“Niente al mondo è irreversibile, nemmeno il capitalismo”. Questa citazione di Fidel Castro Ruz  campeggiava dietro il tavolo dei relatori durante la presentazione di “Da Seattle a Genova. Cronistoria della Rete No Global”.Dopo che la pandemia ci ha tolto le piazze e gli spazi per troppo tempo, abbiamo voluto, come Cambiamo Messina dal Basso, organizzare questa iniziativa, per tentare di tessere le fila di quanto avvenuto, ma soprattutto per parlare della necessità di riprendere quella lotta troppo bruscamente e brutalmente soffocata nel sangue.

Nel ventennale delle giornate di Genova, il libro di Daniele Maffione è stato lo spunto per restituire luce al biennio che le ha precedute, e per rimettere al centro della discussione politica le storie di quella stagione di lotte che da Seattle a Genova hanno infiammato un grandissimo numero di persone verso “un altro mondo possibile”. 
Condotti dalle voci di Gabriella Cacia e Sergio Foscarini nell’atmosfera dei giorni della repressione, della Diaz, della caserma Bolzaneto e dell’assassinio di Carlo, abbiamo voluto riprendere contatto con le memorie ancora impresse in noi. A quel trauma collettivo abbiamo provato a dare spazio con una piccola esperienza di “dadirri”, che è ciò con cui gli aborigeni curano il loro trauma storico provocato dalla colonizzazione: essere consapevoli insieme, “respirare insieme”. 
Durante l’iniziativa, svoltasi presso il NebeCoffeebook di Torre Faro, numerosi sono stati gli interventi politici. 
Centro del dibattito, durante il quale con Daniele Maffione, hanno dialogato Ivana Risitano, nostra attivista, Donatella Lisciotto, psicoanalista, e Giuliana Sanò, antropologa, è stato il cammino del vasto movimento No Global, che, partito da Seattle e passando per Porto Alegre, è approdato in Europa: lì  la macchina repressiva dello Stato sin dalle giornate di marzo a Napoli aveva dato il preavviso di ciò che sarebbe accaduto. 
Il movimento di quegli anni aveva dimostrato di saper anticipare i tempi e prevedere quale direzione nefasta avrebbe preso la nostra società. Più volte, durante il dibattito, si è posta l’attenzione sulla necessità, oggi più che mai attuale, di rifiutare quel preciso modello politico, economico e sociale, che compie scelte criminali, disumanizza, produce scarti, alimenta ingiustizie, aliena e divide. 
Ripercorrere con cruda durezza la storia delle violenze e delle torture che chi manifestava subì da parte delle forze dell’ordine, perché “nessuno lavi quel sangue”, serve, sì, a non distogliere lo sguardo dalla macchia indelebile sulla storia delle istituzioni di questo Paese, ma serve anche a dar linfa ad una nuova – possibile – stagione di mobilitazioni. 
Serve un grande e  soprattutto generoso sforzo politico collettivo: perché la ferita l’abbiamo, e ne soffriamo – più o meno consciamente – nelle nostre vite di ogni giorno, incastrate in meccanismi di oppressione subdola e di paura; ma la sofferenza non possiamo privatizzarla: dobbiamo Sentirla insieme. E guarirla insieme.

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