Caro Tito, fra qualche giorno sarà il Primo Maggio che è, a livello quasi mondiale, la “Festa dei Lavoratori” e, quindi, della “Festa del Lavoro” (una storica ed emblematica manifestazione che ha radici negli USA fin dal 1867 ma che in Italia è ufficialmente operativa dal 1891). Pur rispettando profondamente e con devozione ciò che è e ciò che significa questa ricorrenza (specialmente nei Paesi più difficili) sembrerebbe molto banale interrogarsi … e “chi non ha un lavoro?” che motivo ha di festeggiare?…
Invece banale non è tale inquietante interrogativo, pure perché la mia esperienza personale, confermata ampiamente dai fatti storici e dalle quotidiane “Cronache di Ladronia” (Ladronia è la terra dei ladri ovvero, nel nostro caso, l’Italia più corrotta e ingiusta che toglie lavoro e dignità a troppe persone specialmente alle nuove generazioni) … può ben affermare che chi ha un lavoro (ed è generalmente organizzato e rappresentato dai più svariati sindacati) poco o niente ha pensato e pensa nel concreto a chi un lavoro non ha (salvo cadere nei paradossi della retorica verbale, nella liturgia delle buone intenzioni sindacali ed istituzionali che quasi per nulla hanno giovato finora a chi ne è veramente “senza”).
E lo sappiamo fin troppo bene noi meridionali! … la disoccupazione e la inoccupazione sono i drammi tra i più dolorosi di cui ancora soffre terribilmente il popolo italiano (specialmente i giovani ed il Sud in particolare), già più pesantemente fin dalla “mala-unità d’Italia” del 1861. Tra tante altre negatività, le famiglie che hanno uno o più componenti senza lavoro hanno conseguentemente altrettante gravosissime tasse economiche in più da pagare, oltre al prezzo esistenziale psico-biologico che a volte può rendere irrimediabilmente invalidante socialmente e persino fisicamente chi ne è colpito, impoverendo enormemente i nuclei familiari e, quindi, la loro comunità circostante. Infatti sembra essere una tragica epidemia che a volte può portare a morte prematura (suicidi o alienazione totale anche psichiatrica tipica degli “spostati” dei senza posto o ruolo sociale, quindi la “morte sociale” o la “morte civile”).
Chi più chi meno, per brevi o lunghissimi periodi, quasi tutti ne siamo stati contagiati. Alcuni ne sono guariti, altri no. Capisco, perciò, chi non se la sente di partecipare alla Festa del Lavoro del Primo Maggio. E capisco ancora di più chi non riesce a riconoscerla affatto “Festa del Lavoro” non avendo un lavoro. Come colui o coloro che il primo maggio 2014 hanno scritto “Primo maggio festa dei disoccupati” (vedi foto qui evidenziata) su un muro di Vasto Marina (in provincia di Chieti) lungo la Strada Statale Adriatica n. 16, all’altezza della Concessionaria Ford, davanti alla ex stazione delle Ferrovie dello Stato.
L’antifesta del lavoro
Nei primi quattro mesi del 1989 ho avuto modo di vivere in Agnone del Molise un’esperienza interessante quanto singolare, che mi hanno portato a realizzare la “Prima antifesta del lavoro” il 30 aprile e le cui vicende ti vado adesso a raccontare. Ho avuto la possibilità di coordinare in Agnone del Molise un gruppo di 60 ragazzi tra i 18 e i 29 anni che avevano aderito alla proposta pseudo-lavorativa prevista dall’articolo 23 della legge finanziaria n. 67 dell’11 marzo 1988 soltanto per un anno. Migliaia di giovani nel Mezzogiorno d’Italia (ed alcuni, come in Sicilia, anche per molti anni seguenti) venivano così retribuiti con 500mila lire mensili (pari a 250 euro odierni) per la partecipazione a progetti di conoscenza territoriale, con un impegno di circa 4 ore al giorno. Questi 60 giovani dell’art. 23, che venivano ad Agnone pure da altri paesi della provincia di Isernia, furono suddivisi, su mia indicazione ma per loro scelta, in due progetti: circa 40 nel censimento e nella descrizione tecnico-architettonica e storica dei 3600 portali di pietra (di cui ben 600 istoriati e di grande pregio) della cittadina altomolisana, mentre i rimanenti 20 si vollero occupare di marketing territoriale.
Immediatamente, già alla prima riunione organizzativa, mi sono accorto che quell’art. 23 si prestava ad un grave equivoco, soprattutto perché taluni politici probabilmente avevano detto (in buona o cattiva fede) a quei giovani che “erano stati assunti a tempo indeterminato”. Altrettanto immediatamente, leggendo l’articolo di legge, ho disilluso quei giovani, dimostrando loro che al 31 dicembre di quello stesso anno 1989 l’esperienza sarebbe finita … a meno che non si sarebbero messi a lottare per il loro diritto al lavoro. Se prima erano disoccupati anonimi, adesso erano “i giovani dell’art. 23” … ovvero uno “status” e una etichetta comunicativa più evidente e più precisa con cui portare avanti le rivendicazioni.
I giovani accettarono di lottare e, quindi, mettemmo in atto tutta una strategia di manifestazioni pubbliche (pure con sit-in davanti al palazzo della Provincia di Isernia), cui partecipò poi anche la sede sindacale provinciale della CGIL, specialmente nelle persone di Lorenzo Coia (nato il 28 gennaio 1955, divenuto poi sindaco del suo paese, Filignano di Isernia) e dell’agnonese Florenzo Anniballe (dopo alcuni anni divenuto assessore regionale). La CGIL, nonostante i nostri ripetuti inviti, non volle “tesserare” i 60 giovani con una quota simbolica di mille lire … pare che non si è potuto fare perché non erano considerati lavoratori quei giovani, ma soltanto “precari” e “temporanei”. Ecco una delle tante dimostrazioni che allora non era sindacalizzabile chi non aveva un lavoro e, quindi, andava da sé che il Primo Maggio era una festa tutta sindacale e non certo “popolare” ed onnicomprensiva. Almeno in Italia, almeno allora.
Esponenti di gruppi di giovani dell’art. 23 di altre zone del Molise guardavano con interesse alle lotte di Agnone per il lavoro e qualcuno di essi si unì a noi in talune manifestazioni pubbliche. Ricordo che assai attivi e presenti alle nostre iniziative furono i giovani di Palata (paese della provincia di Campobasso) distante da noi un centinaio di chilometri circa. Preparammo pure una intensa campagna di stampa a livello regionale a favore dei precari (ricordo un bellissimo ed efficacissimo articolo con un titolo che fece furore “Giovani usa e getta” scritto dall’agnonese Vittorio Labanca allora 28enne). Tra l’altro, sono riuscito a far venire in Agnone alcuni esponenti della Stampa Estera operanti in Roma e, in particolare, ad ottenere in aprile (1989) un collegamento diretto con Rai Radio 3131, che a quei tempi era una trasmissione assai seguita. Il collegamento fu effettuato dal piazzale esterno al Palazzetto dello Sport di Agnone. Altri giornalisti della Stampa italiana ed estera seguivano alla radio quella inusuale protesta mediatica nazionale.
Erano presenti (ed hanno parlato) tutte le maggiori Autorità locali, provinciali e regionali al completo (tra l’altro, potevano mai rinunciare ad una così importante e originale vetrina nazionale?), nonché rappresentanti del clero diocesano guidati dallo stesso vescovo di Trivento Antonio Santucci. In quella sede, in diretta radiofonica nazionale, i massimi responsabili della Regione Molise si impegnarono a finanziare un anno di proroga per il 1990 per tutti i giovani molisani dell’art. 23. Fu una vittoria per la nostra lotta, ma io fui allontanato dal loro coordinamento e persi il lavoro. Nell’anno 1990 i giovani dell’art. 23 non seppero poi approfittare della proroga e preferirono “bivaccare” lasciando scorrere il tempo senza lottare per il loro futuro (ma bisogna pur dire che furono lasciati soli dalle istituzioni, dai politici ma anche dai sindacati di qualsiasi colore e ideologia).
Nonostante ciò, non ho abbandonato i giovani precari. Nell’immediato ho organizzato una grande manifestazione pubblica per il 30 aprile 1989 (vigilia del Primo Maggio) intitolandola proprio PRIMA ANTI-FESTA DEL LAVORO. Ho convocato tutte le autorità politiche, amministrative, religiose, scolastiche, militari, sportive, culturali, ecc. dell’Alto Molise riproponendo alla loro attenzione la ingiusta precarietà non soltanto dei giovani dell’articolo 23 ma anche il disagio gravissimo di tutti i disoccupati, degli inoccupati, dei senza lavoro. Ho avanzato solenne richiesta (presenti il deputato Bruno Vecchiarelli e il senatore Remo Sammartino, entrambi agnonesi e della Demorazia Cristiana, nonché il vescovo Santucci) di presentare una proposta di legge per destinare l’otto per mille anche per i disoccupati (infatti, allora l’otto per mille era esclusivo privilegio della Chiesa Cattolica … soltanto anni dopo esteso ad altre grandi e piccole fedi religiose organizzate).
Da quella prima ANTI-FESTA DEL LAVORO del 1989, ogni 30 aprile ricordo in vari modi il dramma dei senza lavoro … quel dramma che a volte diventa tragedia, oltre a costituire – ripeto – una tassa pesantissima e permanente per le famiglie con uno o più disoccupati o inoccupati o precari in casa. Da quella prima “anti-festa” le cose sono peggiorate di molto anzi troppo, fin troppo, poiché disoccupati, inoccupati e precari sono diventati persino i figli della classe media, agiata e persino ricca. Infatti, oggi come oggi, giovani laureati (spesso con più lauree o con masters e addirittura con esperienza lavorativa all’estero), provenienti da famiglie benestanti (a volte anche con forti agganci politici) sono mantenuti ancora dai genitori, specialmente se tali giovani risiedono nelle grandi città. L’Italia così è diventata una nazione “chiusa” riservata unicamente ai privilegiati.
Quest’anno 2015, il 30 aprile, la 26ma ANTI-FESTA DEL LAVORO trova pure questa lettera n. 114 dedicata a chi è senza la dignità del lavoro e spesso pure senza speranza (disoccupati, inoccupati, precari, ecc. … ma anche chi un lavoro non lo cerca più, tanto è stato lasciato solo, angosciato e depresso). Altre nazioni industrializzate ed evolute hanno maggiore rispetto per chi, per qualsiasi motivo, è senza lavoro. Alcune nazioni adottano il metodo del “reddito di cittadinanza” oppure di un reddito minimo di sopravvivenza. Perché non realizzarlo pure in Italia? … ovviamente in modo assai severo e controllato, dal momento che il nostro Paese è pur sempre uno dei più corrotti del mondo e ci sono sempre in agguato gli approfittatori, mentre spesso i veri onesti ed indifesi restano fuori dai benefici istituzionali.
Inoltre, non si possono nemmeno nascondere talune lamentele delle famiglie, che potrebbero generare razzismi o tensioni sociali e distorsioni culturali proprio da “guerra tra poveri” … come ad esempio l’affermazione che lo Stato e l’Europa spendono più per i clandestini e i rifugiati (persino per gli zingari o altri disadattati) piuttosto che per gli italiani senza lavoro e senza casa … cioè proprio per quei cittadini senza “santi protettori” in particolare quelli che hanno speso tanti anni e tanti soldi per studiare ed emanciparsi e che hanno tanta voglia di rendersi utili alla società e al territorio di appartenenza. Purtroppo, la desertificazione (specialmente nel meridione italiano, in particolare nelle aree interne e montane) sta aumentando paurosamente, così come l’impoverimento demografico dal momento che i senza lavoro non possono formarsi una famiglia e spesso sono costretti ad emigrare. Infatti gli italiani sono quelli che nel mondo fanno meno figli … così la nostra nazione rischia grosso sotto tutti i punti di vista. E infatti il paradosso è, in previsione, che l’Italia e la stessa Europa fra qualche decennio saranno sempre meno italiana e meno europea, con tutte le implicazioni socio-culturali, religiose e di sicurezza generale che potrebbero sfociare in una immane catastrofe epocale … Anche nel campo del lavoro “prevenire è meglio che curare!”.
Per carità, resti chiaro e preciso che è lontano da me ogni sospetto paradossale di essere anti-qualcosa o addirittura “razzista”. Sono soltanto “anti-festa del lavoro”… proprio perché sono un universalista ed ho sempre lottato perché ogni persona al mondo abbia la stessa dignità di esistere (nutrizione, lavoro, salute, istruzione, casa, ecc. ecc.). Studi scientifici dimostrano come le attuali risorse potrebbero dare dignità di vita proprio e indistintamente a tutti fino al più sperduto angolo del nostro pianeta. Purtroppo dobbiamo fare i conti con egoismi giganteschi (poche famiglie al mondo hanno più della metà della ricchezza del globo) e con una infinità di ladri sociali ed istituzionali. Gli stessi “ladri di vita” che assieme al lavoro hanno rubato il futuro (anche pensionistico) ad intere generazioni di giovani i quali, dopo che non hanno avuto un lavoro o l’hanno avuto in modo stentato, ingiusto o precario) saranno condannati ad avere vere e proprie pensioni di fame, come dimostrano tante inchieste giornalistiche (non ultima la inquietante puntata della trasmissione “Presa diretta” di qualche tempo fa replicata sabato 11 aprile 2015 alle ore 17 su Rai Tre). “Disastro-Italia”, si potrebbe dire, “Massacro-Giovani” come in una sottile ma terribile e devastante guerra di egoismi e di nefandezze che fanno dell’Italia una delle più ingiuste e corrotte nazioni del mondo (altro che “Bel Paese”!) che “uccide” il suo popolo e in particolare le nuove generazioni!
Caro Tito, spero tanto che questa mia riflessione e la riproposizione dell’annuale “Anti-Festa del Lavoro” possano essere in qualche modo utili per contribuire ad una maggiore presa di coscienza e ad azioni mirate e tali da alleviare la grande ed epocale sofferenza di giovani e famiglie. Buon lavoro a tutti, comunque!
Dedico questa “26ma Antifesta del Lavoro” alle popolazioni dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e, in particolare, del Medio Oriente che oltre a non avere lavoro non hanno nemmeno più casa e futuro, per le devastazioni delle guerre e del terrorismo. Dedico in particolare a quei “poveri Cristi” che rischiano il mare (non solo Mediterraneo!) in cerca di un minimo di dignità in paesi ritenuti più ricchi e civili come l’Europa o l’Australia. Come altre volte ho dedicato, dedico questa Lettera 114 specialmente ai “morti senza nome del Mediterraneo” e di altre situazioni tragiche ed inumane! Dovrà pur venire un giorno in cui non si dovrà morire per avere un minimo di dignità umana e sociale!… Finché ciò non avverrà … sarà “Antifesta del Lavoro” ogni 30 aprile! Buona vita a tutti!
Domenico Lanciano (Agnone del Molise, giovedì 24 aprile 2015)