De Gasperi consegna chiavi nuove case BADOLATO MARINA NASCITA UFFICIALE 24 MARZO 1952Caro Tito, nella “Lettera n. 150” ti dicevo di sentirmi finalmente pronto a scrivere gli “Appunti” del racconto sull’ex grande amore per Badolato mio paese natìo, pure per meglio far comprendere le motivazioni più profonde e antiche che mi hanno portato a concepire nel 1986 e portare poi avanti per qualche anno la vicenda conosciuta in Italia e all’estero come “Badolato paese in vendita in Calabria”. Tu e i nostri gentili lettori potete trovare altri racconti e spunti (input che possono aiutare ad acquisire ulteriori informazioni ed emozioni su Badolato) in altri miei scritti già dati alle stampe come, ad esempio, la raccolta di poesie “Gemme di Giovinezza” (editore Giuseppe D’Agostino, Catanzaro 1967), la “Storia dell’Intelligenza” (edizioni Slogans, Agnone 1992), specialmente “Prima del Silenzio” (edizioni di kardarArmonia, 1995), ma anche “Villacanale il paese delle regine” (edizione della Università delle Generazioni – Villacanale 1996) e soprattutto i più volte citati sette volumi del “Libro-Monumento per i miei Genitori” (Badolato 2005-2007). Questi si possono pure trovare immediatamente nel web digitando “Lettere a Tito n. 141” dove ci sono tutti i sette link. Chi è più interessato ad approfondire il discorso (che qui intendo esporre, facendo spesso riferimento ai suddetti lavori) può recarsi ad una qualsiasi Biblioteca pubblica dove avrà la possibilità di ottenere (direttamente o tramite altra Biblioteca italiana) i volumi richiesti. Per leggere la mia Tesi di Laurea su Badolato (in due volumi, Roma 1977), bisogna recarsi a Catanzaro all’Archivio di Stato o a Badolato Marina alla Biblioteca Comunale oppure all’Associazione Culturale “La Radice”. Per leggere o rileggere le mie web “Lettere a Tito” (dove c’è tanto Badolato e dintorni) basta digitare su Google “Lettere a Tito n. 1” e via via enumerando (fino ad oggi sono giunte a 150) oppure andare su www.costajonicaweb.it dove possono essere trovate nell’apposito spazio delle “Rubriche” elencate progressivamente parallelamente a queste “Lettere su Badolato”.

Badolato-GonfalonePer 65 anni ho veramente amato tanto ma proprio tanto Badolato (paese di pietra e popolo di cuore). E tale grande, immenso amore è il tema principale di questi “Appunti” e di questo racconto. L’ho amato forse troppo, nonostante, in verità, per me Badolato, come luogo di nascita, rappresentasse soltanto l’indicazione anagrafica del Comune entro il cui territorio amministrativo è avvenuto l’evento alle ore 2 del quattro marzo 1950 nella casa posta in Via Marina (atto n. 21 parte prima, sezione A). Per il mio cuore e la mia mente, infatti, il luogo del mio primo vagito è stato e resta il casello della Ferrovia dello Stato situato lungo i binari (a 100 metri circa dal mare Jonio) al kilometro 324 della tratta Taranto – Reggio Calabria e al kilometro 152 della strada nazionale Anas n. 106 Reggio Calabria – Taranto.

Posizione comune badolato in provincia catanzaroE dico sùbito come e perché sia finito questo grande, immenso amore, prendendo atto a malincuore che, ahimè!, possono finire addirittura gli amori più grandi ed assoluti (non l’avrei mai e poi mai creduto e nemmeno solo pensato!). E’ finito perché io, purtroppo, sono un uomo del tutto o niente (il che é certamente un difetto, ma è sempre stato così nella mia vita). Soffro nell’anima di cadute verticali. E la caduta di Badolato dentro di me è avvenuta recentemente quando ho ceduto la casa genitoriale (che è pure quella della mia infanzia, della giovinezza e il riferimento della maturità) ed ho portato tutte le mie carte esistenziali (tutto il mio ITER) ad Agnone del Molise. Non c’è, quindi, un motivo particolare o specifico. Ho soltanto completato così, con tale definitivo trasferimento, l’esilio iniziato il primo novembre 1988 come ho accennato nella “Lettera a Tito n. 150” che, in pratica, può far parte integrante di questi “Appunti”.

Chiarito il perché può finire persino un così immenso amore, affermo e confermo che psicologicamente il casello ferroviario della mia nascita (circondato da intense amenità ed eloquenti colori come l’orizzonte del mare e della montagna, del cielo e della terra, l’alta e folta siepe di alberi di melograni, fiori, frutteti e orti) rappresenta per me un punto nell’infinito (una “presenza” senza spazio e senza tempo). Infatti, essendo in aperta campagna (tra cielo e mare), mi è sempre sembrato slegato da qualsiasi appartenenza, cosicché da sùbito mi sono sentito “universale” più che badolatese o italiano (non a caso al mio complessino musicale nel 1968 ho dato nome di “Euro Universal”).

Badolato_visto_dai_tettiTale senso di “universalità” mi ha sempre portato ad essere “equidistante” da tutto e da tutti ma anche assai “vicino” a tutto e a tutti, resistendo tenacemente agli inviti o alle tentazioni di partigianerie varie oppure a settorialità fin troppo spesso risultate inaffidabili ed equivoche! E, giusto per darmi un punto di inizio esistenziale, tutt’al più mi sento “kardaròtu” cioè nato a Kardàra, la luminosissima e lussureggiante contrada che, nonostante la sua recente ed intensa espansione urbanistica, ha conservato tale nome che sono solito personalizzare in Kardàra, distante un kilometro e 500 metri circa dalla stazione dei treni. A quel tempo, nella zona di tale stazione (indicata fino a più di 60 ani fa come “Badolato Scalo”) esistevano poche case (proprio le classiche “quattro case e un forno”), alcune delle quali erano di proprietà del più grande possidente locale, il barone Paparo, la cui bella e ampia villa (ricca di giardini ma ben recintata e salvaguardata) era lì vicino, stretta tra ferrovia e mare.

Ecco, il mare!… la strada statale! … la ferrovia! … Kardàra! … sono questi i primi quattro punti cardinali, concreti, inscindibili e simbolici della mia vita. Sono dimensioni costitutive del mio essere ancora adesso “spirito libero”… sono “dimensioni” ed “orizzonti” che non avrei potuto assolutamente avere se fossi nato già ad appena 5 km di distanza, in collina, a Badolato borgo (ad esempio) oppure altrove!

 Il mare è una presenza permanente per chi, come me, è nato sulle sue rive. Rappresenta un progenitore antico e segreto. Un saggio avo remoto verso cui si ha devozione, rispetto e venerazione, pur senza essere pescatori o naviganti. Pensa, Tito, che, ad ogni mio ennesimo ritorno a Badolato, prima andavo a salutare il mare e poi mi recavo a casa, a qualsiasi ora del giorno o della notte! E, ovviamente, partendo da Badolato era spontaneo ed “obbligatorio” andare a salutare le sue onde e la sua immensità, la sua luce profonda o il suo buio misterioso. Solitamente, chi abita nelle marine si reca quasi ogni giorno a salutare il mare, come una vecchia e cara persona di famiglia. Pure io, immancabilmente, ci sono sempre andato, da solo o in compagnia. Se avevo tempo, gli dedicavo una lunga passeggiata sulla sua spiaggia. Altrimenti, bastava soltanto giungere davanti alla sua riva per un breve saluto o un veloce sguardo. A volte, per salutarlo, basta anche vederlo da lontano, purché avvenga il contatto dell’anima attraverso gli occhi e il sentimento. Non si può stare nemmeno un giorno senza poter scivolare con lo sguardo sui cangianti colori della sua superficie e senza bere la luce che il cielo riverbera e moltiplica abbagliando i nostri occhi e la sua immensità. Azzurro di cielo, azzurro più azzurro di mare … nitida e vibrante emozione quotidiana, indispensabile carezza ancestrale. Quella del mare è una affettuosissima e seducente presenza che ci accompagna per tutta la vita, perché della nostra vita fa parte, magari come la montagna per chi in montagna è nato oppure un angolo di città per chi ama quella città oppure un angolo di cielo per chi vuole spaziare nel firmamento intergalattico, liberando fantasie e stupori. Sono i luoghi di cui si nutre la nostra anima più vera, anche quando si è lontani fisicamente. Sono i luoghi dell’infinito!… del nostro personale infinito!

Badolato_marina anno 2015

La statale jonica 106 era (dal 1935) una strada di comunicazione nazionale e interregionale fino a quando, ai primi anni settanta, non è stata aperta al traffico l’Autostrada Salerno – Reggio Calabria sul lato tirrenico. Prima da noi transitavano, infatti, persone e merci in direzione nord-sud e viceversa, anche se la maggior parte dei passaggi avvenivano con il treno, essendo il trasporto su gomma ancora poco utilizzato. Poi il traffico nord-sud è quasi cessato e tale strada è diventata soltanto o soprattutto regionale. Comunque, fino al 1970 (cioè, fino a quando non è iniziato il mio peregrinare “fora terra” … fuori Badolato … a cominciare da Roma per frequentare l’Università), queste erano le mie quotidiane dimensioni sociali più importanti (Kardàra, mare, strada, ferrovia) specialmente prima che irrompessero pure nelle nostre case operaie e contadine la radio e la televisione che (accanto a scuola e parrocchia e per alcuni emigrazione, partiti politici e giornali) erano le poche finestre sul mondo. Adesso bisognerà vedere che tipo di aria è entrata nelle nostre case e nelle nostre menti da queste prime finestre globali!… ma, volenti o nolenti, stavamo passando assai velocemente dal “mondo chiuso all’universo infinito” (dal medioevo, in pratica, al primo astronauta nello spazio) … oppure, come cantava Luigi Tenco il 26 gennaio 1967 al Festival di Sanremo: “Saltare cent’anni in un solo giorno, dai carri dei campi agli aerei del cielo” (nella celebre e sociologica canzone intitolata “Ciao amore ciao”)! “

Personalmente (bambino prima e adolescente dopo) mi accorgevo di fare parte di questo “meraviglioso” ed “eccitante” passaggio epocale e non volevo, per quanto possibile, perdermi nemmeno una virgola di una simile fulminea velocità di conoscenze e ricchezza di nuovi orizzonti e di inimmaginabili e sempre interessanti aperture mentali. Così, mentre i miei coetanei andavano sul Monte Manna a giocare agli indiani o a pallone in piazza, io stavo attaccato alla radio o alla televisione (spesso fino alla conclusione, a tarda sera, dei programmi dell’unico canale disponibile allora) … probabilmente ero simile ai ragazzi di oggi (nativi digitali) che, assetati di conoscenza e smaniosi di comunicare, stanno (forse troppo esageratamente) costantemente attaccati ai cosiddetti “social network” per assorbire più mondo e più universo che sia possibile. E non mi limitavo a seguire i programmi televisivi ma spesso interagivo con i loro personaggi e con le redazioni scrivendo lettere agli indirizzi postali che venivano indicati sul “piccolo schermo”.

ropani_camion

Inoltre, i miei due fratelli maggiori Vincenzo e Antonio mi portavano spesso al cinema per vedere i loro film. Colgo qui l’occasione per ringraziare, in particolare, il “Supercinema” di Soverato e il “Cinema ferrovieri” di Catanzaro Lido per essere stati (assieme a radio e tv) la mia “terza scuola” dopo quella inter-familiare e quella contadina-operaia di Kardàra. Quella di Stato è per me soltanto la quarta scuola!… Vincenzo, in particolare, mi ha introdotto alla fotografia, il cui esercizio è stato importantissimo per me, diventato poi “clic facile” tanto da portarmi ad avere (specialmente dal 1973 in poi) un archivio sociale di oltre diecimila immagini che documentano la gran parte della vita di Badolato e dintorni. I miei coetanei mi sentivano “diverso” da loro proprio perché avevo interessi da “adulto” e, comunque, non certo adatti ad un bambino o ad un pre-adolescente. E, in effetti, specialmente a Kardàra, mi piaceva frequentare più gli adulti che i miei coetanei, poiché dagli adulti imparavo un’infinità di cose. E persone con più anni di me ho continuato a frequentare anche quando, lasciata Kardàra nel settembre 1962, la mia famiglia è andata ad abitare a Badolato Marina, nell’alloggio a riscatto “Ina-Casa” che mio padre aveva acquistato nel 1956 in vista del suo pensionamento dalla Ferrovia. Anche viaggiando con il treno per andare alla scuola media di Catanzaro Lido preferivo sedermi accanto ad amici pendolari più grandi di me. Sempre e comunque cercavo insistentemente, con perseveranza e tenacia occasioni esaltanti di crescita e di apprendimento ovunque si fossero presentate. Tale ricerca mi dava una gioia incontenibile. La stessa gioia che possono dare le categorie umane e filosofiche del “bello”, del “buono”, dell’”utile”!

LIBRO-MONUMENTO di Domenico Lanciano VOLUME 1 copertina (1)

E tanta gioia mi ha dato l’ingresso nel “giornalismo” quando nell’aprile 1965, appena compiuti i 15 anni, sono diventato corrispondente locale per le pagine calabresi (a volte anche nazionali) dei quotidiani romani “Il Tempo” e “Il Messaggero”. La passione giornalistica ha avuto particolare e determinante importanza nel corso di tutta la mia vita e mi è stata assai utile nelle vicenda di “Badolato paese in vendita” (specialmente nel biennio 1986-88). Altresì, la sana aggregazione che veniva offerta dall’associazionismo parrocchiale e questa attività giornalistica mi facevano sentire utile: da qui ancora tanta gioia, tanto entusiasmo e tanta creatività. Inoltre, l’attività parrocchiale e giornalistica (entrambe assai frequenti, quasi quotidiane) mi permettevano e mi aiutavano a conoscere meglio Badolato Marina e Superiore e dintorni. E tale maggiore conoscenza aumentavano l’amore per i luoghi e per il popolo dei miei avi e dei miei amici, per la Calabria. Lasciato nel 1962 il casello di Kardàra, il mio interesse naturalistico si concentrò sul fondo del Vallone, alle porte di Badolato Marina, acquistato da mio padre nel 1955 per farne un agrumeto e un grande orto. Ci andavo spesso anche per studiare o per rilassarmi tra il sempre-verde delle piante, gli odori e i profumi di terra-fiori-frutta. Pure questo luogo ha significato davvero tanto per me.

Devo dire che mi sentivo fortunato. Ero in salute, avevo avuto un’infanzia serena grazie ad una famiglia che mi ha amato veramente tanto in un contesto naturalistico eccelso come Kardara prima e il Vallone dopo. Le sempre più belle conoscenze che facevo a scuola, le inebrianti scoperte esistenziali mi rendevano euforico e sempre più desideroso di vivere … tanto che a 17 anni ho cominciato a scrivere “W Wita” con la “W” per esprimere tutta la mia gioia di vivere (Viva la Wita). Mi sentivo felice, profondamente felice, pur avendo come sfondo le problematiche tipiche dell’adolescenza. Ma sentivo che non potevo tenere soltanto per me tutto l’amor ricevuto in famiglia e la felicità culturale che mi guadagnavo. Non trattenere tutta questa positività, l’energia e la gioia di vivere soltanto per fare crescere la mia vita. Dovevo assolutamente mettere a disposizione tutto questo mio entusiasmo del bene, del bello e dell’utile al servizio degli altri, in particolar modo della mia comunità di appartenenza ovunque avessi potuto. Così ho cercato di travasare il mio amore su Badolato e dintorni.

Purtroppo, questa evidente “felicità” e la generosità che produceva a baneficio degli altri (individui e comunità) mi rendevano “diverso” agli occhi di qualche persona e specialmente di taluni compagni di scuola che mi consideravano addirittura un “esaltato”. Ma la mia esaltazione era soltanto gioia di vivere, di conoscere, di imparare, di rendermi e sentirmi utile, di condividere i miei guadagni esistenziali. Inoltre, piano piano senza accorgermene nemmeno io, avevo iniziato un inusuale percorso socio-culturale a 360 gradi, con grande passione ed amore, grande semplicità e determinazione, frequentando sempre più persone adulte di ogni classe sociale delle quali mi sentivo “eterno alunno”. Sempre in ascolto attento ma anche critico proprio perché la mia “unità di misura esistenziale” era pur sempre Kardàra, come poi spiegherò meglio. Tale percorso si discostava a volte di parecchio dalle consuetudini esistenziali della maggior parte dei miei coetanei e ciò non poteva passare inosservato perché fin da allora avevo dei traguardi, degli obiettivi, degli orizzonti, delle “brame” (come scrivevo nei miei versi adolescenziali) che altri non avevano, ragion per cui venivo percepito come “diverso” ai più, persino destabilizzante e addirittura sovversivo. Ma io cercavo di guardare sempre avanti! Cominciavo a capire come e perché la Cultura, che inseguivo e che (a modo mio e nel mio piccolo) realizzavo e testimoniavo, poteva dare fastidio.

intelligenza 1992

Ad esempio, con senso civico (studiato anche a scuola) all’età 11 anni ho segnalato all’allora sindaco di Badolato il fatto che, sui marciapiedi nei pressi della pretura e della chiesa, c’erano delle buche e delle mattonelle che potevano far inciampare e cadere le persone (specialmente quelle anziane). Il sindaco, vedendomi bambino, mi disse di non impicciarmi. Risposi che avrebbero potuto inciampare pure la moglie e la figlia o lui stesso. A 13 anni ho scritto al sindaco di Roma per protestare per le baraccopoli che dal treno si vedevano entrando nella Capitale chiedendo dignità per quelle famiglie e decoro per la “Città Eterna”!… A 17 anni, dopo essere andato appositamente a Roma, ho organizzato in piazza dimostrazioni a favore dell’Europa Unita e delle Nazioni Unite, per sensibilizzare i miei concittadini (specialmente i giovani e i miei amici dell’Azione Cattolica) alle grandi dimensioni sociali e civili anche laiche.

D’altra parte (come si può rilevare da “Gemme di Giovinezza, 1967) avvertivo sempre più la “mediocrità” di terminati ambienti sociali da cui mi sottraevo. Mi sentivo allergico alla “mediocrità” pure perché bramavo vivere al massimo possibile e con la maggiore apertura mentale. Ero giovane, mi aprivo allora alla Vita e sentivo incontenibile il desiderio di aprirmi al Mondo senza inibizioni e senza riserve, mentre invece vivevo in un ambiente condizionato pesantemente dalle divisioni politiche e religiose, dalle “segregazioni” economiche e di classe, nonostante il cuore del popolo e della gente fosse comunque apprezzabile e avvincente. Nel 1961-62 agevolato dal fatto che frequentavo la scuola media a Catanzaro Lido, ne approfittavo per frequentare ambienti socio-culturali “avanzati” per l’epoca … tanto che a quell’età al cinema ho visto e “studiato” (ad esempio) il difficile film “La notte” (uno dei capolavori del regista Michelangelo Antonioni, 1960). Alcuni mi dicevano che ero “precoce”. Lo ero. Con mia somma gioia!

gemme 1967

Per capire meglio questa “precocità (un misto di intraprendenza, brama di capire e lungimiranza) ritenuta quasi un “peccato” perché intesa e ritenuta “diversità” socio-culturale (che viene disprezzata, avversata o poco apprezzata ancora adesso qui in Agnone del Molise, paese speculare di Badolato) e la mia natura personale e interpersonale devo evidenziare che già, inizialmente, costituisce un tratto di “diversità” topografica, culturale e vocazionale l’essere io nato nella marina di Badolato, uno dei primissimi, assieme al mio quasi coetaneo Gerardo Mannello (poi divenuto sindaco e protagonista della vicenda dell’accoglienza di centinaia di profughi kurdi, sbarcati dalla nave Ararat il 26 dicembre 1997). Mi sembra utile anticipare qui una brevissima ma fondamentale riflessione (che approfondiremo più avanti): come mai, dal 1986 al 1999, per il miglior futuro di Badolato borgo ci siamo proprio io, Gerardo Mannello (nati entrambi a Badolato Scalo ed entrambi figli di ferrovieri) e poi Daniela Trapasso nata altrove (Reggio Calabria 1967)? … Perché una simile coincidenza ha assegnato a noi tre il compito di iniziare e continuare la lotta per la salvezza del paese medievale e non ha assegnato tale compito ad una persona nata e cresciuta nel borgo antico?…

La mia “precocità” era un misto di intraprendenza, di brama e quindi fretta di capire il mondo e la vita, ma anche grande voglia quasi ansia di rendermi utile, mentre erano sempre più attraenti gli insistenti brividi di lungimiranza poiché mi proiettavo nel futuro mio e del mio paese. Fin dalla prima adolescenza mi sono sempre sentito e mi sento ancora adesso “lungimirante” ma con le zavorre ai piedi. Ho cercato sempre di volare alto ma l’ambiente (sebbene spesso in buona fede, ma a volte con la più offensiva cattiveria) ostacola e tarpa le ali. Con il tempo e l’esperienza ho capito che “fare bene il bene” è l’arte più difficile già di per se stessa, figuriamoci in presenza di fin troppe e continue avversità di persone ed ambienti che, pur in forte difficoltà, non vogliono nemmeno il loro stesso e più utile progresso. Così, piano piano, ho maturato la convinzione che i nostri ambienti antropologici sono tendenti al “suicidio” sociale. Poi, studiando meglio, sono giunto alla teoria sociologica del “Suicidio del Sud” paradigma del tendenziale “suicidio planetario” (incombente pericolo nucleare, climatico, ecc.).

copertina-libro-PRIMA-DEL-SILENZIO-1995

Ma torniamo a Badolato. Non sappiamo esattamente come venisse chiamata la zona costiera da quanto esiste, dal Nono secolo, Badolato o Vadulatum… Sappiamo che veniva indicata come “Badolato Scalo” dalla data di inizio del funzionamento della ferrovia nel 1875. Tale Badolato Scalo divenne “Badolato Marina” quando a Roma (dal maggio 1947 all’autunno 1951) ci fu chi ha deciso di costruire sul litorale, ai bordi di strada nazionale e di ferrovia, le case dei terremotati dell’11 maggio 1947 (prima) e degli alluvionati del 17 ottobre 1951 (dopo)! … Ragionevolmente, in tanti (è da precisare) riteniamo che il paese di Badolato Marina sia nato ufficialmente la mattina del 24 marzo 1952, quando l’allora Capo del Governo italiano Alcide De Gasperi ha vistosamente innalzato le chiavi dei primi 78 alloggi per gli alluvionati (realizzati a tempi di record), consegnandole al sindaco Andrea Talotta. Non ci poteva essere una data migliore e più appropriata di inizio di una simile Comunità se non questa del 24 marzo 1952 in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana rendeva accessibili 78 case (primo lotto) del nuovo paese sulle 335 previste!!!… Una nascita condivisa con parecchi altri paesi rivieraschi jonici, gemmazione dei borghi collinari o montani danneggiati da quella disastrosa alluvione del 1951.

L’attuale “Badolato” (collinare) dunque esiste da più di mille anni. Distante dal mare 5 km con le prime case e oltre 6 km considerando le ultime accanto alla chiesa di San Domenico, Badolato fu concepito e realizzato, come migliaia di paesi nel Mediterraneo, castello militarmente fortificato a difesa (dai pirati islamici, oggi si direbbe “terroristi”) sia del litorale e sia delle immediate montagne delle Serre. “Badolato” fu così chiamato, in modo incontrastato e senza modifiche toponomastiche per questi mille anni. Però dopo (pur denominato ufficialmente ancora “Badolato” soltanto) con l’avvento della stazione ferroviaria nel 1875 (Badolato Scalo) e del nuovo paese o sua frazione di Badolato Marina nel 1952, l’antico borgo veniva indicato da tutti noi badolatesi ma anche dai forestieri come “Badolato Superiore” oppure come “u Pajisi” (il Paese), il Paese per eccellenza. Il termine “superiore” era riferito alla sua posizione altimetrica ed orografica e soprattutto alla sua importanza di “Badolato centro” poiché era pur sempre il “paese-padre” dove comunque (negli anni cinquanta e sessanta) c’erano ancora gran parte degli abitanti, gli uffici comunali, i negozi, la caserma dei carabinieri e altri enti … destinati quasi tutti, piano piano con gli anni, all’inesorabile trasferimento in Badolato Marina.

Il “doppio paese” (mare – collina o montagna) mi aveva imposto una certa “diversità” percepita ed esercitata pure in famiglia, in quanto ero l’unico figlio ad essere nato in questa casa così vicina al mare, mentre gli altri 10 figli erano nati su in collina (o montagna) nella piccola casa di Via Siena 3 a Badolato Paese, nel rione Bassaterra (Jusuterra). A volte tale “diversità” veniva rimarcata (spesso in modo divertito o persino sprezzante) da adulti e bambini che mi chiamavano “marinòto” (cioè nato e abitante in “marina”). Anzi, alcuni, specialmente i miei zii, addirittura fino ai primi anni ottanta mi esortavano ad andare ad abitare al “Paese” essendo la “marina” molto caotica e abitata da gente che aveva perso il senso del “rispetto”!… Erano gli altri, quindi, a farmi sentire “diverso” poiché io non mi sentivo affatto “diverso” da coloro che abitavano in collina, al “Paese”. Ero nato e basta!… Ed ero come tutti gli altri, ognuno però con il proprio carattere e modo di sentire e di vedere le cose!

La mia famiglia abitava il “casello di Kardàra” (come veniva indicata questa casa) fin dal 1939 perché mio padre era operaio della ferrovia. Non c’erano altre abitazioni almeno per un raggio di oltre un kilometro. Le campagne circostanti erano assai fertili e venivano coltivate (seppure con innumerevoli difficoltà, da qui le troppe bestemmie) da molti contadini che quasi quotidianamente venivano dal “Paese” a piedi o a dorso di asini e muli oppure su carri trainati da buoi. Molti di questi contadini erano soliti (nella stagione calda, da maggio a ottobre) dormire sui loro terreni, accampandosi sotto un grosso albero oppure passando la notte sulla spiaggia dentro pagliai di canne. Da loro (specialmente dai figli, più o meno miei coetanei) sentivo parlare del “Paese” che per me diventava un luogo “mitico” e fiabesco. Me ne parlavano pure i miei zii e i miei cuginetti che frequentavano spesso il casello e non mancavano quasi mai quando, d’inverno, si uccideva il maiale per farne provviste di carne per il resto dell’anno e si faceva festa.

villacanale regine 1996

Ma quando è che sono andato per la prima volta a Badolato Superiore?… Potevo avere tre o quattro anni, quando i miei genitori mi portarono in “Paese” (sicuramente in occasione di una delle tante feste religiose). Il primo ricordo è la corriera (il piccolo “purmani” pullman o autobus Bressi) che dalla piazza della stazione ferroviaria ci portava al Paese, lungo una strada stretta e piena di curve. Il secondo ricordo è il leggero e caratteristico “scatto acustico” dei timpani delle mie orecchie quando il pullman superava una certa altitudine tra marina e collina. Cosa che avveniva puntualmente nei pressi della fontana di Zangarassa, quasi a metà tragitto, ad un’altitudine di 150-180 metri sul livello del mare. Il terzo ricordo è l’apparizione improvvisa del Paese, nella sua maestà e poeticità, dopo una grande curva (che oggi chiamo “extreme point” il punto estremo dove la sagoma del paese compare o scompare in un attimo) nella stessa zona della fontana di Zangarassa. E’ stato “amore a prima vista”! Una meraviglia! … Una grande emozione!… una emozione che ogni volta da allora ho sempre sentito (persino accresciuta di significato e di valenze evocative) come stessi per entrare nel magico paese delle favole (cunticeyhi) o di un presepe natalizio, ma anche (avvertivo in seguito) nel groviglio di deleterie passioni individuali e sociali che contribuivano al suo continuo spopolamento, cosa che mi provocava rabbia, indignazione e ribellione. Un paese che mi suscitava sempre più sentimenti contrastanti, ma anche tanta tenerezza e commozione per un popolo che aveva resistito mille anni a mille traversie e che si stava arrendendo ai miraggi della modernità. Questi “miraggi” sono stati la costante nella scrittura dei versi della mia raccolta di adolescenziali poesie “Gemme di Giovinezza” (1967).

A metà degli anni cinquanta (quando ancora non erano iniziate le massicce emigrazioni verso il nord Italia ed il centro Europa) il “Paese” (che iniziavo così a conoscere sempre meglio) era stipato di abitanti, pieno quasi come un uovo, nonostante fosse stato alleggerito demograficamente da numerose famiglie partite definitivamente e prevalentemente per Argentina, Stati Uniti, Australia. Ed era pieno quasi come un uovo nonostante pure il fatto che il governo avesse già costruito (come ho già detto) 335 alloggi popolari per le famiglie rimaste senza casa a sèguito delle alluvioni del 1951 e del 1953. I badolatesi erano comunque assai restii a lasciare il “Paese” per andare ad abitare in Marina, ma piano piano questo trasferimento fu necessario fare ed eseguire, poiché alcuni suoi rioni erano stati dichiarati insicuri e si parlava addirittura di “zona demarcata” ma molto italianamente ancora diffusamente e allegramente vissuta.

Così, i 335 appartamentini della Marina (divenuta Badolato Marina, “ridente cittadina” aggettivavano allora le cronache giornalistiche) furono sempre più abitati dalle famiglie aventi diritto oppure affittati, costituendo una Comunità che, anno dopo anno, assumeva una propria connotazione ed identità, sebbene non troppo differente dal “Paese” cui comunque si restava fortemente legati, tanto è che alcune famiglie, oltre ad avere parenti ed amici cari, a Badolato Superiore avevano conservato (nella vecchia casa o affittata presso altri) quella cantina chiamata “catoju” dove conservare al fresco quasi tutti i rifornimenti alimentari annuali, primo fra tutti il vino. Purtroppo, piano piano, la “cultura del catoju” era destinata ad allentarsi poiché nelle nuove case della Marina non erano stati previsti (forse per la troppa fretta, forse per mancata consulenza di antropologi o sociologi o più semplicemente per non aver chiesto adeguato parere preventivo agli stessi abitanti) questi locali sotterranei così tanto essenziali per l’economia di sussistenza familiare ma anche per importanti momenti di socializzazione. A mala pena, in séguito a varie proteste, erano stati costruiti i forni rionali dove le famiglie potevano almeno cuocere il pane settimanale e tostare determinati prodotti agricoli.

Personalmente ho visto giorno dopo giorno la progressiva nascita edilizia, antropologica e sociale di questo nuovo paese, che veniva ormai chiamato ufficialmente e definitivamente Badolato Marina (così testimoniavano pure i cartelli stradali e il timbro postale) per distinguerlo da Badolato (centro o superiore) … anche se per tutti i badolatesi era soltanto “a Marina” per distinguerlo da “u Pajisi”. Anticipo una piccola curiosità: Badolato Superiore (altrimenti detto Badolato Paese) è stato denominato (da persone non locali) per la prima volta “Badolato Borgo” proprio durante la vicenda del “paese in vendita” nel biennio 1986-88. Non so dirne la fonte esatta, ma presumo che siano stati giornalisti provenienti dal centro-nord. Infatti, nel nostro sud il termine “borgo” non è quasi per nulla usato, derivato come è dalla lingua e cultura germanica e centro europea. Noi eravamo soliti dire “Badolato Paese” ma adesso è invalso l’uso di dire “Badolato Borgo” … indicazione che a volte uso pure io, perché più facile per essere capito in questa incipiente “koinè” europea, nonostante sia improprio per la nostra storia e cultura. Non è inutile precisare che la “borghesia” (da borgo, appunto) è una classe sociale, un ceto che il sud Italia (e specialmente la Calabria) non ha quasi avuto così diffuso quando il fenomeno è sorto in Europa alcuni secoli fa.

E, oltre a condividere la vita dei contadini di Kardara, ho condiviso la vita dei neo-marinoti alcuni dei quali, alquanto “spaesati” e imbarazzati di essere ritenuti tali specialmente da quelli rimasti al “Paese”, vivevano inizialmente una forte crisi di identità. Per fortuna che i sacerdoti e le congreghe del “Paese” provvedevano a tenere i contatti umani, sociali e religiosi con i neo-marinoti la cui chiesa era ancora in costruzione al centro della Marina. Infatti, ogni domenica l’arciprete del “Paese”, don Antonio Peronace, veniva a dire messa per noi preesistenti marinoti e per i neo-marinoti alla chiesetta del barone Paparo, vicinissima al mare. Avevo allora dai 3 ai 5 anni. Le mie sorelle mi portavano alla messa domenicale ed io reclamavo l’ostia che agli adulti veniva data al momento della Comunione eucaristica. L’arciprete se ne portava dietro alcune non consacrate proprio per me e per qualche altro bambino.

Sono molto d’accordo con chi ritiene (scientificamente o meno) che bisogna ricercare nell’infanzia le profonde radici dei nostri benesseri o malesseri esistenziali o psicologici, i problemi caratteriali, comportamentali o psichici, oppure la nascita della nostra vocazione umana, professionale, oppure la nostra impronta etica e spirituale, o ancora il nostro principale corredo di valori umani e sociali.

Per parte mia ritengo, ad esempio, che le radici della mia attuale “claustrofobia” (invalidante) sia dovuta ai tre anni di frequenza e di “torture” nell’asilo (oggi dicasi “scuola materna” o “scuola d’infanzia”) tra l’ottobre 1953 e il giugno 1956. Nel nuovo paese della Marina in tali anni non erano stati ancora completati né l’edificio scolastico né quello della chiesa, per cui le scuole e l’asilo erano ospitati in piccole distinte case destinate ai senza-tetto e per le funzioni religiose, come dicevo prima, veniva usata la chiesetta esterna alla villa del barone Paparo.

L’asilo, frequentato da me e da altri bambini, era situato proprio accanto alla Farmacia del dottore Pietro Chiefari, in un alloggio al piano terra di una palazzina appena costruita sulla via per Badolato Superiore, che oggi prende il nome di Antonio Gramsci, a 250 metri circa dalla stazione ferroviaria e a 100 metri dall’unico bar allora esistente. Tre camere, una piccola cucina ed un unico bagno per una media di 20-25 bambini, due maestre d’asilo e una cuoca-inserviente. Fuori, tra una fila e l’altra di palazzine (oggi Via Giuseppe Di Vittorio), c’era una piccolissima zona verde dove potevamo giocare quando faceva bel tempo, ma quando faceva freddo o pioveva dovevamo stare chiusi tutto il giorno in quell’appartamentino e, appena terminato il pranzo, eravamo costretti a dormire (con la testa appoggiata sul tavolinetto, mentre le finestre erano state oscurate) sotto permanente minaccia e sorveglianza delle due insegnanti (di cui una però era buona e l’altra molto cattiva). Ricordo, infatti, che nella prima camera (quella un po’ più grande perché prevista come sala da pranzo) c’erano dei tavolinetti su cui io e gli altri bambini mangiavamo, giocavamo e … dovevamo dormire, anche a suon di mazzate quali magari non prendevamo nelle nostre famiglie o se le prendevamo avevano ben altro sapore e finalità. Infatti, come scrivo alle pagine 437-439 del citato libro “Storia dell’Intelligenza” (1992) specialmente la “maestra cattiva” costringeva noi bambini a dormire percuotendoci il viso a doppie sberle (sandwich) e con tanta violenza che ci stordiva. Più volte ero io ad organizzare la rivolta, scappando dalle finestre o dal balcone per poi essere ripresi e riportati all’asilo dagli operai degli edifici ancora in costruzione in zona o da coloro che, disoccupati o avventori, sostavano davanti all’unico bar sulla nostra via di fuga. Quella violenza e quelle costrizioni mi hanno segnato la vita, tanto è che penso sia nato proprio allora e proprio all’asilo (da notare … la prima sede istituzionale pubblica della mia esistenza sociale!!!) il mio irriducibile “ribellismo” che ho manifestato ogni qual volta mi è stata usata violenza fisica o psicologica. Ed è nata altresì la mia attuale e progressiva “claustrofobia” che diventa veramente sempre più fastidiosa e, appunto, “invalidante”. Al tempo della mia infanzia specialmente gli insegnanti di scuola elementare erano maneschi e violenti. Ma, a sentire gli alunni di epoche precedenti alla mia, pare sia stato assai peggio … quasi torture (ceci sotto le ginocchia e altre cose che è meglio non dire). La violenza era anche psicologica. Salvo eccezioni, ovviamente!

Probabilmente, il ricorso alla vicenda “Badolato paese in vendita” è dovuto pure (ritengo in buona e qualificata percentuale) anche a questo mio “ribellismo” che non è mai riuscito a concepire e sopportare qualsiasi tipo di violenza privata o sociale … e vera e drammatica violenza, quotidiana e storica, deve essere considerata l’aver ridotto il borgo di Badolato ai minimi termini fino a farlo rischiare di morire dopo mille anni di dignitosa e a volte gloriosa storia. Spopolamento, incuria, povertà, abbandono, persino squallore e quanto altro sono segni di evidente violenza contro un popolo e un territorio. Non potevo sopportare un simile indegno decadimento e dolorosa agonia per il mio paese e per tutti i paesi d’Europa e del mondo così tristemente martirizzati, devitalizzati o addirittura uccisi e sgretolati, persino cancellati dalla storia e dalla geografia!… (continua)

 Agnone del Molise (terra d’esilio) – Giovedì 26 novembre 2015 ore 18, 18

(88 anni fa come oggi, i miei Genitori si sono uniti in matrimonio)

Un pensiero su ““Lettere a Tito”. Lettera su Badolato N. 1. Le premesse”
  1. anche a me è rimasto nel cuore il mare del nostro paese,se potessi me ne tornerei ma solo per il mare .ormai lì quasi nessuno si ricorda di me e io non ricordo quasi nessuno.

    oppu tant’anni eu
    su’ ssempa
    ‘e fora terra
    a ‘stu pajìsi
    e hru pajìsi meu
    esta tantu accogliente
    pessàra ca nu jornu
    ni nda tornu
    mecàra vestuta
    comu ‘na fìmmana
    ‘e l’ Orienti.

    ciao,Mimmo.ti saluto con affetto.nicolina

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