«Porteremo la guerra in Italia». L’ultima, grave minaccia di Muammar Gheddafi arriva pochi giorni dopo il via libera del governo ai raid italiani sulla Libia. Il colonnello, sempre più solo e asserragliato nella sua Tripoli, alza la voce in un discorso alla televisione di Stato libica mentre intorno cadono le bombe dell’Alleanza. E se con una mano offre un ramoscello d’ulivo alla Nato chiedendo negoziati per arrivare ad un cessate il fuoco, con l’altra punta il dito contro il «tradimento» degli italiani e del suo «amico» Silvio Berlusconi, che accusa di aver commesso «un crimine» e di perseverare nella stessa politica «fascista e coloniale» dei tempi dell’occupazione con «un nuovo colonialismo italiano». Il raìs parla nell’anniversario della battaglia di Gardabiya, a sud di Sirte, che nel 1915 segnò una gravissima sconfitta per i colonialisti italiani. E nell’approssimarsi del centenario dell’invasione del 1911. Ora come allora, accusa Gheddafi, l’Italia «uccide i nostri figli». «Mi sono rattristato – dice – quando ho sentito i figli del popolo libico nei loro discorsi minacciare di trasferire la guerra in Italia. Hanno detto che ormai è una guerra tra noi e l’Italia, perchè l’Italia ammazza i nostri figli adesso nel 2011 come ha fatto nel 1911. Hanno ragione, e io non posso porre un veto sulle decisione dei libici che vogliono difendere la loro vita e la loro terra e trasferire la battaglia nei territori nemici». Le minacce del colonnello rimbalzano a Roma in un pomeriggio plumbeo mentre la maggioranza è impegnata ad inseguire una difficile quadra proprio sulla guerra in Libia. Ma le sue parole non riescono a spaventare nessuno. La Farnesina sceglie di non commentarle ufficialmente, proprio per non dargli risalto. Ma fonti del ministero osservano comunque come «tali minacce non facciano altro che consolidare ulteriormente l’impegno e la determinazione dell’Italia nella protezione dei civili contro la repressione violenta» del regime. «Le statistiche parlano di decine di migliaia tra morti e feriti, un orrore talmente grande che ci doveva far intervenire», aveva spiegato in mattinata il ministro degli Esteri Franco Frattini, prima che le agenzie rilanciassero le minacce del raìs. Nessun allarme specifico anche fra gli uomini dell’intelligence, che pure non sottovalutano la «dichiarazione di guerra» che Gheddafi ha rivolto all’Italia. Al netto della propaganda, fanno notare fonti qualificate degli 007, al momento il vero pericolo non sono improbabili azioni terroristiche bensì quello rappresentato da una consistente ondata migratoria di profughi che potrebbero essere «scaricati» come ritorsione sull’Italia. Nonostante nessuno sia in grado di fare previsioni sulla durata della guerra, il raìs appare comunque debole. E anche la sua offerta di tregua alla Nato, in ogni caso non accompagnata dal suo abbandono del potere, viene rispedita al mittente. «Servono fatti, non parole», taglia corto da Bruxelles un alto funzionario dell’Alleanza. In serata il segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen è ancora più esplicito. «Condanno con forza le minacce contro l’Italia o qualsiasi altro alleato», afferma in un comunicato. Ribadisce che Gheddafi continua a causare indicibili sofferenze al popolo libico e assicura che la missione della Nato continuerà «fino a quando questa minaccia non sarà stata rimossa». Praticamente isolato dal resto del mondo, brucia ancora di più al colonnello quello che considera il voltafaccia dell’Italia. «Dov’è il Trattato di amicizia che non permette l’uso delle basi italiane contro la Libia? Dov’è il Parlamento italiano? E dov’è il mio amico Berlusconi? Non avete chiesto scusa e condannato il colonialismo? Perchè ripetete adesso l’invasione con i vostri aerei?», è la litania che Gheddafi pronuncia davanti le telecamere della tv di Tripoli. Ma attorno, sempre più vicini, si sentono solo gli echi delle esplosioni delle bombe alleate.
Gazzetta del Sud – Luigi Ambrosino ROMA