In Italia ci sono circa 2.000 paesi con meno di mille abitanti e a rischio “desertificazione”. Dalla Lombardia alla Calabria, le amministrazioni si ingegnano per attirare giovani stufi della città, inventandosi aiuti ad hoc per il rilancio dell’artigianato. La Rete del ritorno: “Con l’abbandono delle comunità rurali soffre anche la democrazia”
E’ un’Italia nell’Italia, fatta di borghi medievali e paesi arroccati sulla dorsale appenninica, con 400 abitanti di media ma in alcuni casi uno solo. Ed è tutt’altro che piccola: copre il 60% del territorio nazionale. A comporla sono i “Comuni polvere”, quelli con meno di mille residenti e a rischio abbandono, o come dicono gli esperti “desertificazione demografica“. Una costellazione di piccoli nuclei urbani perlopiù montuosi o collinari che un tempo, prima della nascita delle grandi fabbriche, costituivano tessuti economici attivi grazie all’agricoltura, ma che dal secondo dopoguerra a oggi si sono via via spopolati e rischiano di scomparire completamente. A volte si sono trasformati in città fantasma, come il minuscolo borgo di Castiglioncello, sulla linea di confine tra Toscana e Emilia Romagna, deserto dagli anni 50, o Borgo Riena, in Sicilia, Orsetti in Veneto, Narbona nel Cuneense. Spesso, però, e particolarmente nell’ultimo quindicennio, le amministrazioni di queste realtà scarsamente popolate si sono organizzate per invogliare giovani e famiglie a ritornare, offrendo incentivi economici, fiscali, mettendo in vendita a 1 euro le case abbandonate o ricostruendo servizi laddove la desertificazione li aveva cancellati.
“In Italia sono circa 2.000 paesi che rientrano nella definizione di Comuni polvere”, racconta Silvia Passerini, architetto milanese tra i fondatori della Rete del ritorno ai luoghi abbandonati. “Collina e montagna, infatti, a differenza della costa, raramente possono contare sul turismo stagionale, elemento che mantiene vive le comunità più piccole, e perciò, dopo la Seconda Guerra Mondiale, hanno subito la cosiddetta ‘rapina delle montagne’: famiglie, cioè, emigrate a valle in cerca di uno stipendio fisso e un lavoro stabile”.
Tra le regioni italiane la più soggetta al rischio di desertificazione demografica è la Calabria, ma non c’è territorio, tra Penisola e isole, che non abbia dovuto fare i conti con l’urbanesimo, la migrazione della popolazione verso le città. “Gli effetti dell’abbandono delle comunità rurali sono molteplici: prima di tutto spariscono i servizi, dal fornaio all’insegnante, le scuole chiudono, i mezzi di trasporto diminuiscono – elenca Passerini – quindi, la popolazione cala, e a pagarne il prezzo è prima di tutto la democrazia”. In un paese di 200 abitanti, per vincere le elezioni basta una famiglia numerosa: “Il risultato è che in alcuni casi queste realtà tendono a trasformarsi in contee o signorie”.
A preservare il futuro delle piccole comunità, però, c’è il percorso inverso rispetto all’urbanesimo: il ritorno alla vita rurale. “Negli ultimi anni sempre più famiglie si sono stancate della frenesia della città, e tanti giovani scelgono di ritornare a vivere nelle comunità rurali, portando con sé un’enorme ricchezza: il sapere acquisito studiando o lavorando nelle metropoli”. Per favorire il ripopolamento di un Comune polvere, quindi, le amministrazioni hanno lavorato d’ingegno, inventandosi incentivi o aiuti per convincerli a investire nella comunità. A Montesegale, 326 abitanti in provincia di Pavia, ad esempio, si è pensato di aprire un forno pubblico, per sopperire alla mancanza pane fresco sulla tavola dei cittadini: “La scarsità di servizi – ricorda Passerini – è un incentivo all’abbandono”. Riace, in Calabria, noto per il ritrovamento dei celebri Bronzi, invece, si è inventato l’ecoturismo: l’amministrazione si è fatta affidare le case abbandonate dagli emigrati e le affitta a prezzi ragionevoli ai turisti o ai migranti. Ancora, nelle Valli di Zeri c’è chi ha attivato una banca del tempo, ricompensando con sgravi fiscali i cittadini che si dedicano alla comunità, e a Cabella Ligure, in Val Borbera, paga meno tasse chi si offre di riqualificare il territorio, recuperando, ad esempio, edifici agricoli vuoti da tempo. Ancora, Soriano Calabro, zona Vibo Valentia, Paraloup in provincia di Cuneo e Varzi, nel pavese, hanno scelto di puntare sul rilancio dell’artigianato locale, mentre in città come Montieri, in Toscana o Carrega Ligure (Alessandria), si può comprare casa al prezzo di un caffè, 1 euro, purché ci si impegni a ristrutturarla.
“Le iniziative pensate dai Comuni polvere sono molteplici – spiega Passerini – e nascono tutte dal basso, dalla singola comunità, perché non esistono incentivi, a livello nazionale, per il ripopolamento di un’area a rischio abbandono”. A raccontarle è la Fiera nazionale del consumo critico “Fà la cosa giusta”, organizzata dall’associazione Terre di mezzo, che quest’anno si terrà a Milano dal 18 al 20 marzo. Tra i temi principali, appunto, il ritorno ai luoghi abbandonati d’Italia, con le storie e le esperienze di chi ha scelto di lasciare la città per riprendere la strada della collina o della montagna. “Censire i ritorni non è facile – racconta Passerini – perché sono scelte individuali, caso per caso. Come Rete, tuttavia, abbiamo creato tre Scuole del Ritorno in Italia, proprio per aiutare chi desidera abbandonare la vita metropolitana a realizzare il proprio sogno. Per guarire dalla frenesia, ritornando a fare da sé”.
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it – di Annalisa Dall’Oca