“Lo Stato italiano deve fare chiarezza e rompere la coltre di silenzio che dura dal 2009, su una storia torbida quale quella della morte del comandante Natale De Grazia, collegata alle vicende delle navi dei veleni e delle “navi a perdere” (vere e proprie bombe ecologiche poste sui fondali dei nostri mari), dimostrando concretamente di dare seguito alle responsabilità istituzionali assunte con la medaglia d’oro alla memoria conferita nel 2001 dal Presidente della Repubblica Ciampi” è il commento di Stefano Lenzi, responsabile dell’ufficio relazioni istituzionali del WWF Italia sulla vicenda delle navi dei veleni.
Il WWF si augura che le autorevoli novità contenute nella perizia medico-legale condotta dal professor Giovanni Arcadi, fatte trapelare dal settimanale L’Espresso, in edicola da venerdì, che confermano i sospetti di morte per avvelenamento nel 1995 di De Grazia, servano a riaprire non solo il caso specifico ma tutto il dossier dei traffici illeciti di rifiuti, spesso collegati al traffico d’armi, che hanno visto coinvolti sulle rotte della Somalia faccendieri italiani in rapporto con la criminalità organizzata e addirittura “soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei”, come confermato in una risposta resa dal 2004 ad un’interrogazione parlamentare dell’allora ministro per i rapporti con il Parlamento Giovanardi. Il WWF ricorda che dopo la conferenza stampa congiunta del Procuratore nazionale antimafia Grasso e del ministro dell’ambiente Prestigiacomo del 29 ottobre 2009, in cui fu liquidato il “caso Cetraro” e fu posta fine alla ricerca del relitto della Kunski, sulla vicenda dei traffici internazionali dei rifiuti ed armi è caduto il silenzio delle istituzioni, non interrotto nemmeno dalla Commissione bicamerale rifiuti che nel dicembre scorso ha “sconvocato” una conferenza stampa. Eppure, sottolinea il WWF, è dalla metà degli anni ’80 che queste vicende sono note ed è dal 25 ottobre 2000 che in una sua relazione la stessa Commissione bicamerale ha denunciato il pericolo generato dagli affondamenti sospetti verificatisi nei mari italiani (…) di navi cariche di rifiuti e scorie radioattive. Vicende su cui hanno lavorato nel tempo almeno cinque Procure della Repubblica (Asti, La Spezia, Napoli, Reggio Calabria, Paola), senza che nessuno pensasse a coordinarle pur in presenza di un grave rischio per la sicurezza, non solo ambientale, del Paese.