Dipendenza-affettiva-e1383755211415L’utero, le braccia ed il seno. Il primo luogo del mondo affettivo è sicuramente rappresentato dall’utero della madre e poi dalle sue braccia e dal suo seno. Questi sono sicuramente i luoghi più caldi d’amore e più confortevoli che il bambino potrà incontrare se la madre, come dovrebbe, è ricca di quelle particolari qualità che noi chiamiamo “materne”. Nel ventre della donna, dopo i primi battiti del piccolo cuoricino, prima che gli organi si siano formati completamente, il bambino che già vive, ascolta e percepisce quello che prova sua madre, sente la voce del padre, avverte le emozioni attorno a lui.

Ed è sempre nel ventre materno che l’Io del bambino comincia a disegnarsi sfruttando sensazioni ed emozioni. L’Io comincia a costruire la sua identità dai piccoli messaggi che gli arrivano direttamente o tramite il corpo ed il sangue materno il quale, come un fiume, trascina e porta con sé molte cose che incontra nella sua strada. Quando il bambino nasce, già conosce e si lega alla madre e al padre se questi, durante l’attesa, hanno saputo dargli un ambiente sereno e se, una volta nato, hanno saputo dialogare con lui soddisfacendo i suoi bisogni, e l’hanno saputo proteggere dalle contrarietà, dalle paure e dalle tensioni.

Se tutto questo è avvenuto, nascerà tra lui ed i suoi genitori un legame di attaccamento ricco di elementi costruttivi e positivi che sarà fondamentale in ogni momento della sua vita.

Subito dopo le braccia della madre e del padre sono sicuramente luoghi caldi, sicuri e confortevoli le braccia dei nonni e degli zii, dei fratelli e delle sorelle.

La culla.

Insieme e accanto alle braccia vi sarà certamente una culla.

In tutte le civiltà la culla ha rappresentato il prolungamento delle braccia dei genitori. Le madri di ogni paese e di ogni luogo, hanno sempre fatto a gara per renderla la più accogliente, calda e bella possibile. Concava come le braccia e l’utero della madre, essa accoglie, contiene e riscalda il bambino nelle sue prime esperienze di vita.

I pizzi, i merletti e le calde stoffe sui quali, nei mesi dell’attesa, la donna lavora con lena, rappresentano quasi le parole d’amore ed i sentimenti teneri e delicati con i quali vuole circondare il suo bambino durante il sonno e nelle ore di parziale distacco.

La stanza

Dopo le braccia e la culla vi è la stanza. Stanza condivisa inizialmente con quella dei genitori, per dormire sereni ascoltando il loro respiro e avvertendo, anche attraverso gli odori ed i rumori, la loro attenta presenza, e poi, se le condizioni economiche ed abitative lo permettono, vi è la propria stanzetta. Uno spazio non lontano da quello dei genitori, affinché questi possano rispondere prontamente ai segnali di aiuto o di bisogno. Uno spazio questo da conquistare gradualmente e con coraggio. Pochi metri separano la sua stanzetta dal lettone dei genitori eppure quei pochi metri sembrano chilometri al bambino piccolo, che si sente solo e spaurito nel momento in cui i suoi sensi non riescono ad avvertire la presenza fisica di papà e mamma.

Tutti gli spazi nei quali il bambino si muove a proprio agio e serenamente non sono solo un’introiezione del mondo fisico ma rappresentano una conquista ed una acquisizione psicologica ed affettiva, che attiva nuove potenzialità e lo prepara alla conquista di mete future.

Ogni acquisizione però può andare perduta se le condizioni ambientali sono troppo traumatiche. I traumi possono essere di vario tipo: difficoltà nella comunicazione, scarsa e saltuaria presenza dei genitori o loro allontanamento, frequenti ricoveri e visite mediche, carenze alimentari, conflitti familiari, scarso rispetto dei tempi fisiologici che permettono il passaggio graduale da una condizione ad un’altra più difficile da conquistare ed accettare.

Spazio fisico, maturità e serenità interiore, sono strettamente collegati e correlati.

Di ciò ci rendiamo conto quando nell’inutile e vana speranza di accorciare i tempi fisiologici si propongono al bambino degli spazi lontani dai genitori, troppo vasti o sconosciuti: il dormire nella stanza accanto, la casa dei nonni, l’asilo nido ecc..

Le sue reazioni sono note. La prima è di allarme: si stringe ancora di più alla madre, si aggrappa e lega alla sua mano e al suo vestito in modo convulso, e la guarda in modo disperato e la prega di non andare, di non allontanarsi, di non lasciarlo solo. La seconda è di chiara paura: trema, impallidisce e suda, prima di comunicare con il pianto o con le parole, il suo disagio e poi la sua struggente sofferenza.

Questa sofferenza potrà manifestarsi in molti modi, con una maggiore irritabilità ed instabilità motoria, con scoppi di pianto improvviso, con aggressività, con manifestazioni fisiche, con la fissazione a stadi che per l’età dovrebbero essere abbandonati e, nei casi più gravi, con la regressione a stadi già superati.

I bambini che manifestano più difficoltà a conquistare nuovi luoghi e nuovi spazi sono proprio quelli che hanno più problemi psicologici. Questi, non riuscendo ad impadronirsi dei luoghi e degli spazi attorno a loro, rimangono a lungo nella stanza o addirittura nel lettone fisicamente ancorati ai corpi dei genitori in quanto le paure e le ansie, che sono importanti segnali di sofferenza e patologia, li costringono per anni ad un legame fisico con questi.

La casa.

Dopo la loro stanzetta vi è la conquista di tutto l’ambiente della casa.

È difficile pensare ad una famiglia, ad un uomo, ad una donna e ai loro bambini senza pensare al loro basilare ambiente di vita: la casa. È difficile pensare all’uomo senza vederlo seduto davanti al fuoco di un camino scoppiettante. Difficile non vederlo operoso dentro le mura domestiche a costruire, sistemare o riparare. Difficile non immaginarlo mentre attorno alla sua abitazione è intento a seminare, piantare, raccogliere, lavorare i campi.

È difficile pensare ad una donna senza vederla affaccendata nel pulire e rendere accogliente questo luogo particolare. Com’è difficile non vederla cullare e curare i suoi piccoli, protetti dal freddo, dalle intemperie e dai nemici dalla pareti di una casa costruita dal suo uomo.

La casa è il luogo che ci protegge e accoglie. Tempio quasi sacro per la famiglia, è anche il luogo che ci aiuta a crescere.

Ma le case non sono tutte uguali. Mai sono state uguali.

Gli ambienti dell’uomo sono stati modellati per adattarsi alle condizioni più diverse. La casa era ed è di fragili foglie e rami, quando questi sono gli elementi più comuni per costruirla e non servono grandi protezioni. Era di ghiaccio, quando si era circondati solo da immense distese bianche. Era di blocchi di granito o di pietre, quando il pericolo delle incursioni si presentava più pesante e grave.

Era piccola, quando la natura offriva alle persone ampi spazi comuni in cui vivere, giocare e amare. Diventava grande, quando l’uomo non riusciva a vivere in pace negli spazi naturali, ed era costretto a chiudersi dentro alte mura cercando di portare nella casa il mondo. come nei castelli e nelle dimore principesche,

Case di pietra, case di foglie, case di rami, case d’acciaio, case di fango e d’argilla, case di ghiaccio. Case piccole e povere. Case lussuose, maestose e ricche. Case umide, grigie e fredde. Case bianche, assolate e calde.

Anche la loro posizione era legata alla situazione del momento. Case poste in alto come sparvieri, per aumentare le difese e controllare l’arrivo degli invasori dal mare. Case lambite dalla spuma dei marosi, per facilitare la pesca ed i commerci. Case ai margini dei fiumi, per utilizzare le loro acque ed i frutti di una vegetazione lussureggiante e ricca. Case poste l’una accanto all’altra, come per sostenersi ed aiutarsi a vicenda, nei paesi poveri, ma abitati da persone legate da intense relazioni di vicinato. Case poste l’una lontana dall’altra, per evitare contatti sgradevoli tra vicini ingombranti con i quali non si vuole condividere nulla.

Case leggere come piume. Case pesanti come roccia e acciaio. Case piene di odio, case colme d’amore. Case scaldate solo da un fuoco acceso in stufe di preziosa maiolica. Case scaldate dalla tenerezza. Case distrutte dai barbari, case distrutte dall’odio di chi le vive. Case calde d’amore anche se povere, case fredde nonostante i termosifoni accesi.

Case di condominio nelle quali dopo aver superato cancelli, fotocellule e sistemi antiladro e antintrusione bisogna spingere pesanti porte blindate per entrare, oppure case sempre aperte, con la chiave lasciata nella toppa per invitare i vicini ed i parenti ad uno scambio e un saluto.

Ville principesche guardate a vista da una muta di cani o da gendarmi o case povere e umide, che il verde avviluppa e ricama.

 

Che cosa rappresenta la casa per l’uomo?

  • La casa è rifugio.
  • La casa è la culla dei sentimenti.
  • La casa è il luogo della comunicazione.
  • La casa è il luogo dell’accoglienza.
  • La casa è l’arena.
La casa è rifugio.

Rifugio per proteggersi dalle intemperie, dai pericoli che vengono dall’esterno, dalle fiere, dai vandali, dai ladri, dai rapinatori. Più il pericolo esterno è grande o comunque più viene avvertito come tale, più l’abitazione sarà munita di difese contro ogni intrusione. Oggi la paura nei confronti del mondo esterno deve essere notevole se abbiamo bisogno di blindarla con cancelli, porte corazzate e sofisticati sistemi di allarme.

Al contrario, doveva essere nulla per quell’uomo barbuto che incontrammo nelle grotte vicine all’antica colonia greca di Leontinoi.

Come tutti i ragazzi di paese, nelle nostre giornate vi era sempre la ricerca di avventure da vivere prima direttamente e poi da raccontare per giorni e giorni seduti in gruppo sugli scalini di una casa, durante le fredde giornate d’inverno ai ragazzi più piccoli, per provocare e cercare il loro stupore e la loro ammirazione. Avevamo già scoperto, qualche mese prima, sotto il ponticello che sta proprio alla fine del nostro paese, un sacco pieno di chincaglierie, allora oggetti preziosi, lasciato da qualche ladro della zona. La notizia del ritrovamento di alcune penne stilografiche, orologi, portafogli vuoti e spille, che ci eravamo divisi coscienziosamente, si era già diffusa tra i coetanei ed i ragazzi di tutte le età facendo aumentare notevolmente il prestigio della nostra banda. Questo aumentato prestigio ci spinse a nuove e più rischiose avventure fino a farci arrivare nelle grotte di S. Mauro, vicino ai resti dell’antica Leontinoi. In una di queste grotte, quasi all’ingresso, ci imbattemmo in un altro sacco di iuta. Il contenuto ci deluse e sorprese non poco: un pentolino, dei fiammiferi, qualche noce, un pezzo di pane raffermo, una camicia. Stavamo in cerchio noi ragazzi, discutendo animatamente su chi poteva essere il proprietario di quello strano sacco, quando un’ombra alta e maestosa con una lunga barba brizzolata si erse davanti alla grotta quasi chiudendola con la sua mole. Capimmo subito che il proprietario di quella barba era anche il proprietario del sacco e che avevamo violato, senza saperlo e senza volerlo, una proprietà privata. Non sapendo se tentare la fuga o no, ci guardavamo l’un l’altro in attesa della tempesta in arrivo. Ci stupimmo non poco quando dalla bocca, che si scorgeva appena in mezzo agli ispidi peli di una barba fluente e brizzolata, una voce calda e serena ci diede il suo saluto ed il benvenuto nella sua dimora. Come ci stupì il racconto di quell’uomo che aveva trovato serenità e gioia nell’eremitaggio e nella estrema semplicità della sua vita! Ma più di tutti ci incantò e ci sorprese lo scoprire che in quel sacco vi erano tutti i suoi averi, dei quali, tra l’altro, non gli importava proprio nulla, tanto che non ci aveva neanche rimproverato per averli maneggiati. Anche allora, quando ancora il consumismo non aveva invaso la nostra vita e le nostre case, ci sembrò incredibile che un piccolo sacco potesse contenere tutto il necessario per vivere felici!

La casa è la culla dei sentimenti.

Dai più dolci, quando alberga l’amore, la comprensione e l’accettazione reciproca, ai più aspri, quando diventa terreno di violenza e di scontro.

Quando i bambini si recano nella casa di un amichetto avvertono immediatamente queste sensazioni. Spesso noi genitori non capiamo perché amano recarsi da un amico piuttosto che da un altro, per poi scoprire che non è tanto il rapporto con l’amico che li attira o li spaventa ma l’atmosfera che si respira nelle varie abitazioni. La casa più gradita non è la più ricca di giocattoli ma quella dove non vi sono adulti che gridano, aggrediscono o rimproverano continuamente.

La casa è il luogo della comunicazione.

Nella casa si dialoga, si prendono le decisioni più importanti per la famiglia, essa tuttavia può diventare anche luogo di silenzi, di chiusure, di scontri e di lotta.

La casa è il luogo dell’accoglienza.

Accoglie il forestiero stanco ed affamato. Accoglie i sentimenti d’amore dei giovani sposi. Accoglie le nuove vite, le protegge e le aiuta a formarsi e svilupparsi. Accoglie gli amici ed i parenti.

Nelle case si consolidano i legami o ci si separa. Nella casa ci si incontra e ci si scontra. Nella casa si generano nuove vite umane ma, se immersi nell’odio, si possono anche uccidere delle preziose vite.

La casa è l’arena

La casa è l’arena nella quale le persone che la abitano, acquisiscono pratica e crescente abilità nell’assolvere una grande quantità di ruoli sociali. Si impara ad essere madre e padre, figlio e nonno, zio e nipote, fratello e sorella.

 

Non è indifferente il tipo di casa.

Nei piccoli paesi c’erano, e ci sono ancora, le case dai vicoli stretti, l’una accanto all’altra, l’una che sostiene l’altra, l’una che respira e si fronteggia con l’altra. Case per parlare con i dirimpettai. Case che odorano di biancheria appena lavata. Case che sembrano vive. Case nelle quali gli odori si mischiano e confondono come le voci e le storie delle persone che le abitano. Case bianche e splendenti come i vestiti delle giovani spose o sporche e cadenti come i visi dei vecchi seduti sui muretti posti accanto alla porta.

Le case dei condomìni delle grandi città affollate, nelle quali spesso siamo costretti ad abitare, sono quelle più diffuse, ma sono anche le più anonime, tristi e violente.

Queste case fanno sentire al sicuro perché accanto, sopra e sotto la propria abitazione, vi sono delle persone e la loro presenza dà conforto. Spesso però queste case diventano i luoghi delle gelosie, delle invidie, delle aggressività, delle guerre e delle battaglie tra condòmini nelle aspre riunioni di condominio. In queste riunioni, i gentili vicini, si trasformano in nemici implacabili che aggrediscono, insultano o approfittano per manifestare senza freni arroganza e aggressività nella ricerca del proprio esclusivo tornaconto.

Tra le case di paese è facile che viva o sopravviva la famiglia allargata. E’ facile, tra le piccole case dei paesi, che il bambino ritrovi nonni zii, zie e cugini accanto o a pochi passi dalla sua dimora e quindi possa con loro relazionare in ogni momento. Nelle case di città questa possibilità di ben inserirsi nella rete familiare sta diventando sempre più rara e difficile. Questo è uno dei motivi per i quali le città sono costruite e strutturate a misura del mondo economico e non del mondo affettivo.

 

La funzionalità di una casa nei riguardi della famiglia, della coppia e nell’allevamento dei figli è in rapporto a molte caratteristiche.

Una casa può essere piccola e povera ma pulita, decorosa, calda e accogliente, aperta agli altri, perché le persone che la abitano sono riuscite ad avere un buon dialogo tra loro e con i vicini, con i quali è possibile il dono, lo scambio, il dialogo, l’incontro. Al contrario, l’abitazione può essere grande, lussuosa e ricca di tutti gli elettrodomestici e gli accorgimenti che oggi la tecnica e le industrie propongono a piene mani, ma essere fredda. Fredda perché gli strumenti, se diminuiscono la fatica, limitano anche il piacere di vivere la casa. Fredda perché gli strumenti, se facilitano il lavoro della donna, rischiano di renderlo superfluo e quindi non apprezzato sia dal marito sia dai figli. Questi apprezzano di più la fatica e l’impegno di chi gestisce la casa con le proprie mani, piuttosto che l’anonimo lavoro extradomestico che fa aumentare il conto in banca ma rende aridi e difficili i rapporti familiari.

Le case spesso oggi sono vuote, per la mancanza di cure e attenzioni che ogni componente familiare dovrebbe dare agli altri. Vuote di gioia, di idee, di calore e conforto. Ma spesso oggi le case sono proprio vuote di persone. Mamma e papà al lavoro, i figli “sistemati” presso scuole, baby-parking, doposcuola. I nonni, o vivono per conto loro, o sono anche loro “sistemati” in istituti per anziani.

Una casa può essere vuota anche quando le persone sono presenti tra le mura domestiche se queste, piuttosto che essere accanto a qualcuno e condividere con qualcuno i momenti di attività, di riposo e di divertimento, si isolano ognuno davanti ad uno schermo, che sia un televisore, un video – gioco, un telefonino o un computer.

Nel periodo preindustriale nella casa, o vicino alla casa, si svolgeva buona parte del lavoro sia dell’uomo che della donna. Nella casa, o vicino ad essa, si tessevano le stoffe, si lavorava la creta per fare i vasellami, si batteva il ferro per costruire strumenti di lavoro o di difesa. Accanto alla casa vi erano i campi da coltivare. Nei magazzini della casa, venivano raccolti e lavorati i frutti della terra.

Mondo economico e mondo affettivo spesso condividevano gli stessi spazi, e gli stessi luoghi.

Oggi i luoghi e gli spazi sono notevolmente diversi.

Intanto sono spesso notevolmente lontani l’uno dall’altro. Si lavora frequentemente nella parte opposta della città o si fa il pendolare in altre città, se non in altre regioni. Anche le persone con le quali si lavora sono diverse. Si lavorava con parenti, amici e vicini nel mondo preindustriale, si lavora con estranei, oggi.

Quando i luoghi di lavoro coincidevano, o erano molto prossimi al mondo affettivo, le caratteristiche strutturali dell’uno e dell’altro erano molto simili. Le stalle degli animali somigliavano alle case dei loro padroni. I due ambienti erano molto vicini e, nelle famiglie più povere, persone ed animali spesso condividevano gli stessi luoghi.

Oggi gli ambienti ed i luoghi del mondo dell’economia e del commercio sono notevolmente diversi dalle case di abitazione. Gli uffici spesso si trovano in alti, immensi grattacieli che svettano superbi e lucidi, grazie all’acciaio e al vetro con i quali sono costruiti, sopra le abitazioni delle persone “normali.”

Questi grattacieli mostrano l’orgoglioso trionfo del denaro e del potere ma, a volte, mostrano anche il desiderio di volersi allontanare dalla vita delle persone comuni, per scacciare definitivamente e completamente, ogni residuo di sentimenti e di emozioni che potrebbe essere d’impaccio alla produzione ed al commercio.

Le industrie si fronteggiano invece quasi sempre in capannoni immensi e grigi, illuminati solo da grandi scritte al neon. Grigi scatoloni tutti uguali, distesi a coprire per chilometri quelli che una volta erano fertili pianure e campi rigogliosi. Scatoloni freddi come le macchine che le abitano. Freddi come il ferro e la plastica che scorrono nelle loro viscere. Freddi come le mani affrettate a costruire oggetti sempre uguali, sempre più asettici, sempre più inutili.

In questi ambienti, quando tra persone nascono dei sentimenti e delle emozioni, questi sono spesso compressi e scacciati perché mal si adattano ai bisogni dell’economia e della produzione.

 

 

Tratto dal libro “Mondo affettivo e mondo economico” di                                                                                       Emidio Tribulato (postmaster@cslogos.it)

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