A Gerace (Rc) l’iniziativa di «Se non ora quando?». Le storie, le voci, le lotte quotidiane di chi ha deciso di cambiare la propria terra scontrandosi con la mafia. Per capire se questo Paese può avere ancora un futuro, bisogna arrivare fin nel cuore della Locride, in un pomeriggio di giugno, lasciarsi alle spalle gli eterni cantieri della Salerno-Reggio Calabria, gli abusi anche quelli non finiti, le brutture, gli abbandoni, arrivare a Gerace, con le sue «cento chiese», il suo borgo, tra i più suggestivi d’Italia. E a ascoltare le storie, le voci, le lotte quotidiane delle donne di Calabria, che si intrecciano sciamando verso Piazza del Tocco, dove, ospiti del sindaco Giuseppe –, si sono date appuntamento per celebrare, sotto la canicola estiva, il loro «Se non ora quando». Al grido: «La Calabria è delle donne».
Donne coraggio, donne imprenditrici, come Raffaella Rinaldis che la prossima settimana terrà a battesimo la sua «Fimmina tv», insegnanti, presidi, artigiane, come Tina Macrì che ha recuperato l’uso del telaio per tessere preziosi tessuti antichi, artiste, donne che si sono ribellate alla ‘ndrangheta e alla Calabria come è sempre stata. E poi le sindache. La sindaca di Monasterace Maria Carmela Lanzetta, che si dimise per dire al Paese che non doveva lasciarla sola davanti alle minacce. Le sindache di Rosarno, di Isola Capo Rizzuto, di Decollatura. Quelle che il Paese scopre quando diventano bersaglio della mafia. E che per un attimo diventano simbolo dell’altra Italia, che poi riscompare. Qualcuna arriva in piazza con la scorta. Si sorridono, si cercano, si abbracciano. Mentre cercano il conforto dell’ombra, dal palco Francesca Prestia, cantastorie di questa terra, intona «La ballata di Lea». «Era una ribelle, fin da ragazzina», racconta sua sorella, Francesca, otto anni più grande di lei, che ne aveva appena 35 quando fu trovata e sciolta nell’acido, perché non doveva parlare, non doveva denunciare quello che aveva visto da donna sposata con un uomo di ‘ndrangheta. «Ha sempre avuto più coraggio di me», si schermisce Francesca. «È per i figli», aggiunge poi che le donne come Lea decidono di non sottomettersi. Sua sorella, aveva una figlia, Denise, diciott’anni quando Lea è stata uccisa. Ora la testimone di giustizia è lei. «Non so nemmeno dove sia ora», dice Francesca che di figli ne ha tre.
Fonte: http://www.unita.it – Maria Grazia Gerina