Caro Tito, stamani, nell’antico e suggestivo borgo di Agnone del Molise (Isernia), sono andato a visitare il “Centro di Spiritualità Nonviolenta” (www.centrodispiritualitanonviolenta.it), avviato nell’anno 2000 e curato dal prof. Remo Nicola de Ciocchis (Agnone, 6 dicembre 1939). Tale “Centro” è sito nel palazzo di Corso Vittorio Emanuele n. 45 e consiste in una fornitissima biblioteca specialistica, una rara emeroteca, un importante museo, la quarantennale sede e collezione delle “Edizioni dell’Amicizia” ed un ricchissimo epistolario (tra lo stesso prof. de Ciocchis e i più importanti personaggi internazionali, attuali e dello scorso 20° secolo, distintisi nell’attività culturale, filosofica, scientifica, pacifista e nonviolenta).
Il prof. Remo de Ciocchis, tra tanto altro, guidandomi nel “labirinto” dell’immensa e preziosa documentazione, mi ha fatto sfogliare il libro “Piccoli Comuni fanno grandi cose!” (304 pagine con numerose immagini) scritto dal prof. Raffaello Saffioti di Palmi (RC) e pubblicato dal Centro Gandhi di Pisa (www.gandhiedizioni.com) come numero 32 dei quaderni “Satyagraha” (cioè “Perseverare nella verità”, fondati e diretti da Rocco Altieri, docente di “Teoria e prassi della nonviolenza” all’Università di Pisa). La copertina di tale libro raffigura il celebre pacifista Martin Luther King jr. (USA, Atlanta 15 gennaio 1929 – Memphis 4 aprile 1968, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani) e la figlia Bernice Albertine King (Atlanta 28 marzo 1963).
8 MARZO – FESTA DELLE DONNE (PER LA PACE)
In occasione della “Festa delle Donne” 2018 in Monteleone di Puglia (Foggia), a Bernice Albertine King sarà consegnato solennemente il Premio internazionale di “Donna impegnata per la Nonviolenza e la Pace”. Tale evento internazionale sarà una utile occasione per un incontro tra quasi tutti gli Operatori di Pace e i Nonviolenti non soltanto italiani e numerosi rappresentanti evangelici, anche esteri.
Durante l’affollata conferenza stampa di presentazione del prestigioso riconoscimento alla King (tenutasi in Roma il 05 febbraio 2018), il prof. Rocco Altieri (presidente del “Centro Gandhi” di Pisa, associazione promotrice del Premio) ha detto, tra l’altro: “Il borgo di Monteleone rappresenta un luogo simbolico per la sua storia, legata alla Riforma protestante e alla repressione dei Valdesi del Sud Italia da parte dell’Inquisizione e, oggi, perché sede del Centro di educazione alla pace … Un piccolo paese come Monteleone può indicare la strada per la pace e la messa al bando delle armi …”.
La pastora battista Gabriela Lio ha dichiarato, tra l’altro: “In questo clima di razzismo e di xenofobia, il premio a Bernice King riaccende i riflettori sulla eredità del padre, Martin Luther King, sulla nonviolenza, riprendendo il coraggio di una fede accogliente, d’incontro e di dialogo, che in questo momento non può che essere interreligioso. L’eredità di cui Bernice King è autorevole portavoce riconduce questi contenuti alla fede come lezione di coerenza, tra quello che si crede e si predica e tra quello che si fa!”.
Nell’attuale anno 2018 ricorre il cinquantesimo anniversario dell’assassinio a Memphis (USA) di Martin Luther King, nonché i 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani (Parigi 10 dicembre 1948) e i 40 anni della fondazione del Comitato interministeriale italiano dei diritti umani (CIDU – decreto Ministero Affari Esteri 15 febbraio 1978 n. 519).
MONTELEONE DI PUGLIA
E’ un comune di mille abitanti all’estremo della provincia pugliese di Foggia, situato proprio al confine della provincia campana di Avellino sui monti del subappennino dauno e, per questo, ha un’altitudine di 842 metri sul livello del mare. E’ un paese svuotato dall’emigrazione. Infatti nel censimento del 1951 i suoi abitati erano addirittura 4979, praticamente quasi cinquemila residenti.
Per quanto piccola, la comunità di Monteleone di Puglia riesce a realizzare dal 2016 il prestigioso annuale Premio internazionale Donne della Pace e della Nonviolenza, organizzato dal Centro internazionale per la nonviolenza “Mahatma Gandhi” con la collaborazione del Centro Gandhi Onlus di Pisa fondato da un docente dell’Università pisana originario proprio di Monteleone, il prof. Rocco Altieri.
Inoltre, Monteleone, che brilla per generosità e altri valori universali, è diventato convinto “paese dell’accoglienza”. Infatti ospita numerosi profughi e richiedenti asilo provenienti da varie parti delle aree di crisi di questo nostro mondo sempre più inquieto e violento. Così, i valori della Pace e della Nonviolenza hanno più senso e significato proprio a Monteleone di Puglia.
LE TRE DONNE PREMIATE FINORA
Il Premio Internazionale per la nonviolenza e la pace, nella sua prima edizione dell’8 marzo 2016, è stato assegnato alla suora Rita Giaretta, per aver realizzato il “Giardino della Pace” in Monteleone e per educare con grande dedizione le giovani generazioni ai valori della nonviolenza e dell’amore universale.
La seconda edizione nel 2017 è stata dedicata ad Angelica Romano, ricercatrice napoletana molto attiva nel Comitato Pace e Disarmo, specialmente per la denuclearizzazione del golfo di Napoli, per l’ecologia, denunciando (a rischio della propria vita) il traffico illecito dei rifiuti pericolosi in una terra assai difficile e pericolosa come la Campania.
L’imminente 8 marzo è la volta proprio di Bernice A. King. L’annuncio di tale premiazione ha già avuto un clamore globale, pure per la figura di sfondo del padre Martin Luther di cui si sente erede e per questo cerca di diffondere i suoi valori in lungo e in largo in tutto il mondo.
L’AUTORE DEL LIBRO RAFFAELLO SAFFIOTI
Raffaello Saffioti (Palmi – RC – 1939), già docente di Scienze Umane, ha svolto la sua attività educativa ispirandosi alla Scuola di Barbiana, con una metodologia antiautoritaria. Ha operato nella scuola come in un laboratorio di educazione alla pace e alla nonviolenza. Di questa esperienza ha dato testimonianza nella Scuola della Pace di Boves(Cuneo) nel 1991 con una rappresentanza studentesca delle sue classi dell’Istituto Magistrale “Corrado Alvaro” di Palmi. Lasciato l’insegnamento nel 1998, ha proseguito fuori dalla scuola l’impegno per la promozione della cultura della pace e della noviolenza. Ha incontrato Danilo Dolci a Barbiana nel 1986 e con lui ha collaborato attivamente attraverso un numero infinito di incontri e seminari, in prevalenza in scuole e città della Calabria.
Si è impegnato fin dal periodo universitario in varie associazioni e movimenti, dal campo religioso a quello civile e politico. E’ stato socio della Società Filosofica Calabrese, fondata e diretta da Domenico Antonio Cardone, candidato al Premio Nobel per la Pace del 1963. In occasione del centenario della nascita del filosofo nel 2002, si è reso promotore, con altri, di un’Associazione e di un Progetto di Casa per la Pace, a Palmi, intitolati allo stesso filosofo. Fa parte del Centro Gandhi e della redazione della rivista “Satyagraha” di Pisa. Collabora con il giornale web “il dialogo” e con la rivista “Quaderni del Sud – Quaderni Calabresi” (fondati e diretti dall’avvocato Francesco Tassone di Vibo Valentia). E’ autore di vari saggi su temi della pace e della nonviolenza. Tra l’altro ha dato alle stampe con Publisfera Edizioni “Se vuoi la pace educa alla pace” (2014).
PICCOLI COMUNI FANNO GRANDI COSE
Caro Tito, il titolo “Piccoli Comuni fanno grandi cose!” (che qualche settimana fa il nostro conterraneo calabrese Raffaello Saffioti ha voluto dare al suo libro su Monteleone di Puglia) mi ricorda il sottotitolo del libro che la scrittrice piemontese Chiara Sasso nel 2009 ha dedicato ai paesi di Riace, Badolato e dintorni “TRASITE, FAVORITE – Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri” (2009), da me recensito sul mensile di Soverato “Jonio Star” diretto da Pietro Melìa.
Quindi … “Piccoli Comuni fanno grandi cose!” e “Grandi storie di piccoli paesi”.
Adesso, per meglio capire tale abbinamento (che appartiene pure ad altri piccoli-grandi comuni italiani) ti pregherei di leggere le seguenti tre LETTURE PARALLELE.
TRE LETTURE PARALLELE
CHIARA SASSO vive e lavora in Piemonte, nella Val di Susa. Impegnata in associazioni ambientaliste, è tra i fondatori del Valsusa Filmfest e fa parte del gruppo di coordinamento della Rete dei Comuni solidali. Ha scritto numerosi libri su temi sociali e ambientali tra cui “Il suolo è dei nostri figli”, “Cassinetta di Lugagnano”, un esempio che fa scuola (Instar Libri, 2011), “Trasite, favorite. Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri” (Carta/Intra Moenia, 2009) e “Le mucche non mangiano cemento. Viaggio tra gli ultimi pastori di Valsusa” e “L’avanzata del calcestruzzo”, scritto con Luca Mercalli (SMS, 2004). Vedi altre sue numerose pubblicazioni nel suo sito www.chiarasasso.it/libri.html
n. 1 – TRASITE, FAVORITE GRANDI STORIE DI PICCOLI PAESI. RIACE E GLI ALTRI
2009 – Chiara Sasso Trasite, favorite Grandi storie di piccoli paesi. Riace e gli altri. ed. Carta Intra Moenia Napoli Pag 150 Esaurito Interventi di Giovanni Maiolo Prefazione di Tonino PernaRiace, conosciuto per i bronzi si è imposto all’attenzione internazionale per i progetti di accoglienza immigrati Il piccolo comune della Locride ha saputo trasformare in opportunità ciò che altri consideravano un problema. Una grande esperienza che ha suscitato l’interesse di Wim Wenders che ha girato un corto “Il Volo” (foto ricordo) |
Prefazione di Torino Perna Spesso, nelle giornate cristalline d’inverno, magari dopo una ricca pioggia, mi trovo di fronte l’Etna, un gigante col capello bianco e un grande mantello bluastro. Ne rimango estasiato, non mi sono mai stancato di contemplarlo anche se è da tanti anni che lo conosco. E uno spettacolo indescrivibile, guardare l’Etna dal versante calabrese, con il mare in mezzo che funziona da palcoscenico. Più volte sono stato a Catania per ragioni di lavoro ed altro. Le prime volte non ci facevo caso, ma poi un giorno mi son detto: ma l’Etna dove? Lungo l’autostrada Messina-Catania, superati i contrafforti di Taormina, si vedono le pendici dell’Etna, d’inverno innevate, ma non si vede mai il gigante in tutta la sua maestosità. Leggendo questo lavoro di Chiara Sasso è questa la prima immagine che mi è venuta in mente: lo sguardo esterno, lontano, che vede quello che gli altri, gli abitanti, non vedono. Uno sguardo esterno che riesce a cogliere l’insieme di una realtà complessa e conflittuale come quella della Locride. Uno sguardo che viene da lontano e che si piega ad osservare i particolari, che si fa rapire da ciò che vede, che si emoziona, si coinvolge, ma poi si riprende e riconnette tutto in quella visione d’insieme, come l’Etna, appunto, vista dalla mia sponda. Alle volte le storie si chiamano le une con le altre, come le persone che sono vissute in epoche diverse creano fra loro un legame ideale, come c’è uno stretto rapporto tra l’ulivo e la vite nel Mediterraneo, anche se sono arrivati in tempi diversi. Così, queste pagine richiamano altre pagine, scritte da un grande meridionalista, da un uomo che ha speso una vita per questa Calabria Ultra: Umberto Zanotti Bianco. Anche lui piemontese, come Chiara Sasso, capace di combinare, in maniera mirabile, la prassi, l’impegno fattivo, con la dimensione teorica e con una scrittura pregna dei colori e dei profumi dell’Aspromonte. Ancora oggi leggere «Tra la perduta gente», scritto nel 1928, fa venire i brividi. Un popolo abbandonato dallo Stato, che si ricorda che esiste solo quando viene sfidato dal brigante o dal ribelle. Basta un’immagine, per rendersi conto di questa realtà: Zanotti Bianco che sale a dorso di mulo verso Africo, nel cuore dell’Aspromonte, ed incontra un uomo a cui domanda «da quando avete il telegrafo?», e lui risponde «Avimu a ringraziari a bon’anima i Musulino». Sorpreso, Zanotti Bianco, insiste: «Musolino?». «Eh! Sissignori. Fu quando u vorzero pigghiari ca miseru i pali. Quandu fujiu pe sti muntagni i sudati nu riuscianu mai a sapiri ‘ntempu quann’arrivava, quandu partia… Si perdiana jurnati sani a mandari curreri avanti, arretu…e allura u guvernu si dicidiu a ndi duna lu filu». [Umberto Zanotti Bianco, «Tra la perduta gente», Mondadori, 1959, ripubblicato da Rubettino-Ilisso, 2006, pp.114-15]. Il brigante Musolino, figura leggendaria dell’Aspromonte, una sorta di Robin Hood per il popolo, un criminale spietato per alcuni storici, fu ricercato dai carabinieri con ogni mezzo, spesso terrorizzando la gente dei villaggi dove lui era passato. Ed è per avere collegamenti più veloci, come spiega l’africoto a Zanotti Bianco, che lo Stato ha portato i pali del telegrafo all’interno di questa zone della Calabria, non per venire incontro ai bisogni della popolazione. D’altra parte, la prima scuola di Africo è stata realizzata dall’Associazione per il mezzogiorno, fondata da Zanotti Bianco, così come alla sua straordinaria azione si devono alcuni risultati concreti, alcune battaglie vinte contro leggi inique e predatorie. Perché l’inchiesta condotta da Zanotti Bianco e la pressione che lui fece negli anni trenta sulla prefettura ed il Genio civile portarono a: un’attenuazione dell’odiosa legge sulle capre, una riduzione delle zone boschive vincolate, la sospensione della legge sui mulini. Anche Chiara Sasso, venendo dalla Val Susa, dalle lotte contro la Tav, non ci consegna solo una vibrante testimonianza, ma costruisce uno strumento di lotta e di presa di coscienza. La sua scrittura parla il linguaggio di chi non è venuto a fotografare la realtà, a farne oggetto di un’opera artistica o di un saggio, ma di chi vi è coinvolto in un progetto, in un processo di cambiamento positivo, di chi trasforma le proprie orecchie in antenne e sintonizza la propria anima sui canali, spesso disturbati e rumorosi, di queste popolazioni. Ieri, come oggi. C’è un’Italia divisa e lacerata, violenta e razzista, e c’è né un’altra che costruisce rete di solidarietà e di giustizia. I tempi sono cambiati, si viaggia in aereo, c’è il cellulare, usato anche dai pastori, c’è la tv, ma questa parte della Calabria jonica è sempre più disperata, stretta tra la violenza della nuova borghesia mafiosa, le leggi ingiuste o inefficaci ed il mercato capitalistico che l’ha resa marginale. Ma il ciclo di Calabria è anche azzurro e, alle volte, ti incanta con il suoi colori. E il mare ti può fare paura, ma ti può portare anche dei doni, se li sai accogliere. Ed è questa Calabria, con le sue tinte estreme, col suo dolore e le sue speranze, che emerge nel lavoro di Chiara Sasso. La Calabria dell’accoglienza, della civiltà dell’ospitalità, della sacralità dello Straniero. Questi valori sono rimasti incisi, malgrado i grandi mutamenti tecnologici e sociali, nelle montagne che dividono in due questo piede di terra circondata dal mare. Mi viene in mente un episodio accaduto circa dieci anni fa nel cuore dell’Aspromonte, in un paese tristemente famoso: Piatì. Un gruppo della Comunità Emmanuel di Santo Stefano d’Aspromonte, comunità di recupero per tossicodipendenti, aveva organizzato un trekking di due settimane attraverso le zone più suggestive ed impervie dell’Aspromonte. Una sera, mentre scendevano per recarsi a Bovalino a fare provviste, si sono persi nella montagna. Ad un certo punto videro delle luci in lontananza e decisero di puntare in quella direzione. È in questa terra di Calabria che Chiara incontra figure straordinarie, da Domenico Lucano a Natale Bianchi, utopisti incrollabili nella loro fede, come lo furono Tommaso Campanella, Bernardino Telesio, Bruno Misefari. Perché questa terra come nessun altra è una terra di Utopie, di utopie concrete, di sognatori che tentano di realizzare i loro sogni.Tonino Perna |
n. 2 – RIACE TERRA DI ACCOGLIENZA
2012 – Chiara Sasso Riace Terra di accoglienza Ed I Ricci Gruppo Abele Torino pag 117 per ordinazione http://www.gruppoabele.org/Prefazione di Tonino PernaRiace cambia volto. Nel tempo si ripopola i bambini tornano a correre per le strade, viene salvaguardata la scuola, vengono aperte nuove botteghe, riprende l’economia nel piccolo borgo. Anche la raccolta differenziata diventa il simbolo di un’amministrazione capace di buone pratiche. Tre asinelle utilizzate per la pulizia del paese portano una scritta: “abituate a spingere non a respingere” |
Prefazione La concreta utopia di Riace di Tonino PernaI meridionali in genere, e i calabresi in modo particolare, non sopportano quelli che vengono da fuori – giornalisti, scrittori, operatori TV – e denunciano i mali di questa terra, spesso criminalizzandola. Ma, per fortuna, c’è chi sa guardarla da un’altra angolazione e ne vede le luci e le ombre meglio di chiunque altro che ci vive da sempre. È vero, infatti, che lo sguardo “straniero” può, quando è scevro da pregiudizi, vedere quello che non vede più chi è immerso in una determinata realtà. Leggendo il lavoro di Chiara Sasso è questa la prima immagine che mi è venuta in mente: lo sguardo esterno, lontano, che vede quello che gli altri, gli abitanti, non vedono. Uno sguardo esterno che riesce a cogliere l’insieme di una realtà complessa e conflittuale come quella della Locride. Uno sguardo che viene da lontano e che si piega a osservare i particolari, che si fa rapire da ciò che vede, che si emoziona, si coinvolge, ma poi si riprende e riconnette tutto in quella visione d’insieme, come l’Etna che ammiro ogni mattina, da lontano, dalla sponda calabrese dove abito.Alle volte le storie si chiamano le une con le altre, come le persone che son vissute in epoche diverse creano fra loro un legame ideale, come c’è uno stretto rapporto tra l’ulivo e la vite nel Mediterraneo, anche se sono arrivati in tempi diversi. Così queste pagine richiamano altre pagine, scritte da un grande meridionalista, da un uomo che ha speso una vita per la Calabria Ultra: Umberto Zanotti Bianco. Anche lui piemontese, come Chiara Sasso, capace di combinare, in maniera mirabile, la prassi, l’impegno fattivo, con la dimensione teorica e con una scrittura pregna dei colori e dei profumi dell’Aspromonte. Ancora oggi leggere Tra la perduta gente, scritto nel 1928, fa venire i brividi. Un popolo abbandonato dallo Stato che si ricorda che esiste solo quando viene sfidato dal brigante o dal ribelle. Basta un’immagine per rendersi conto di questa realtà: Zanotti Bianco che sale a dorso di mulo verso Africo, nel cuore dell’Aspromonte e incontra un uomo a cui domanda: «Da quando avete il telegrafo?» e lui risponde: «Avimu a ringraziari a bon’anima i Musulino» (Umberto Zanotti Bianco, Tra la perduta gente, Mondadori, 1959). Il brigante Musolino, figura leggendaria dell’Aspromonte, una sorta di Robin Hood per il popolo, un criminale spietato per alcuni storici, fu ricercato dai carabinieri con ogni mezzo, spesso terrorizzando la gente dei villaggi dove lui era passato. Ed è per avere collegamenti più veloci, come spiega l’africoto a Zanotti Bianco, che lo Stato ha portato i pali del telegrafo all’interno di questa zona della Calabria, non per venire incontro ai bisogni della popolazione. D’altra parte, la prima scuola di Africo è stata realizzata dall’Associazione per il Mezzogiorno, fondata da Zanotti Bianco, così come alla sua straordinaria azione si devono alcuni risultati concreti, alcune battaglie vinte contro leggi inique e predatorie. Perché l’inchiesta condotta da Zanotti Bianco e la pressione che lui fece negli anni Trenta sulla prefettura ed il genio civile portarono: ad un’attenuazione dell’odiosa legge sulle capre, una riduzione delle zone boschive vincolate, la sospensione della legge sui mulini. Anche Chiara Sasso, venendo dalla Valle di Susa, non ci consegna solo una vibrante testimonianza, ma costruisce uno strumento di lotta e di coscientizzazione. La sua scrittura parla il linguaggio di chi non è venuto a fotografare la realtà, a farne oggetto di un’opera artistica o di un saggio, ma di chi vi è coinvolto in un progetto, in un processo di cambiamento positivo, di chi trasforma le proprie orecchie in antenne e sintonizza la propria anima sui canali, spesso disturbati e rumorosi, di queste popolazioni.Ieri, come oggi. C’è un’Italia divisa e lacerata, violenta e razzista, e ce n’è un’altra che costruisce rete di solidarietà e di giustizia. I tempi sono cambiati, si viaggia in aereo, c’è il cellulare usato anche dai pastori, c’è la TV, ma questa parte della Calabria jonica è sempre più disperata, stretta tra la violenza della nuova borghesia mafiosa, le leggi ingiuste o inefficaci e il mercato capitalistico che l’ha resa marginale. Ma il ciclo di Calabria è anche azzurro e, alle volte, ti incanta con i suoi colori. E il mare ti può fare paura, ma ti può portare anche dei doni se li sai accogliere. Ed è questa Calabria, con le sue tinte estreme, col suo dolore e le sue speranze che emerge nel lavoro di Chiara Sasso.La Calabria dell’accoglienza, della civiltà dell’ospitalità, della sacralità dello Straniero. Questo ci racconta la storia di Riace, di questi valori ci parla, valori che sono rimasti incisi, malgrado i grandi mutamenti tecnologici e sociali, nelle montagne che dividono in due questo piede di terra circondata dal mare. |
n. 3 – MONTELEONE DI PUGLIA PAESE DI ACCOGLIENZA
Rifugiati, famiglie, bambini: nel paese dell’accoglienza
26 aprile 2017 di Giulio D’Andrea in http://www.irpiniapost.it/rifugiati-famiglie-bambini-nel-paese-dellaccoglienza/
Un un paesino di confine, tra le province di Foggia e Avellino, non ci sono barbieri. La lacuna potrebbe essere presto riempita da un ragazzone libanese che, dicono, sia anche molto bravo nel taglio di barbe e capelli. I suoi figli e quelli di altre due coppie frequentano regolarmente una pluriclasse. Le pluriclassi sono necessarie nelle realtà ad alto tasso di spopolamento, l’unico modo per tenere aperti gli istituti: e qualche bambino in più è un’occasione di crescita, in ogni senso. Ché poi i bambini imparano prestissimo l’Italiano, basta qualche mese…
Vivono tutti nella stessa struttura, nel centro del paese e accanto alla scuola. Siamo a Monteleone di Puglia, mille anime tra pale eoliche e distese verdi. Mille anime e per adesso quindici ospiti immigrati nel centro Sprar, ma il numero è destinato ad aumentare. La loro vita è cambiata in meglio. C’è chi è fuggito dal Medio Oriente pensando di trovare rifugio in Venezuela. Ma lì altre persecuzioni. E dal Sud America fino in Svezia, dove però quel qualcuno non è riuscito a restare più di qualche settimana. E allora giù al Sud. A Bari, poi a Monteleone. Un’odissea. La loro vita è cambiata in meglio, quella di Monteleone non è certo peggiorata. Come altri paesi della Daunia, ma pure dell’Irpinia, Monteleone di Puglia è abitato da anziani che ora convivono con due famiglie nigeriane, una libanese, due ragazze somale, una ragazza e un ragazzo dal Ghana. Con bambine e bambini, con altri figli che potrebbero arrivare per il ricongiungimento. Con figli che stanno per nascere.
“I bambini sono il vero collante“, ci spiega Claudia Rigillo, operatrice del centro. “Hanno contribuito a far superare l’inevitabile diffidenza iniziale. Come si fa a non voler bene a loro?“, dice indicando la piccola Sharon e il vivacissimo Alì. “Questa diffidenza iniziale – aggiunge Claudia – non era legata a forme di intolleranza ma al fatto che una popolazione prevalentemente anziana poteva trovarsi spiazzata di fronte a culture completamente diverse. Col tempo ognuno sta trovando il loro equilibrio. E molti stanno trovando una tranquillità dopo aver attraversato il mare, il mondo e la violenza”. Claudia lavora con gli immigrati, come altre e altri da queste parti. E il lavoro va al di là delle competenze. E’ un lavoro continuo nel ricercare una sola cosa: la vivibilità. Come è noto, ma meglio ribadirlo, i rifugiati non possono restare più di un determinato lasso di tempo in un centro Sprar. Alla fine devono diventare autonomi. Qui non è che ci sia un’offerta di lavoro esaltante, ma spesso non c’è neanche una grande domanda perché i più giovani emigrano. E allora il rifugiato trova le occasioni che altri non cercano. Sembra strano, ma qui succede.
La scelta di sistemare tutti in un unico grande alloggio è certamente particolare. Il sindaco Giovanni Campese (nella foto in basso) ha optato per la casa “Piroscafo Duca d’Aosta”, centro collettivo che prende il nome dalla nave che utilizzarono gli abitanti di Monteleone per emigrare negli States. “Quella di ospitare le famiglie si è rivelata la scelta giusta per un piccolo paese come il nostro – dice -. Abbiamo messo a disposizione il centro, moderno e funzionale alle esigenze dei nostri ospiti. Insomma, la condizione di questi paesi è difficile, come è difficile quella degli immigrati. Ci veniamo incontro, cerchiamo di vivere il paese a seconda delle nostre possibilità. E’ anche per questo che ho aderito ad un progetto, Willoke, che sta riempiendo le nostre mura di bellissimi murales”.
Gli immigrati frequentano corsi di italiano, come impone la legge. C’è un piccolo orto sociale, altri progetti educativi che prevedono corsi di cucina o musica. Culture molto diverse, quella mediorientale e quella africana, che si incontrano anche tra i fornelli. Inserite nella Daunia ai confini con un’Irpinia dove un dibattito sempre aperto: sui paesi che si spopolano e l’accoglienza di famiglie e minori. Un’accoglienza poco sperimentata fino ad ora. A Monteleone di Puglia pare funzionare.
SALUTISSIMI
Caro Tito, non mi resta che salutare te e formulare a tutte le donne i migliori auguri di BUONA VITA per questo 8 marzo 2018 e per gli altri 364 giorni dell’anno. Alla prossima Lettera n. 212. Cordialità,
Domenico Lanciano Azzurro Infinito, martedì 06 marzo 2018 ore 23,58