Ho paura delle parole vuote. E la sensazione è che da un po’ di tempo a questa parte – da qualche anno, almeno – anche la parola “antimafia” sia stata svuotata di significato. Scandali, interessi personali, gestioni poco chiare di beni confiscati, marketing e convention, carriere costruite su belle parole e dichiarazioni d’intenti: temo che nemmeno Sciascia avesse previsto tanto sfacelo quando scrisse per la prima volta dei “professionisti dell’antimafia”.
Piuttosto, complici gli insegnamenti che ho avuto la fortuna di ricevere, l’idea che ho sviluppato è quella di un’antimafia condivisa, partecipata (qualcuno potrebbe dire, probabilmente con ironia, “dal basso”). Quell’antimafia sociale, nella quale ognuno di noi è chiamato a compiere, nel proprio piccolo, atti concreti e gesti simbolici, che insieme possano dimostrare da che parte si è scelto di stare, se dalla parte di chi a mafia e corruzione strizza l’occhio, o dalla parte di chi questi poteri li vuole combattere e sconfiggere.
Credo che questo sia ciò che, sempre con umiltà, anche Cambiamo Messina dal Basso ha cercato di fare. Con numerose associazioni antimafia del territorio abbiamo promosso politiche di contrasto alla corruzione ed al gioco d’azzardo, per la trasparenza e la diffusione di comportamenti socialmente virtuosi quali quelli di coloro che si oppongono al ‘pizzo’. Ma non per questo abbiamo tralasciato quei gesti simbolici che ci danno la possibilità di condurre riflessioni condivise sull’importanza di combattere mafie e soprusi in tutte le loro forme, riaffermando diritti, eguaglianza e giustizia sociale.
E’ in questo processo che si inserisce la nostra adesione alla giornata di oggi e il contributo sostanziale che abbiamo provato a dare. E credo che, per come è andata, non potessimo davvero compiere scelta migliore. Quella di oggi non è stata, infatti, la semplice consegna di un foglio di carta, per quanto importante. Io oggi ho visto un grande abbraccio, tanti piccoli grandi abbracci. Ho visto il gesto collettivo di un popolo che ha voluto abbracciare non il suo magistrato-eroe (ché di eroi ne abbiamo avuti fin troppi), ma un suo compagno di lotta e di cammino. Non bastava conferire questa onorificenza nel freddo della stanza di un palazzo: c’era bisogno che a farlo fosse la comunità nel suo insieme.
Alla luce di tutto ciò, mi piace sottolineare il valore reale che questo gesto assume, perché accompagnato proprio da quegli atti concreti che richiamavo sopra. E’ questo che ha dato vera sostanza alla cerimonia di oggi.
Descrivere i volti di chi c’era, i gesti e le emozioni che abbiamo condiviso è compito arduo: lo lascio a chi la penna la sa usare davvero, consapevole del fatto che comunque non vi riuscirei. Forse sta tutto in quel “grazie” sussurrato da Di Matteo a un ragazzo di 13 anni a fine cerimonia o, chissà, nell’abbraccio tra Angela Manca e Renato Accorinti. Magari basterebbe questo a rendere l’idea, senza bisogno di aggiungere altro.
Trovo più facile, invece, per quanto più fastidioso, descrivere i volti di chi non c’era. Il volto, più di ogni altro, è uno: quello del Prefetto Stefano Trotta. A quanto ci risulta, non solo il Prefetto non ha ritenuto doveroso prendere parte all’iniziativa, ma non si è nemmeno preoccupato di rispondere all’invito, né di indicare un suo delegato. Non conosco le ragioni di questa scelta, e mi verrebbe da dire che nemmeno mi interessano. Ma, invece, mi (e ci) devono interessare.
Se si tratta di una sua iniziativa individuale, è stato senza dubbio uno sgarbo istituzionale di estrema gravità, per il quale dovrebbero essere presi provvedimenti adeguati da parte del Ministro degli Interni, che proprio oggi celebrava in grande stile (no, nessuna allusione all'”antimafia” del primo paragrafo) l’intitolazione ad Antonino Saetta e Rosario Livatino, magistrati uccisi dalla mafia, dell’aula magna del tribunale di Caltanissetta. Se, invece, l’ordine è partito da Roma, allora sembrerebbe proprio che le più alte istituzioni abbiano davvero gettato la maschera, isolando platealmente Di Matteo e chi oggi lo sosteneva.
Qualunque sia stata la ragione, il dato è che oggi a Messina eravamo tanti, tutti. Mancava solo il più alto rappresentante dello Stato in città.