Non è facile rivisitare in chiave teatrale un kolossal, il cui successo è scolpito perennemente negli annali della storia cinematografica, come il capolavoro di Ridley Scott, che inaugurò il terzo millennio con la riconsiderazione di un’epica apparentemente remota, ma dai connotati etici del tutto attuali. A fornire una pièce sul palcoscenico ci ha pensato l’azione coraggiosa di Salvatore Cilona, un giovane attore e regista, che, sceverando i tratti salienti della trama, è stato abile nell’inscenare all’arena Montecroci una riedizione, con molti attori dilettanti e frutto peraltro di un progetto d’integrazione sociale per il coinvolgimento di alcuni giovani migranti africani incontrando il favore del numeroso pubblico ivi accorso.
“Mi ha colpito molto la storia del protagonista per il parallelismo metaforico con il vissuto reale, dove il debole riesce ad ottenere giustizia sul potente grazie all’apporto della folla. – ha spiegato Cilona – Pertanto ho voluto inviare il messaggio di rialzarsi sempre dinanzi agli ostacoli del destino. Con un cast formato da venticinque persone circa è stato difficoltoso sincronizzare le scene, ma la buona volontà di tutti, unita all’intento di volere offrire qualcosa di inedito, mi ha consentito di raggiungere un obiettivo quanto meno apprezzabile”. Un notevole apporto alla riuscita dell’opera è stato fornito dall’eccellente performance di Rosemary Calderone, che nel ruolo dell’Augusta Lucilla ha sublimato il dissidio interiore di una donna dibattuta fra l’amore, gli affetti familiari e la ragion di Stato: “La mia interpretazione rispecchia l’indole femminile a proteggere quanto di caro possa appartenere. – ha spiegato la giovane attrice – L’attualità del mio personaggio deve tendere ad una riflessione circa i tanti aspetti della realtà odierna, in cui le donne sono inserite e costrette a lottare per conciliare settori il più delle volte antitetici fra loro.
L’adattamento di siffatto dramma ha richiesto molti mesi e devo elogiare Salvatore Cilona per essere stato finora l’unico ad effettuare un azzardo col mandare in scena un lavoro articolato per la gestione del cast e l’integrazione di rifugiati africani riuscendovi con successo”. Il prevalere dell’azione è mitigato nella sua parte iniziale dalle riflessioni filosofiche dell’imperatore Marco Aurelio sulla grandezza di Roma e sulla validità delle gesta militari, una parte recitata egregiamente dal poeta, scultore, pittore ed attore Giuseppe Messina: “Il personaggio interpretato è il frutto di anni trascorsi nella prestigiosa scuola del maestro Salvatore Solìda, che mi ha forgiato infondendomi un’espressività a trecentosessanta gradi. – ha chiosato il celebre artista – L’interpretazione dell’imperatore stoico mi ha consentito di presentare al pubblico una figura dall’alto profilo culturale, politico e sociale, il cui intento progressista di volere restituire Roma alla sovranità popolare è stato concepito in quel tempo come un atto talmente sovversivo da rimanere ucciso dal proprio figlio Commodo”. Nell’opera la costante percezione della morte ha aiutato a spiegare la dinamica della trama, di cui protagonista è il “Gladiatore”, il quale ha alimentato il grande entusiasmo popolare lasciando intendere di rappresentare la lotta quotidiana con la morte fornendo il modello per affrontarla eroicamente. Sfidando eroicamente la morte, è possibile dominarla per il presente, sconfiggendo il proprio avversario, oppure combattendo coraggiosamente con l’avere perfino di fronte forze soverchianti di numero, si poteva conseguire un onore da eroe, pure in una sconfitta che la trascendeva.
Foti Rodrigo