Si è svolta nell’oratorio di San Vito un’interessante esposizione pittorica di Salvatore Celi, che ha esibito alcune sue opere appartenenti a diversi periodi della sua vita artistica ed ispirate ad un chiaro stampo surrealistico sulle orme di Salvador Dalì e René Magritte. In esse traspare la volontà di affermare i valori dell’inconscio facendone emergere le componenti profonde attraverso le icone del sogno e l’accidentalità dell’automatismo.
L’adozione di tecniche particolari, come la decalcomania, il frottage, ecc. ha lo scopo di offrire molto spazio al caso sfociante in immagini o in allusioni di esse. Peculiarità eminente è la suddivisione del motivo rappresentato nei due piani rispettivamente reale nella parte inferiore ed ideale in quella superiore, separati da una linea sottile, a tratti pronunciata, a tratti sottile o talvolta sfumata ad indicare due mondi apparentemente contrapposti, ma fortemente collegati dall’artista nell’intento di cambiare il vissuto attribuendogli qualità positive. I soggetti e gli oggetti raffigurati racchiudono in sé una connotazione prettamente simbolica: infatti, il mappamondo presente in tutte le sue realizzazioni rappresenta la testa umana, all’interno della quale si afferma la dimensione onirica. Il pavimento a scacchi con cunicoli, sospeso nel cielo, nondimeno indica un ordine intercontinentale in disfacimento, molto accentuato nel suo quadro dal titolo “Omen” (Presagio).
In “Sequenza onirica” lo sfumato di colori infonde nell’osservatore il senso dell’infinito, nel quale ciascun essere vivente può smarrirsi, mentre una mano tesa, posta al lato del dipinto rappresenta un appiglio di salvezza. In “Concessione di grazia” la chiave posta in basso riproduce uno strumento per elevarsi attraverso le ipostasi di plotiniana memoria verso eoni indefiniti e mondi iperuranici, dove trionfa l’essenza delle cose viste in un volume incorporeo. Un’opera di sicura denuncia è “Giustizia e paradosso” dal messaggio del tutto attuale: l’albero, le cui estremità sono inaridite, mentre la parte centrale è rigogliosa a manifestare l’inaridimento indicibile dei principi alla base della convivenza umana, mentre nel nucleo originario, da cui si diffondono, ancora resistono grazie all’unità ed alla condivisione dei suoi componenti. Il cromatismo rosso cupo, posto nella sommità, è sinonimo di eventi funesti aleggianti sulle vicende umane, ma una porta sita in alto a destra individua un buco nero fagocitante ogni aspetto della materialità. Il sole, ostacolato dai rami secchi, sembra essere una fioca luce lontana da raggiungere in fondo al tunnel. “Solidificazione eterea” denota una speranza ostruita da difficoltà insormontabili; le scale disegnate in alcuni tratti senza pioli impediscono l’ascesi verso una condizione migliore, anche se un piccolo squarcio si apre per accogliere chi vi riesce a raggiungerlo. Le linee e le crepe marcate, esasperate, palesi illustrano il profondo pathos di un artista nella sua quotidiana lotta contro le iniquità e le uniformità per affermare con la sua forza figurativa le virtù universali dell’umana natura, che oggigiorno sembrano definitivamente essere tramontate.
Foti Rodrigo