Quali siano le caratteristiche di un buon genitore è difficile da definire. Sicuramente un buon genitore non può essere una persona che ha caratteristiche o qualità eccezionali. L’uomo si è evoluto nei millenni, le società si sono sviluppate, partendo e utilizzando gli elementi di normalità e non di eccezionalità dell’essere umano, sia per quanto riguarda l’intelligenza e la cultura, che per le capacità educative. Non vi è stata mai una vera scuola per genitori, così come noi comunemente l’intendiamo, né un’esplicita selezione in base alle loro qualità e capacità. L’unica e più efficace scuola per genitori era fatta all’interno delle famiglie utilizzando la memoria e l’esperienza del passato ed il sacrificio e l’esempio di ogni componente adulto della famiglia: genitori, nonni, zii, fratelli maggiori.
Per quanto riguarda la selezione dei futuri genitori, questa avveniva sistematicamente sia su base istintiva, mediante il rifiuto dell’handicap e di tutte quelle condizioni in cui era presente un disturbo psichico o comportamentale di un certo rilievo, sia su base familiare, quando i genitori stimolavano i figli ad evitare l’unione con “persone poco raccomandabili” e quindi con comportamenti sociopatici o psicopatici.
D’altra parte anche questa “normalità” è difficile da definire. Per “normale” si potrebbe intendere la media delle caratteristiche presenti in un dato momento storico in una popolazione. Sappiamo però che questo dato non ci dà alcuna sicurezza sulle qualità indispensabili per ottenere dei risultati sufficientemente accettabili. La normalità così intesa è valida in alcune popolazioni e in particolari periodi storici, mentre in altri ambienti, in culture ed epoche diverse, non lo è per nulla. La prova di ciò si ha a posteriori, osservando l’espansione di alcune civiltà, cosiddette barbare o il declino e/o la scomparsa d’altre popolazioni considerate al culmine del loro sviluppo culturale, sociale e civile.
E’ difficile, inoltre, determinare le caratteristiche di un buon genitore dalla misura delle sue qualità e capacità, anche perché l’equilibrio, il dialogo, l’affettuosità, la bontà, la disponibilità, l’autorevolezza, di cui parleremo, non sono qualità facilmente misurabili. Così come sono difficilmente quantificabili gli atteggiamenti negativi, come l’irritabilità, l’ansia, l’aggressività, la severità eccessiva, la freddezza, l’irritabilità, il permissivismo. Tanto che, anche dal punto di vista legale, è difficile definire l’indegnità di un genitore, se non quando sono presenti elementi d’estremo degrado.
D’altra parte non possiamo neanche basarci sugli esiti dell’educazione, giacché, non è per niente scontato che, da buoni genitori, nascano dei bravi figli, poiché le influenze dell’ambiente esterno, gli incontri, le scelte individuali, sono anch’essi determinanti.
Né si possono pronunciare discorsi di normalità facendo dei paragoni che si riferiscono al passato, ad una certa cultura o ad una particolare società, giacché necessariamente si deve fare riferimento nel bene e nel male alla realtà presente e non a quella del passato.
Tuttavia è necessario avere chiare le caratteristiche che dovrebbe avere un buon genitore e quelle che non dovrebbe avere. Affinché le une siano prese come obiettivo da raggiungere, mentre le altre siano, per quanto possibile, allontanate dal nostro stile di vita, senza con ciò pretendere una perfezione, ma senza neanche accettare con indifferenza atteggiamenti e comportamenti improponibili per un buon educatore.
EQUILIBRIO
Un buon genitore sa rispondere con equilibrio alle esigenze dei figli.
Come vedremo è la capacità di soddisfare in maniera equilibrata le varie esigenze dei figli che qualifica, in primo luogo, un buon genitore. “In medio stat virtus.” In nessun altro settore quest’affermazione latina è stata mai così vera come nel campo educativo. Il bambino procede nella sua crescita mediante stimoli diversi, a volte contrastanti, pertanto ha bisogno di genitori che sappiano continuamente adattare e modellare questi stimoli alle sue varie necessità ed esigenze con duttilità, intelligenza, tempismo. Le esigenze di un bambino neonato non sono assolutamente paragonabili a quelle di un bambino di un anno o più. Così come i bisogni di un figlio non sono uguali a quelli di un altro, specie se di sesso diverso.
Il danno maggiore che l’informazione di massa ha dato alla nostra società è proprio quello di aver creato e imposto dei cliché educativi, di volta in volta alla moda; essi sono stati presi acriticamente a modello da milioni di genitori i quali inopinatamente hanno, quindi, trascurato le conoscenze culturali selezionate nei millenni e trasmesse da padre in figlio, di generazione in generazione, che erano e restano le più valide.
Le esigenze tra le quali i genitori sono costretti a muoversi ed a cercare un equilibrio sono numerose:
vi è l’esigenza individuale che a volte, anzi spesso, può contrastare con quella familiare, genitoriale, sociale;
- vi è l’esigenza attuale che in alcuni casi costruisce, ma in altri può mettere in forse i bisogni e le necessità future;
- vi è il bisogno di libertà e quello della responsabilità e dell’ubbidienza;
- vi è il bisogno del piacere ma anche quello del dovere;
- vi è il bisogno della scoperta ma anche quello della prudenza;
- vi è il bisogno istintuale e quello razionale;
- vi è il bisogno indotto e quello spontaneo;
- Vi è il bisogno fisico ma anche quello spirituale.
DISPONIBILITA’
Un buon genitore ha una grande disponibilità nei confronti dei figli.
La presenza fisica dei genitori è, come abbiamo detto, fondamentale per lo sviluppo del minore. Tale presenza non può spesso essere sostituita altrettanto validamente da altre figure, se non è seguito attentamente lo sviluppo psicopedagogico del minore.
La presenza fisica deve però accompagnarsi ad una presenza psicologica e ad una disponibilità emotiva ed affettiva. Dice giustamente Vanire: “Il bambino è l’essere più fragile. Non c’è nulla di più fragile di un bambino. Di tutti i piccoli degli animali è tra i più fragili e questa fragilità dura molto a lungo. Ai piccoli dell’uomo occorre molto tempo per arrivare alla maturità. Gli occorre tempo per camminare; gli occorre tempo per acquisire conoscenze; gli occorre tempo per arrivare alla maturità fisica; gli occorre ancora più tempo per raggiungere la sua vera maturità intellettuale, psicologica, così da essere capace di affrontare il nostro mondo, capace di sopportare tensioni e difficoltà, ….”
In questi lunghi anni il bambino ha bisogno di una gran disponibilità da parte di entrambi i genitori. Disponibilità al dialogo, all’ascolto; disponibilità alla cura, all’educazione, alla trasmissione delle conoscenze culturali proprie e familiari. Disponibilità ad intervenire nel modo e nei tempi più opportuni per consigliare, aiutare, correggere, sostenere, incoraggiare, reprimere, se necessario.
A volte basta poco per rendere felice un figlio, basta stare insieme, parlare, fare qualcosa condividendola. La condivisione e la comprensione dei sentimenti, delle emozioni, delle attività, delle esperienze diventa una delle forme più efficaci d’educazione. Il giocare insieme, il lavorare insieme permette la trasmissione d’emozioni, esperienze, conoscenze che diventano elementi e ricordi preziosi nell’animo del fanciullo.
Un errore comune riguarda un’eccessiva e patologica disponibilità, soprattutto da parte dei genitori ansiosi, emotivi, i quali si mettono al servizio delle richieste dei figli e non dei loro bisogni. La differenza è fondamentale.
Non tutto ciò di cui un figlio necessita, viene da lui richiesto esplicitamente, come non tutto ciò che chiede, a volte insistentemente, o mediante il pianto, serve al suo armonico sviluppo.
Spesso, infatti, i bisogni fondamentali: un ambiente sereno, un maggior dialogo, un atteggiamento più lineare e fermo, una maggiore coerenza educativa, sono camuffati o evidenziati sotto forma d’innumerevoli richieste che i genitori si affannano ad esaudire immediatamente senza preoccuparsi di capire qual è il bisogno vero.
Un altro errore in eccesso riguarda quei genitori che “si perdono” nei figli, trascurando i loro bisogni personali e, come coppia, la loro crescita affettiva e relazionale.
Più frequenti però sono oggi gli errori in difetto. La ricerca affannosa di una realizzazione individuale, sia in campo lavorativo e sociale che affettivo, sentimentale o sessuale, spesso porta a trascurare le reali necessità dei figli. Si cerca di soddisfare innanzi tutto i propri bisogni e le proprie ambizioni, dando poco o nulla alla famiglia. E’ una corsa che mira ad arraffare dalla vita e dalla società quanto più possibile, lasciando alle esigenze dei minori briciole di tempo e d’energie; spesso dando loro solo ciò che è di moda o ciò che l’ambiente sociale richiede in quel momento: palestra, ballo, piscina, pizzeria; senza tentare neanche di lasciarsi veramente andare con loro ad un rapporto intimo e privilegiato per poter dare ai figli ciò che veramente serve.
PRESENZA
Un buon genitore è presente e segue in modo attivo lo sviluppo fisiologico dei figli.
Questo significa che è necessario che i genitori siano presenti, non necessariamente sempre e in maniera continua, ma seguendo i bisogni della fisiologia dei minori. Bisogni che sono insiti nella specie e non variano, né sono modificabili se non in tempi lunghissimi al variare dell’ambiente o della società.
La necessità di dialogo, d’affetto, di comunicazione, di rapporto con un figura genitoriale, di un bambino del duemila, non è sostanzialmente diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra. D’altra parte la possibilità che nascano paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, sono sostanzialmente uguali. Ciò impone, a chi si occupa di loro, di seguire la fisiologia dello sviluppo umano, senza mai forzarla o ignorarla, pena un vissuto di disagio che può dare, a secondo della sua gravità e durata, delle conseguenze più o meno importanti e invalidanti ma sempre spiacevoli alla sua vita futura.
Quando un bambino piccolo è costretto a cambiare per qualche tempo persona di riferimento, questa situazione è vissuta come una dolorosa forzatura poiché le persone con cui non vi è un profondo e duraturo legame affettivo sono da lui avvertite come pericolosi estranei, sia che si tratti d’adulti come le baby-sitter o le insegnanti dell’asilo nido, sia che si tratti di bambini con cui non è stato stabilito un legame affettivo.
La prima immediata risposta a questo disagio è rappresentata dal pianto. Quando, prima dei tre anni, la mamma si allontana dal bambino, o il bambino è allontanato dalla mamma, le reazioni di quest’ultimo sono evidenti ed eclatanti: piange, si dispera, la cerca e poi, al suo ritorno, si attacca maggiormente a lei, rifiuta il distacco e rimane per molto tempo più sensibile a nuovi allontanamenti. Qual è il significato di tutto ciò?
Il legame del bambino con le figure fondamentali della sua realtà interiore: i genitori, con la figura materna in primo piano, nasce da un elemento istintivo primordiale simile a quello di molti altri animali che, inizialmente, vedono i genitori e solo i genitori, come fonte di sicurezza, fiducia, amore, protezione, mentre nel contempo gli estranei sono avvertiti come causa di pericolo, rischio, abbandono. Anche l’ambiente fisico è importante. E’ fonte di sicurezza l’ambiente domestico, mentre un luogo estraneo, o diverso, istintivamente è avvertito come minaccia, rischio vitale; quindi infonde paura ed insicurezza. Nei primi tre anni di vita, questi legami sono per ogni bambino elementi fondamentali ai quali non può e non deve rinunciare; sono come il latte di cui si nutre, come l’aria che respira, come il cordone ombelicale prima della sua nascita.
Da queste realtà affettive il bambino si allontana gradualmente negli anni; ma quest’allontanamento è in relazione alla sua maturità e serenità ed è anche in relazione alla fiducia nei genitori e nell’ambiente circostante. Conseguentemente più il bambino ha vissuto serenamente e pienamente il suo rapporto con i genitori, la famiglia, l’ambiente domestico, tanto più facilmente riuscirà poi a farne a meno. Quanto più, invece, il bambino è piccolo, immaturo, insicuro o con problemi affettivi e relazionali, tanto più questo legame persisterà negli anni.
E’ la crescita affettiva e la sicurezza interiore del bambino che facilita e rende possibile l’autonomia e non viceversa!
Lo scopo dell’educazione non è quindi quello di allontanare il bambino, rendendolo autonomo il più rapidamente possibile, ma quello di dargli sicurezza e maturità, in modo tale che possa fare a meno della presenza della mamma e del papà, della sua casa e del suo ambiente, il più rapidamente possibile, il più serenamente possibile.
Quindi se un bambino piange quando la mamma si allontana da lui, ascoltiamolo!
In caso di allontanamento per poche ore dei genitori, maggior fonte di sicurezza il bambino ritrova nei nonni e negli zii, meno nelle tate, meno ancora nelle baby-sitter ad ore, mentre sono assolutamente da sconsigliare prima dei tre anni gli asili nido o altri tipi di istituzioni.
Il bambino ha bisogno dei genitori in maniera molto diversa in base all’età. Egli si apre agli altri e al mondo, come un fiore. Nessuno è in grado di accelerare l’apertura di un bocciolo, se non forzandolo e quindi ledendo i suoi petali e la possibilità di dare al mondo il suo profumo. La fisiologia della crescita è una realtà immutabile in ogni specie che è indispensabile accettare e fare propria.
Qual è questa gradualità? Un bambino neonato ha bisogno della sua mamma o del suo papà ventiquattro ore al giorno, ma già i genitori con un bambino di qualche mese, potranno allontanarsi da lui durante il giorno, per qualche ora, affidandolo ad una persona con cui si è già instaurato un importante legame affettivo: una nonna, un nonno, una zia.
Un bambino di uno – due anni comincerà a giocare con gli altri suoi cuginetti, con i fratelli o con qualche coetaneo, ma sempre con la presenza vicina di un adulto di cui ha piena fiducia e con cui si è instaurato un buon legame affettivo. Soltanto verso i tre – quattro anni, accetterà fisiologicamente, senza traumi, l’inserimento in una scuola materna. Accetterà e si confronterà più maturo e forte con bambini con cui non c’è fratellanza e parentela e con adulti con cui non c’è un rapporto individuale. Rapporto individuale che, invece, prima era fondamentale.
SERENITA’ E STABILITA’
Un buon genitore non è disturbato da problematiche psicologiche e sa instaurare un rapporto sereno e stabile con i figli.
Ogni problema interiore e quindi ogni disturbo psicologico di una certa rilevanza, influenza in modo significativo la comunicazione e quindi il nostro rapporto con gli altri, specie con le persone a noi più vicine. La serenità, cioè l’avere l’animo sgombro da preoccupazioni, ansie, rimorsi, paure, sensi di colpa, è elemento essenziale in ogni relazione umana.
Se una persona è serena riesce più facilmente a capire se stesso e gli altri. Il suo dialogo è fluido e proficuo; il rapporto con gli altri più lineare; l’amore, l’affetto più sicuro e stabile. La serenità nasce dalla mancanza di problematiche interne non risolte, dalla gratificazione del proprio operato, dalla chiarezza interiore, dall’autostima per ciò che si è o si fa.
La mancanza di serenità nasce dalle sofferenze, dai conflitti interiori non risolti, dalle nevrosi, dall’insicurezza del proprio ruolo o del proprio operato, dalle scarse o alterne gratificazioni e si evidenzia attraverso l’ansia, la depressione, la paura, l’eccessiva emotività. Quest’ultima è una forma di reattività istintiva poco controllata che si esprime con una tendenza alla facile commozione, all’immediato turbamento. Una persona emotiva non sempre è in grado di esprimere in modo maturo la sua affettività. Un genitore emotivo vive ogni atto proprio o dei figli, ogni avvenimento con tensione, con dubbio, con preoccupazione, con insicurezza, con palpitazione.
Il genitore ansioso e insicuro può diventare eccessivamente repressivo nel tentativo di limitare le occasioni che in lui fanno nascere ansia o al contrario può avere atteggiamenti permissivi nel tentativo di avere l’approvazione e l’ubbidienza del figlio. Mostrandosi aperto a discutere su qualsiasi richiesta, s’illude di attuare un rapporto altamente positivo e democratico.
Egli rimprovera i figli per poi pentirsene subito dopo, quasi chiedendo scusa. Se è preoccupato o arrabbiato li rimprovera, se è tranquillo gli concede più del necessario. “Una persona emotiva non sempre è in grado di esprimere in modo maturo la sua affettività. Il genitore ansioso, ad esempio, trasmetterà il suo attaccamento affettivo con una modalità comportamentale iperprotettiva e tenderà a creare un’atmosfera familiare tesa, in cui ogni evento viene amplificato e drammatizzato.” Egli si colpevolizza facilmente per ogni suo atto, un semplice malore che riguarda il figlio comporta spesso la richiesta d’intervento di uno o più medici se non il ricorso al pronto soccorso dell’ospedale. Ciò naturalmente traumatizza il minore; pertanto i suoi problemi tendono ad accentuarsi e complicarsi, mentre tutta la famiglia soffre per questi continui sconvolgimenti. Per il bambino, la stabilità è elemento fondamentale della sua esistenza; se i fatti avvengono come al solito vi è sicurezza e stabilità, i punti di riferimento sono uguali, il carattere ripetitivo degli eventi rassicura, se i punti di riferimento cambiano c’è il caos o il nulla.
Per quanto riguarda l’emotività e l’ansia queste possono evidenziarsi sia nell’uomo sia nella donna, ma sono geneticamente più frequenti in quest’ultima, a causa anche delle continue variazioni ormonali e della maggiore reattività femminile agli stimoli ansiogeni. Quest’accentuata emotività, viene però compensata dalla maggiore razionalità maschile che la tempera e la controlla. Purtroppo quando questa figura manca, o è sottovalutata o peggio emarginata, la famiglia viene privata da questa compensazione e quindi soffre maggiormente le conseguenze dell’instabilità emotiva della donna.
Non sono da sottovalutare inoltre i sintomi depressivi. Nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore, la realtà si tinge quasi costantemente di grigio se non di nero, per cui essi avvertono la vita, gli altri, se stessi, il mondo, con pessimismo, chiusura e tristezza. Anche questi soggetti, poiché tenderanno a vedere il lato peggiore e distruttivo d’ogni realtà umana e sociale, avranno gravi difficoltà ad instaurare un dialogo sereno e produttivo, svalutando ogni iniziativa e ogni segnale di apertura alla vita e al mondo sia da parte del coniuge che dei figli.
In altri casi pur non essendo presenti evidenti sofferenze psichiche alcuni comportamenti sono chiaramente dettati da problematiche inconsce non risolte, che continuano ad influenzare in maniera negativa parole ed azioni dell’individuo, senza che questi si renda conto della sua alterata realtà interiore e soprattutto senza che riesca a gestirla in maniera positiva. Non sempre, infatti, riusciamo a modificare o ad opporci in maniera continua, sostanziale, alle pressioni e ai coinvolgimenti del nostro inconscio.
In tutte queste situazioni, come per tanti altri disturbi della psiche che portano sofferenza al soggetto che n’è colpito e alle persone che gli stanno vicino, s’impone, un attento esame psichiatrico o psicologico che tenda a valutare la gravità di tali problematiche ed indichi le terapie più efficaci per risolverle.
D’altra parte i problemi dei singoli possono diventare problemi di tutti i componenti il nucleo familiare per cui si ha come conseguenza una famiglia nevrotica nella quale vengono ripetutamente riprodotti i conflitti infantili irrisolti di entrambi i genitori. I bambini ne vengono coinvolti e i ruoli loro assegnati hanno un effetto profondo sullo sviluppo della personalità.
AFFETTO
Un buon genitore è affettuoso con i figli.
” Se l’educatore non arriva a conquistare il cuore del giovane, la sua opera è vana. Se un giovane non apre il suo cuore all’educatore l’educatore fallisce” P. Lombardo
L’affetto è un elemento fondamentale nello sviluppo dell’essere umano. Noi siamo, viviamo, cresciamo, maturiamo, ci sviluppiamo, in quanto qualcuno ci ha amato e ci ama, qualcuno ci ha voluto bene o ci vuole bene. Non possiamo fare a meno dell’affetto, come non possiamo fare a meno dell’aria che respiriamo o del cibo che mangiamo. Per Lombardo: “L’affettuosità esprime un aspetto, una dimensione del linguaggio affettivo che rivela l’intensità e la ricchezza del sentire. La persona affettuosa riesce ad esprimere con spontaneità e calore i suoi sentimenti.”
I modi con cui si esprime l’affetto possono essere diversi: le parole, le carezze, la tenerezza, la sensibilità, l’ascolto.
Essere sensibili significa capire immediatamente la realtà dell’altro, cercare di dare all’altro quello di cui ha bisogno, per cui la sensibilità è elemento fondamentale nell’educazione di un minore. Le occasioni in cui l’affettuosità può essere espressa dovrebbero essere numerose specie nei confronti dei bambini piccoli, i quali hanno una gran fame di carezze e di coccole da parte di entrambi i genitori.
Anche gli animali leccano, accarezzano, abbracciano teneramente i loro cuccioli creando un’atmosfera magica di sentimenti d’amore, affinché la loro crescita sia sana ed equilibrata.
Per fare ciò, è necessario che i genitori siano sereni e disponibili, aperti verso il cuore del loro piccolo, ma anche capaci di avvertirne le esigenze, capaci cioè di esprimere i sentimenti più teneri e caldi dell’amore materno e paterno. A volte ciò non avviene perché i genitori hanno fretta, sono tesi o hanno la mente impegnata altrove: nel lavoro, nelle occupazioni sociali e politiche. Altre volte sono aridi perché non hanno potuto sviluppare dentro di loro le caratteristiche materne e paterne. In tutti questi casi, quello che dovrebbe essere un comportamento istintivo ed immediato, diventa un’occupazione da imparare razionalmente e frettolosamente da un libro di puericultura o da insegnanti prezzolati. In tale tristi situazioni è facile che si stabilisca “una comunicazione non affettiva” per cui il bambino viene bensì allattato, lavato, cambiato, cullato, ma con una minima, se non assente partecipazione emotivo – affettiva.
E’ giusto manifestare i sentimenti affettuosi in tutti i modi e quindi anche con le parole; è importante, però, che dietro le parole vi siano dei comportamenti coerenti e adeguati. Non ha quindi molto senso, dire ai figli: “Ti voglio bene”, quando il loro bene viene trascurato sistematicamente.
Per Don Mazzi “E’ indubbio che il cuore dell’uomo non si ciba soltanto di lavoro, di scuola e di ricchezza, ed è indubbio che il cuore dell’uomo è molto più esigente dell’intelligenza dell’uomo stesso.”
Per il bambino è importante essere svegliato al mattino con dolcezza, con tranquillità, senza fretta, mentre la madre o il padre approfittano di quei momenti ricchi di intimità come il vestirsi, il lavarsi, il fare colazione insieme, lo scegliere l’abito più adatto, per dialogare con gioia della notte trascorsa, in modo da allontanare i brutti sogni e gli ultimi fantasmi e nello stesso tempo presentare e programmare insieme la giornata che comincia.
Se il bambino va a scuola, l’accompagnarlo non dovrebbe essere un’occupazione da fare in fretta per non fare tardi in ufficio, ma un altro prezioso momento da vivere insieme con serenità e gioia.
Lo stesso dovrebbe avvenire durante e dopo il ritorno da scuola, quando egli può riversare nell’animo del genitore e così confrontarle, le sue nuove esperienze: con gli insegnanti, con i compagni, con la cultura trasmessa in classe.
Il pranzo e la cena, durante i quali, la televisione dovrebbe essere bandita, non dovrebbero rappresentare soltanto momenti in cui ci si alimenta, ma occasioni di comunione, di ascolto e dialogo per tutta la famiglia. Momenti in cui le esperienze della giornata si confrontano, si chiariscono, si rivivono insieme a delle persone care.
La sera prima di addormentarsi sarebbe bene “rendere piacevole e bella l’ora di andare a letto” , in molti modi. Eseguendo con calma tutto il cerimoniale previsto in questi casi: andare in bagno, lavarsi, spogliarsi, mettere il pigiamino, dire le preghiere e poi ascoltare la favoletta raccontata da uno dei genitori o da entrambi alternativamente. Una favola per sviluppare la comprensione del linguaggio e la cultura, ma anche per offrire al bambino, nella magia della sera, un’altra occasione di intimità, di calore e di carezze.
Quando un bambino si fa male è giusto consolarlo. Per Spock: “Talora un genitore che si preoccupa particolarmente che il figlio cresca coraggioso e senza piagnistei teme che consolarlo lo renda una donnicciola.” La giusta consolazione non rende donnicciole, l’eccesso sì, specie se si trasmettono al bambino le proprie ansie e le proprie paure. Per tale motivo la consolazione dovrebbe essere attuata con serenità e accompagnata da un atteggiamento interiore ricco di forza, coraggio e sicurezza.
La dose delle carezze varia da bambino a bambino. “Vi sono bambini che con pochi contatti si sentono appagati e pienamente soddisfatti, mentre ve ne sono altri molto più “coccoloni”, che vanno continuamente alla carica dei propri genitori.”
Ci accorgiamo di questo bisogno fondamentale quando esaminiamo i danni che la mancanza di atteggiamenti affettuosi produce nei bambini, come negli adulti e negli anziani. Nei bambini istituzionalizzati precocemente nei brefotrofi si evidenziano sintomi di varia natura dovuti alle gravi carenze affettive. Quei luoghi tristi, privi di emozioni positive, di calore non riescono a far sbocciare la gioia e l’apertura alla vita nell’anima dei minori a loro affidati, per cui il cuore di questi piccoli, così come la loro vita tende a rattrappirsi e a gridare la sua sofferenza attraverso gli incubi, le paure, i problemi psicologici, a volte anche gravi, le disarmonie nella crescita, l’aumento delle malattie organiche.
Anche il corpo infatti, oltre che l’animo, risente pesantemente della mancanza d’amore e d’affetto.
Questi luoghi, che si tende per fortuna a far scomparire, restano poveri affettivamente, anche se possono essere ricchi sul piano del personale che si occupa dei bambini: medici pediatri, puericultori, educatori, assistenti sociali. Spesso, infatti, nonostante la presenza di personale qualificato, poiché all’amore non si comanda, né si può imporre per contratto, rimane la povertà affettiva e relazionale con tutte le sue funeste conseguenze.
Non sono le persone più colte, preparate o specializzate i migliori educatori, ma quelle che riescono ad avere con il bambino un legame affettivo profondo, solido, stabile, responsabile e continuo nel tempo.
Le persone più valide, almeno potenzialmente, sono quindi in ordine di importanza: i genitori, i nonni, gli zii, i fratelli e le sorelle, le tate, le baby-sitter, e per ultimo il personale degli asili nido, in quanto questi servizi utilizzano un personale pagato, che fa dei turni e che può variare nel tempo, con il quale il bambino ha difficoltà ad instaurare un legame d’amore stabile e continuo fatto di dialogo, di confidenze, di coccole.
Le conseguenze delle deprivazioni affettive sono diverse a seconda dell’età del piccolo, della gravità e durata del problema: aspetto prostrato, abbattuto, triste, frequenti autostimolazioni, ritardo psicomotorio globale, anoressia, turbe del sonno, affezioni respiratorie (asma) o in un’età maggiore oltre i due – tre anni, disturbi del comportamento con instabilità, collera, aggressività, fughe ecc..
“Alcuni bambini, non a caso, comunicano il loro vuoto affettivo, il non sentirsi amati, attraverso comportamenti ribelli ed aggressivi.”
“E’ proprio tramite tale fame di carezze che si può passare tutta la vita ad elemosinare la presenza di qualcuno che ci voglia bene o dalla parte opposta isolarsi e rifiutare qualsiasi forma di contatto interpersonale.”
“ La solitudine può essere annullata nella dimenticanza – ebollizione della coscienza di sé, nell’alcool, la droga, gli stati orgiastici, le estasi autoprovocate, gli stati d’ipnosi, la sessualità vissuta per il piacere nell’atto dell’esclusiva genialità, isterismo collettivo (concerti rock, avvenimenti sportivi), l’assordamento, e l’abbrutimento psichedelici e varie forme di vero e proprio fanatismo.”
O ancora mediante “la costruzione di corazze difensive, di vario genere e di diversa intensità…”
La controprova si ha allontanando i motivi del disagio e della deprivazione affettiva: il bambino, come se lentamente rinascesse alla vita e al rapporto con gli altri, ritorna a sorridere e ad alimentarsi correttamente, cresce meglio, ritorna a dialogare con i genitori e gli adulti, la relazione con gli altri si fa più ricca e intensa, anche se alcune sequele patologiche resteranno impresse per molti anni, a volte per tutta la vita, nella sua anima.
Purtroppo a soffrire delle deprivazioni affettive non sono soltanto gli orfani, i figli di separati o di divorziati o i minori istituzionalizzati. Molti bambini pur avendo entrambi i genitori soffrono degli stessi sintomi in quanto la presenza di essi e le attenzioni a loro rivolte non sono adeguate ai loro bisogni. Si tratta in genere di genitori troppo impegnati, ansiosi, preoccupati e coinvolti in mille faccende, che trascurano o non riescono a vivere con serenità, gioia e donazione la relazione affettiva con i loro figli.
A cura del Dott. E. Tribulato