Caro Tito, il calabro-ligure Franco Muià (francomuia@gmail.com) è uno di coloro i quali, dopo lo sbarco jonico dei Kurdi dell’Ararat nel dicembre 1997, si sono innamorati di Badolato borgo e qui vivono contribuendo ad esaltarne la “slow life” (la vita tranquilla). In questo tipico paese medievale ancora semi-spopolato (o, meglio, semi-rivitalizzato!), il poliedrico e brillante Franco, plurilingue (è stato, tra l’altro, Capo Scalo della British Airways all’aeroporto di Genova), è da oltre 10 anni unico artista-fotografo e preziosissimo riferimento per i visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Tramite lui, ho avuto recentemente la possibilità di conoscere telefonicamente lo scrittore Giuseppe Mungo, il quale mi ha privilegiato di una copia in lingua italiana e di una copia in lingua francese del suo bellissimo e toccante romanzo “HANNO FATTO DI NOI DEI MIGRANTI” (On a fait de nous des immigres) edito nel 2009, in Italia e in Francia, dalla medesima L’Harmattan di Parigi, inserito nella collana delle “Memorie”. Una copia di entrambe le edizioni è stata donata dal gentile e generoso Autore, su mio input, alla Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro (Vibo Valentia) che è, in pratica, la principale sede della memoria del nostro popolo, dentro e fuori i confini regionali. Una istituzione che va adeguatamente sostenuta, incrementata e valorizzata da tutti noi.
Ti voglio adesso scrivere di Giuseppe Mungo soprattutto perché è uno dei simboli del popolo dei migranti di ieri, di oggi e di domani. Sai bene come e quanto io abbia a cuore questa categoria di persone, costrette a lasciare assai dolorosamente, come me, il proprio paese natìo, la propria patria per tentare di “trapiantarsi” o di “adattarsi” in altri luoghi, spesso troppo stranieri o inospitali (quando addirittura non perennemente ostili ed odiosi). Infatti (nonostante possiamo tutti idealmente ritenerci “cittadini del mondo”) lasciare, specialmente se per necessità, la propria terra è uno dei traumi più devastanti (individuali e familiari) che esistano al mondo. E sai anche bene che, da esule, resto sempre del parere che l’emigrazione dovrebbe essere volontaria, non per imposizione e per costrizione, come purtroppo lo è ancora oggi al 99,99 per cento! Tra i tanti diritti-doveri che abbiamo, come persone di dignità, dovrebbe esserci riconosciuto principalmente quello di poter restare là dove si è nati o dove si è cittadini per scelta o per vocazione (vedi l’associazione “www.iorestoincalabria.it”)!
Afferma Giuseppe Mungo, nella quarta pagina di copertina del suo libro: “La mia infanzia è stata segnata dalla migrazione, quasi un forzato esilio, causato dalla miseria che, negli anni cinquanta del 20° secolo, regnava nel Sud d’Italia. Da allora denuncio l’ingiustizia del mancato sviluppo socioeconomico del Meridione, connesso all’incuria dei dirigenti locali e nazionali, che non hanno saputo offrire sufficienti opportunità di crescita a tale parte del paese. E’ la loro indifferenza che ha costretto, e ancora obbliga, migliaia di cittadini all’esodo dalla terra natìa. Sono consapevole che le parole, talvolta aspre, con cui esprimo la mia denuncia, potrebbe urtare certi lettori, ma sono la conseguenza delle sofferenze patite e delle dure esperienze vissute personalmente”.
Così, cuore alla mano, queste frasi solenni e sacre scolpisce nel nostro animo tanto energicamente quanto dignitosamente l’uomo-cittadino e lo scrittore-martire-migrante Giuseppe Mungo, persona squisitissima e assai signorile, uno di quei calabresi che accoglie ed esprime il meglio della nostra Cultura umana e sociale; e questo nonostante viva ormai lontano dalla Calabria, in particolare dalla sua Squillace (costa jonica della provincia di Catanzaro), da oltre sessanta anni. Tra tanto altro, ho capito (dopo aver letto tutto d’un fiato e con partecipata commozione ed indignazione le 110 pagine) che Giuseppe Mungo ha avuto veramente segnata per sempre con il distacco doloroso dalla sua comunità non soltanto l’infanzia ma l’intera esistenza, proprio come accade a quasi tutti noi emigrati, esuli, ostracizzati … cosa che non mi stanco giammai di testimoniare io stesso a vergogna storica, sociologica e perenne di coloro i quali, ben conosciuti per nome e cognome, ci hanno costretti ad andare via, pur essendoci spesso le condizioni per restare e dare un valido contributo alla difesa e alla crescita del nostro popolo!… Ritengo che Mungo abbia voluto certamente scrivere queste meravigliose pagine non soltanto come atto di amore verso la propria terra natìa ma (soprattutto e, forse, inconsciamente) per esorcizzare il trauma, il dolore atroce, la profonda ferita che ancora (si sente pure adesso al telefono) sanguina e sicuramente continuerà a sanguinare fino all’ultimo respiro, perché sempre durerà questo amore placentare, ineffabile, invincibile, appassionato, sereno e tuttavia lancinante ed eroico! Infatti Mungo va oltre il cordone ombelicale, poiché si sente ancora dentro al grembo della propria terra, della terra abitata e vissuta dalle tante generazioni della sua famiglia! Nasciamo al mondo per avere una sola terra, una sola identità!
Ma vediamo un po’ chi è Giuseppe Mungo (qui nella foto di qualche tempo fa) … E’ nato a Squillace il 17 gennaio 1947. Poi, quando Egli aveva appena tre anni, nel 1950, il padre, spinto dalla necessità di sfamare la propria famiglia, non riesce ad ottenere di meglio (in quegli anni difficilissimi del dopoguerra) che andare a lavorare nelle miniere della Sardegna, portandovi dopo qualche mese la moglie e i tre piccolissimi figli. Ma trova sfruttamento, licenziamenti, mancanza di lavoro e nessuna vera prospettiva anche nella pur gloriosa e dignitosissima isola dei nuraghi! Quindi, nel 1957 la decisione di emigrare ancora, questa volta in Francia, dove Giuseppe va a scuola, impara molto velocemente la lingua, socializza abbastanza bene e a 17 anni, dopo i corsi scolastici obbligatori e professionali, si mettere subito a lavorare come qualificato di saldatura. Certo, nulla è facile o scontato, ma la sua tenacia e il suo impegno lo premiano. Piano piano diventa tecnico di saldatura e, poi nel 1971, assistente tecnico nella saldatura dei componenti delle centrali nucleari e petrolchimiche. Disponibile e generoso come soltanto un vero calabrese riesce ad essere, è sindacalista nella sua azienda dal 1987. E’ in pensione dal 2004. Vive a Chalon-sur-Saone (bella e vivace cittadina di 45 mila abitanti in Borgogna, Francia di nord-est) con la moglie polacca, amata fin da ragazzo: hanno una sola figlia che, sposata con un portoghese, ha dato loro due belle nipotine, innamorate di Squillace e dello Jonio tanto da cominciare a parlarne il dialetto e ad andare matte per i “ficundiani” (fichidindia). Giuseppe mi dice, aperto ed orgoglioso: “Vedi che l’Europa c’è!”. Gli rispondo: ho sempre sostenuto che, prima ancora dei politici, sono stati i lavoratori quelli che hanno fatto concretamente l’Europa unita nella Comunità Europea! I politici ci mettono sempre e solo il cappello! E, spesso, non sempre bene e a modo!…
Giuseppe Mungo, in questi 60 e più anni di emigrazione, ha sempre voluto tenere forti i legàmi con la terra di origine, benché sia formalmente cittadino francese (ma oggi possiamo ben dire che è “cittadino europeo”!). Dopo essere andato in pensione, ha aumentato i contatti con l’Italia e, in particolare, con la Calabria, specialmente con la sua Squillace, dove il 17 luglio 2012 ha presentato questo suo primo libro, con il patrocinio del Comune e della Pro Loco. Dico primo libro, poiché già pensa di scrivere la continuazione della sua autobiografia di migrante. Una testimonianza autentica quanto preziosa per l’immenso popolo dei migranti di tutto il mondo, ma anche un incoraggiamento ed una carezza per chi (costretto a lasciare le proprie origini per andare a lavorare altrove) si trova alle prese, quotidianamente, con troppe difficoltà di ogni genere. Pagine di coraggio, quindi, oltre che di “memoria”! Giuseppe ed io, sebbene per telefono e per e-mail, abbiamo solidarizzato immediatamente ed empaticamente (pure perché siamo entrambi migranti ed esuli), tanto che intende venirmi a trovare ad Agnone del Molise, appena gli sarà possibile. Sarà un’impresa il suo viaggio, sia provenendo dalla Francia che dalla Calabria, essendo queste pur belle montagne assai decentrate dai collegamenti veloci; ma lo aspetto veramente con tanto affetto, tanta stima ed ammirazione. Sarà un vero evento gioioso! Il nostro scrittore ha fame di italianità (e di calabresità in particolare), per cui sarà ben lieto di poter comunicare con chiunque voglia contattarlo al seguente indirizzo mail “mungo.giuseppe@wanadoo.fr” pure per raccontare la propria storia di migrante, come il badolatese Raffaele Naimo che afferma di aver viaggiato (stesse ore, stesso giorno in quel fatidico 1957) sul medesimo treno d’emigrazione per la Francia dove c’era Giuseppe Mungo!
Caro Tito, a volte dico, scrivendo di un libro, che dovrebbe essere studiato nelle scuole di ogni ordine e grado. Questo di Giuseppe Mungo (pure per la fascinosa semplicità del modo di narrare oltre che per i preziosi contenuti umani e sociali) può essere fatto conoscere persino ai bambini delle scuole elementari … anche perché il doloroso distacco epocale per Giuseppe è avvenuto proprio in età scolare. E questo è un dato particolarmente importante nell’economia del racconto e dei suoi valori, poiché i traumi subìti nell’infanzia non si potranno mai rimarginare completamente… superarli forse sì, esorcizzarli pure, cancellarli mai. “Hanno fatto di noi dei migranti” conferma ciò e rappresenta un punto di riferimento anche per le migrazioni attuali, specialmente quelle che, con il pericolo della vita nelle insidiosissime traversate mediterranee, rischiano di trovare un’Italia e un’Europa insensibili o inadeguate ai drammi cui partecipiamo televisivamente come testimoni passivi e spesso indifferenti, quando non infastiditi e persino ringhiosi o addirittura razzisti! Invece, dovremmo imparare molto bene la “cultura dell’emigrazione” e realizzare la “cultura dell’incontro” …metterci seriamente nei panni degli altri … per capire che è giunta l’ora di cambiare mentalità e stili di vita … e che non possiamo più “gozzovigliare” (nonostante la “crisi relativa”) quando c’è più di metà del mondo che non sa come e dove sfamarsi e sopravvivere!… La cosiddetta “Civiltà dell’Amore” è ancora tutta da edificare per un pianeta “casa comune” (vero, Papa Francesco?!) … e questo primo libro di Giuseppe Mungo può aiutarci ad umanizzarci e a sconfiggere l’indifferenza verso chi è in grande difficoltà e troppo soffre. Salutiamo quindi, con amore universale ma anche con un abbraccio tutto calabrese (jonico in particolare), il prezioso libro di Giuseppe Mungo, al quale auguriamo ciò che desidera per se stesso, per questo suo “figlio” e per il resto della sua famiglia. Lo vogliamo “calabrese felice e sempre più orgoglioso delle sue origini”! Gli vogliamo tanto bene! Cordialità.
Domenico Lanciano