Si può morire di sete, di lavoro, di economia e di futuro pur avendo a un passo un mare splendido e un territorio straordinariamente bello. E’ questa la condizione di Messina, che non ha gli occhi per vedere tutto ciò. Una miniera d’oro costituita da un territorio unico fatto apposta per fare turismo, economia vera, lavoro vero. Solo che molti, troppi, non sono neanche in grado di capire che di fronte a un mondo che cambia, non c’è realisticamente la possibilità di tornare indietro (ammesso che sia conveniente) a una città di pubblico impiego. Invece, è molto più raggiungibile un obiettivo concreto: fare turismo, come già avviene a Siracusa, Noto, Modica, Trapani e Marsala o, per non andare lontano, a Capo d’Orlando e Gioiosa Marea.
Fare turismo significa fare economia di mercato. Creare una prospettiva concreta per rigenerare un territorio che ha bisogno di stare in piedi con le proprie gambe, senza aspettare soluzioni miracolistiche di poderosi investimenti pubblici, sempre promessi ma mai avvistati all’orizzonte. Le esperienze delle città siciliane che oggi sono turistiche e che fino a qualche hanno fa erano solo capoluoghi di provincia, per esempio Trapani e Siracusa, dimostrano che anche una città che non ha grandi capitali può uscire fuori dal tunnel del declino. Il modello del turismo diffuso con piccole o medie strutture di accoglienza, accompagnato da discrete strutture di balneazione, da attività di svago, culturali, naturalistiche o di spettacolo di buon livello, è quello vincente e più alla portata di nuovi investitori locali e non. Un orizzonte possibile, vicino, concreto.
Tutto questo però, presuppone che i messinesi siano consapevoli che si deve pretendere dalle amministrazioni e dall’intero corpo burocratico un insieme di azioni concrete, che non creino lavoro direttamente ma che permettano agli altri di lavorare, investire, produrre. Il privato faccia la propria parte e la classe dirigente, non solo quella politica, attivi tutte le condizioni senza le quali parlare di turismo o di qualunque altra prospettiva diventa una buffonata. L’ambientalismo non è uno slogan, è prima di tutto la ricerca di soluzioni equilibrate tra attività economiche sul territorio e natura (spiagge, colline, boschi, strade e piazze alberate e curate). Le cose si devono poter fare, ma si devono fare bene, perché solo quello che piace ai nostri ospiti sarà una ricchezza che produrrà lavoro e benessere.
Tra il “non si può fare” tipico di una burocrazia inutile e falsamente legalista e l’anarchia dell’edilizia, del traffico urbano, delle coste ridotte a immondezzai, violentate da blocchi di cemento rozzi e primitivi come le menti di quegli amministratori e dirigenti che le hanno concepite, c’è l’equilibrio dell’agire amministrativo-burocratico di ogni giorno. E quest’ultimo, proprio in una città affamata di lavoro e di futuro, deve avere una stella polare: sviluppo armonico, incoraggiamento all’iniziativa economica, accompagnamento dell’imprenditoria nella realizzazione dei propri progetti. Il pubblico, la politica, gli amministratori locali, la dirigenza burocratica, quasi tutti fino a ora passivi, inconcludenti e distruttivi, si assumano la responsabilità di scelte collettive fondamentali, perché è a loro che la legge dà questo potere. Fondamentali quindi le scelte strategiche in favore del turismo a Messina, destinando a questo settore luoghi e territori del centro urbano, oggi miseramente sottoutilizzati come la Fiera, la Dogana, i palazzi del Catasto e dell’INPS in via Vittorio Emanuele II, l’area militare della Falce e l’intero porto. Ma anche amministrando ogni giorno servizi essenziali per garantire una città pulita e accogliente anche per chi ci vive e non solo per pagare stipendi e gestire clientele miserabili.
Che senso ha una classe dirigente se non sa o non vuole fare tutto questo? Che ci sta a fare se non è in grado di assumersi la responsabilità di indicare una direzione per costruire prospettive? Morire di provincialismo, di grigiore di menti ottuse, della paura di cuori pavidi, del cinismo e dell’indifferenza al bene comune, della rozzezza e dell’ignoranza di prepotenti che occupano quasi tutti i luoghi dove si decide non è il destino di Messina, ma a patto che riesca a vedere quello che ha già sotto gli occhi.