Caro Tito, in Italia (in queste settimane tra giugno e luglio 2017) sono in corso gli “Esami di Stato” per il conseguimento del Diploma di Maturità da parte di circa mezzo milione di studenti.
A quelli del Liceo Classico è toccato di tradurre dal latino un testo di Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) sul valore della Filosofia. Tale episodio mi ha riportato alla mente un altro tipo di traduzione dal latino, riguardante alcuni versi di Ovidio.
Infatti, durante l’anno scolastico ottobre 1963 – maggio 1964 in Catanzaro Lido ho frequentato la terza media, avendo sempre come compagno di banco l’amico Rosario Mirigliano (detto Sarino), oggi direttore d’orchestra e compositore di successo, allora abitante in Roccelletta di Borgia (due chilometri circa dalla scuola), dove i suoi genitori avevano un emporio per i passanti e per coloro che abitavano nelle numerose case rurali dei dintorni.
Una mattina, la professoressa di Lettere ci diede da tradurre dal latino i primi versi di una elegìa del poeta Publio Ovidio Nasone (nato a Sulmona il 20 marzo 43 avanti Cristo e morto, in esilio, a Tomi, sul mar Nero, oggi Romania, nell’anno 17 dopo Cristo). Ovidio è ancora oggi famoso per essere considerato “il poeta dell’amore”. L’editto dell’imperatore romano Ottaviano Augusto (63 a.C. – 14 d.C.), che lo condannava all’esilio perpetuo, è dell’8 d.C. e i versi che ci erano stati dati da tradurre sono comunemente conosciuti come “La notte della partenza da Roma” e fanno parte della raccolta Tristia 1, 3 (versi 1-26).
Cum subit illius tristissima noctis imago,
quae mihi supremum tempus in Urbe fuit,
cum repeto noctem, qua tot mihi cara reliqui,
labitur ex oculis nunc quoque gutta meis …
“Quando mi torna in mente la visione tristissima di quella notte, delle ultime ore che passai a Roma, quando ripenso a quella notte in cui lasciai tanti miei affetti, ancora adesso mi si riga il viso di lacrime. Si era quasi levato il giorno in cui per ordine di Augusto dovevo allontanarmi dagli estremi confini d’Italia. Non c’erano stati né tempo né condizioni di spirito adatte per fare i preparativi necessari: l’animo mio era rimasto intorpidito in un lungo indugio. Non mi curai di scegliere degli schiavi, un compagno, delle vesti o delle cose adatte a un profugo. Ero attonito come quando una persona colpita dalla folgore resta viva e non si rende conto d’esserlo. Quando però il dolore stesso rimosse questa nebbia che mi avvolgeva l’animo, e tornai infine ad avere percezione di quel che succedeva, rivolsi le ultime parole di commiato agli amici desolati, appena uno o due dei tanti che avevo. Piangevo, e più straziato del mio era il pianto della mia sposa che con amore mi abbracciava, mentre le lacrime scendevano incessanti a rigare quelle guance che non meritavano tanto dolore. Mia figlia era altrove, lontano sulla costa libica, e non poteva aver saputo del mio destino. Dovunque si volgeva lo sguardo c’erano lutto e gemiti, e l’atmosfera dentro la casa era quella di un rito funebre, e in tono non sommesso. Uomini, donne, anche i fanciulli piangono per la mia perdita, in ogni angolo ci sono lacrime. Se per piccole vicende si possono fare paragoni con grandi eventi, questo era l’aspetto di Troia mentre era espugnata”. (Trad. F. Lechi, dal web)
Le cause dell’esilio non sono tuttora chiare. “Carmen et error” (lascia intendere Ovidio stesso) cioè punito per la sua (troppo ardita, per quei tempi) attività letteraria (carmen) e per qualche (grave) “errore” da Lui commesso involontariamente nella corte imperiale ch’Egli frequentava in modo assai assiduo e bene accetto. Molto più probabilmente, la personalità umana, sociale e letteraria di Ovidio e la sua notevole statura civile avranno dato fastidio al Potere costituito o ai suoi influenti dintorni (come spesso accade in determinati ambienti dittatoriali, intolleranti e prevaricatori contro gli artisti troppo innovatori o scomodi, pure per invidie e gelosie). Nulla di nuovo sotto il cielo!… è stato sempre così, lo è ancora adesso e purtroppo sempre lo sarà finché esisterà la malvagità. La verità ed il merito sono doti troppo odiate, specialmente dai mediocri e nelle alte sfere governative. “Padre e Padrone hanno sempre ragione” … sentenzia un antico proverbio ancora in uso ovunque nel mondo. E, comunque, la prepotenza non cambia mai le sue regole del malorgoglio! Pure per questo il mondo è troppo dilaniato e così poco vivibile, nel quotidiano come nella Storia!
Sarino ed io, nel tradurre quei versi, ci siamo immediatamente accorti quanto fossero sublimi e struggenti. Ci suggestionarono parecchio e tanto ci commosse la triste vicenda d’esilio di un così grande Poeta, uno dei più amati e famosi della nostra antichità latina. Questi versi di addio alla città di Roma ci rimasero nel cuore e spesso li avremmo citati negli anni a venire, poiché li avevamo imparati a memoria (in latino) tanto erano belli, tanto li sentivamo nostri.
E tanto li abbiamo amati, sentendoci vicini al Poeta ingiustamente esiliato. E quando entrambi abbiamo abitato il medesimo appartamento come studenti universitari a Roma, al Piazzale Tiburtino, ci siamo fatti un giro notturno per i Fori Imperiali (deserti e silenti per l’ora tarda) immaginando “La notte della partenza da Roma” dell’esiliato Ovidio, immedesimandoci in quei tristissimi momenti del definitivo addio! Quasi una morte anticipata per Lui e per chi lo amava! Quando si parte da esuli, si parte sempre con la morte nel cuore! Già “partire è un po’ morire” si suole ancora dire!… Figuriamoci per un esule, un profugo, un ostracizzato che ama il proprio Paese!
In particolare, in quei banchi di terza media, io (appena tredicenne) ebbi come un presagio, una premonizione … uno dei tanti presentimenti che hanno popolato e inquietato la mia adolescenza (ne sono testimoni i versi della raccolta “Gemme di Giovinezza” – 1967) e che poi, nel corso della mia vita, si sono avverati (più o meno tutti) per come li avevo pre-sentiti e immaginati. Così pure questa “profezia” del mio esilio … cosa che si è avverata il primo novembre 1988, quando, anche io, in piena notte ho lasciato il mio amatissimo paese natìo e multigenerazionale, Badolato. Con il medesimo stato d’animo di Ovidio (ovviamente nelle proporzioni dei fatti e delle distanze). Ma sempre di “esilio” si tratta!
Se non proprio nella sua ineguagliabile arte ma nella sostanza descrittiva sì, quei suoi versi avrebbero potuto benissimo essere miei o di qualsiasi altro esule che parte definitivamente! Penso a milioni di persone e famiglie (spesso smembrate) che da sempre (ma specialmente in questi ultimi decenni nel mondo, pure con l’indifferenziata etichetta di “Migranti”) sono costretti a lasciare la propria casa (spesso distrutta) e il proprio Paese in macerie perché cacciati ed esiliati dalle bombe di regimi indegni non soltanto della civiltà ma, adesso, pure della “globalizzazione” la quale cerca (per quanto possibile e nel suo interesse) di evitare i conflitti armati troppo devastanti, avendo puntato quasi tutto sugli scambi commerciali, tecnologici, turistici e sull’ecologia (Accordi di Parigi sul clima, 12 dicembre 2015). Ma c’è sempre chi soffia sul fuoco, ci specula e vende armi sempre più micidiali! Ma il Mondo si conquista con l’Amore ed il benessere non con il caos, la violenza ed il terrore!
Dopo alcuni mesi dal mio arrivo da “esiliato” in Alto Molise, sono andato, con mia moglie, a Sulmona (provincia de L’Aquila) per rendere omaggio al monumento che la sua Città ha dedicato al più grande dei suoi figli, Ovidio. Poco distante da Sulmona c’è Corfinio, luogo che ho visitato proprio perché lì è nata la “Lega italica” (90-88 a.C.) dei popoli dell’Appennino centrale contro Roma. Ricordo che il nome “Italia” era nato attorno al 1500 a.C. in Calabria, ma probabilmente quella della “Lega italica” (con capitale Corfinio e poi Isernia) potrebbe dirsi espressione di una “prima Italia politica e militare”. Siamo poi tornati a Sulmona (80 km di distanza tra impervie montagne) utilizzando il treno turistico detto “La Transiberiana d’Italia” attraverso lo stupendo Parco Nazionale d’Abruzzo. E, ne sono certo, ci sarà sicuramente una terza occasione per salutare l’amico Ovidio nella sua grande piazza di Sulmona (il cui monumento s’impone nella recente e bella foto con palloncini colorati realizzata da Maria Strozzi – Reportage.com)!
Scusa tanto, caro Tito, se qualche volta interrompo la cronologia del mio racconto sul mio amore per Badolato (paese e gente) con qualche divagazione (seppur attinente ma cronologicamente anticipata) come questa del mio esilio, condiviso umanamente (almeno nello stato d’animo) dopo quasi duemila anni con il mio prediletto Ovidio e, idealmente, con tutti coloro che hanno vissuto e vivono un allontanamento forzato, atrocità ispirata dalla cattiveria umana di cui il cosiddetto Potere costituito è prima espressione (anche quando viene esercitato in nome del popolo). Pure questo episodio può contribuire a farti capire le dimensioni e i termini (politici e sentimentali) di questo mio racconto. Anche la cosiddetta (falsa) “democrazia” manda in esilio!… specialmente quella che si autodefinisce “progressista” e “popolare”. L’esilio non è roba di altri tempi, strazia pure oggi!
E mi sento di parlare adesso di tutto ciò, spinto pure da una considerazione che qualche giorno fa mi ha evidenziato un carissimo amico e compaesano, il quale fin dal 1981 mi metteva in guardia dal fidarmi dei politici-amministratori (di qualsiasi colore) del nostro paese natìo. Tale sempre sincero e devoto amico, mi ha fatto osservare che, tutto sommato e paradossalmente, mi è andata fin troppo bene con le persone di potere (uomini e donne) di Badolato … anche se mi hanno mandato, come affermo io, in esilio. Infatti, dice lui, dopo il 1988 (quando me ne sono dovuto andare da Badolato) le cose sono peggiorate sempre di più … tanto da giungere, tra l’altro nei decenni, persino allo scioglimento anticipato del Consiglio Comunale addirittura per fondati sospetti di mafia!… Per non parlare di altre colpevoli distorsioni amministrative, che, comunque, hanno pesato e continuano a pesare fin troppo (economicamente e socialmente) sui cittadini chissà per quanti anni ancora!
In effetti, questo mio amico (fedelissimo e prezioso fin dall’adolescenza) aveva ed ha proprio ragione!… A ben pensarci ho corso un rischio ancora maggiore e peggiore dell’esilio! Tuttavia, alla fin fine, non mi dispiace tanto per me personalmente (dal momento che poi, in qualche modo, me la sono cavata sufficientemente e dignitosamente per vivere ancora onesto e sereno) … mi dispiace fin troppo per il mio paese natìo e per la mia gente che, probabilmente, ancora più di me hanno dovuto soffrire condizioni che nessuna comunità-famiglia merita.
Dico “comunità-famiglia” poiché solitamente nei nostri paesi ci conosciamo tutti e condividiamo gli stessi spazi e situazioni e, più o meno, spesso siamo uniti da familiarità e parentela. Ma l’avidità e la prepotenza, la sete di potere (e tutte le altre gravi negatività prodotte dal malorgoglio) non salvano nessun legame nemmeno di sangue. Specialmente nel sud Italia, ho visto paesi dolorosamente divisi e famiglie lacerate e addirittura spaccate, persino tra fratelli e amici, tra padri e figli che si inimicano e si odiano per politica e in occasione di Elezioni comunali, addirittura in villaggi sperduti e di poche centinaia di abitanti, i quali, al contrario, avrebbero assoluta necessità di essere tutti indistintamente uniti per la pura e semplice sopravvivenza antropologica e topografica!
Ma lo spopolamento e l’agonìa dei nostri piccoli paesi è, purtroppo, dovuto pure a queste insanabili fratture “politiche” (di poco conto però come si giocassero la vita!) tra famiglie e tra gruppi sociali! E Badolato non ne è stato esente, purtroppo! Anzi, penso che sia uno dei più litigiosi politicamente. Senza guardare in faccia proprio nessuno! Mi credi allora, caro Tito, quando parlo e riparlo e straparlo di “politica tribale” e di “Suicidio del Sud”?…
Come potevo trovarmi io (tanto volenteroso ma ingenuo e con i colori universali dell’arcobaleno e dell’Amore sociale) in un simile clima di problematicità complessiva, quando ho sempre agito (a mie proprie spese) per migliorare il mio paese (e non solo)??? … Ho dimostrato di metterci e rimetterci di mio pur di raggiungere splendidi ed originali risultati per il “bene comune” … pur di vedere il nostro paese significare, eccellere e brillare, essere persino prototipo per migliaia di altri, altresì dimostrando universalmente che poteva essere assai utile punto di riferimento epocale … proprio mentre altri erano, al contrario, in corsa o governavano per ottenere principalmente benefici personali, familiari e di partito! Che differenza!… insostenibile differenza!
Essendo, quindi, agli antipodi etici, valoriali e comportamentali, capisco che per me non poteva finire diversamente. Ma l’Amore è davvero cieco e sordo … mi ha offuscato totalmente e per lungo tempo mente e cuore! Ed ha ragione il mio vecchio amico … tutto sommato mi è andata pure bene! E, paradossalmente, va a finire che addirittura devo essere io a ringraziare chi mi ha mandato in esilio, salvaguardandomi dai successivi drammi comunali!… Forse è proprio così! Grazie!
Questo è, se ti pare, caro Tito! Ma siamo ancora in vita, tuttavia, e quasi in splendida forma, sebbene attempati e con i capelli che tendono al bianco senatoriale! Ringrazio, quindi, chi mi ha permesso e mi permette di essere ancora così presente a me stesso e ad altri, nonostante tutto! Grazie, grazie davvero!
Caro Tito, d’ora in poi cercherò di non parlare più di “esilio” (argomento che ritengo ormai acclarato ma superato!), mentre la datazione delle mie “Lettere su Badolato” e “Lettere a Tito” avverrà da un “luogo” ideale … dall’ AZZURRO INFINITO, pure per indicare che ognuno di noi, alla fin fine, appartiene ad un proprio mondo (o ad un proprio “angolo di cielo” o di “mare”), svestendo i panni storici di ogni precedente esperienza (positiva o negativa) e di troppa osannata appartenenza. Ed io torno a pensare “Universale” come ero, già da adolescente, ancora prima di dare il nome “Euro Universal” alla mia “mitica” band del “pop-islam”!
Allora, Buona Vita! Buona e lungimirante Universalità a tutti!
Domenico Lanciano Azzurro Infinito, sabato 24 giugno 2017 ore 12,04
Grazie, caro Mimmo,
ho letto con molto piacere la tua “Lettera su Badolato”. I versi di Ovidio li
ricordo ancora e mi capita spesso di citarli, ma avevo in parte dimenticato gli
episodi a cui fai riferimento (la scuola e le nostre passeggiate notturne ai
Fori imperiali). Grazie per avermeli riportati alla memoria! E’ stata una forte
emozione. Mentre leggevo la tua lettera mi è passato accanto mio figlio Matteo
e attraverso i tuoi ricordi ho cercato di fargli percepire l’atmosfera di
quegli anni… Grazie ancora. Un abbraccio. Sarino