Caro Tito, nell’imminente 22 gennaio 2018 il compianto fraterno amico Enzo Ermocida di Badolato avrebbe compiuto 67 anni. Ero solito telefonarGli per gli auguri ad ogni suo compleanno, quando non avevamo la possibilità di trascorrerlo e festeggiarlo, pure assieme ai nostri comuni amici storici, amici d’infanzia o di prima giovinezza. Lui teneva tanto agli amici e all’amicizia! … Adesso, per ricordare Lui ed onorare la sua famiglia ho scritto a te la “Lettera di Natale” che segue, anche perché altri possano conoscere e considerare questo uomo il quale ha saputo morire così come ha saputo vivere …. con grande dignità, con impeccabile stile e con rara signorilità. In particolare, vorrei segnalare tale lettera specialmente alle giovani generazioni, per le quali Enzo può costituire un valido esempio di volontà, coraggio, tenacia, serenità ed altri buoni valori umani e sociali.
Azzurro Infinito, giovedì 18 gennaio 2018 ore 07,59
LETTERA DI NATALE
Caro Tito, sono le ore 09,14 di lunedì 25 dicembre 2017 e sto seduto davanti al computer del mio studio-mansarda della casa coniugale di Agnone del Molise. Mi accingo a vivere e a dedicare questo Natale ad un ricordo più intenso di Vincenzo Ermocida (detto Enzo), grande e fraterno amico, nato a Badolato il 22 gennaio 1951 e deceduto a Roma lunedì mattina 11 dicembre scorso, giusto 15 giorni fa. Scrivendo queste pagine in suo onore, sono sicuro di interpretare (in tutto o in parte) pure i ricordi e i sentimenti degli altri nostri comuni amici che hanno condiviso con Lui buona parte della vita, già fin dall’infanzia o dalla prima giovinezza. E in modo davvero splendido e memorabile! E’ stato un vero privilegio averlo conosciuto e aver goduto della sua perfetta amicizia!
IL PRESEPE DEL DOLORE
Fin dal 1971 (cioè dall’età di 21 anni) il mio è sempre stato un Natale listato a lutto, da quando cioè ho avuto maggiore e migliore consapevolezza del troppo grande e diffuso dolore del mondo.
Ho così adornato la base in tessuto bordò (metri 5 x 1,20) del presepe parrocchiale di Badolato Marina (come sempre preparato con vera arte e amore da Padre Silvano Lanaro) con foto di genti vittime di guerre, malattie, schiavitù, ingiustizie, persecuzioni, abusi, razzismo, senza lavoro o senza casa, senza diritti o garanzie, senza cibo o acqua per sé stessi e per i propri campi, senza scuola, senza cure mediche e senza quel minimo di dignità negata dalle tante dittature.
In particolare, ho evidenziato la morìa di bambini, che l’Unicef e altre organizzazioni di volontariato (tra cui i missionari cristiani) non riuscivano, per mancanza di mezzi sufficienti, a salvare da situazioni di indigenza, miseria, malattia o di violenza in Paesi già spremuti da varie Nazioni coloniali o dominanti. Specialmente da quelle europee. Pure per questo mi sentivo quasi corresponsabile e in colpa!… Però quel mio gesto così pubblico e dentro una chiesa intendeva invitare ad una maggiore presa di coscienza, ad una presa di distanza, alla massima indignazione e ad una forte condanna per l’immenso massacro di popoli e persone.
Non che avessi scoperto tutto ciò all’improvviso nel 1971. Però, il mio primo anno d’Università vissuto a Roma mi ha permesso di approfondire molto ma molto di più ciò che è sempre stato tema di dibattito in parrocchia, a scuola o con amici circa le troppe sofferenze di gran parte del mondo. Ne è prova pure la “musica etica” del gruppo pop degli “Euro Universal” che ho fondato con altri amici già negli anni Sessanta. Dentro la mia anima così è entrato un lutto permanente ed ineliminabile. Un lutto profondo anche per la mia gente che ho visto sempre vessata, tribolata, smembrata e martirizzata da sfruttamenti, emigrazioni forzate, innumerevoli derisioni e discriminazioni socio-economiche-politiche-culturali, persino istituzionali! Ho evidenziato i motivi di tale lutto permanente anche alla pagina 446 del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (quarto volume 2005-2007).
NATALE LISTATO A LUTTO
Così, dal 1971 ho “listato a lutto” anche il presepe e l’albero di Natale di casa mia … pure come “ribellione” almeno ideale contro i troppi poteri (specialmente quelli sedicenti para-cattolici) i quali, invece di essere utili ai popoli (come da loro primaria costituzione e istituzione), ne avversavano la crescita ed il benessere (Chiesa compresa che, a parte talune eccezioni, non sempre mi appariva coerente con il Vangelo e la sua missione). La mia amarezza, via via nel tempo, è sempre più aumentata … tanto che era inutile persino fare l’albero di Natale e lo stesso presepe (pure a motivo di tanti lutti vissuti in famiglia, nella parentela e tra grandi amici).
Infatti, con le nuove consapevolezze, non c’era proprio più niente da festeggiare. Ed anche successivamente non c’era nulla da festeggiare con gran parte della “famiglia umana” globale fin troppo sofferente e persino martirizzata, mentre in contemporanea una minima parte dei popoli, quelli ricchi, naufragavano beatamente nel consumismo più illogico, egoista e sfrenato! Che ingiustizia laica e “divina” e che dannoso squilibrio planetario!
IL NATALE DI OGGI
Quindi, caro Tito, puoi ben capire come il Natale di oggi 25 dicembre 2017 abbia, per me, un doppio lutto: quello antico, globale e permanente e quello personale per la prematura scomparsa di uno degli amici più cari, questo Vincenzo Ermocida che per più di tre anni ha lottato caparbiamente, con tanto coraggio e dignità contro uno dei mali più impietosi (al pancreas). Così è andato via, in silenzio, lo scorso lunedì 11 dicembre, lasciando nello strazio la moglie, i due figli e tutti coloro che, parenti ed amici, gli volevano bene.
Ma il Natale di oggi significa pure ricordare con più intenso affetto tutti coloro che, familiari ed amici, sono scomparsi, specialmente di recente, come ad esempio mia cognata Ines Battaglia (moglie di mio fratello Antonio), l’amico Pietrino Squillacioti, la poetessa Mimì Caporale, il giovane Massimiliano Badolato (brillante e amatissimo figlio dell’amico Domenico, di Soverato), per citare qualche esempio che assomma tutti gli altri. E il Natale di oggi si avvale anche dell’affetto che è doveroso riversare su chi (in clinica o in altre situazioni difficili) combatte per la salute (come una mia carissima cugina già da 8 mesi degente all’ospedale Niguarda di Milano) o per altre vicende vitali (come quelle evidenziate già nel presepe parrocchiale del 1971), profughi e migranti compresi.
LA GRANDE AMICIZIA
L’amicizia tra me ed Enzo è iniziata che eravamo ancora preadolescenti il lunedì di Pasqua 1963, quando un gruppo di amici e amiche di Badolato Marina volle trascorrere tale festività rituale assieme ad un gruppo di ragazzi e ragazze di Badolato Superiore al santuario campestre della Madonna della Sanità, equidistante due chilometri circa (a linea d’aria) dai nostri rispettivi due centri abitati e sito su un colle panoramico verso le boscose montagne delle Serre e l’amenissimo golfo di Squillace. Da allora in poi, la nostra amicizia è sempre più cresciuta e maturata in modo costante e lineare, senza alcun problema o scossone che solitamente può sorprendere anche le più grandi amicizie. Un’amicizia tra le più perfette e longeve mai avute! Tanto che sembrava un continuo miracolo, specialmente se si osservava, tutto attorno, le non sempre liete condizioni delle altre amicizie … “lascia e prendi”… “prendi e lascia”.
Infatti, quante amicizie (che pur erano grandi e belle) si sono perse definitivamente, cammin facendo!? … Quelle amicizie con cui condividevi proprio tutto (tempo, sonno, mare, passeggiate, cibi, confidenze, ideali, ecc.). Eppure sembravano immense e immortali! Oppure, per vari motivi esistenziali, si sono intiepidite, diventando praticamente infruttuose o insignificanti! … Quante delusioni e quanti tradimenti amicali!
Invece, dopo 54 anni dal quel 1963, posso ben affermare che Enzo Ermocida si è rivelato l’unico vero amico in assoluto che abbia saputo essere sempre costante, sempre affabile e fedele (senza alcuna minima sbavatura) non soltanto con me ma contemporaneamente con tutti coloro i quali, avendolo affiancato fin dalla loro infanzia a Badolato Superiore, hanno costituito il suo gruppo permanente … quello “zoccolo duro” (potremmo dire per essere più efficaci) che resterà sempre tale, anche adesso che Lui non è più tra noi. A me, oggi, ribadisco, pare che il suo saper essere amico con tutti, ma specialmente con il suo gruppo storico, abbia infatti del “miracoloso” e, comunque, dello strabiliante, eccezionale, sbalorditivo, meraviglioso, straordinario. Unico!… Come non ringraziarLo ancora e sempre?!…
Sappiamo bene che la vita (in tutti le sue manifestazioni) è certamente una questione di “ritmo”. E devo dire che (assieme a linearità, lealtà, sincerità e pacatezza) il ritmo costante in crescendo era una delle prime caratteristiche non soltanto della nostra reciproca amicizia ma della più naturale personalità di Enzo, il quale è stato un amico perfetto anche e soprattutto per i suoi amici di più antica data, tutti del borgo (anche se poi si erano trasferiti in Marina, uno dopo l’altro, ed anche se frequentavamo scuole diverse).
LA CIFRA ANTROPOLOGICA
Ho più volte, nel corso di questi decenni, riflettuto sulla natura fraterna dell’amicizia che è sempre intercorsa, fin dall’inizio, con Enzo. Il primo dato antropologico che ci ha fatto diventare amici è sicuramente il sistema dei valori che ognuno di noi si portava dentro. Che erano quei valori tipici della società contadina meridionale e, in particolare, jonica. Pur essendo nato e cresciuto in Badolato Marina (il cui ambiente antropologico si stava rivelando diverso da quello del borgo di provenienza) ho mantenuto un valore che nel nuovo paese rivierasco si andava purtroppo perdendo: il sacro, profondo, devoto ed affettuoso “rispetto” tra le persone (specialmente nel contesto dei comparaggi e delle parentele).
Con gli anni ho poi saputo che la madre di Enzo e mia madre appartenevano alla medesima “gens” o “razza” (come diciamo noi) dei “Lesi” ed erano perciò lontane parenti. Tale “odore di parentela” (come si dice nel nostro dialetto) ha aggiunto (se mai ce ne era bisogno) un maggiore legàme di affetto e di rispetto.
IL RISPETTO
Personalmente ho sempre mantenuto tale valore del “rispetto” (valore antropologico chiave), almeno per due motivi. Primo, perché la mia famiglia di nascita e l’intera mia parentela coltivava tali sentimenti sociali alla maniera di un vero e proprio “culto”. Ti ricordo che gran parte dei fratelli di mio padre erano sempre rimasti abbarbicati al borgo e alle sue consuetudini con la propria famiglia. Secondo, perché ho avuto la fortuna di frequentare quotidianamente i contadini e gli operai che, provenendo dal borgo antico, lavoravano attorno alla mia casa di Kardàra (casello ferroviario Km 324). Ciò permetteva di sentirmi parte del borgo collinare, pur essendo uno dei primissimi badolatesi ad essere nato sulla riva del mare!
Inoltre, frequentavo assiduamente il borgo, che a me, poi, piaceva tantissimo, pur sempre amando il mare, di cui mi sentivo devotamente parte! Ho così assorbito e mantenuto ancora meglio i valori antropologici tradizionali sapendoli però conciliare e valorizzare con le novità del progresso e della modernità (mare, treni, automobilisti anche esteri sulla strada nazionale 106, radio, televisione, cinema, frigorifero, attività parrocchiale e scolastica ma soprattutto sogni e viaggi anche internazionali quando ancora non erano di moda alla mia età, cioè anni Cinquanta e primi Sessanta).
Meravigliava molti questa mia abilità di rappresentare la modernità e di essere proiettato verso il futuro più lungimirante riuscendo contemporaneamente ad esprimere con entusiasmo, vanto ed amore, le mie radici comunque fissate tra le pietre e le persone del borgo antico. Anzi, dimostravo spesso di amare il borgo molto più di alcuni miei coetanei che vi abitavano ma che lo disprezzavano. E questo mio amare il paese degli altri più di alcuni suoi stessi abitanti è stata e continua ad essere una mia consuetudine che non sempre mi porta simpatie. Gelosie, amor di campanile?…
Sono certo che questa mia caratteristica (moderna e tradizionale allo stesso tempo) abbia colpito anche Enzo in quella giornata di Pasquetta 1963. Così, nonostante fossi nato nella Marina di Badolato quando ancora non era Badolato Marina, ho avuto il privilegio davvero eccezionale (anche perché unico esterno al borgo) di entrare (quasi a pieno titolo) nel gruppo dei suoi amici (alcuni dei quali erano comunque amici miei d’infanzia o di adolescenza a Kardàra), pur avendo io il mio autonomo gruppo “marinoto” di amici d’infanzia (poi in gran parte confluito nell’orchestrina degli “Euro Universal”). Per quanto mi era possibile riuscivo a conciliare lo stare con entrambi i gruppi. Ma era evidente che il legame maggiore con gli amici del borgo era dovuto essenzialmente a Enzo, al suo aggregatore e regista.
COME FRATELLO
Il secondo dato antropologico che ci ha avvicinato sempre di più è stato quel bisogno di fraternità che entrambi sentivamo e che intravedevamo l’un l’altro. Mi spiego. Personalmente sentivo tanto il bisogno di un fratello che avesse più o meno la mia età. Purtroppo, erano morti alla nascita due fratelli a me più prossimi, Ottavio (22 marzo 1947) e Francesco (01 luglio 1948). La differenza con i miei tre fratelli maggiori era di 20 anni con Giuseppe (peraltro emigrato in Argentina quando avevo appena 3 mesi), di 18 con Vincenzo e 15 con Antonio, entrambi assai importanti per la mia crescita, ma andati via per matrimonio nel 1960 quando ero appena decenne. Con l’ultima delle mie quattro sorelle la differenza d’età era di cinque anni. L’amicizia con i miei coetanei non era la stessa cosa che avere un fratello assai vicino pure per età.
Enzo aveva un solo fratello, Cosimo, partito giovanissimo a lavorare in Germania. Con questo fratello Enzo aveva un legame davvero speciale e simbiotico. Ma lo aveva lontano e le poche volte trascorse insieme a lui non erano sufficienti per riempire il vuoto fraterno. Tale vuoto è, purtroppo, divenuto definitivo con la sua assai prematura morte. Durante quel lutto sono stato molto vicino ad Enzo ed ho avuto fin da sùbito la sensazione che, in qualche modo, Egli intravedesse in me un pur simbolico sostituto del fratello Cosimo. E, sinceramente, tale sensazione è stata da allora sempre costante. Per entrambi, il bisogno di un fratello dialogante si concretizzava con questa amicizia perfetta e duratura. Davvero fraterna!
L’UNIVERSITA’
Tuttavia, tra me ed Enzo, un maggior rafforzamento amicale è poi avvenuto quando nell’autunno 1970 abbiamo cominciato a frequentare l’Università degli Studi di Roma (oggi “La Sapienza”), lui iscritto ad Economia e Commercio ed io in Filosofia. Fino a laurearci ad un giorno di distanza nel luglio 1977. In questi 7 anni (durante i quali, in epoche differenti, abbiamo pure prestato il nostro rispettivo anno di servizio militare di leva) erano abituali le occasioni di incontro e spesso si intrecciavano conoscenze ed amicizie con altri colleghi universitari di varie zone della Calabria o di diverse regioni e persino di numerose nazionalità.
Tale rafforzamento amicale era anche dovuto alla diversità dei nostri interessi di studio ma pure esistenziali che erano altresì spesso divergenti visioni della vita. Enzo era ancorato alla realtà e alla concretezza (per il suo carattere, per il suo vissuto e per il suo indirizzo di studi) ed io (per i medesimi motivi) ero più idealista e, allora, persino un po’ troppo sognatore e visionario. Così, la nostra amicizia si basava su quello che potremmo definire “l’equilibrio degli opposti” ma era stabile e fruttuosa nella condivisione della cultura d’origine contadina e dei valori prioritari dello stare al mondo.
OMAR SHARIF E SPITZ
Durante gli anni universitari, Enzo era solito mantenere i baffi che lo facevano assomigliare ad alcuni personaggi noti. Fin da subito le ragazze, ammaliate dalla sua bellezza e dal suo essere sempre assai brillante, lo chiamavano tra di loro “Omar Sharif” poiché aveva il fascino di questo solare e conturbante attore egiziano (1932-2015), vero “sexy-sentimental-symbol” (dovuto allo strepitoso successo del suo film “Il dottor Zivago” 1965). Invece, alcuni colleghi-amici universitari di Serra San Bruno lo denominarono “Spitz” per la forte rassomiglianza al grande atleta statunitense Mark Spitz (California 10 Febbraio 1950) che alle Olimpiadi di Monaco del 1972 aveva vinto ben sette medaglie d’oro nella disciplina del nuoto.
Mark Spitz era un bel ragazzo e nostro coetaneo, oltre che assai atletico e fascinoso. Pure per questo, Enzo Ermocida veniva comunemente e più facilmente chiamato “Spitz” … un soprannome simpatico e celebrativo che lo individuava molto bene e che ancora adesso gli sopravvive. Dico “lo individuava molto bene” poiché Enzo, come Spitz, era un “recordman” (uomo di record, di successi) in qualsiasi settore si misurasse e, in particolare, nel conquistare le ragazze (meglio sarebbe dire “nel farsi conquistare” poiché erano le belle ragazze, italiane e straniere, che lo corteggiavano o lo agganciavano, a volte persino in modo assai spettacolare e clamoroso). Era, non volendo, proprio uno “spezza-cuori”.
SUDARSI LA VITA
Dal 1969 la mia generazione ha avuto la fortuna di poter accedere all’università più facilmente delle precedenti, iniziando quella cosiddetta “università di massa” che poi (circa venti anni dopo) ha visto ridurre drasticamente gli accessi delle classi umili a causa del “numero chiuso”, per un forte aumento delle tasse e per il sempre crescente costo della vita in città, abbinato al blocco dei salari. Infatti (orientativamente per i nati dal 1950 al 1970) due aspetti hanno permesso, specialmente a noi ragazzi poveri del sud Italia, di frequentare gli studi statali più alti: primo) il presalario (500 mila lire annui, pari ad un quinto della spesa complessiva della permanenza annuale a Roma, in media per ognuno di noi) per chi però era in regola con gli esami; secondo) il libero accesso a tutte le facoltà con qualsiasi diploma (mentre prima si poteva accedere, nella maggior parte delle facoltà, soltanto con il diploma di maturità classica).
C’erano coloro i quali, come Enzo, al posto del presalario, avevano optato per la Casa dello Studente, scelta più conveniente (poiché c’era alloggio e vitto assicurato, vicinanza alla città universitaria, servizi sportivi, ecc.) rispetto a chi, come me, aveva scelto di abitare in affitto. Tuttavia era necessario fare molti sacrifici, anche economici, per poter “sbarcare il lunario”. Costo dei libri, viaggi da e per Badolato, abbigliamento più adeguato che non in paese ed altre necessità, tra cui gli imprevisti, ci costringevano a fare una vita assai frugale e appartata. E, solitamente, ci mancava un centesimo per una lira (come si dice nel nostro dialetto).
Enzo, comunque, durante l’estate, per poter sostenere meglio gli studi di ragioneria (a Soverato) e universitari (a Roma) era solito andare a lavorare pure all’estero (Germania, Inghilterra, ecc.), riuscendo contemporaneamente a guadagnarsi un sufficiente gruzzolo per i restanti mesi dell’anno e, aspetto importante, migliorare la conoscenza di quelle lingue straniere che gli sarebbero servite anche per il suo futuro lavoro di dottore commercialista. Alcune volte si recava a lavorare all’estero assieme all’amico Antonio Lentini (noto plurilingue e poi guida turistica, traduttore e insegnante privato in Badolato Marina).
Un particolare giovamento ha avuto nei suoi soggiorni di lavoro a Londra. Elegante già di suo (pure perché bello, alto, slanciato e prestante) Enzo ha aumentato e migliorato il proprio stile nel vestire e nel comportamento con i contatti e le benefiche “contaminazioni socio-culturali” avuti in Inghilterra. Si notava a vista d’occhio la sua notevole e spiccata eleganza (quell’aplomb britannico non facile da assumere se non si entra in quello specifico spirito nazionale) ma anche il progressivo rafforzamento del suo carattere già mite, disinvolto e sicuro ed il suo agire in assoluto autocontrollo (self control), già connaturato per carattere e per l’esempio avuto da alcune molto riservate figure familiari, primo tra tutti il padre Antonio.
L’esperienza internazionale lo rendeva sempre più raffinato anche nel linguaggio e nell’apertura culturale, quale era difficile trovare in un giovane che avesse compiuto soltanto studi tecnici come ragioniere e proveniente da un piccolo borgo del profondo sud italiano (caratterizzato più da una mentalità medio-orientale che di tipo europeo).
CONDIZIONAMENTI
Tra tante altre cose, Enzo ed io avevamo in comune l’immenso amore per Badolato e talune responsabilità e condizionamenti familiari. Tali legàmi aumentarono enormemente per Lui, specie dopo le immature morti del padre e dell’unico amatissimo fratello. Senza tali legàmi, sicuramente Enzo ed io avremmo scelto strade estere per poterci realizzare nel migliore dei modi possibili, come persone e come vocazione lavorativa. Tuttavia, la scelta di rimanere a Roma è stata per Enzo un utile compromesso, dal momento che la Capitale gli offriva una discreta vicinanza a Badolato (624 km) e spazi internazionali (in qualità e quantità) assai utili professionalmente e come aspirazioni personali di esistenza e di vita.
LA PROFESSIONE
Non a caso, una volta laureato, ha optato sùbito per l’insegnamento negli istituti tecnici romani, in modo tale da avere una prima e sufficiente base economica e del tempo libero pomeridiano da dedicare alla sua vera passione: il commercio internazionale e lo sviluppo industriale. Infatti, per il suo tirocinio, ha frequentato alcuni studi professionali dove venivano trattate transazioni finanziarie e di “import-export” con l’estero. Con tale lavoro realizzava pure la sua grande passione per i viaggi anche intercontinentali.
Per l’acquisizione di esperienza nel settore dello sviluppo industriale aveva cominciato a frequentare, già da studente universitario, le sedi politiche istituzionali della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica, del Governo italiano, dei Ministeri e delle strutture comunitarie europee ed internazionali (come la FAO) presenti a Roma. E di tutti questi enti pubblici Enzo aveva un “PASS” (lasciapassare) permanente per poter accedere, senza preventive autorizzazioni, agli uffici più utili per portare a termine le sue iniziative.
In Roma, nel corso dei decenni, i suoi Uffici professionali e di rappresentanza sono passati, a tappe progressive, dalla zona urbana della Nomentana (in prossimità del centro storico) a Via Brescia (zona semi-centrale di Porta Pia) fino alla sede definitiva di Via Barberini, nel cuore politico-economico direzionale dentro le mura storiche della Capitale, proprio negli stessi palazzi delle grandi multinazionali. Enzo era orgoglioso di questi traguardi prestigiosi, ottenuti con tenacia e serietà dall’essere stato figlio di umili ma onesti contadini. Aveva saputo studiare e lavorare bene in settori non certamente facili, dove il forte carattere, l’alta professionalità e l’acuta intelligenza umana e sociale giocano un ruolo insostituibile.
Altro immenso e felice orgoglio era la sua famiglia: la moglie Maria Caturano (laureata, dirigente di ufficio postale, originaria di Montesarchio, in provincia di Benevento) sposata nel 1991 (giusto a 40 anni) e i suoi due figli, Antonio e Cosimo, che Gli hanno dato (e continueranno a dare) grandi soddisfazioni nello studio come nella vita. Per questa sua famiglia, così tanto desiderata, aveva un culto sacro e una devozione particolare ed era la sua principale gioia che, assieme alle soddisfazioni professionali e alle più belle amicizie, costituivano il più vero e prioritario valore del suo essere al mondo. Si sentiva davvero realizzato!
SIMBOLO DI CLASSE
Caro Tito, vorrei insistere sul fatto assai significativo, anche sociologicamente, che Enzo Ermocida possa e debba essere considerato un simbolo generazionale assai eloquente e rappresentativo in anni in cui, per i figli delle classi contadine ed operaie come le nostre, l’accesso a studi più alti, come l’Università, non era affatto facile. Anzi! … Dobbiamo ringraziare prima di tutto i vari movimenti della contestazione del 1968 se poi il Parlamento italiano, su forti insistenze di alcuni partiti di centro-sinistra, l’11 dicembre 1969 abbia voluto e potuto approvare la rivoluzionaria legge 910 (detta Codignola) che permetteva a noi giovani con un diploma in mano di accedere a qualsiasi facoltà universitaria, anche ai sensi dell’articolo 34 della Costituzione della Repubblica Italiana, per troppi anni disatteso fin dal 1948. Purtroppo, tale articolo 34 è tornato poi ad essere disatteso, alquanto ristretto e persino tradito da 30 anni a questa parte a danno delle classi più povere! Lo trascrivo qui di seguito per un buon promemoria.
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Enzo e milioni di altri studenti (figli del popolo) tra cui io stesso abbiamo usufruito del piccolo ed incoraggiante aiuto dello Stato pari (ripeto) soltanto ad un quinto della spesa media necessaria per poter stare e studiare a Roma nei primi anni Settanta. Il contributo di un quinto era palesemente insufficiente, ma era meglio di niente e, comunque, disattendeva enormemente l’articolo 34 riguardo i “capaci e meritevoli”. Questa è una delle migliaia di prove che dimostrano come e quanto la Repubblica Italiana sia sempre stata così poco “democratica” e “lungimirante”. Ne scriverò ancora a te, caro Tito, poiché il tema è quanto mai scottante e ancora attuale (e, ritengo, lo sarà ancora per molto, purtroppo).
Così, centinaia di migliaia di studenti universitari come Enzo, per poter ultimare l’università, erano costretti a lavorare d’estate, ma anche durante il corso di studi, nei fine settimana o addirittura pure di sera nei giorni feriali. Ed è stato proprio grazie a questo notevole spirito di sacrificio che poi l’Italia ha avuto centinaia di migliaia di professionisti le cui radici affondano specialmente nel nostro Sud e nelle classi medio-basse. Senza tale abnegazione popolare l’Italia avrebbe dovuto importare dall’estero tante figure professionali, strategiche per la nostra società. Ma ho visto, altresì, almeno metà degli studenti che si erano iscritti nel 1970 abbandonare gli studi universitari, per troppa povertà non certo per mancato genio.
Caro Tito, mi fermo qui con il delineare, a grandi pennellate, Enzo Ermocida … un uomo calabro-jonico che (da vero “self-made man – uomo fatto da sé) ha avuto grandi meriti personali e sociali. In particolare, ha avuto come dote principale quello della generosità, della condivisione e dell’aiuto verso amici e verso chi (sebbene sconosciuto) dimostrava di avere voglia di riuscire a significare qualcosa come persona e come società. L’orgoglio calabrese e delle origini operaie-contadine emergeva sempre e sempre cercava di portare avanti valori generazionali estremamente positivi e concreti, possibilmente anche esaltanti.
LA PERFETTA AMICIZIA
Mi fermo qui, dicevo, poiché voglio ricordare l’aspetto che ho conosciuto meglio di Enzo Ermocida, l’amicizia! Lo voglio ricordare e glielo devo, per due motivi. Prima di tutto perché ho avuto pochissimi veri amici, così leali e di lunga data, ma Enzo aveva una marcia in più che è consistita nell’inconfondibile stile della sua pacata e benevole personalità che lo rendevano davvero unico. Poi perché, nel giorno della sua definitiva partenza da Roma (proprio prima che iniziasse il suo ultimo viaggio verso l’amatissima Badolato), entrambi i figli mi hanno rivelato che il padre soleva dire loro che io ero tra i suoi amici più cari. E ciò mi fa molto onore e piacere e contribuisce a fare aumentare (se così può essere e dirsi) la già troppo forte mancanza di una amicizia davvero bella durata ben 54 anni. Credimi, Tito, pure io mi sento “orfano” con la sua perdita, anche se mi conforta il fatto che questa amicizia ci sia stata e che, in fondo, il mio dialogo con lui continuerà comunque, proprio come è continuata, sempre affettuosa e fedele, l’amicizia con me e con altri nostri coetanei, amici fin dall’infanzia o prima giovinezza.
Inoltre, martedì mattina 12 dicembre 2017 (dalle 8,30 fino alle ore 14 circa) in attesa delle autorizzazioni comunali per la partenza del feretro verso Sud (prima Montesarchio e poi Badolato), ho avuto modo di parlare molto con Giuseppe Ritondale (calabrese originario di Grisolia, borgo dell’alto Tirreno cosentino), pure lui commercialista come Enzo e suo amico e collaboratore fin dai tempi dell’università. Non l’avevo mai conosciuto, eppure mi ha riferito di Enzo le medesime cose, in sostanza, che avrei potuto dirgli io. Ci siamo, in pratica, trovati a commemorare con le medesime parole questo amico comune, in attesa del sua ultima scesa (tra le migliaia fatte) verso le rive del basso Jonio catanzarese. E’ stato il nostro modo per starGli ancora vicino per alcune ore e poi di dargli l’estremo saluto!
Pure per Giuseppe Ritondale (stessa mia classe 1950), Enzo Ermocida era un amico perfetto. Mai uno screzio per quanto piccolo, mai una parola fuori posto, mai una semplice alzata di tono o di voce, ma sempre mite e pacato, sempre con il sorriso aperto e sincero, spesso bonario, persino indulgente. Ognuno di noi (chi più chi meno) ha difetti. Però, come amico, Enzo sembrava non averne nemmeno uno, tanto era lieto di stare con gli amici e tanto ci stava bene!… Gli si leggeva sempre in viso (in particolare negli occhi grandi, scuri ed espressivi e nel perenne sorriso) la gioia ed il gusto di essere insieme agli amici!… Amici che considerava (a parte i suoi parenti) la sua più affettuosa famiglia badolatese, specialmente dopo essere rimasto solo (essendo ormai morti i genitori e il suo unico fratello) e prima di formarsi la “sua” famiglia.
FENOMENALE ENERGIA
Enzo aveva sempre una fenomenale, inesauribile energia! Era costantemente un uomo assai dinamico e propositivo, pieno di curiosità, di cose da fare e da vedere. Pieno di vita e di buone ambizioni! Motivato come era nel suo formidabile “credo” nell’amicizia, così come nel suo lavoro e nella sua famiglia, dimostrava di essere un inarrivabile e instancabile “stakanovista”. Sapeva però ben coordinarsi e prodursi in molteplici attività ed espressioni familiari ed amicali. Una vera forza della natura!
Pensa, caro Tito, che Enzo era pressoché unico e impareggiabile nel sapere coltivare le amicizie, non soltanto con quelle storiche e di antica data derivate dall’infanzia o dall’adolescenza, ma tutte le amicizie, pure quelle nuove trovate a Roma oppure ovunque avesse avuto la possibilità di solidarizzare con persone della medesima indole. Spesso ci presentava queste nuove amicizie esterne alla nostra consueta cerchia. Ha portato anche qui in Molise alcuni di questi suoi nuovi amici. E tutti ammiravano Enzo per le medesime doti caratteriali e amicali che stupivano noi, suoi vecchi amici. Con noi, ovviamente, era più di casa, pure perché il parlare il medesimo dialetto e il condividere la vita da tanto tempo costituivano motivo di maggiore affetto ed intimità, ovviamente più familiari.
Personalmente io mi sono sentito ricolmo delle sue gentilezze e delle sue attenzioni, non soltanto perché ci telefonavamo spesso, ma specialmente perché il più delle volte era lui che mi veniva a trovare qui in Agnone sulle montagne molisane (250 km da Roma) piuttosto che fossi io ad andare a Roma. Poche volte è successo che egli, avendo poco tempo a disposizione, mi incontrasse per il solo pomeriggio o serata, a pranzo o a cena, a Cassino città (80 km da Agnone e 170 da Roma). Tra noi c’era una gara di affetto, affidabilità e disponibilità.
DARE PIU’ VITA AGLI ANNI
Per come ha vissuto, Enzo mi dava l’impressione di voler “dare più vita agli anni piuttosto che più anni alla vita” (come si suole comunemente dire). Per ogni essere umano sarebbe sempre meglio che si avverino entrambe le cose (più anni alla vita e più vita agli anni) ma Egli, specialmente dopo la morte del fratello Cosimo, ha sempre dubitato di giungere alla vecchiaia. Sarà stato pure per tale sua intima convinzione (che poi si è rivelata purtroppo esatta) … fatto sta che Enzo si concentrava al massimo per sùggere, per succhiare linfa e miele dalla vita in ogni momento della giornata. La brama di vivere e di avere una vita della più alta qualità possibile lo caratterizzavano. Pure per questo cercava di essere più sereno e specialmente più affettuoso con tutti. Mi sembrava che Egli vivesse ogni giorno come se fosse l’ultimo. E tutto ciò Gli dava una carica particolare ed una intensità vitale che riusciva a trascinare tutti, specialmente coloro i quali (tra di noi) erano più flemmatici e senza adeguata grinta. Davvero un ottimo esempio!
“Lo sai che hai ragione! … Pure io mi sento addosso il doppio degli anni che ho vissuto!” mi ha detto, nell’autunno 1995, dopo aver letto alla pagina 6 del mio libro “Prima del Silenzio” (appena presentato a Badolato Marina a cura dell’associazione “La Radice”) la seguente frase: “Un ITER, un cammino di vita che mi fa sentire dentro come se avessi camminato e vissuto per oltre 120 anni per tutte le strade del mondo e delle esperienze umane”. Pure per questa sua brama di vivere (di dare più vita agli anni) cercava più occasioni da trascorrere con gli amici e con le altre sue persone care. E se non riusciva ad incontrare i suoi amici tutti insieme, li andava a trovare ad uno ad uno, ovunque disseminati in Italia. Così come per me.
L’ALTO MOLISE
Infatti, i nostri appuntamenti primaverili in Alto Molise erano diventati ormai una bella consuetudine. Verso marzo mi diceva sempre la medesima frase “Si sono sciolte le nevi?” che era il preludio per una magnifica giornata da trascorrere insieme ogni volta in una località diversa, dove gli piaceva pure andare alla ricerca di funghi e gustare le squisite specialità enogastronomiche locali. Ricordo, per fare un esempio, che aveva molto apprezzato la magnifica valle del Volturno, i due musei della zampogna, l’antica abbazia e il lago di San Vincenzo e la catena montana delle Mainarde. Altra consuetudine era un altro incontro verso settembre – ottobre, ma a volte è venuto ad Agnone persino d’inverno anche per il gusto della neve. Una simpatia speciale aveva da e per la mia anziana suocera Fiorina che Egli vezzeggiava chiamandola “Fiorillo” come per farla sentire più giovane. E “Fiorillo” si rallegrava di tutto questo affetto, ampiamente ricambiato.
Tra i tanti invitati, Enzo è stato uno dei pochi amici intervenuti al mio matrimonio religioso celebrato in Agnone domenica 12 agosto 1984. A me ha fatto enorme piacere e mi ha dato pure grande onore e importante testimonianza di amicizia. Allora era il periodo in cui più rassomigliava all’attore Omar Sharif e non ha potuto evitare di essere utilmente corteggiato da alcune bellezze del luogo. Si era comunque affezionato a questa parte del Molise, con il suo verde assai silente e lussureggiante, tanto che più volte mi ha espresso il desiderio di acquistare un terreno dove coltivare una vigna e un frutteto e dove trascorrere momenti di autentico relax quando aveva bisogno di vero riposo dagli stress professionali o metropolitani.
Ma Roma restava comunque alquanto lontana da Agnone per potersi prendere cura di un vigneto e di un frutteto, se non delegando un contadino del posto. Poi, però, su mia indicazione, ha acquistato alla foce del torrente Vodà, nella nostra Badolato Marina, il pezzo di eredità toccata nel 1986 a mio cugino Mario Bruno Lanciano, proprio in quel fondo di San Miglianò, appartenuto a nostro nonno Bruno Lanciano, padre dei nostri rispettivi papà. Non finiva mai di ringraziarmi per questa stupenda opportunità di stare così vicino al mare e a pochi passi dal centro abitato della Marina, mentre da quel terreno poteva vedere il borgo antico, la sua casa genitoriale e le nostre montagne delle Serre Joniche.
MARE DI BADOLATO
San Miglianò, questo piccolo angolo di paradiso (come lo definiva Lui), a 100 metri dalla spiaggia del nostro superlativo mare Jonio, fece assai felice Enzo il quale ci andava ogni volta che scendeva a Badolato. Quell’appezzamento di terreno era una vigna, un orto ed un frutteto ormai in disuso da troppo tempo, con il rudere della casetta rurale di mio nonno, che ha avuto persino l’onore di essere stata la prima scuola della Marina di Badolato quando ancora non era Badolato Marina (1948-50). Era diventata rudere per essere stata semidistrutta dalla disastrosa alluvione del 17-18 ottobre 1951. Però, piano piano Enzo aveva reso meravigliosamente lussureggiante quel terreno come era stato ai tempi di mio nonno quando tutta quella proprietà (che è riuscita a sfamare la numerosissima sua famiglia fin dal 1895 circa) era chiamata la “California” per quanto frutto portava, tanto fertile e ben lavorata e curata come era.
In questo piccolo angolo di paradiso, Enzo dava il meglio di sé quando invitava i suoi più cari amici a trascorrere insieme liete e spensierate ore di convivialità e di relax. Era doppiamente felice: perché stava con i suoi amici d’infanzia, ritrovati quasi ad ogni viaggio a Badolato (specialmente nella bella stagione), ed anche perché stava in quel terreno assai desiderato, così tanto vicino al mare che con il suo variegato azzurro faceva da luminosa corona a questi frequenti incontri amicali e conviviali. Amava cucinare Lui stesso la parte più importante del pranzo o della cena (quasi sempre a base di pesce fresco), ma ognuno degli amici portava sempre qualche cibo tradizionale da casa, di modo che trionfavano i gusti, i profumi e i sapori evocativi dell’infanzia e della tradizione. Ore davvero liete e magiche! Rigeneranti!
LA GIOIOSA CONVIVIALITA’
Parecchie volte ho partecipato pure io a questi meravigliosi incontri di convivialità amicale, che a Badolato prendono nome di “scialate” (incontri gioiosi per l’amicizia e per il gusto del cibo oppure incontri “ritrovarsi” e per mangiare in letizia e in amicizia). A tale proposito il filosofo Salvatore Mongiardo (nostro comune amico del vicino paese di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio) fa risalire queste usanze conviviali ai “sissizi” (pasti comuni) di Re Italo (vissuto in queste nostre zone calabre sedici generazioni prima della guerra di Troia, cioè attorno al 2000 avanti Cristo) … quello stesso Italo che ha poi dato il nome all’Italia, come attestano tutti gli antichi storici, come il grande filosofo greco Aristotele (384 – 322 a.C.).
Questi famosi “sissizi” di Re Italo o “scialate” (dove ogni commensale porta ancora adesso qualcosa da mangiare e da condividere con gli altri) si sono poi estesi in quasi tutto il Mediterraneo con grande successo e gradimento. Pare che la “democrazia condivisiva” sia nata proprio nel territorio dell’odierna Calabria (prima Italia) ad opera di Re Italo per tenere insieme in pace e in amicizia le tante tribù e famiglie del suo regno. E solo molti secoli dopo la “democrazia” ha trovato nuova culla ad Atene da dove si è diffusa in tutto il mondo. E sì, la Calabria è sempre stata al centro dei pensieri di Enzo, tanto che a Roma ha contribuito a fondare una vera e propria “Accademia” calabrese, riunendo i corregionali più prestigiosi ed influenti!
I più assidui frequentatori delle “scialate” o incontri conviviali, durante l’anno, erano oltre a Enzo Ermocida, i suoi più cari amici di più antica data: Tonino Squillacioti, Vincenzo Femia (Eziolino), Pasquale Schiavone, Felice Carnuccio. A volte, accanto a questa “compagnia più stabile” (lo zoccolo duro, come la definisco io) si avvicendavano altri amici o parenti come Giocondo Frascà, Ernesto Menniti, Cosimo Schiavone, i fratelli Vincenzo e Umberto Squillacioti, Mario Ruggero Gallelli, Tonino Leuzzi, Antonio Spasari, Giacomo Leuzzi, Bruno Leuzzi e nel periodo estivo, quando si trovavano in vacanza a Badolato: Pietro Frascà, Pietro Amato, Piero Ermocida, Antonio Parretta, Angelo Squillacioti, Giuseppe Frascà (come nell’ultima estate 2017).
Altri cari amici sono stati Antonio Lentini, Carmelo Santo Lentini, Salvatore Loprete, Nuccio Novello, Nazzareno Audino e tanti altri ancora …
Una gioia, questa degli incontri conviviali, moltiplicata per tutti, specialmente per Enzo che in genere era l’amico ospitante, l’animatore, il felice ed ammirato protagonista della maggior parte di tali “rimpatriate” … appuntamenti amicali che avevano molto più significato e valore specialmente per chi vive lontano dal paese natìo e trova, in questo affettuoso bagno di amicizia, una notevole ricarica per continuare ad affrontare la lontananza magari con più nostalgia però con minor tristezza e grigiore. E’ importante, ad ogni ritorno, ritrovare chi ci accoglie con sincera amicizia e con gioia! Ed Enzo sapeva coccolare bene tutti ed ognuno. Ovviamente, Enzo veniva a sua volta invitato frequentemente e assai volentieri da amici badolatesi o da amici di altre parti della Calabria o dell’Italia, sicuri che la sua gioia potesse contagiare persino persone che, pur sconosciute, partecipavano ai convivi. Una volta sono stato testimone di ciò in provincia di Reggio.
SENTIRSI UNITI
Ovviamente, non sempre potevo essere con loro a San Miglianò oppure altrove. Così, accadeva molto spesso che Enzo Ermocida o Tonino Squillacioti o Vincenzo Femìa (detto Eziolino) mi chiamassero al telefono per parteciparmi dal vivo i loro incontri amicali o conviviali, quando, appunto, non potevo essere presente di persona. Viceversa, sapendo dei loro sempre lieti incontri, ero io a telefonare per farmi sentire partecipe e in unione con tutti questi cari amici. Tale consuetudine delle telefonate mi commuoveva ogni volta, pure perché ogni volta sentivo l’affetto di amici e compaesani nei momenti di celebrazione non soltanto della gioiosa convivialità, ma specialmente dell’amicizia trascorsa in vera letizia!… Questa “perfetta amicizia” vissuta davvero in letizia attorno ad Enzo mi ricordava la “perfetta letizia” di San Francesco d’Assisi tanto era semplice, autentica, pura, fraterna.
Naturalmente, le telefonate di partecipazione intercorrevano pure in tante altre occasioni, non soltanto per gli incontri conviviali. Mi volevano far vivere “in diretta” anche eventi o manifestazioni di mio interesse, come i “sissizi” di Salvatore Mongiardo, o come viaggi, escursioni, conferenze, feste religiose, matrimoni, ecc. Ti assicuro, caro Tito, queste ricorrenti telefonate di compartecipazione e di condivisione erano espressioni così gentili ed affettuose che mi facevano veramente sentire molto unito a loro e alla nostra Terra. Non c’è nulla di più gradito che essere tenuto in considerazione e contattato in maniera così sincera!
Particolari emozioni mi davano le telefonate che provenivano dalla riva del nostro mare Jonio, di cui spesso mi facevano ascoltare la carezza dell’onda. Sapevano molto bene quanto mi erano gradite le telefonate con la voce del nostro Mare! E lo sai bene pure tu, Tito, come e quanto io ami il nostro mare. A chiunque mi telefoni dalla nostra costa, concludo la conversazione con l’appassionata richiesta: “Salùtami u mara” (salùtami il mare)! E pure Enzo era così innamorato del nostro mare, tanto da farsi una piccola barca da usare per relax o per andare a pesca. E il pescato (dal mare alla tavola) era immediatamente a disposizione della sua famiglia o del solito gruppo di amici.
LEADER CARISMATICO
Enzo (specialmente per il suo temperamento, per il suo stile, per la grande capacità di affettuosa aggregazione e, in particolare, per la gioia evidente, contagiosa e trascinante di stare in mezzo a noi) aveva in amicizia virtù davvero carismatiche ed era il nostro indiscusso e insostituibile “leader” … un punto di riferimento, senza cui non era affatto facile raggiungere l’efficacia degli incontri, ch’Egli più di tutti sapeva adeguatamente animare e portare all’apice.
Ritengo (con cognizione di causa) che tali doti di leader carismatico Egli avesse anche nell’ambiente di lavoro o in altre occasioni, pure per molteplici aspetti non trascurabili della sua personalità: la competenza, il prestigio, l’intraprendenza, il coraggio, la generosità, il rispetto, l’affetto, oltre alla innata simpatia dotata di sorriso onnipresente e di ottimismo estremo che lo rendevano assai familiare persino agli sconosciuti! Enzo era molto richiesto da persone, personaggi e personalità di ogni dove, non soltanto per affari e lavoro. A volte, quando veniva in Alto Molise (o sconfinavamo nel vicino Abruzzo), si trovava costretto a spegnere il telefonino per quante chiamate riceveva! E, comunque, telefonavamo noi agli amici più cari per renderli partecipi del nostro girovagare montano o quando eravamo davanti a piatti speciali della tradizione locale.
Pure per tutte queste doti era una persona affidabile che ispirava molta fiducia e, spesso, anche accoglienza e persino protezione. Con tali sue positive caratteristiche, Enzo si è reso molto utile, in modo del tutto volontario e gratuito, a innumerevoli persone, personaggi e personalità (ne conosco qualche nome e situazione). Era difficile che dicesse di “no” a qualcuno e se lo diceva c’era sicuramente più di un valido motivo. L’ho visto più volte prodigarsi (anche a proprie spese) per soddisfare le richieste che provenivano dal nostro paese o da tanti conoscenti disseminati pure all’estero che approfittavano del suo essere a Roma per farlo girare per Ministeri e altri uffici oppure per utilizzare la vasta rete di amicizie che Enzo aveva in ogni dove. Tutta questa abnegazione aveva, a mio parere, dell’eroico, giacché Egli si rendeva sempre disponibile ed era lieto di poter fare del bene alle persone, specialmente a quelle che avevano più bisogno di essere aiutate. Infatti, a volte, il suo altruismo era profuso oltre ogni misura. In questo aspetto ci somigliavano proprio assai.
L’IMPIETOSA MALATTIA
Enzo, in media, andava a Badolato una volta al mese per qualche giorno (anche per fare visita ai suoi familiari e parenti, vivi o morti). E, solitamente, vi trascorreva quasi tutto il mese di agosto per le vacanze estive. Puntuale era la sua scesa per rendere omaggio alle tombe dei suoi familiari e parenti nella giornata del 2 novembre dedicata ai defunti. E, se non c’ero pure io, ci sentivamo comunque per telefono.
Così, verso la fine di ottobre del 2014, gli ho telefonato da Agnone: “Sei in viaggio per Badolato?”.- “No – mi rispose – sto facendo un altro più lungo viaggio!”. Ho capito immediatamente che qualcosa di serio non andava. Infatti, mi disse che era in clinica, appena operato al pancreas per un sospetto tumore. Mi si è raggelato il cuore, sapendo che un cancro al pancreas è quasi sempre mortale. E’ solo questione di tempo, ma il più delle volte la spunta lei … questa famigerata neoplasia. Mia moglie ed io Gli andammo subito a fare visita in clinica, a Roma, per incoraggiare anche sua moglie che già temeva il peggio.
E’ iniziato così il suo più lungo viaggio, proprio come mi aveva detto al telefono, pienamente cosciente della impietosa malattia che lo aveva colpito ad appena 63 anni. Ero comunque sicuro che Egli, combattivo com’era sempre, non si sarebbe mai arreso, fino alla fine. E così è stato. In questo calvario, il nostro compito di amici era quello di sostenere il più possibile la sua battaglia e quella della sua famiglia. Così i nostri rapporti sono diventati ancora più intensi. Ognuno dei suoi amici (antichi e nuovi) ha fatto la propria parte. In particolare, taluni vecchi amici (pur esterni al gruppo storico), come il prof. Vincenzo Squillacioti, hanno cominciato a telefonargli più spesso. E questa rafforzata vicinanza faceva molto piacere ad Enzo, come mi ha detto Lui stesso a Padova il 22 ottobre scorso, apprezzando la gentilezza e l’affetto di costoro.
Caro Tito, mi sembra superfluo dirti di questi tre anni trascorsi da Enzo tra forti sofferenze e forsennate battaglie per tenere testa alla malattia. La moglie ed i figli sono stati bravissimi nel non mostrargli alcun cedimento nemmeno emotivo che potesse addolorarlo maggiormente. Né Enzo ha minimamente fatto mai capire a tutti, familiari ed amici, la sua sofferenza. Mai una parola, mai un lamento. Che forza! Sempre con il sorriso sulle labbra e la sua disarmante calma. E’ proprio vero che “la calma è la virtù dei forti!”.
Eppure, so bene come e quanto la sofferenza e l’angoscia abbiano spadroneggiato nella sua famiglia, nei suoi parenti e tra noi amici ed anche tra i compaesani e i semplici conoscenti che si erano accorti (dal suo forte dimagrimento, dal colore del volto e da altri tipici segnali terapeutici) del suo compromesso stato di salute. Tutti sono stati discreti e affettuosi nel sostenerlo. Tutto sembrava normale. Fino alla fine. Fino alla nostra ultima scherzosa telefonata, tre giorni prima che ci lasciasse, ancora increduli ma straziati.
L’INDOMITO CORAGGIO
Caro Tito, ti dico subito che ho visto pochissime persone finora affrontare una tale nefasta malattia con il coraggio, la dignità, la serenità che in questi tre anni di “via crucis” tutti abbiamo ammirato in Enzo Ermocida. Sicuramente quando Egli stava da solo avrà avuto qualche scoramento. E’ umano. Ma, quando era con le persone (compresi familiari ed amici), non mancava mai il suo sempre presente e solare sorriso, il buon umore e soprattutto il progettare il futuro. Non ha mai e poi mai fatto pesare (nemmeno minimamente) la sua malattia ad alcuno!…
Tutto doveva essere normale. Anche i consueti incontri conviviali, le scialate, con gli amici. Il suo corpo poteva essere debole, la voce poteva essere flebile, ma sempre luminosi i suoi occhi ed il suo sorriso!… Il sorriso, aperto e sincero, era diventato (ormai nei decenni) il suo miglior distintivo, il suo stile più evidente, il suo credo nella vita. E non l’ha voluto perdere nemmeno un solo minuto di vita nell’intimo dramma che l’aveva invaso. Un sorriso-maestro, un maestro di sorriso! Un sorriso che intendeva tranquillizzare tutti, specialmente la sua famiglia. Sorriso e buon umore. Non è da tutti!…
Forse era uno dei suoi metodi per cercare di sconfiggere la malattia, ma Enzo continuava ad essere propositivo e continuava a progettare il suo futuro … continuava a guidare persino l’auto (una più piccola però, avendo tralasciato la più potente ed impegnativa Mercedes tenuta precedentemente) e a lavorare persino dopo appena qualche giorno di distanza dai suoi sette interventi chirurgici. Ci stupiva per tale forza d’animo e di volontà … quella forza di volontà che lo aveva caratterizzato in tutta la sua vita per riuscire ad affermarsi così come si è meravigliosamente affermato in un settore e in un tipo di società non certo facile.
Questa sua forza d’animo, ci faceva confidare, a volte, che avrebbe vinto la terrificante malattia. Ci speravamo tutti, anche se la prognosi appariva infausta. Così familiari ed amici lo seguivamo in questo suo progettare il futuro. Fino alla fine. Fino alla fine … assecondandolo, appoggiandolo ed incoraggiandolo, proponendo nuove iniziative!… Nuovi viaggi, nuovi incontri. Fino all’ultima cena!…
L’ULTIMA CENA
Devi sapere, caro Tito, che molto tempo fa (verso i primi anni duemila) avevo messo in contatto Enzo con un mio lontano cugino, industriale a Brescia. E’ il dottore Giorgio Bressi, la cui famiglia era originaria di Badolato. Suo nonno Francesco (1870-1937) era uno dei più giovani fratelli del mio bisnonno don Peppino Bressi (1851-1896) brillante armatore e stimato commerciante. Suo padre Domenico (1896-1951) era cugino di primo grado della mia nonna paterna Domenica (figlia di don Peppino) e Giorgio (1940) è cugino di secondo grado con mio padre. Così io sarei cugino di terzo grado con Alessandro, il figlio di Giorgio. Ho conosciuto Giorgio soltanto per telefono circa 18 anni fa, quando stavo scrivendo il terzo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori” dedicato alle genealogie della mia estesa famiglia (Bressi compresi). Da allora, per un motivo o per un altro, non avevo ancora avuto la fortuna di incontrarlo di persona, nonostante alcuni tentativi da parte sua, da parte mia ma anche di Enzo e di mio cugino Mario Bruno.
L’occasione si è presentata recentemente, sabato 21 ottobre 2017 mentre ero con mia moglie alle Terme di Abano (Padova), distante da Brescia solo 156 km. Oltre a Giorgio e a me, avrebbero partecipato a tale incontro pure Mario Bruno Lanciano (industriale multinazionale) proveniente da Parma (213 km da Abano) e il dottore commercialista Nicola Caporale (famiglia amica originaria di Badolato) il quale aveva conosciuto Giorgio per il semplice fatto che i loro due uffici erano sullo stesso pianerottolo di un palazzo al centro di Brescia. Che inattesa e lieta coincidenza!
Quando si è presentata tale occasione di incontro, Enzo era in clinica per l’ennesimo intervento chirurgico. Ma la sua forza di volontà e il suo desiderio di partecipare a questa tanto ricercata riunione di amici hanno fatto sì che, accompagnato dalla moglie, Enzo fosse puntuale ad Abano, ad appena cinque giorni dalla sala operatoria. Infatti, giunto ad Abano ha dovuto, purtroppo, ricorrere alle cure urgenti di quell’ospedale. Come non ammirare una persona così tenace e volitiva, così attaccato alla vita e agli amici!?…
Per fortuna che l’ospedale di Abano lo ha rilasciato proprio in tempo in tempo per partecipare alla cena, che realizzava un grande desiderio di incontro tra noi cinque amici. Un incontro atteso ben 18 anni, ma allietato pure dalla presenza delle rispettive mogli che tra loro hanno familiarizzato come se si fossero conosciute da sempre!… La cena si è svolta nella più grande gioia e cordialità, quasi tra fratelli più che tra amici! Nessuno di noi, nemmeno Enzo, avrebbe mai potuto solamente pensare o sospettare che quella sarebbe stata in assoluto la sua ultima cena sociale, l’ultima convivialità con parte della sua grande corona di amici che tanto lo hanno amato ed onorato in vita!
L’ULTIMO SORRISO
Pur nel grande dolore per la sua incolmabile perdita, sono, ancora adesso, assai lieto che Enzo abbia voluto con tutte le sue residue forze realizzare assieme a me e agli altri amici questo importante incontro di affetti amicali e familiari, lungamente inseguito.
Pur nel dolore che ci ha colti tutti improvvisamente e sicuramente prima di ogni possibile previsione, sono altresì lieto che abbiamo potuto trascorrere con Enzo alcune ore di vera ed intensa gioia amicale, proprio considerato che quelli seguenti sarebbero stati gli ultimi suoi giorni, avendo concluso il suo lungo viaggio l’11 dicembre, a distanza di appena 51 giorni da quell’incontro, vissuto con tanto affetto, intima commozione e fiduciosa speranza!
L’ultima immagine di Enzo vivo che porto nel cuore e nella mente è del momento in cui ci siamo salutati davanti alla stazione ferroviaria di Padova attorno alle ore 15 di domenica 22 ottobre 2017. L’ultimo fotogramma è stato il suo sempre solare sorriso e l’affettuoso saluto. Mi piace ricordarlo così, anche se poi a Roma l’ho salutato nel suo sonno eterno. Il viso era sereno ed accennava quasi ad un lieve sorriso come per dirci che il suo ultimo viaggio lo avesse portato in un luogo felice. Così ci piace pensarlo! E in sempre affettuosa attesa di noi suoi più cari amici per condividere ancora la perfetta amicizia, la perfetta letizia!
LA PREPARAZIONE ALLA MORTE
Caro Tito, avendo lavorato in ambiente ospedaliero, ho avuto occasione di stare pure a contatto con persone ormai in fase terminale (come si usa dire). Ma, anche prima di frequentare tale ambiente sanitario, sono stato vicino a parecchie persone sofferenti, giunte alla conclusione della loro esistenza. Di alcune ho visto esalare persino l’ultimo respiro. Sono momenti dolorosi e solenni, ricolmi di una indicibile sacralità. Da tutti questi esempi ho imparato molto, tanto da convincermi che avrei dovuto partecipare a tutti questo “tesoro” del morire e della morte … in particolare del saper morire e della buona morte.
Così, nella primavera 1988, a Badolato ho fondato assieme a tre cari amici (prof. Vincenzo Squillacioti, dott. Gianni Pitingolo e l’artista Gianni Verdiglione) l’ISTAN ovvero l’Istituto di Tanatologia con lo slogan “Studiare la morte per amare di più la vita”. E dal novembre 1996 al febbraio 1997 ho tenuto in Agnone il primo “Corso di preparazione alla morte” che ha avuto una significativa eco anche internazionale, pure perché questa nostra società post-industriale non parla quasi mai della morte e del morire (parlarne diventa quindi uno “scoop” … una cosa fuori dall’ordinario). Purtroppo la “Pedagogia Sociale” non contempla la preparazione all’unico evento sicuro dopo la nascita per tutti gli esseri viventi, per chi muore e per i superstiti!!!… Prepararsi alla morte può significare pure prepararsi alle perdite, alle sconfitte e a tutto ciò che ha bisogno di un necessario periodo di “elaborazione del lutto”. E nessuno finora è esentato da ciò!
In maggior parte, le persone che hanno fatto e fanno questa “via crucis” del tormentato loro “fine vita” vivono e soffrono in modo assai diverso un simile straziante percorso, ma quasi tutte si rivestono di una dignità ultima quale era difficile avere nella vita normale. Pochi ho visto essere disperati o ribelli a questo crudele destino. Invece, ho notato che la rassegnazione e la preghiera può aiutare sé stessi e chi ci sta attorno ad accettare l’inevitabile, dopo aver fatto di tutto per evitarlo. Forse ognuno di noi ha un destino.
Secondo me, la serenità e la rassegnazione verso la propria morte (che definisco “la soglia serena”) entra nel nostro animo quando percepiamo che il nostro tempo su questa terra si stia per compiere. Verso la fine degli anni 90, Enzo (che aveva seguìto tutte queste iniziative di preparazione alla morte e spesso ne parlavamo) mi ha detto: “Dobbiamo affrettarci a realizzare i nostri migliori progetti, perché i nostri 60 anni si avvicinano e dopo i 60 ci può accadere di tutto”. Sarà stata una coincidenza, ma era proprio ciò che soleva dire mia madre. Probabilmente era una convinzione tipica del nostro ambiente sociale contadino e del humus culturale popolare, quando l’aspettativa di vita era ancora troppo ridotta. Comunque era una giusta riflessione. Pure perché la morte può intervenire all’improvviso, quando non ce l’aspettiamo e in qualsiasi momento della nostra esistenza. Motivo per cui è necessario essere sempre pronti e preparati.
Quando però si va via in modo prematuro, il maggior dolore solitamente è lasciare la famiglia, specialmente i figli che hanno ancora bisogno di noi. Tale era la preoccupazione di Enzo, quando ci trovavamo a parlare di morte. Tuttavia era già contento di avere avuto più vita del padre e del fratello. Spesso, infatti, ci si misura con la vita e la morte dei nostri consanguinei. Pure io temevo di non superare i 66 anni del mio fratello maggiore! Così gli altri due miei fratelli si sono misurati (superandolo, per fortuna) il limite degli 80 anni di nostro padre!… A parte tali considerazioni inconsce, forse il pensiero della morte subentra quando ci siamo già disincantati della vita. E tale disincanto ci prepara in modo assolutamente naturale alla “soglia serena”!
LA LEZIONE E L’ESEMPIO
Enzo ha dato a tutti noi una lezione aggiuntiva, un esempio che ci incoraggia non soltanto a morire con maggiore dignità, in saggio e devoto silenzio, ma che ci incoraggia pure a vivere nel migliore dei modi, ritenendo preziosissimo ogni momento della nostra esistenza. Tutti noi (che, più o meno, l’abbiamo seguìto in questi tre anni di alterna ma sempre ferrea lotta contro la malattia) siamo concordi in un’ammirazione sconfinata. Enzo ci stupiva continuamente del suo attaccamento alla vita, alla famiglia, alle persone care e al lavoro ma anche per l’accettazione serena della sua condizione. Con me si trovava a riflettere ad alta voce, come quando mi ha detto “Ma cosa è la nostra breve vita dinanzi all’eternità?”… Oppure …
“E’ il mio chirurgo che mi mantiene in vita” era solito dirmi negli ultimi mesi. Il chirurgo era un suo carissimo amico e a lui si è affidato totalmente. Ritengo che questo suo amico abbia fatto veramente tutto il possibile, nonostante l’infausta diagnosi iniziale e nonostante gli alti e bassi dei decorsi post-operatori. Penso che questi tre anni siano stati pure una più bella ed intensa storia di amicizia anche tra loro due, specialmente di fronte alla brama di voler guarire o almeno allungare la vita ad una persona cara da tanto tempo. Credo che veramente l’impegno del suo chirurgo, sicuramente la tenacia di Enzo, indubbiamente il moltiplicato amore di moglie e figli, nonché l’affetto di noi amici e qualche altro fattore Gli hanno allungato la vita, almeno un po’, visto e considerato il tipo di patologia che solitamente non dà scampo già nell’immediato.
Ma è stato il lineare comportamento di Enzo che ha stupìto tutti e che ha costituito una grande lezione e un esempio inestimabile. In vita come in morte. Sono i valori umani e sociali espressi da Enzo che rendono veramente grande e memorabile un uomo così pervicace nella lotta fino all’ultimo anelito! E tutto ciò è la più vera eredità che lascia a tutti noi, non soltanto alle moglie ed ai figli, i quali possono trovare maggior conforto proprio in questa elevata prova di “maestrìa” esistenziale e di “eccellenza” umana e personale.
Si parla tanto e fin troppo spesso di “eccellenze” di prodotti e di attività socio-economiche però ci siamo quasi dimenticati di parlare di “persone eccellenti” … quelle che, come Enzo, hanno sempre vissuto nella massima espressione e attuazione di grandi valori etici, ma anche sentimentali ed emozionali. Dovunque passava, Enzo era capace di rallegrare ogni ambiente già con il suo sorriso e con la simpatia delle sue parole, sempre empatiche e sempre positive e propositive. In ogni occasione, alle persone (anche le più sconosciute o mai viste prima) lasciava una scia di bontà e di ottimismo, di positività e di lungimiranza.
LA SCELTA DI BADOLATO
Secondo me, conoscendo Enzo, la scelta di farsi seppellire a Badolato, che gli fu culla, appartiene alla sua più grande sfera degli affetti e dei sentimenti. Roma (dove ha vissuto in pratica dal 1970, in modo continuo per ben 47 anni) era stata assai importante per Lui e, quindi, avrebbe potuto preparare la sua ultima dimora proprio qui, dove comunque poteva contare su più frequenti visite da parte di moglie, figli ed amici romani. Montesarchio (paese della moglie, distante appena 231 km da Roma) avrebbe potuto pur essere la sua ultima sede. Però ha scelto la sua Badolato.
La scelta di Badolato, invece, è un preciso testamento per moglie e figli, per gli amici calabresi. Un ultimo atto di fede, di amore e di identità umana e sociale. Il fatto poi di essere sepolto accanto al fratello Cosimo (che aveva già onorato col nome dato al secondo figlio, mentre con il primo aveva rinnovato il padre Antonio) intende dimostrare a noi tutti come e quanto Egli fosse legato al paese natìo e alla sua famiglia di origine, in particolare a questo sfortunato fratello, morto troppo prematuramente mentre lavorava in Germania. Noi amici, che eravamo a Roma, siamo stati assai vicino ad Enzo in quelle terribili settimane!
TESTAMENTO MORALE
E questo testamento (morale e civile) è stato immediatamente ben recepito dai figli Antonio e Cosimo. Lo si può capire pure leggendo (qui di seguito) i loro rispettivi scritti: “Un pensiero per papà” e la poesia “Vincenzo Ermocida”. L’ho capito, in particolare, quando, mentre il feretro si apprestava a lasciare Roma per Badolato (passando per Montesarchio), Cosimo mi ha chiesto: “Andrai a trovare papà?” ed io gli ho risposto “Naturalmente!”. Anzi, spero di andarci con tutta la sua famiglia oppure con qualche nostro vecchio amico. Per vari motivi non amo scendere, per il momento, in Calabria e a Badolato, però per questo grande amico farò un’eccezione e rifarò la strada che ho percorso migliaia di volte, spesso proprio assieme a Lui, in treno o in auto.
ALTRI BEI RICORDI
Caro Tito, per farti capire meglio il personaggio che è stato Enzo, ti dico di alcuni ricordi che lo qualificano come personalità assai generosa e gentile. Un vero amico!
Uno – Dal novembre 1981 al dicembre 1982 ho svolto il primo dei due incarichi di bibliotecario comunale a Badolato. Mi davo molto da fare per incrementare il patrimonio librario, ma anche per realizzare un ufficio turistico, per fondare una “pinacoteca” e un deposito archeologico, per altre iniziative utili alla comunità. Per telefono o lettera cartacea chiedevo a case editrici e ad enti pubblici e privati di inviare (in omaggio a questa neonata struttura) libri, riviste giornali e quanto altro di utile e di formativo era possibile ottenere, specialmente a favore dei giovani. Sono pervenuti gratuitamente numerosi pacchi da tutta Italia.
Poi ho chiesto ad Enzo se mi poteva aiutare ad avere libri e simili da enti di sua conoscenza a Roma. Così, verso i primi di agosto 1982 sono andato a Roma. Girando per qualche giorno ho attenuto per la Biblioteca Comunale tanti di quei libri che abbiamo letteralmente riempito la sua auto (una Fiat 128 berlina blu). Siamo scesi a Badolato, via autostrada, ed abbiamo scaricato tutti quegli omaggi molto interessanti nella sede della Biblioteca, che allora era sita nella sede della Delegazione Municipale di Badolato Marina.
Due – Mia moglie, mia suocera Fiorina ed io abbiamo trascorso la settimana di Pasqua 1984 a Roma, alloggiando nell’appartamentino da studente di Via dei Campani 26-B-6 che ho poi mantenuto fino al 1993 per i miei aggiornamenti sociali e professionali nella Capitale. Enzo era rimasto a Roma con la madre, così abbiamo trascorso insieme i cinque giorni dal giovedì santo al lunedì dopo Pasqua, cercando di assistere a tutte le funzioni pasquali nella capitale della Cristianità: visite di luoghi santi e profani, Via Crucis papale al Colosseo, Messa pasquale a Piazza San Pietro, passeggiata a Villa Borghese. E’ stato talmente bello quello stare insieme in un contesto così tanto originale e meraviglioso che mia suocera e sua madre lo hanno ricordato con piacere per tutta la loro restante vita.
Tre – Sabato 30 e domenica 31 agosto 2003 nella città di Lanciano (in provincia di Chieti, in Abruzzo), con l’aiuto di quella Amministrazione comunale e di altri sponsor, ho realizzato un mio antico desiderio: riunire a Lanciano città coloro che, come me, hanno cognome Lanciano. E’ stato un raduno memorabile che ha raccolto cinquecento persone circa, compresi alcuni amici venuti da paesi molisani. A questa esaltante due giorni ha partecipato da Roma pure Enzo, accompagnato dalla moglie e da un alto dirigente del Ministero dei Beni culturali suo vecchio amico. Ho apprezzato assai questa sua grande gentilezza, che tanto ha onorato me e tutti i Lanciano pervenuti in Abruzzo da ogni parte d’Italia e persino dalla Svizzera.
Quattro – Una delle caratteristiche di Enzo era quella di portare sempre del peperoncino calabrese nel taschino della giacca o della camicia. E lo usava ovunque si trovasse a mangiare. Non se ne staccava mai. Anzi, andava donando piantine di peperoncini, cosa che ha fatto più volte pure con me quando veniva ad Agnone. La moglie, sapendo di questa sua passione, ha fatto mettere due o tre peperoncini da Lui preferiti nel taschino della giacca per il suo ultimo viaggio.
Cinque – Caro Tito, poiché non sempre aveva tempo per consultare internet (pure perché, a parte il suo intenso lavorare da vero stakanovista, era spesso in viaggio per l’Italia e a volte pure all’estero) mi aveva raccomandato di inviargli, via mail, copia delle mie “Lettere a Tito” e “Lettere su Badolato” che avrebbe stampato e poi letto in treno o in aereo oppure nel riposo domenicale a casa. Anche per telefono, sovente esclamava, sempre con simpatia … “Caro Tito!” proprio per dimostrare che, trovandola interessante, gradiva molto questa mia corrispondenza epistolare con te via web.
Sei – Dopo aver acquistato, letto in parte e sfogliato tutti i sette volumi del “Libro Monumento per i miei Genitori” mi ha detto che apprezzava assai quella mia fatica e che era lieto di aver appreso in tante pagine cose che ancora non conosceva di me. Ho inserito la foto di Enzo assieme a moglie e figli (allora bambini) alla pagina 140 del sesto volume, tra i miei VIP (persone veramente importanti) nella sezione degli “Amici”. Ma ne ho scritto pure in altre pagine.
Sette – Enzo, come quasi tutti gli adolescenti, scriveva poesie che mi faceva leggere. Poi, la sua passione per la Poesia si è diretta verso le Opere dialettali calabresi più famose e classiche della nostra identità culturale. Di alcune di queste Opere mi ha fatto gentile omaggio. Taluni Autori Gli piacevano di più e allora imparava a memoria i versi più suggestivi. Da animo assai sensibile quale era, Enzo cercava la bellezza in ogni espressione della natura umana e dei paesaggi. Pur avendo una “forma mentis” più tecnica che umanistica, era comunque affascinato dall’arte e da tutto ciò che di bello Gli rendeva un benessere psico-fisico, come irrinunciabile cibo interiore.
Caro Tito, potrei dirti molto di più su Enzo Ermocida, ma ritengo che ti sia già fatta un’utile e bella idea su questo mio carissimo amico, su questa persona da indicare alle presenti e alle future generazioni. Adesso mi sembra giusto ed opportuno inserire qui di sèguito, come “Letture parallele” alcune recenti testimonianze di amore e di affetto in onore di Enzo, amico perfetto in perfetta letizia!
Grazie per la gentile attenzione. Alla prossima lettera 206.
Domenico Lanciano Mansarda-studio, casa coniugale Agnone del Molise Lunedì 25 dicembre 2017 ore 22,38 Santo Natale
LETTURE PARALLELE
Infatti, adesso, caro Tito, mi sembra giusto ed opportuno evidenziare qui di sèguito (come “Letture parallele”) almeno alcune significative ed inedite testimonianze di amore e di affetto in onore di Enzo Ermocida. A cominciare dalla moglie Maria Caturano. Proseguendo con i figli Antonio e Cosimo. Poi il pensiero di solidarietà della comunità badolatese pubblicato nel periodico quadrimestrale “La Radice” (fascicolo n. 3 del 31 dicembre 2017) a firma del suo direttore Vincenzo Squillacioti.
Quindi, seguono altre recentissime inedite testimonianze di amici vecchi e nuovi. Tralascio di inserire i tantissimi commossi messaggi di cordoglio e di partecipazione che sono apparsi, nell’immediato (dall’11 al 16 dicembre), sui “social” (facebook, siti web, ecc.) perché sono già ampiamente conosciuti ma anche perché sarebbe troppo lungo elencarli e riportarli. Resta l’attestazione del grande affetto che ha sempre circondato in vita il nostro indimenticabile Enzo Ermocida. Personalmente ho ricevuto tante telefonate di solidarietà, come se Enzo mi fosse familiare o parente più che un fraterno amico. Grazie davvero a tutti!
ARRIVEDERCI ENZO !!!! MI FERMO !!!!!
La consapevolezza di averti perso per sempre mi toglie il respiro: mi siedo a tavola e non occupi il tuo posto; entro nel soggiorno e non sei sdraiato, in relax, sul comodo divano; entro nella stanza dei ragazzi e non sei al computer a leggere le tue e-mail; allungo la mano sul tuo cuscino e non riposi accanto a me. Dopo trenta giorni di insana ostinazione a cercarti e rivederti, MI ARRENDO!!!!
Non potrai essere ‘’il mio bastone per la vecchiaia’’, come solevamo dire, ma l’amore che ci ha uniti in questi ventisette anni farà battere il mio cuore fino alla fine dei miei giorni.
Sarai per sempre il mio grande ed insostituibile marito. La tua Maria
UN PENSIERO PER PAPA’
Provate ad immaginare la nostra esistenza come una moneta. Fino ad un mese fa di questa moneta conoscevo una sola faccia: la vita. Sì, fino a quando mio padre ci ha lasciato, dopo aver combattuto tre anni contro una malattia molto dura, una malattia che ha assorbito a poco a poco il suo fisico, senza però riuscire a scalfire il suo immenso spirito.
Ci sono state diverse occasioni in cui il destino ha lanciato quella famosa moneta, ma la grande voglia di vivere di mio padre, la sua tenacia e il suo coraggio hanno sempre determinato l’esito di quel lancio. L’11 dicembre la moneta ha compiuto un mezzo giro in più rispetto al solito, portandoci via un pezzo delle nostre vite. Ma credetemi, anche in quell’occasione, egli non pensò mai di arrendersi a lottare.
In questi momenti di vuoto, ciò che più scalda il cuore è pensare ai suoi insegnamenti, ai suoi valori, riconosciuti da tutti gli amici, e al suo amore incondizionato per una vita che è stata molto severa con lui. Noi, che lo abbiamo conosciuto più a fondo, abbiamo quindi il dovere di valorizzare ogni nostra giornata nel miglior modo possibile, rispettando il suo desiderio di vivere.
Che questo mio pensiero ispiri, quindi, chi legge a tenersi stretta la vita, a goderne al massimo le gioie, a sopportarne le difficoltà, a rispettarla. Ogni giorno. Ogni momento.
Ciao, papà. Per sempre tuo figlio Antonio
VINCENZO ERMOCIDA
Ciao papà, è bello pronunciare il tuo nome,
Potersi vedere ogni giorno senza chiedersi come,
Avere di te istanti, momenti, ricordi da conservare,
Il miglior padre che un figlio possa desiderare.
Nei tuoi occhi la vita, l’amore in uno sguardo,
E della tua malattia mai una parola a riguardo.
Stringimi ancora la mano, abbracciami più forte,
Perché proprio a te una così crudele sorte?
Una lacrima, un lamento, un soffio e un sospiro,
Sei morto davanti a me che per te morivo.
Mi manchi papà, ti cerco e ti penso,
Mancherai a tutti quanti, Enzo.
È ora, devi prender la tua via,
Ti chiedo solo di portar con te questa poesia;
Andremo avanti, insieme e sorridenti,
Per sempre papà, perché non potrebbe essere altrimenti.
Tuo figlio Cosimo
VINCENZO ERMOCIDA (“La Radice” n. 3/2017) (Badolato, 22/01/1951 – Roma 11/12/2017)
“Aveva sempre il sorriso sulle labbra”. Questa una delle poche sommesse frasi sentita mentre lo accompagnavamo al luogo dell’ultimo saluto. All’amico Vincenzo, dinamico, positivo e sensibile qual era, di certo non faceva difetto il sorriso. A Scuola, da docente di Tecnica e Ragioneria all’Istituto “Salvini” di Roma, e nella libera professione di Commercialista, trasmetteva allegria e ottimismo.
Vincenzo Ermocida non era Socio de “La Radice”, ma per noi era qualcosa di più in quanto ci è stato sempre vicino fin dalla costituzione dell’Associazione. E quando gli abbiamo chiesto di essere il nostro Revisore dei Conti, ha detto sì senza riserve. Ed ha svolto il suo delicato e responsabile -non retribuito- incarico di revisione contabile per tanti anni: sino a quando la vita lo ha costretto a iniziare la sua coraggiosa e accanita lotta contro quel male che, alla fine, se l’è portato via.
Ci manca tanto Vincenzo Ermocida, nostro valido collaboratore e affettuoso amico. Vincenzo Squillacioti
AMICO D’INFANZIA
Sono tanti e tali i ricordi e i vissuti con Enzo Ermocida che non saprei descriverli. A iniziare da quando eravamo compagni di scuola alle elementari e anche prima. Sono contento di essergli stato amico fraterno e di avere condiviso insieme gioie e dolori. Il suo arrivo a Badolato era sempre occasione di piacevoli incontri con noi amici vecchi e nuovi. Sempre affettuoso e disponibile, pieno di iniziativa, ci stupiva per la sua grande capacità di aggregazione e di cercare, di fronte a imprevisti, comunque possibili e immediate soluzioni. La sua presenza a Badolato continua ad esserci col corpo e con lo Spirito e noi amici siamo molto contenti della sua scelta di essere sepolto al nostro paese natio perché ci dà la possibilità di fargli visita e di sentirlo sempre vicino.
Tonino Squillacioti
PERSONALITA’ CARISMATICA
Gentilissima Signora Maria, grazie a Mimmo Lanciano, che mi ha fornito l’indirizzo, mi riesce ora di scriverle. Alcuni anni fa, invitati da Mario Lanciano, ho avuto modo di conoscere Vincenzo in occasione di un viaggio in Spagna, dove partecipammo a conferenze di natura tecnica. Nei momenti di pausa, con Vincenzo, abbiamo avuto modo e tempo, di approfondire la nostra conoscenza. Si creò subito stima e reciproco affetto che, successivamente, si consolidarono in occasione di alcuni incontri ed opportunità da potersi sviluppare in settori di varia natura, senza raccogliere conclusioni. Ci siamo tenuti in contatto grazie ad altre opportunità di incontro, telefonico ed epistolare: tutto qui.
Come può constatare, poche le occasioni ma sufficienti e tali da consolidare subito “Amicizia”. La sua onestà di pensiero, la sua persona trasparente e mite, serenità e dolcezza dell’esprimere, esternando cultura e professionalità, costituivano la sua personalità. Trasmettendo il suo carisma, infondeva sicurezza. Con amore parlava della sua Badolato che non ho mai visto e confido di andarvi quanto prima. Progettavamo di recarci insieme e spero, a Dio piacendo, di poterla finalmente conoscere. Anche in suo onore.
L’incontro di Abano Terme, occasione tristemente bella, in cui Vincenzo ha abbracciato tutti con la sua amabilità ed il suo affetto, ha commosso ed ho pregato per lui. Auguro che i ricordi più cari e più belli del suo vissuto rimangano profondamente vivi nel vostro cuore, per emergere a conforto e sostegno nei momenti di tristezza. Parlare dei nostri morti è farli vivere con noi e conforta!
Desideravo esternare il mio pensiero, con la mia Spirituale presenza, a Lei e ai suoi figli Antonio e Cosimo. Con un abbraccio, i migliori auspici. G.B.
STELLA DI NATALE
Carissimo Vincenzo, gli Angeli ti hanno portato in Cielo in tempo perché tu possa trascorrere con i Santi il tuo primo Natale in Paradiso, dove potrai pregare per tutti noi che ti vogliamo ancora e sempre tanto bene. In particolare, pregherai per Maria, Antonio e Cosimo che non finiranno mai di amarti e di avere bisogno di te. Così, simbolicamente, ti ho portato non i soliti fiori ma una “Stella di Natale” perché, proprio come una stella cometa, ti accompagni nel tuo viaggio verso le beatitudini divine. Tua moglie e i tuoi figli hanno messo questa “Stella di Natale” sul davanzale della tua nuova dimora. Qualche nostro comune amico mi ha detto che la sta nutrendo con l’inesauribile affetto di tutti noi. Ciao, Vincé, prenotaci un bel posto, magari vista Dio!… E.d.A.L. – 22 dicembre 2017
IL MIO BEL RICORDO DI VINCENZO
Passando gli anni si conferma in me il pensiero che nel corso della nostra vita ci sono persone che ci lasciano il segno, anche se uno ha iniziato a frequentarle a tarda età. Ed io ho cominciato a frequentare Vincenzo Ermocida anni fa, grazie a mio cugino Mimmo, per un fatto inizialmente di ordine affettivo/commerciale (il fondo di famiglia sito a Badolato Marina) che nel tempo si è trasformato in un rapporto di riconoscenza e di amicizia infinita.
Parlo sempre di frequentare e non di conoscere, per me nato a Buenos Aires, in una città cosi immensa e dispersiva, il fatto solo di spostarsi da un quartiere ad un altro mi faceva perdere tutti i rapporti umani. Badolato, invece, è stato diverso, un’altra dimensione. Appena siamo arrivati con mia moglie e i miei figli, l’affetto che tutti ci hanno riservato ci ha fatto capire, dopo un lungo percorso all’estero, che eravamo tornati a casa. Tra queste persone c’è uno spazio particolare per Vincenzo. Lo consideravo come un fratello maggiore con il quale, nel mio immaginario, eravamo cresciuti insieme giocando per le strade del paese, tanto era il nostro affetto.
Un ricordo eterno per mio fratello Vincenzo.
Mario, 15 gennaio 2018