L’Università delle Generazioni è lieta di proporre la più attenta lettura della importante conferenza tenuta dal filosofo di Soverato e scolarca della Nuova Scuola Pitagorica di Crotone, Salvatore Mongiardo, al recente “Festival delle Erbe della Calabria” svoltosi a San Vito sullo Jonio (provincia di Catanzaro) dal 27 al 29 luglio 2018.
Nascita dell’Italia in un territorio con fruttificazione perenne
1. Scopo dell’intervento
Scopo di questo intervento è di mettere in luce la tipicità e l’unicità del territorio calabrese dove nacque l’Italia, e i suoi legami finora inesplorati tra mondo vegetale, stile di vita e modello etico della popolazione italica prima della colonizzazione greca. Di questo filone di ricerca oggi per la prima volta iniziamo l’esplorazione.
2. Il territorio
In una carta geografica, la penisola italiana appare come una gigantesca diga posta tra il Mar Mediterraneo di nord-ovest e quello di sud-est. Due sole aperture marine, lo Stretto di Messina e il Canale di Sicilia, la separano dall’Africa. Nel suo punto più stretto, quello di 30 km tra i Golfi di Lamezia e Squillace, la gola pianeggiante di Marcellinara consente lo scambio termico ininterrotto tra lo Zefiro, vento fresco di ponente, e lo Scirocco, vento caldo di sud-est. La Gola di Marcellinara separa così la catena appenninica calabrese tra la Sila e le Serre, che si levano fino a oltre mille metri a breve distanza dal mare. Con l’abbondanza di piogge e nevi, assieme all’Aspromonte a sud sono come gigantesche spugne che rilasciano tutto l’anno l’acqua che scende per torrenti, fiumi e un’infinità di vene sotterranee verso le marine.
3. La fruttificazione perenne
Questo territorio ondulato, che dal livello del mare sale per le colline fino alle montagne boscose, ha favorito la naturale fruttificazione durante tutto l’arco dell’anno. Questa peculiarità non è stata finora valutata appieno come fenomeno raro, se non unico, in una vasta area del mondo caratterizzata da terre gelate nel Nord Europa e sabbie infuocate nel Medio Oriente e in Africa. Oggi si è persa la memoria di quel favoloso territorio italico, che nell’antichità invece era ben conosciuto, ammirato e desiderato in tutto il Mediterraneo, come testimoniano le fonti storiche e letterarie che adesso esponiamo.
4. Fonti greche sul territorio della Prima Italia
Chiamiamo così quell’Italia iniziale di cui parlano diversi autori antichi e in special modo Aristotele che colloca tra i Golfi di Lamezia e Squillace quel territorio che un viaggiatore percorre in mezza giornata di cammino.
Era la mitica Età dell’Oro, che si ritiene un’epoca leggendaria, ma che una ricerca approfondita potrebbe dimostrare essere la Prima Italia, sorta molto prima di Minosse a Creta, e quindi al più tardi intorno al 2000 a. C. o forse in un’epoca più antica. Il poderoso studio del Professor Armin Wolf, uscito sotto il titolo di Ulisse in Italia, 2018, dimostra che Scheria, la terra, non l’isola, dei Feaci dell’Odissea, corrisponde all’istmo tra Lamezia e Squillace, cioè alla Prima Italia, dove vivevano i mangiatori di pane.
Nell’Odissea (libro 7, versi 152-161, traduzione di I. Pindemonte), leggiamo che le ancelle macinavano il biondo grano mentre nell’orto di Alcinoo:
Alte vi crescon verdeggianti piante,
Il pero, e il melagrano, e di vermigli
Pomi carico il melo, e col soave
Fico nettareo la canuta oliva.
Né il frutto qui, regni la state, o il verno,
Pere(perisce), o non esce fuor: quando sì dolce
D’ogni stagione un zeffiretto spira,
Che mentre spunta l’un, l’altro matura.
Sovra la pera giovane, e su l’uva
L’uva, e la pera invecchia, e i pomi, e i fichi
Presso ai fichi, ed ai pomi.
5. Fonti ebraiche
Questa nozione della Prima Italia come terra unica e generosa di frutti andava ben oltre il mondo greco, come testimonia il Talmud Babilonese, la grande opera di commento alla Bibbia scritta intorno al V secolo a. C. In essa si narra che Mosè mandò su una nuvola messaggeri nell’Italia dei Greci, la terra grassa, a cercare il frutto più buono al mondo, il cedro, necessario per celebrare la Festa delle Capanne o Sukot, non potendolo trovare nel deserto dove gli ebrei vagano dopo l’esodo dall’Egitto. I messaggeri lo trovarono in Calabria e ancora oggi gli ebrei osservanti lo raccolgono nel comune di Santa Maria del Cedro (CS).
Nel Midrash, il commento rabbinico alla Bibbia redatto tra il 200 a. C. e il 400 d. C.,vengono messi in luce gli insegnamenti giuridici e morali con racconti, parabole e leggende. Nel Midrash, l’albero della conoscenza dell’Eden non era il melo, ma proprio il cedro,il citrus frutto non il cedro albero del Libano.
6. Dove si trovava l’Eden, il paradiso terrestre?
La Genesi non lascia dubbi in merito: era tra quattro fiumi due dei quali erano il Tigri e l’Eufrate. Nel giardino…Dio fece spuntare dal terreno ogni sorta d’alberi, attraenti per la vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita nella parte più interna del giardino, insieme all’albero della conoscenza del bene e del male (2,9). Poco prima (1,29) Dio aveva detto agli uomini: Ecco, io vi do ogni sorta di graminacee produttrici di semenza… ed anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: essi costituiranno il vostro nutrimento.
Nella Genesi, tuttavia, non viene menzionato l’albero dal quale Eva colse… la mela. Anzi, nessun albero da frutto viene menzionato nel giardino dell’Eden. Il testo dell’Odissea e quello della Bibbia ebbero la loro redazione all’incirca nello stesso periodo: VII-VI secolo a. C. Ma, mentre l’Odissea nomina chiaramente i frutti che maturano tutto l’anno, la Bibbia non dice nulla riguardo al nome dei frutti e alla loro maturazione perenne. Tutti conosciamo le innumerevoli raffigurazioni di Eva che coglie la mela, ma la mela è menzionata una sola volta in tutta la Bibbia, nel Cantico dei Cantici (7,9), dove l’Amato descrive il profumo del respiro dell’Amata come quello delle mele: questo sia nel testo greco dei Settanta che nella Vulgata latina di San Gerolamo.
Nell’Odissea le mele, i pomi, vengono ripetutamente menzionati accanto alle pere, frutto che invece in tutta la Bibbia non compare mai.
7. Le mele di Calabria
Una grande varietà di mele c’era, e in parte c’è ancora, in Calabria. Alcune specie autoctone sono estinte o in via di estinzione, come le piccole mele rosse che maturavano raccolte e appese nella rete per Natale. La mela verde e aspra, il pomo nano, che prima di mangiarlo bisognava batterlo per farlo diventare dolce. O l’introvabile pomo all’olio, grande e verde, forse sopravvissuto a Mongiana, che tagliato emetteva un delizioso succo oleoso. Poco lontano da San Vito, tra Sant’Andrea e Serra, c’è una grande montagna chiamata Pomara per la produzione di mele che si faceva in passato.
8. L’Apocalisse e la fruttificazione tutto l’anno
La fruttificazione tutto l’anno, è ripresa da San Giovanni nell’Apocalisse (22), quando descrive la Gerusalemme Celeste, con probabile riferimento o allusione alla terra grassa dell’Italia dei Greci:
Fra la piazza e il fiume, di qua e di là, alberi di frutta che portano frutto dodici volte, una ogni mese, con foglie dalle virtù medicinali per la guarigione delle genti.
Possiamo allora concludere che la fruttificazione perenne del nostro territorio era nota nell’antichità nel bacino del Mediterraneo tanto da diventare modello letterario e religioso nelle culture più avanzate quali la greca e l’ebraica.
9. Dalla dieta vegetariana all’etica pitagorica
Aristotele afferma (Politica VII, 10) che re Italo convertì gli Enotri dall’allevamento animale all’agricoltura, e così fondò l’Italia. Questa conversione, attribuita unicamente a Italo, deve essere stato un processo duratomillenni, favorito dalla disponibilità di acqua e vegetazione. Quella conversione avvenne in netta controtendenza alla desertificazione del Medio Oriente, che fu costretto a ricorrere all’allevamento animale, soprattutto di pecore, per sopravvivere. Tanto per dare un’immagine facile da ricordare, mentre Abramo alzava il coltello per uccidere il figlio Isacco, nella Prima Italia si regalava il bue di pane, confezionato per ringraziare l’animale che aveva tirato l’aratro. Siamo così di fronte a due civiltà diametralmente opposte e cariche di conseguenze molto rilevanti nello sviluppo dell’etica. Questa diversità incolmabile fu capita da Pitagora che la elaborò e pose la dieta vegetariana alla base della fine della violenza: Se non osi uccidere l’animale, mai ucciderai l’uomo.
10. L’Apocalisse come messaggio pitagorico
Essa è ritenuta come il più misterioso dei libri, che invece diventa semplice come una fiaba per bambini se si legge la sua conclusione: la violenza del mondo finirà quando l’Agnello non sarà più sgozzato, ma adorato vivo sul trono di Dio. Difatti l’Agnello, simbolo per eccellenza del sacrificio cruento, era offerto mattina e sera nel Tempio di Gerusalemme. Questo spiega perché Pitagora scelse Crotone d’Italia per fondare la sua Scuola: in Italia la dieta vegetariana, favorita dalla fruttificazione perenne, era la norma e gli itali non facevano guerra a nessun altro popolo, cosa che invece avveniva in continuazione in Israele.
11. Messaggio pitagorico di Giordano Bruno
Una delle accuse mosse dalla Santa Inquisizione a Giordano Bruno fu che egli sosteneva: Ben fece Caino a uccidere Abele, quel massacratore di animali. Quella forte frase di Bruno significava che uccidere animali, anche se avveniva per offrire sacrifici agli Dei o per la necessità di sopravvivere, comunque generava violenza che poi si ritorceva contro chi uccideva gli animali.
12. Dalla Calabria riparte il messaggio della Prima Italia
Oggi abbiamo la possibilità di capire il percorso millenario della nostra terra e possiamo così riproporre il modello etico nato qui con la fruttificazione perenne. Medicina e filosofia concordano nel giudicare la dieta mediterranea, scoperta in Calabria, come la migliore in assoluto nel panorama mondiale.
13. Riscoperta della fruttificazione perenne in Calabria
Abbiamo eminenti ricercatori, studiosi ed erboriste che sanno molto della Calabria e sarebbe facile ricostruire e documentare la fruttificazione perenne che avveniva, e in parte avviene ancora, nel nostro territorio. Questo ci permetterebbe di scendere alle nostre radici non solo storiche, ma anche a quelle vive e vegete che la natura ha posto qui con piante e alberi. Un esempio di questo recupero potrebbe essere la famosa manna calabrese, conosciuta e lodata già da scrittori del Rinascimento, raccolta sotto forma di resina dolce sulle foglie e rami dei frassini. Scipione Mazzella, storico napoletano, ci dice: È storicamente accertato che per un lungo periodo di tempo ebbe luogo in Calabria la raccolta della manna.
Proprio cosi: la manna! Ma non la manna che mangiarono Mosè ed il suo popolo per 40 anni nel deserto, bensì quella calabrese che nasceva da un felice connubio di particolarissime condizioni atmosferiche: l’aria, l’acqua, la temperatura, l’umidità, le essenze ed i profumi della flora che si condensavano nell’atmosfera in condizioni favorevoli di «tempi e di luoghi» e davano origine a questa sostanza, anticamente ricercata e prelibata, tanto da farne un redditizio commercio, oggi completamente scomparsa. Un particolare luogo di produzione di questa manna veniva indicato nella Locride.
Salvatore Mongiardo