Di seguito una nota diffusa stamani da Martina Hause. Pertanto, riceviamo e pubblichiamo: <<Report ha raccontato, a suo modo, la favola del protocollo di Kyoto. «La storia inizia con il protocollo di Kyoto – dice la Gabanelli – il clima sta cambiando perché inquiniamo troppo, ragion per cui arrivano le bombe d’acqua che creano i noti disastri. Da anni tutti i paesi industrializzati devono ridurre le loro emissioni di CO2. Se non ce la fai a ridurle nel paese tuo, ti inventi qualcosa per andarle a ridurre in un paese emergente, che così vai a credito.».
Infine, il canta-fiabe in studio, volendo cercare una morale nella storia, chiede: «Perché mettiamo i soldi nostri per ridurre le emissioni altrui quando invece potremmo investire qui e ridurre le nostre emissioni?».
Banale.
La famosa conduttrice è fuori strada: dovrebbe sapere che c’è una legge dello Stato, votata dal Parlamento il 1 giugno 2002 (n.120), che da’ attuazione agli impegni assunti dall’Italia e dagli altri paesi della UE, nell’ambito delle Nazioni Unite.
La legge stabilisce che l’Italia deve partecipare alle iniziative internazionali per assicurare “la promozione nei paesi in via di sviluppo di programmi per l’adattamento ai cambiamenti climatici, il trasferimento di tecnologie a basse emissioni o emissioni zero, la promozione delle migliori pratiche sostenibili nell’energia, nei trasporti, nell’agricoltura, nella gestione delle foreste, nella gestione dei rifiuti.”.
Capisce, Gabanelli? Esistono delle Leggi: niente furbate per trasferire emissioni nei paesi poveri e prendersi crediti, ma impegni vincolanti per realizzare programmi di cooperazione ambientale.
NON ABBIAMO INVENTATO NULLA.
Per dare attuazione a queste Leggi, gli altri Paesi europei hanno istituito agenzie e direzioni generali con centinaia di esperti, mentre in Italia, il personale che doveva fare questo lavoro, è da 15 anni in posizioni precarie, mal pagato o tal volta non pagato, come è capitato a me. Abbiamo lavorato più ore dell’orologio, cercando di saltare da una parte all’altra del mondo, per assicurare all’Italia una rappresentanza ed un ruolo adeguati a un paese G8, “tappando i buchi” della non organizzazione italiana, facendo assumere al nostro paese posizioni leader in molti occasioni e in molti paesi, come ripetutamente riconosciuto.
L’impronta ambientale serve per tracciare le emissioni di co2, non solo dei prodotti. Serve, inoltre, alle aziende italiane per avere i requisiti richiesti da un punto di vista ambientale e poter vendere i propri prodotti sui mercati internazionali. Se una merce prodotta in Usa o Uk ha l’impronta ambientale mentre quella italiana non c’è l’ha, parte con uno svantaggio.
Ho promosso il programma per la valutazione dell’impronta ambientale dei prodotti per offrire alle imprese italiane uno strumento responsabile e rigoroso di auto-valutazione delle proprie performance ambientali ed energetiche, basato sulla analisi del ciclo di vita dei prodotti Life Cycle Assessment (LCA). Il “driver” del programma è stato senza dubbio costituito dal “combinato disposto” della collaborazione assicurata dal Ministero dell’Ambiente e della volontarietà dell’impegno delle imprese, senza i vincoli e gli “incubi” di dover rispettare regole e procedure sottoposte al controllo delle “burocrazie ambientali” dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali : burocrazie che hanno avuto spesso un ruolo significativo nella crisi della competitività e dell’innovazione dell’economia italiana.
Il programma ha favorito lo sviluppo di attività di ricerca e riorganizzazione finalizzate al miglioramento dell’efficienza nel ciclo di produzione e distribuzione dei prodotti, alla riduzione dei costi ed all’aumento della competitività.
Per quanto il programma sia stato promosso e realizzato in piena crisi economica, i risultati per le imprese sono positivi, così come è positiva la formazione – per quanto a livello di nicchia – di una nuova area nella consulenza ambientale ed energetica, costituita da esperti qualificati dentro e fuori le imprese.
Porti rispetto almeno per questo, chiedendo scusa pubblicamente a tutte queste persone che si sono sentite offese dalle sue banalità, esperti che hanno fior di lauree, master, dottorati di ricerca e parlano almeno due lingue straniere.
E non faccia fare brutte figure al povero Chianca, in vacanza in Montenegro, a spese nostre, per intervistare passanti in bikini, sul nostro lavoro. Rendiamoci conto: la tv di Stato intervista una sconosciuta signora in bikini che dal Montenegro chiacchiera sul nostro lavoro. Giornalismo investigativo? Diritto di cronaca? Mah!>>
Roma, 3 dicembre 2014 – Martina Hauser