Resoconto dell’incontro organizzato nel Palazzo della Cultura dall’Associazione Dimensione Pandora sul libro di Nino Milazzo “L’uomo dei tramonti che amava la politica”, presentato dal sindaco Enzo Bianco, dai giornalisti Elvira Seminara, Giuseppe Di Fazio, Giuseppe Lazzaro Danzuso e dallo stesso autore, Nino Milazzo.
“Trovare l’assoluto è impresa difficile, forse impossibile. Io ci provo”. Nino Milazzo, da oltre mezzo secolo maestro di giornalismo e maître à penser, non nasconde il profondo bisogno interiore che ne fa un uomo ancora diviso tra il recinto agnostico e il rifiuto del nulla. La medesima tensione travaglia il protagonista della sua recente fatica letteraria “L’uomo dei tramonti che amava la politica”, edita la scorsa estate da Città del Sole. Alter ego dell’autore, Federico è un famoso giornalista entrato nella “nuova” soglia della vecchiaia, gli 80 anni, quando i calar del sole si vivono nella consapevolezza dell’avvicinarsi del trapasso.
Che uso ha fatto della sua vita? In cosa crede, lui ancora così lucido e così pessimista? Anche il suo mondo, l’Occidente, è alla fine? Su interrogativi e tematiche di tale spessore è stato chiamato a riflettere il folto pubblico intervenuto alla presentazione del libro, svoltasi ieri nel Palazzo della Cultura e organizzata dall’associazione Dimensione Pandora in collaborazione con l’Assessorato ai Saperi e alla Bellezza condivisa del Comune di Catania. Per l’occasione è intervenuta una prestigiosa terna di relatori – il sindaco Enzo Bianco, il giornalista Giuseppe Di Fazio, la scrittrice Elvira Seminara – legati a Milazzo da lunga frequentazione e affinità elettive, come del resto il giornalista Giuseppe Lazzaro Danzuso, che ha moderato l’incontro. A fare gli onori di casa l’assessore Orazio Licandro.
Riflettori dunque su Nino Milazzo, protagonista di una straordinaria carriera che l’ha visto vicedirettore del Corriere della Sera, condirettore de La Sicilia, vicedirettore vicario de L’indipendente, direttore di Telecolor, collaboratore ai programmi di Enzo Biagi ed attualmente Presidente del Teatro Stabile di Catania. E numerose pubblicazioni di rilievo hanno preceduto “L’uomo dei tramonti che amava la politica”, un’opera che esce dai canoni, felice ibrido tra romanzo, pamphlet, noir, autobiografia.
“Vecchiaia”, “nulla” e appunto “tramonto” sono le parole chiave del testo individuate da Giuseppe Di Fazio, caporedattore del quotidiano “La Sicilia”. Milazzo si pone domande universali – cosa resta? cos’è essenziale? – sapendo che non c’è risposta, giungendo piuttosto ad una “conoscenza affettiva”, nella quale l’esperienza razionale e l’uso della ragione si fondono con il sentimento del cuore. Il fascino di un tramonto può così divenire metafora di una civiltà in declino, ma ciò che conta è non smettere mai di cercare il senso della vita. Solo così – evidenziava Di Fazio – possiamo produrre quei frutti maturi di saggezza che fanno della vecchiaia una nuova giovinezza.
La personalità di Federico – ha sottolineato Elvira Seminara – si configura come un antieroe melanconico ma non per questo depresso, deciso a non adeguarsi al conformismo, spirito libero che alimenta in sé il senso critico e autocritico. Conscio, per dirla con Nietzsche, dell’illimitata incompletezza della realtà, Federico sconta la perdita del pensiero organico, il disgregarsi della gerarchia dei valori che si riverbera nel mestiere del giornalismo, dove – per accumulazione e appiattimento dei media – neanche tra le notizie è ormai semplice scorgere le priorità. Quando su Federico si abbatte l’apocalisse della vecchiaia, l’ombra del crepuscolo aleggia ormai su tutto il suo mondo. E il malessere del protagonista – ha concluso la Seminara – è lo stesso del Paese Italia, ne descrive lo sgombero, il fallimento.
Sì, Federico assomiglia molto al suo autore, un intellettuale raffinato, con lucida capacità di visione: così Enzo Bianco descrive Milazzo, con cui condivide da decenni una nobile passione politica, fondata su un’idea dell’Italia, inserita in un contesto occidentale e vocata all’europeismo. Una concezione in cui il Meridionalismo deve essere caratterizzato da severità e fermezza nel richiedere attenzione. Bianco delinea altresì Milazzo come figura eclettica, in grado di trascorrere con eguale competenza dalla politica estera al mondo del calcio, che vive bene e con successo fuori dalla Sicilia, dove non si trova del tutto a proprio agio ma ritorna per magnetica attrazione, come dimostra il suo rapporto con Catania, quella che ama e quella che contesta. Come dimostra questo libro.
«L’ho scritto – confessa – perché l’avevo dentro. Ma non mi prendo troppo sul serio. Amo certo la scrittura. Ho fatto troppo poco il cronista e troppo presto l’opinionista. Ora mi tocca raccontare. Ho attinto agli stereotipi di una terra malata. Tuttavia, con buona pace dei Gattopardi, non siamo né vittime, né semidei. La Sicilia ha purtroppo vissuto il più lungo medioevo della storia europea, fin dopo l’Unità. Dentro il libro c’è tutto me stesso, ma non è un’autobiografia. Di Federico condivido la passione per la politica come pensiero e come proposta; quando diventa “potere” vado da un’altra parte e mi trasformo in inflessibile censore. La mia ricetta anticrisi è prima di tutto culturale e ricalca il percorso compiuto da me stesso, che da fascista convinto mi sono convertito alle idee di democrazia e libertà. La mia ricerca della fede è invece a metà strada, ma non mi fermo. In una società che esalta il giovanilismo e rottama il vecchio, io rivendico il valore del peso degli anni. Non mi fanno paura la notte e la morte. Il mio è un inno alla vecchiaia, al potenziale rinnovamento di ognuno senza necessità di rottamare nessuno».