapere poi con te come si fa? Ma vaffanculo, va!
4 – Con un se (4:23)
Potessi essere un minuto solamente come il mare che risacca e ritorna senza età.
Potessi essere come onda che si infrange e scivolare umida via dal labbro che ti si
illumina. Come saliva, la tua lingua, la mia schiena fino ad arrivare al ventre di
un amore che amor fu. Tu che capovolgesti le certezze coi pretesti, mi lasciasti solo
un punto ed io anelando per un se. Potessi essere un minuto solamente come il vento tra
i capelli, disturbare indisturbato. Potessi essere un bastardo ritrovato, che bastardo s’era perso e non l’han riconosciuto. E sputo fuoco e fiamme d’umido d’agua caliente
che se articolo parola per la grazia non ce n’è. Quando ti guardo la bestemmia cade forte io ti auguro la morte, sottoterra, affianco a me. Inesorabile il tempo passa gelido soffia sulle parole perse e le trasforma in stelle, inevitabile lo sguardo a quelle stelle che ogni poeta esprime con un se Potessi essere un minuto solamente quella parola inutile che tutti stanno ad ascoltare. Potessi essere la notte irrinunciabile che la luna brilla e si affaccia giù a guardare e sudo pazienza, mi auguro morigeranza e nell’attimo che avanza piove una città deserta. Quando ti guardo la mia mano cade forte in un pugno stretto al petto che di sonno non ce n’è. Inesorabile il tempo passa gelido soffia sulle parole perse e le trasforma in stelle, inevitabile lo sguardo a quelle stelle che ogni poeta esprime con un se.
5 – Coyote (5:31)
Mi disse – Portami via.
Io me ne andai. Ragione, incuria, sesso, sentimento. Come ti odio quando mi guardi con quegli occhi mentre io ti guardo dentro, perché c’hai voglia di me ed io posso fare tutto quello che voglio.
Mi disse – Lasciami qui. Io la lasciai.
Come i cani sulla strada e la strada non si sbaglia mai. Come cani alla catena e la catena non li molla mai, perché ogni volta è un perché e un perché è solo voglia di niente e di te. Tre uomini spuntarono dalla collina, tre uomini spuntarono dalla collina con una 127 lucente. Uno non aveva una mano, uno non aveva l’altra mano, uno aveva tre mani
di tressette pronte nella tasca posteriore dei pantaloni perché trecentomila lire fanno sempre comodo. Come i lupi con i conigli, come i lupi con i conigli discesero
la collina.
La bella lo guardò e lo lasciò coi lupi e la bella lo guardò e lo lasciò coi lupi.
Mi disse – Amore mio!
Io non fiatai. Quando sei morto fuori lo sei anche dentro e non c’è via di scampo.
Con quelle lacrime non crescono le rose sono nuvole al vento.
Se prima c’era un perché adesso non c’è niente
né un me, né un te.
6 – Vado a Milano (5:08)
Vado a Milano, il pieno costa centomila lire e non ci sono più le lire. E vaffanculo all’autostrada, solo su strade alternative per signorine saporite come te. Alla stazione di benzina un pieno vuoto e disperato ed i cilindri che non chiedono altro che sgommare sul passato, e la ragazza della pompa ne ha avuti tanti come me ma ha scelto un mutuo e un macellaio. E poi la radio incomprensibile, il tempo che passa celibe sulla
parola amore e non si ferma mai a bere; sigarette morte, finestrino, aria ma che paese quest’Italia, quest’Italia che c’ha te. Vado a Milano, che prima o poi tutti i terroni vanno a Milano, è fisiologico, drammatico, necessario. Evviva il luogo comune, paragone d’odio senza acume, parliamone pure basta che arrivi lì da te. Con lo stivale a tavoletta, mangio chilometri, fagioli e basta, ci vuole coraggio per fare, andare e non dimenticare il cielo porge l’altra guancia, emaciato, piove che dio la manda, curva dopo curva si continua a camminare. E questa voglia incomprensibile di un orso come me di far finta di dormire mentre mi stai a guardare, mi basta solo un caffè come non sai farlo solo tu
la macchinetta almeno fammela trovare. E questa voglia incomprensibile di una donna come te di far finta di dormire per lasciarmi andare, mi hai regalato uno spazzolino con Betty Boop che sorride triste; ritornerò, non me lo farai più trovare.
Vado a Milano e Milano è sempre un “gran Milano”, è inutile che ci prendiamo in giro.
Milano, tu, che poi fa freddo. Domani torno. Il mare.
7 – Santa Muerte (4:27)
Santa Muerte abbracciami forte, un bacio freddo, la lingua che schiocca. Donna Luna
ha girato la faccia, la resaca i pensieri mi gratta; vetri infranti di amori in bottiglia gioventù che non ululi più. – Perché lei se ne andata e non torna?
Santa Muerte mia pensaci tu. Non ricordo se mai io sia nato, non ricordo se mai ho vissuto. – Santa Muerte con chi ho fatto a botte annaspando ramingo di notte? Quella notte che tutto rapisce e stanotte ha rubato anche te, io mi dolgo cercando un ricordo che prima era forte e che adesso non c’è. Perché la notte m’ha fatto bere per dimenticarti, per dimenticare. Perché la notte m’ha fatto bere per dimenticare le pene d’amor.
Sole giallo d’un ittero s’alza e mi infiamma soltanto la scorza, troppa luce ed il buio di dentro si nasconde aggrappato al tormento. Schiaffi in faccia, di vento , di sabbia,
i miei occhi non vedono più ma la cercano ancora le mani e la bocca, Santa Muerte mia pensaci tu. Non ricordo il sapore di carne, non ricordo il profumo di donna, Santa Muerte mia fulmina tutte quelle che dicon t’amo di notte. Quella notte di letti assassina che stanotte ha ammazzato anche me, io mi dolgo cercando un ricordo che prima era forte e che adesso non c’è. E la notte mi prende la mano e mi porta lontano da te, mi allontano aggrappato a un ricordo che prima era forte e adesso non c’è.
Perché la notte m’ha fatto bere per dimenticarti, per dimenticare perché la notte m’ha fatto bere per dimenticare le pene d’amor.
8 – Chiedilo alla polvere (4:18)
E chi l’ha detto che ogni estate fa caldo lo stesso?
E in Italia no.
Puntuale cala un velo sulla città e ti rinfresca un po’
l’orizzonte s’inarca sull’afa e passa un’altra giornata
il mondo diventa decente quando il giorno s’arrende e scende.
E la polvere si alza unita e sale sulle strade, disegna scia di un’ epoca
e il sudore vale, bagna la faccia e a volte non sai se cola dalla fronte o dagli occhi.
E chi l’ha detto che è brutta l’Italia quando fa caldo?
Lo stesso è Italia no?
Il basilico, i pomodori, la terra senz’acqua e chi è in acqua e non trova terra
sguardo alle stelle e va.
E se davvero fosse questa l’estate, ma sai che belle giornate
ma l’aria è ancora libera nonostante
tutti i poeti lo sanno.
E respirando si diventa grandi
e respirando, respirando polvere.
9 – Amore Tosse Fumo (3:21)
All’incirca mille miglia con un furgone scassato.
Italia e ancora Italia, coste blu del Principato.
Il cuore sull’asfalto, il caldo, je m’en fous. L’odore della notte, la mia nuova faccia e tu.
Disperso nelle nebbie dei tuoi sbuffi gelati sperando di sparire o di morire assiderato sto mare sa d’amaro, tu già sai un po’ di me. Amore, tosse e fumo non nascondono segreti.
Io che parlo un irresistibile napolitain-francais, tu che fumi perché in fin dei conti non è male aver incontrato me. Ti svegli prima dell’alba, e io invece dormo da un minuto sorrido ad occhi chiusi per un tuo bacio di giuda. E continua a pregare per nasconderti la verità le preghiere non contano se i peccati sono sbagliati fais ce que (tu) dois
advienn que pourra, piccere’! Preghiere, tosse e fumo non nascondono segreti.
E c’ho il sud sotto pelle, forse l’avevi dimenticato?
Mica sono come te: emigrante, rinnegata, per sfamare la vergogna
e per qualche lira in più. Bocca serrata, faccia a terra e adesso: shhh!
Di nuovo mille miglia, è andata , si torna a casa.
Chi parte mica fugge, sa benissimo quello che aveva:
l’amore per la scoperta e non certo per te.
Amore, tosse eww fumo non nascondono segreti.
Amour, toux et fumeé en secret ne font demeure’e.
10 – Pioggia di marzo (4:28)
C’è qualcosa di buono nell’aria, una di quelle cose che ti fa entrare dentro di testa. Cominci a fare miracoli ed i miracoli non sono come trasformare acqua in vino ma
trasformare vino in vino con l’acqua. Prendi una discreta bottiglia di vino e due mezze di acqua e versi il vino discreto nelle due con l’acqua, così avrai due pessime bottiglie di vino e la notte passerà più lenta e piacevole. Come la pioggia di questo Marzo che dura solo pochi minuti Se la pioggia la vedi dalla finestra di casa tua, casa tua ha un senso se la guardi da casa di un altro vorresti solo uscire fuori e bagnarti, ma la
pioggia di Marzo dura solo pochi minuti e pochi muniti non sono quasi mai abbastanza. Quando c’è un’aria così e piove mi piace camminare, con lo sguardo verso il basso
orientandomi e tenendomi in equilibrio solo guardando la mia ombra ed ascoltando i
tacchi del mio incedere sconnesso per le strade di questa città morta dove i cadaveri sono seppelliti dietro alle finestre. Passa sempre un’auto quando piove, di notte, e tu
sei ad un incrocio quando scendi con un passo dal marciapiede alzi la testa per una attimo solo per attraversare. Quelli nella macchina no. Quelli si fermano e rimangono all’incrocio seduti, asciutti, in macchina ad aspettare. E ti guardano. Perché non è vero che chi è sotto la pioggia dalla strada guarda quelli che sono al coperto. Siamo tutti all’inferno e ci stiamo muovendo, loro nell’auto ed io sotto la pioggia mi muovo e spengo le fiamme, ma sono un tizzone di un bagno a fuoco greco.
SECONDA LETTURA PARALLELA
UNA CONVERSAZIONE CON RICCARDO CERES (traggo ciò da uno dei testi, senza firma, fornitimi da Francesca Grispello dell’Ufficio-Stampa “Synpress44”. Gli “omissis” sono frasi già presenti, sopra, nella mia “Lettera a Tito n. 228”)
1- (omissis)
2- D – Questo quarto album è una naturale evoluzione nella tua discografia o ci sono elementi nuovi che magari hanno sorpreso anche te? – R- In realtà avevo deciso di smettere con la musica, un po’ di problemi personali mi hanno tenuto lontano dal palco per qualche anno. Credo che più che un’evoluzione musicale sia stata proprio un’evoluzione personale a spingermi a mettere nuovamente la penna su foglio e le dita sulla chitarra. All’inizio sembrava tutto confuso, ma poi lo spirito del disco è uscito fuori e mi ha fatto capire che quelle parole avevano un senso e che c’era una direzione in cui camminare.
3- (omissis)
4- D – Ogni cantautore ha il suo “modus operandi”, la sua ispirazione: i brani di “Spaghetti Southern” hanno una matrice comune oppure ognuno ha una storia a sé? – R- Non so quale sia la mia, io scrivo e basta. In realtà è come se un demone si impossessasse di me, spesso mi rendo conto di quello che ho scritto quando ho finito di scrivere. Più che un metodo, o un “modus operandi”, è una necessità. Ogni disco è lo specchio di un periodo della mia vita, semmai un po’ romanzato ma sincero ed inevitabile.
5- (omissis)
6- D – “Spaghetti Southern” è stato prodotto da Bruno Savino (Soundflay), come è nato questo rapporto? – R – Ci siamo incontrati per caso ad un concerto di un altro artista della sua etichetta. Dopo qualche chiacchiera ci siamo presentati e lui ha detto di conoscere il mio lavoro, che gli piaceva e che se avessi avuto dei brani da fargli ascoltare ne sarebbe stato molto contento. Avevo qualche provino: pare sia andata bene. Dopo un po’ di mesi è nato “Spaghetti Southern”, interamente prodotto da “Soundflay”, come si faceva quando la gente comprava i dischi. A mio parere Bruno è l’ennesimo eroe del sud, che coraggio!
7- D – Cantautore, compositore e scrittore: come convivono queste anime? – R – Sono la stessa anima. Quando scrivo canzoni immagino una storia, quando scrivo storie lo faccio ascoltando la musica, in genere sempre lo stesso brano, in genere jazz old school, Coltrane/Davis e i loro blues. Per dirla in maniera semplice “mi faccio i film” con la mia musica e le mie sceneggiature, i miei film. Ma in generale cerco di non pensare, cerco di scrivere e suonare e basta.
8- D – Riccardo Ceres si esprime meglio in studio o in concerto? – R – Sono due realtà totalmente diverse. In studio ascolto quello che ho fatto in fase di composizione, mi aiuta molto a capire se un brano funziona oppure è da scartare. Con l’apporto dei musicisti che eseguono con il loro stile quello che io ho pensato le cose si trasformano, spesso diventano ancora più belle quando le mie e le loro idee si sintonizzano sulla stessa frequenza. Il live è spettacolo, è condivisione, è le facce delle persone che ti comunicano la loro versione dei tuoi brani. E’ divertimento, è sudore, è chilometri, è cercare di far dimenticare per qualche minuto la propria vita a chi ti sta ascoltando. Anche a te stesso. E’ medicina. Dal vivo saremo un trio, una formazione che definirei un po’ Doorsiana, chitarra e voce, piano elettrico e batteria. Il mio pianista sarà anche bassista, utilizzando un altro piano synth.
9- D – Dal 2003 lavori come autore di colonne sonore, cosa hai imparato nel comporre per immagini? – R – Scrivere musica per film non è poi completamente diverso da scrivere canzoni, anche sulle mie cose lavoro per immagini. Ma mentre nelle mie canzoni sono io il regista, nei film devo interpretare le ide di qualcun altro. A volte non è il massimo, avere paletti non è sempre motivante, a volte rende tutto molto più semplice, leggero, rilassante e divertente.
10- D – Cosa leggi, ascolti, guardi e mangi? – R – Leggo per lo più romanzi e poesie, li scelgo con cura, cerco di non farmi “contaminare” da alcuni stili di linguaggio che mi allontanerebbero dalla mia forma di scrittura. Ascolto molto jazz, blues, musica d’autore italiana (anni 50, 60,70), dell’americana preferisco i Doors e Waits, ma anche cose più moderne. Adoro il funk e la musica cubana. Film ne guardo a iosa, cerco chiaramente cose di qualità ma non mi piacciono le commedie, ogni tanto fa bene un po’ di leggerezza. Più che mangiare cucino, per gli amici, per le donne, credo sia uno dei modi migliori di dimostrare affetto e con cui prendersi cura di una persona. Al sud facciamo così. —- Stop —