”Mi associo al tuo appello per dire a quanti hanno deciso di creare la loro fortuna economica con l’usura, il commercio della droga, l’estorsione o quanto di simile, che il denaro fatto cosi’ non rendera’ mai felici, perche’ e’ maledetto da Dio. Su tutto cio’ che con esso si costruira’ pesa il castigo di Dio”. Lo scrive il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, in una lettera di risposta a un detenuto che gli aveva scritto dichiarando il suo pentimento e chiedendo il perdono di Dio. L’uomo, Pasquale Scali, era stato arrestato nel settembre del 2009 nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria contro presunti affiliati alla cosca Cordi’ di Locri responsabili, a vario titolo, di estorsione e usura. ”Ti ringrazio – scrive il vescovo – anzitutto perche’ hai voluto scrivermi. Mi compiaccio, inoltre, di questa tua volonta’ di ricominciare una vita nuova, a partire da due gesti importanti, che dici di aver gia’ compiuto: il pentimento per il male fatto e la giusta riparazione, restituendo quanto hai indebitamente tolto. Questi due gesti sono la condizione per raggiungere la conversione predicata da Gesu’ nel Vangelo e ottenere di conseguenza il perdono da parte di Dio, che e’ sicuro e generoso. Ma tali gesti sono anche la condizione per essere credibili dinanzi alla societa’ e ricevere anche da essa il perdono, nonostante tu sappia quanto sia difficile cio’, perche’ in genere si crede poco alla conversione di chi ha compiuto gesti come quelli compiuti da te. Ma tutto e’ possibile”. ”Nella tua lettera – prosegue mons. Fiorini Morosini – fai un appello ai giovani, perche’ non seguano la strada dell’errore. Hai fatto bene ad appellarti a loro. Alza di piu’ la voce in tal senso; convinci le persone che conosci e che sono cadute come te nella colpa dell’usura o dell’estorsione. Di’ loro, dopo aver sperimentato la sofferenza di questo anno di carcere, che non ne vale la pena vivere cosi’: sempre col fiato sospeso, con la paura di essere scoperti, con il rischio che lo Stato incameri i propri beni. Quale benessere si puo’ costruire sull’illegalita’? Quale felicita’ si puo’ vivere quando i beni procurati con il malaffare non possono essere goduti neanche dai propri figli? Quale futuro si puo’ dare a essi?”.
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