Si chiama “Reinsediamento a Sud” e punta, come dice il nome, a insediare a Caulonia e Riace – che col Ministero dell’Interno hanno firmato un accordo – 180 palestinesi richiedenti asilo e protezione internazionale. Palestinesi che di fatto una loro terra non hanno mai conosciuto per essere vissuti da sempre nel campo di Al-Tanf: nella terra di nessuno, tra Iraq e Siria. Nei due centri dell’Alto Jonio sono arrivati in tre scaglioni, a partire dallo scorso 23 novembre: 77 persone sono ospiti a Caulonia, le altre a Riace. L’intesa – già firmata a marzo scorso da Nadia Minati, per il Ministero, e dai sindaci Ilario Ammendolia di Caulonia e Domenico Lucano di Riace – prevede la scolarizzazione dei minori, un corso intensivo di prima alfabetizzazione alla lingua italiana, il supporto e l’accompagnamento agli strumenti base per la ricerca di un impiego. Il documento è chiaro, o quasio. I palestinesi di Caulonia, che parlano anche a nome di quelli di Riace, però da martedì scorso, ovvero dal giorno successivo all’inizio dell’anno scolastico, sono in “sciopero”, o meglio lo sono gli oltre 20 bambini che dovrebbero frequentare la scuola elementare. «Pretendiamo rispetto per la persona umana. Per i bambini innanzitutto» ci dice un papà, attorniato da tanti altri profughi: «Non possiamo accettare che i nostri figli vadano a scuola con una busta di plastica per zaino». Chiede che, per una giusta integrazione, i loro figli siano equipaggiati al pari dei bambini italiani, così che nella scuola stessa, in classe, con i compagni, non vi siano differenze. «Sin da subito ci siamo rivolti a chi di competenza perché badasse al materiale di cancelleria. Sono stati consegnati una penna e 2 quaderni. Alle nostre rimostranze abbiamo avuto risposte evasive: “non sapevamo di cosa avessero bisogno i bambini”; “provvederemo”; “i soldi che arrivano dal Ministero sono pochi per soddisfare anche queste esigenze”. Ad oggi non abbiamo avuto alcun riscontro pratico». Un altro genitore dice: «se questa situazione si protrarrà anche gli adolescenti della media diserteranno le lezioni». Parlano liberamente. Sono loro a chiederci d’esser fotografati per il giornale, per comprensibili motivi, però, non vogliono che siano pubblicati i loro nomi. «Non abbiamo nulla contro il sindaco. A Caulonia ci troviamo bene e ci piacerebbe restare anche in via definitiva», spiega un terzo esule che ha superato la cinquantina, mentre ruota fra le dita il sabha, la caratteristica coroncina che utilizza per la recita della preghiera. «Ognuno di noi può svolgere un lavoro e vorremmo poterlo fare. I nostri giorni, invece, sono intonati con l’ozio. Una inattività che tocca anche i giovani adulti e gli adolescenti che, se fuori dall’età dell’obbligo scolastico, non sono inseriti neanche in percorsi di studio». La convenzione stipulata, fissa che il Ministero partecipi alle spese dei servizi di assistenza, accoglienza ed integrazione con un contributo, per ogni ospite, di 35,00 euro al giorno. A Caulonia per ogni profugo al Comune vengono pagati, ogni mese, 1.050; di questi sono corrisposti all’interessato 180. Però soltanto metà di questa cifra è assegnata in moneta corrente; il resto è elargito in ticket spendibili soltanto in pochi negozi del paese, in quelli che, con il Consorzio Goel che li ha emessi, hanno firmato un accordo. Ma quel che più spaventa questa gente, «è il futuro. Quali prospettive ci sono davanti a noi, una volta che il progetto arriverà a conclusione?», si chiede lo stesso uomo. Poi aggiunge e conclude: «Veniamo dal buio. Siamo giunti in Italia carichi di speranza, ma mi pare che l’uscita dal tunnel sia ancora molto lontana, soprattutto per me che ho superato i sessant’anni».
Gazzetta del Sud – Armando Scuteri