Siamo una famiglia affidataria di Reggio Calabria, con noi vivono assieme a quattro figli naturale altre due ragazze con disabilità che abbiamo accolto e cresciuto da piccole, affrontando insieme le loro gravi malattie e patologie. Altre coppie del Centro comunitario Agape di cui facciamo parte hanno accolto fin dagli anni ottanta altri minori provenienti da storie di abbandono, rom con disabilità, figli di famiglie mafiose o coinvolti in faide sanguinose, bambini strappati ai brefotrofi ed agli istituti . Un’esperienza segnata da tante fatiche ma anche dalla gioia di avere dato loro una famiglia, degli affetti, delle sicurezze. Per noi l’affido è una scelta d’amore e leggere le notizie arrivate da Reggio Emilia ha provocato in noi sconcerto e preoccupazione. Sconcerto perché abbiamo sempre guardato, dal profondo sud povero di servizi, a quelle realtà istituzionali come modelli all’avanguardia di welfare da imitare , preoccupati per il clima di sospetti che si è creata attorno ad un’esperienza di grande solidarietà come l’affido che non può essere affrontata con superficialità dalla politica e dai mezzi d’informazione. L’auspicio è quello che si faccia chiarezza su questa vicenda e sulla reale colpevolezza delle persone coinvolte, ma anche quello di spingere tutti a conoscere meglio l’istituto dell’affido familiare, a rilanciarlo, garantendo maggiori controlli ma anche adeguati mezzi e risorse per farlo funzionare meglio.
L’affidamento familiare è un passo avanti rispetto alle comunità residenziali perchè capace di rispondere a bisogni complessi dei minori,perché garantisce a tanti bambini che vivono forti disagi la possibilità di vivere in un’altra famiglia per il tempo breve o lungo necessario al lavoro di recupero della loro famiglia d’origine le cui capacità genitoriali sono spesso gravemente compromesse. Una famiglia in più che diventa la migliore terapia soprattutto nelle situazioni più gravi. Quando abbiamo accolto Francesca, bambina down, soffriva di una grave situazione sanitaria che stava mettendo a rischio la sua stessa esistenza. Ci ha fatto vivere momenti di grande preoccupazione, ma grazie alla grande professionalità di amici medici li abbiamo superati. Gli stessi che alla fine hanno commentato che il merito della sua guarigione non era stato tanto quello delle cure ricevute, ma soprattutto della voglia di vivere di Francesca e di tutto l’amore ricevuto dalla famiglia che l’aveva accolta. Per questo l’esperienza dell’affido, che negli ultimi trent’anni ha salvato migliaia di bambini dall’abbandono, deve continuare in tutto il nostro paese, soprattutto nelle zone del mezzogiorno dove le povertà minorili materiali ed educative sono più diffuse. Una straordinaria esperienza di accoglienza da diffondere e proporre alle famiglie italiane anche come antidoto alla cultura imperante della indifferenza e della paura dell’altro.