Caro Tito, voglio salutare, insieme a te e ai nostri lettori, la pubblicazione del libro “Rimembranze di un ottuagenario” stampato in Roma poco più di tre mesi fa, nel dicembre 2014, dal suo autore Gianni Pitingolo, uno dei più importanti maestri di “calabresità” che la Calabria abbia avuto ultimamente (lo è stato assai pure per me). Tale libro si compone soltanto di cento pagine ma vi sono racchiusi tutti i principali valori e le più memorabili vicende di una vita vissuta intensamente in campo personale, familiare, professionale e sociale. Quasi fosse un testamento spirituale e morale, vi sono evidenziati i moniti, gli insegnamenti, i rammarichi, le verità e le eredità di un uomo che sta per compiere 84 anni (essendo nato in Isca sullo Jonio, costa jonica catanzarese, il 24 giugno 1931) e che, generoso come sempre, intende farci dono dell’esperienza di una esistenza molto brillante ma anche particolarmente sofferta. Infatti, la frase di esordio (che vale una dedica a tutti coloro che la vita se la sudano più degli altri) afferma senza mezzi termini: “Il dolore e il bisogno educano l’uomo, lo emancipano anzitempo e gli regalano la vera dimensione della vita”. Tale frase è datata 1954 e fa parte della ricca raccolta delle “Riflessioni” che Gianni Pitingolo è andato man mano maturando, vivendo sempre con attenzione sociale e generoso slancio giorno per giorno.
Sai bene, caro Tito, che ritengo sempre un grande evento la pubblicazione di un libro (tale e quale la nascita di un figlio di carne e ossa), specialmente se è un libro di memorie (intriso di gioie, lacrime, sangue, sospiri, aneliti, ecc.) … memorie che si intendono affidare, travasandole assieme ad alcuni messaggi importanti e speciali, alle presenti e alle future generazioni, in particolare ai propri cari (familiari ed amici)… quasi come “attestato di esistenza e di esperienza”. Ed è proprio dallo stare al mondo, dalla propria esistenza e dalla propria esperienza, che nei millenni è nata la saggezza umana su cui si fonda, in gran parte, la nostra pedagogia familiare e sociale, espressa soprattutto attraverso piccoli racconti e proverbi che sono un condensato di insegnamenti, di avvertimenti, di vero amore intergenerazionale ed epocale. La mia generazione e specialmente quelle precedenti si sono nutrite di proverbi e di “cunticehy” (piccoli racconti), in famiglia e in paese, prima ancora di andare a scuola. E trovo, ancora oggi, che proverbi e cunticehy restano la migliore e più efficace educazione ad ogni età, poiché c’è sempre qualcosa da imparare e da scoprire, specialmente dalle autobiografie.
Uno dei numerosi messaggi finali e speciali, contenuti in modo particolarmente accorato nel libro di Pitingolo, è quello del necessario, indispensabile, doveroso, obbligato dialogo tra classi sociali e tra generazioni, specialmente tra genitori e figli. Trascurando tale dialogo (che dovrebbe essere possibilmente quotidiano oltre che esistenziale) pèrdono senso pure la comunità e la famiglia e i rimorsi possono erodere gli anni senili (come in modo sottile si percepisce per il nostro Autore, il quale si è fatto prendere la mano e l’esistenza dal troppo pur necessario lavoro, dai troppi pur lodevolissimi impegni sociali, trascurando alquanto i suoi doveri familiari). Ed è stato assai fortunato se poi, alla fine, è riuscito a recuperare qualcosa nell’anzianità, età troppo afflitta però da malattie invalidanti.
Uno dei maggiori pregi del libro di Gianni Pitingolo (che è anche una specie di confessione ad alta voce e a stampa indelebile) è che, leggendolo, permette ad ognuno di noi di misurare la nostra esistenza con la sua. E, tra tante altre constatazioni, dobbiamo ammettere che pure noi, spesso, ci siamo lasciati prendere la mano e l’esistenza degli anni migliori dagli impegni sociali (politici, culturali, di volontariato, ecc.), convinti che la società in generale (più che la nostra stessa famiglia) e in particolare il nostro territorio di appartenenza avesse bisogno, quasi urgenza del nostro fattivo contributo per elevarsi, per riscattarsi da povertà ed ingiustizie e da quanto altro risultasse carente.
Raccontandosi, Gianni Pitingolo ci aiuta (direi, anzi, che ci invita) a trovare un sostenibile equilibrio tra esigenze personali, familiari e sociali. Da vero maestro, quale è sempre stato nell’impegno sociale, questo nostro Autore deve essere considerato innanzi tutto un “eroe” del nostro tempo, con tutti i suoi chiaroscuri, poiché non si è sottratto agli obblighi morali e civili imposti dal suo contesto territoriale ed ha condotto con accorata passione e veemenza battaglie di vera civiltà per tutta la Calabria e in particolare per i convergenti ed interdipendenti comprensori di Soverato (rivierasco) e delle Serre Joniche (montano). E lo ha fatto con la sua professione di commercialista, consulente del lavoro e tributarista sostenendo le famiglie, le aziende ed il territorio. Lo ha fatto da giornalista (come corrispondente locale per oltre 50 anni del maggiore quotidiano calabrese “Gazzetta del Sud” anche se redatto e stampato a Messina, nonché per oltre 20 anni come collaboratore dell’ANSA la maggiore agenzia stampa italiana). Ma principalmente lo ha fatto come fondatore, direttore ed editore del quindicinale “Sentiero Calabro” spesso unica voce del comprensorio Soverato – Serre Joniche per circa 15 anni, dal 1961 al 1975, conducendo lotte giornalistiche e culturali veramente memorabili ed epiche. Se si leggono adesso i suoi editoriali o le inchieste sociali di 50 oppure 40 anni fa, sembra di capire che nulla, purtroppo, sia effettivamente cambiato riguardo i problemi territoriali. Sembrano scritti oggi.
Ti dicevo, caro Tito, che Gianni Pitingolo è stato per me uno dei migliori e più veri “maestri di calabresità”. Ti posso confermare che ho incontrato nella mia vita (e specialmente nei più importanti e formativi anni giovanili) pochi calabresi che mi hanno dimostrato coi fatti di amare la Calabria e il popolo calabrese come lui. Personalmente gli devo gratitudine pure perché mi ha dato fiducia ed incoraggiato nell’attività giornalistica, rendendomi collaboratore a 18 anni del suo periodico “Sentiero Calabro” onorandomi anche della prima pagina come, ad esempio, nel pubblicarmi a puntate la tesina di sociologia “La condizione femminile in Calabria” nel 1971. Ma già precedentemente (nel 1968) aveva salutato sul suo giornale ed anche con un’apposita cena di amici la pubblicazione a stampa della mia prima raccolta di poesie “Gemme di Giovinezza” (Editore Giuseppe D’Agostino, Catanzaro 13 dicembre 1967).
Per me Gianni Pitingolo è da sempre un vero amico, quasi un fratello (ne ho uno quasi della sua medesima età, Vincenzo il poeta). Ancora adesso che la vita mi ha portato altrove da alcuni decenni, Gianni Pitingolo mi onora del suo affetto e della sua stima. Ma non sono da meno io che nel 1988 l’ho voluto tra i fondatori dell’ISTAN – Istituto di Tanatologia (associazione culturale che studia la morte per amare di più la vita) assieme ad altri due carissimi amici, l’insegnante elementare Vincenzo Squillacioti (che poi, nel 1994, diventerà presidente dell’associazione culturale “La Radice” di Badolato e direttore dell’omonimo trimestrale diffuso mediamente in duemila copie in tutto il mondo tra i badolatesi e agli amici di Badolato) e dell’allora giovanissimo scultore Gianni Verdiglione. Inoltre, gli ho dedicato un significativo spazio tra “I miei Vip” nel settimo volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori”, ricordando pure più volte in altre pagine la bellissima ed importante esperienza giornalistica di “Sentiero Calabro”. In verità, già mio padre e suo padre sono stati grandi amici, quando noi abitavamo al casello ferroviario di Cardàra di Badolato (km 324) e la sua famiglia aveva un isolato negozio di alimentari sulla statale jonica 106 ad un km da noi verso Isca (all’altezza del casello ferroviario km 323), specialmente quando le Marine non esistevano ancora (cioè prima degli anni Cinquanta).
Socialmente Gianni Pitingolo si è speso veramente tanto (forse troppo, trascurando la salute e la famiglia). Comprendo pienamente tutta questa sua passione per la propria Terra … per una Terra come quella dei nostri paesi jonici, i quali dalla miseria e dalla fame del fascismo, della guerra e del dopoguerra non hanno mai potuto elevarsi e progredire concretamente a causa, principalmente, di una classe politica e dirigente in gran parte indegna che Pitingolo non mancava mai di sferzare ma anche di pungolare e di esortare sistematicamente al bene sociale … ma invano, proprio come tanti di noi hanno fatto e continuano a fare, mai demordendo anche se fin troppo amareggiati. Spero che lo continueremo a fare finché avremo penna e parole e un minimo di respiro. E Gianni Pitingolo continuerà ad essere nostro “Maestro permanente”. Buon amico di Enzo Biagi e di Enzo Tortora, lo stesso Pitingolo mi ha colpito riferendomi una frase pronunciata molto amaramente da quest’ultimo dopo il suo lungo, ingiusto ed infamante calvario giudiziario che lo ha portato a morte anzitempo: “Non fare del bene se non senti di essere capace poi di affrontare, sopportare e perdonare l’ingratitudine”. Anche questa realtà fa parte dell’eredità di un uomo come Gianni Pitingolo!…
Caro Tito,
mentre leggevo la suddetta opera dell’ottuagenario Pitingolo, mi è tornato in mente il libro “Ricerche, ricordi e fantasie di un ottuagenario molisano” di Giuseppe Delli Quadri, bene evidenziato alla “Prima Festa del Libro Molisano e della Comunicazione Sociale” che avevo realizzato in Agnone del Molise dal 16 al 30 dicembre 1989. E mi sono chiesto, gustando le sue 164 pagine edite da Bastogi di Foggia nel settembre 1985, come mai e perché alcune persone (giunte ad una certa età, come ad esempio agli ottanta e passa anni di Pitingolo e di Delli Quadri) sentono la necessità di scrivere e di tramandare esperienze, valori e sentimenti della propria vita. E – torno a dire – ho pensato a quando le persone anziane (specialmente i nostri nonni o i nostri prozii, davanti al focolare d’inverno e nelle frescure d’estate) travasavano a noi bambini o adolescenti il significato della loro esistenza e ci educavano intrattenendoci con proverbi e “cunticehy” (racconti). Facendo riferimento a questo tipo di travaso ho ritenuto opportuno nel 1993 fondare l’associazione culturale “Università delle Generazioni” e la conseguente “Casa del Travaso” presso il Cenacolo culturale francescano “Camillo Carlomagno” di Agnone (molto prima dell’avvento di “facebook”, di “youtube” e di altri social-network che sono il nuovo modo di “travasare” con mezzi informatici).
Giuseppe Delli Quadri (nato in Agnone il 19 febbraio 1903 dove è deceduto il 9 maggio 1990), dopo un lungo periodo di lavoro come falegname, all’età di 33 anni (già sposato e con due dei cinque figli avuti), ha voluto molto caparbiamente riprendere gli studi diventando prima apprezzato maestro elementare e poi amato direttore didattico. Spero di poterti dire (in altra lettera) di ulteriori ammirevolissimi casi di persone che hanno ripreso gli studi in età non più scolare, diventando pregiati professionisti (come ad esempio il calabrese Saverio Strati passato da muratore a noto scrittore stimato anche a livelli internazionali). A cominciare da questa stupenda dimostrazione di buona volontà e di grande desiderio di emancipazione sociale, Giuseppe Delli Quadri, con questo suo libro, ci ha voluto testimoniare e tramandare alcuni precisi valori personali, familiari e sociali.
Il lavoro è il primo dei valori fondanti dell’uomo, del cittadino e della società civile ed economica che questo “ottuagenario molisano” (come si autodefinisce) ci vuole evidenziare non soltanto con il suo racconto esistenziale e storico ma anche con le sue due poesie poste a suggello del suo libro-messaggio: “Il lavoro” e “All’uomo della zolla”. La libertà e la dignità dell’uomo e del cittadino sono altri precisi e irrinunciabili valori su cui insiste trattando di “Libero Serafini, agnonese martire della Repubblica Partenopea” del 1799, della “Cronistoria delle lotte socialiste in Agnone”, degli “Episodi di vita nel periodo fascista” tra il 1922 e il 1943, degli “Episodi durante l’invasione tedesca in Agnone nel 1943”.
Giuseppe Delli Quadri (qui nella foto dell’estate 1989 con in braccio una piccolissima pronipote) dimostra di amare tanto Agnone, suo paese natìo. Ne racconta alcuni personaggi emblematici e talune caratteristiche che incarnavano alla sua epoca i valori di una vita sobria e onorata, spesso generosa e ricca di solidarietà messa a confronto con le prepotenze delle classi dirigenti e padronali locali e sistemiche (oggi diremmo “globali”). Ciò che Egli intende evidenziare rappresenta non soltanto la documentazione umana, storica e sociale del suo vissuto, ma anche e soprattutto un pro-memoria ideale ed un messaggio di civiltà per le future generazioni.
Ho incontrato personalmente il direttore Delli Quadri in poche occasioni e, anche se per vari motivi non ho avuto la possibilità di frequentarlo, ne ho apprezzato la personalità più evidente ed ho ammirato la sua figura di carismatico, onesto e fervente progressista, che Agnone ed il Molise dovrebbero adeguatamente valorizzare da sùbito. Parecchi agnonesi (più o meno suoi coetanei) mi hanno narrato o testimoniato le sue imprese a favore della gente umile e dei lavoratori, nonché le sue lotte sociali e politiche pure come segretario per lungo tempo della locale sezione socialista.
Sono lieto di averti fatto conoscere, seppur minimamente, due ottimi ottuagenari, uno calabrese (uomo di mare) come Gianni Pitingolo e l’altro molisano (uomo di montagna) come Giuseppe Delli Quadri. Infine, ritengo che, come Agnone ed il Molise dovrebbero valorizzare Delli Quadri, altresì Isca, Soverato e la Calabria tutta dovrebbero fare tesoro del lavoro sociale e giornalistico già archiviato e quello ancora produrrà tenacemente il sempre poliedrico Gianni Pitingolo, una vera colonna della società civile della nostra costa jonica.
Cordiali saluti, Domenico Lanciano (mercoledì 11 marzo 2015 ore 13,44)