Lettere a Tito n. 81 – Quando la Calabria esportava Santi – La storia di San Falco da Taverna (CZ) protettore di Palèna (Chieti) e di altri sette Santi calabresi venerati in Abruzzo.
Caro Tito, c’è stato un tempo in cui la Calabria esportava “Santi”. Il più celebre di tutti è, senza dubbio, san Francesco di Paola (1416-1507), cui chiesero aiuto re e potenti (come il re di Francia e specialmente il re di Napoli, città dove gli è stata dedicata una grande basilica proprio davanti al palazzo reale). Purtroppo è assai poco noto che (verso l’anno 980 dopo Cristo) otto monaci provenienti dalla calabrese e silana Taverna (adesso in provincia di Catanzaro) sono divenuti “Santi” in Abruzzo dove ancora oggi esiste il loro culto, alcuni pure come protettori. Infatti, di uno di loro, San Falco, sono imminenti i festeggiamenti dal 16 al 18 agosto a Paléna in provincia di Chieti (nella foto la parte superiore del grande manifesto). Ti racconto come ho appreso di questi otto santi monaci calabresi venerati in terra d’Abruzzo.
Nell’estate 2007 al mare di Vasto è stato mio vicino d’ombrellone Antonio Rapa, il quale, appena ebbe appreso che ero calabrese, mi disse che il patrono del suo paese natìo (Paléna, sulle falde orientali del massiccio montuoso della Maiella) aveva come patrono proprio un santo calabrese, San Falco, proveniente da Taverna (paese meglio conosciuto come luogo di nascita del grande pittore Mattìa Preti). Nel 2001 fu realizzato un gemellaggio tra Paléna e Taverna a motivo di San Falco e, nell’occasione, fu ristampato un opuscolo del canonico Cesare Falcocchio, edito a Napoli nel 1817 (1847?) dal titolo “Compendio della vita e miracoli del glorioso S. Falco eremita protettore della città di Paléna” di cui mi diede copia e qui ne riproduco la copertina. Qualche mese dopo, ho scritto a riguardo un articolo pubblicato da “Punto & @ Capo” il mensile calabrese diretto da Pietro Melìa (allora giornalista RAI) e stampato dalla Sud Grafica di Davoli Marina (CZ). Mandai copia di questo articolo al Sindaco di Taverna, all’Associazione Culturale Palenese e ad altri.
Nella prima decade dello scorso mese di luglio 2014, lo stesso Antonio Rapa, sapendo che andavo cercando gli “Extreme Point” di ogni paese, mi disse che anche Palèna ha un suo “punto estremo” e che, per di più, il suo nonno materno, Carlo Filippo Mascetta, ne aveva addirittura intitolato il proprio libro “Il Colle del pianto” (Diario di guerra e di prigionia 1916-1918) edito nel luglio 2008. Incuriosito da questa ulteriore novità, desideravo tanto andare a Palèna. Così, poco meno di un mese fa, sabato 19 luglio, Antonio mi portò a visitare il paese di San Falco, del quale ho visto chiesa, reliquie ed altre teche. Del palenese “extreme point” ti dirò in altra lettera. Qui continuo a raccontarti di San Falco e dei suoi 7 confratelli, mentre mi tocca ringraziare oltre che Antonio Rapa e le sue sorelle anche don Sante, il parroco di Palèna, il quale molto gentilmente mi ha inviato un altro prezioso opuscolo su “San Falco” dato alle stampe da don Antonino Chiaverini (1905-1995) nella tipografia “Labor” di Sulmona (L’Aquila). Tale documento è senza data di pubblicazione.
Nel prossimo mese di settembre invierò in omaggio alla Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro (VV) i due opuscoli su San Falco e alcune sue significative immaginette, assieme ad altri libri di tematiche e/o autori calabresi come sono solito fare ogni anno da un po’ di tempo in qua per contribuire ad aumentare non soltanto la consistenza numerica dei documenti cartacei o digitali della nostra biblioteca regionale centrale ma soprattutto la memoria e l’orgoglio di essere e di sentirsi parte di una civiltà assai originale come sta dimostrando nelle sue predicazioni e nei suoi “Sissizi” quel Salvatore Mongiardo che ricorre spesso nei miei “input” sociali.
In breve, c’è da dire che Falco ha fatto parte di quel gruppo di otto monaci basiliani, guidati da Ilarione, in fuga dalla Calabria che allora (attorno al predetto anno 980) era ancora di più messa a ferro e fuoco dagli attacchi saraceni (ricordiamo che i basiliani erano già stati costretti a scappare da altre terre d’Oriente e d’Occidente sotto l’incalzante avanzare dei musulmani … un impetuoso avanzare che potrebbe essere paragonato alla “guerra santa” e per crudeltà – forse – all’attuale movimento militare fondamentalista jihadista dell’ISIS teso dall’Iraq alla conquista anche del Mediterraneo e, nei programmi, persino di tutto l’Occidente indegno ed infedele). Dopo tanto peregrinare, i nostri otto monaci calabresi (Ilarione, Falco, Nicolò, Rinaldo, Franco, Stefano, Giovanni e Orante) giunsero in Abruzzo, nella ampia vallata del fiume Aventino (nel territorio dell’antico popolo italico dei Peligni, oggi Diocesi di Sulmona) e qui posero i loro eremitaggi come base per la loro vasta opera apostolica, umana e religiosa.
Ci sono varie ipotesi sul perché tali monaci si fermarono sui costoni della Maiella (la Montagna-Madre, come ancora viene chiamata) e non invece in una delle tante foreste appenniniche della Basilicata, della Campania, della Puglia o del Molise, attraversate dal loro itinerario. L’ipotesi che mi sento di condividere è quella secondo cui le popolazioni che abitavano attorno al grande massiccio della Maiella avevano fama di costumi osceni quando non addirittura demoniaci. Non a caso il monaco Falco ebbe a combattere e a domare, com’è tradizione, possenti demoni che infestavano quei luoghi, riuscendo a bonificare e a purificare quelle terre che oggi lo osannano santo protettore e specialmente difesa efficace contro gli spiriti maligni, guarendo anche gli ossessi. Ritengo, perciò, che quella zona della Maiella fosse proprio la loro méta missionaria. Probabilmente ci fu pure un richiamo antico, visto e considerato (come ti ho scritto il 09 gennaio 2014 nella lettera n. 70 a proposito di Giovanni Balletta) che mille anni prima i Romani proprio qui in questa zona tra Abruzzo e Molise deportarono nel 202 avanti Cristo gran parte dei calabresi ancora validi (cioè, i Bruzi sconfitti). Quindi nella zona della Maiella c’erano ancora gli eredi dell’antica Calabria.
Comunque sia, questi otto monaci calabresi vissero da santi e santi furono tutti proclamati. Alcuni di loro diventarono “patroni” di paesi posti attorno alla Montagna-Madre fino al mare Adriatico. Nel 2008, anche tramite l’aiuto del dr. Giacomo Matacera di Soverato allora neo-assessore alla pubblica istruzione della Provincia di Catanzaro, ho suggerito alla Presidente di quell’Amministrazione provinciale, Wanda Ferro, di proporre un Gemellaggio alla Provincia di Chieti proprio a motivo di questi otto santi calabresi che lì vengono venerati. Purtroppo, dall’Abruzzo non è pervenuta alcuna risposta (nemmeno un semplice riscontro di cortesia).
Di San Ilarione non si hanno ulteriori notizie, mentre San Falco è divenuto patrono di Paléna e San Rinaldo è protettore di Falloscoso (oggi frazione di Torricella Peligna). San Franco ha dato nome alla città di Francavilla a Mare di cui è patrono così come patrono di Ortucchio (adesso in provincia de L’Aquila, nella Marsica) è Sant’Orante. San Nicolò è venerato a Guardiagrele, che ne conserva il corpo. San Giovanni ha dato il nome alla città di Rocca San Giovanni dove è venerato, alle porte di Lanciano capoluogo dei Frentani. Santo Stefano (detto anche Santo Stefano del Lupo) è sepolto nell’eremo di Santo Spirito, luogo dove meditò a lungo Pietro da Morrone (che poi fu papa Celestino quinto, santo pure lui) quando era asceta nell’erta vallata che oggi è nel territorio di Roccamorice (in provincia di Pescara) da me visitato nell’estate 1996. Personalmente non ho ancora capito se questo Santo Stefano del Lupo sia lo stesso santo che è venerato nel paese di Carovilli, qui in Molise a pochi chilometri da Agnone, dal momento che tante loro situazioni coincidono. C’è inoltre da dire che, come nome di persona, Falco è diffuso in Abruzzo ma anche nel vicino Molise.
Per il momento è tutto. Se ci saranno utili aggiornamenti non tarderò a comunicarteli. Intanto, Buon Ferragosto a te e a tutti i nostri lettori. Saluti e baci, Domenico Lanciano
Pubblicato il: 13 agosto 2014 @ 10:31