Domani, martedì 2 agosto alle 18.30 a Villa Piccolo (Strada Statale 113, km. 109), nell’ambito di “Ingressi di paesaggi 2016” sarà presentato il libro di Massimo Onofri “Passaggio in Sicilia” (Giunti editore). Partecipano il drammaturgo Aurelio Pes e il giornalista e scrittore Alberto Samonà. La presentazione è organizzata da Mariella Bellinvia in collaborazione con la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella. Sarà presente l’Autore. L’ingresso è libero.
Una vera e propria guida-romanzo da affiancare alla guida turistica per entrare più profondamente nell’interiorità di una grande terra dalle stratificazioni culturali molteplici e complesse. Un’opera magmatica, ricchissima tanto di informazioni quanto di stimoli, di suggestioni, di illuminazioni; una originale nuova frontiera della narrazione. Se in Sardegna il silenzio e la solitudine s’ increspano in paesaggio, in Sicilia, invece, anche la natura più remota t’appare sempre come il risultato di una qualche civiltà, d’un coro di voci e di echi. Difficile non sentire anche percorrendo il più impervio dei sentieri, il sospetto di un’orma, fosse quella d’un sicano, un normanno o un saraceno.
Dopo il successo di Passaggio in Sardegna, il viaggio dello scrittore,saggista, critico letterario, docente di Letteratura italiana all’università di Sassari Massimo Onofri continua in Sicilia: l’isola da sempre amata ma poi perduta nella nostalgia. E Onofri parte da lì, da dove lo avevamo lasciato, cioè dal centro della Sardegna, con lo stesso spirito di quelle camicie rosse che s’imbarcarono, 150 anni fa, da Quarto per Marsala. Un viaggio verso quella terra-continente, bellissima e feroce, mitica e dolorosamente contemporanea, che i più grandi siciliani dell’ultimo scorcio del secolo scorso hanno patito come irredimibile.
Massimo Onofri scrive con dovizia di dettagli e piena confidenza stilistica lessicale, sfarzosa prosodia ritmica e lussureggiante, fraseggi barocchi accostati con da un acceso decorativismo, senso scenografico e cromatico della sintassi, prosa sfarzosa, traboccante di luci e ombre, scandendo un’esecuzione eroica di sillabe, vocaboli vorticosi che si armonizzano in una sinfonia altisonante con esaltazione spirituale con il bisogno irresistibile di aprire il suo intelletto e il suo cuore a un soffio di vita più alta. Dalla sua penna raffinata e dallo spirito delicato e inchino alla rarità del gusto, al piacere estetico, possedendo nella sua prosa la coltura abbondante e varia, l’immaginazione sviluppata e la parola colorita di chi ha viaggiato con la cura e l’osservanza rispettosa dei luoghi e della gente nel suo cammino. Trasmette al lettore un’aura esotica involgergli intorno con una seduzione e assuefazione inevitabile.
Un viaggio fuori dai percorsi obbligati dall’esotismo di massa, alla ricerca di sé, del sé. Ecco, allora, Palermo sontuosamente inesistente, con la sua corda pazza, il suo vitalissimo senso di morte; Catania felicissima e mondana, col suo erotismo di natura e quotidiano; Enna, elegantissima, alta e sola; Comiso viva e cordiale; Siracusa dolcissima e utopica; Marsala in versi e prosa; Caltanissetta operosa e civile; Agrigento con e senza Pirandello; Messina che, alla fine di tutto, non c’è più. E poi: i silenzi di Sciascia, gli ignoti marinai di Consolo, le euforie di Bufalino, le passioni di Guttuso e Buttitta, i sogni dipinti di Giuseppe Modica, e molto altro ancora.
Da un estratto di Passaggio in Sicilia su Capo d’Orlando e Lucio Piccolo: “…Il cimitero dei cani, infine, coi nomi degli animali imperituramente incisi sulle lapidi e i fiori sempre freschi sulle tombe: Alì, Pascià, Mamoud, Aladino, l’amatissimo Puck che Lucio teneva sempre sulle ginocchia, e poi Crab di Tomasi, morto lì in uno dei lunghi soggiorni dell’autore del Gattopardo, capolavoro che la leggenda vuole nato dall’invidia per il cugino poeta, dopo che Montale, scoprendolo, l’aveva fatto pubblicare e poi premiare a San Pellegrino. Già, la dolcissima follia dei Piccolo, tra la villa degli avi e il mare su cui s’affaccia, che ancora oggi, con le Eolie in lontananza, è un mare circesco e di sirene: non per niente lo stralunato Casimiro era convinto di parlare con gli spiriti, anche quelli dei cani. Casimiro, dico: grande esperto di fotografia e stregato pittore di acquarelli, che dentro quella luce di fiaba, da munchiano figlio di Bosch e Bruegel, sapeva trasfondere, sul volto di fate, elfi, folletti e gnomi, qualcosa della metafisica angoscia, della disperata incomunicabilità che fu del suo secolo.”