salvatore mongiardo foto 2015La SuperReligione delle Donne oltre il sesso, la politica e le religioni. L’Università delle Generazioni e CostaJonicaWeb.it sono lieti di presentare la sesta puntata del libro (“work in progress”) “La vita universale” che il filosofo Salvatore Mongiardo di Soverato sta scrivendo, giungendo attualmente fino alla pagina 42. Buona lettura a tutti!

1. Verso l’India

 

L’aereo degli Emirates si alzò in volo da Milano Malpensa,sbucò fuori dalla nebbiae un sole accecante entrò dai finestrini. Erano i primi di gennaio 2014 e assieme all’amica Ursula partivo per una lunga visita nel Sud dell’India.Facemmo scalo a Dubai ele hostess si rimisero il grazioso cappellino col velo simbolico prima dell’atterraggio al lussuoso aeroporto.

Visitammo Dubai con i suoi infiniti grattacieli, alberghi, negozi, metrò, ville, strade, porto: tutto nuovo, fiammante,gigantesco. Lo sceicco Mohammed voleva lanciare Dubai come luogo di attrazione mondiale per il turismo di lussospendendo cifre inimmaginabili. Di sviluppi immobiliari mi ero occupato a lungo professionalmente, e perciò cercavo di capire il meccanismo finanziario e organizzativoche aveva prodotto uno sviluppo così spettacolare.

Un giorno, vicino alla Torre degli Arabi chiamata La Vela, mi misi a parlare con giovani indiani che lavoravano come operai nelle costruzioni. Mi informai su come e dove vivevano e quali rapporti intrattenevano con i cittadini di Dubai.Guadagnavano circa cinquecento euro al mese, dormivano in quattro o cinque in una stanza, risparmiavano su tutto e riuscivano anche a mandare soldi ai parenti. Peròcon gli arabi non avevano frequentazione perché questi vivevano lontanodalla cittàin quartieri loro riservati. I lavoratori stranieri, giovani afgani pakistani indiani che costituivano la maggioranza della popolazione, dovevano stare per conto loro.

 

Quella conversazione mi riportò a una storia che conoscevo bene, quella della Costa Smeralda in Sardegna, dove lavorai dieci anni come direttore marketing per il principe Karim Aga Khan. Quando il principe mi assunse,mi sembrò di toccare il cielo con un dito non solo per l’incarico manageriale prestigioso, ma soprattutto perché quella posizione mi permetteva di vivere in un posto nuovo, libero, senza tutte le complicazioni delle grandi città o le soffocanti costrizioni della Calabria da dove provenivo. Le città in cui ero vissuto: Parigi, Fontainebleau, Hannover, Heidelberg, Monaco di Baviera, Roma, mi piacevano per la libertà e le possibilità che offrivano, ma alla fine era concitatee impersonali. Io ero alla ricerca di un ventre caldo, un posto dove vivere tra gente che ti vuole bene.

 

Quando lasciai il lavoro della Procter&Gamble di Roma per Porto Cervo, portaicon me i libri che ritenevopiù adatti allanuova avventura: I Dialoghi di Platone, L’Utopia di Moro, La Città del Sole di Campanella, la Nuova Atlantide di Bacone… Nel consegnarmeli il libraio mi disse:

-A dottò, ma perché non pensa a divertirsi invece di stare a leggere ’sti mattoni…

Io mi obbligavo a quella fatica intellettuale peressere preparato a quella rara opportunità di vivere in una comunità che avrei aiutato a crescere.Presto però mi sarei accorto che la Costa Smeralda tutto era meno che la comunità accogliente che sognavo. E l’ostacolo era proprio l’Aga Khan con la sua proibizione di ammettere la popolazione sarda a stare accanto airicchi turisti italiani e stranieri. Era una direttiva del principe: cancelli ai varchi che portavano alle spiagge per non far passare i sardi, ritorno ogni sera ad Olbia o Arzachena dei sardii quali,negli interminabili meeting col principeche si svolgevano in inglese,dai manager di madrelingua inglesevenivanochiamatinatives, indigeni:His Highness, cioè Sua Altezza, titolo con il quale ci rivolgevamo a lui, lasciava correre.

Scrissi allora un rapporto al principe nel quale legavo il successo dello sviluppo al superamento del dissidio con la popolazione locale, fiducioso che avrebbe sanato quel problema, lui che tanta attenzione e amore metteva nel far rispettare i ginepri, le rocce levigate dal vento, le spiagge lambite dalmare di vivo smeraldo. Ma egli non fece nulla, forse condizionato dall’ambiente snob degli aristocratici inglesi tra i quali era cresciuto o dalle sue lontane origini arabe.

Quella mia esperienza di Sardegna mi faceva apparireDubai come una ripetizione dello schema dell’Aga Khan e mi chiedevo come si sarebbe evoluto quell’emirato che cercava di inserirsi nel mondo moderno con uno sforzo sovrumano.Riprendendo l’aereo per l’India, mi augurai che Dubai non finisse come la Costa Smeralda,che rimaneva vuota e spettrale per lunghi mesi e si popolava solo per la breve stagione estiva.Alla fine avevano vinto i massi di granito rosa, indifferenti alla sferzante solitudine e al vento che fischiava dalle Bocche di Bonifacio dove il mare è sempre in tempesta.

Durante il volo mi venne di pensare, forse per contrasto alle sabbie del deserto, alle foreste dell’Amazzonia,dove ero stato per incontrare il mio figlio adottivo Marinaldo, e alla quantità enorme di ossigeno che quelle foreste fornivano ai popoli della Terra. Anche gli arabi respiravano di quell’ossigeno, però loronon davano al Brasile un po’ del petrolio che estraevano dal sottosuoloin contraccambio:se lo facevano pagare.

 

2. Auroville

 

Conoscevo già l’India del Nord, ma era la prima volta che mettevo piede nel Sud. Anche Ursula conosceva il Nord India, dove aveva vissuto da giovane per tre anni come insegnante, e fu felice di tornare in quella terra che lei ricordava tutta coperta di polvere rossa. L’agenzia aveva organizzato un tour per noi due con autista a nostra disposizione, Thomas. Fu una scelta fortunata perché Thomas era impeccabile nella guida sulle strade piene di gente, caprette e vacche che attraversavano continuamente. Visitammo in lungo e largoBangalore, Mysore, Kochi, Trivandrum, Madurai, Cuddalore, Mahabalipuram, Pondicherry…A me l’India piaceva perché ogni persona che incontravo, uomo donna bambino, mi guardava negli occhi e sorrideva.

Non ci stancavamo di visitare i templi immensi, pieni di fedeli che si accalcavano tra profumi di incenso, lampade, doni di frutta, suoni di trombe campanee tamburi: ogni volta mi sembrava di assistere alla nascita dell’universo, e forse non mi sbagliavo. In ognuno di quei templi,difatti,nasceva e si rivelava senza sosta l’universo dei desideri posti al fondodi ogni anima.

Il Sud India ha da vari millenni la stessa tradizione religiosa, gli stessi Dei e la stessa lingua: gode di una salutare continuità che nel Nord Indiaè stata interrotta dalla propagazione di buddismo, jainismo, sikh e islam.

 

A Kochi, la capitale del Kerala, visitammo la bellissima sinagoga adibita a museo. Ursula si informò sugli ebrei del posto, ridotti a una ventina perché la maggior parte di loro si è era spostata altrove. Ursula è nata svizzera da genitori ebrei. La madre, temendo che Hitler potesse invadere la Svizzera, lediedealla nascita i nomi più tradizionali: Ursula Heidi. Ma il suo nome segreto, quello che la madre avrebbe voluto darle secondo la tradizione ebraica, è Rifka, Rebecca. Sua madre aveva una sorella, Leah Rotfarb, che lavorava come istitutrice aWeimar in Germania, e nonvolle dare ascolto agli inviti pressanti della sorella di rientrare in Svizzera.Un giorno fu prelevata dalla Gestapo e scomparvesenza lasciare traccia, finendo quasi certamente nella camera a gas di un lager nazista.

 

Il tour andò avanti per settimane dal mare alle montagne dove si stendevano le belle coltivazioni verdi e basse del tè. Dappertutto si vedevano giovani e meno giovani con motorini, blue jeans e magliette.Gli abiti indiani cominciavano a perdere terreno e si poteva immaginare che i variopinti sari delle donne fra non molto sarebbero scomparsi. Thomas ci lasciò in lacrime ad Auroville dove ci saremmo fermati per un po’, dicevo a Ursula per non allarmarla. La verità è che io avevo puntato su Auroville e volevo rimanervi un mese intero. Di Auroville avevo sentito dire quanto bastava ad accendere la mia fantasia sempre alla ricerca di un luogo ideale. Ormai mi accettavo così perché avevo capito che era più forte di me: io ero nato col bisogno di vivere appieno respirando e trasudando forti emozioni. La vita organizzata non era per me e l’ambiente manageriale mi sembrava popolato da morti che trafficavano sottoterra preparando organigrammi, budget e previsioni di vendita. Io cercavo di evadere da quel cimitero attraverso un cunicolo che mi scavavo di nascosto e a nulla servivano gli ammonimenti di parenti e amici: Quello che tu cerchi non esiste…

 

Quando ci registrammo all’ufficio dei visitatori di Auroville ci diedero un foglio dove era scritto:

 

Auroville vuole essere una città universale, dove uomini e donne di tutti i paesi sono in grado di vivere in pace e armonia al sopra di ogni credo, politica e nazionalità. Lo scopo di Auroville è quello di realizzare l’unità umana.

 

Prendemmo alloggio nella più bella delle case per ospiti, Swagatham Ashram, diretta da Vijaya, alta ed elegante nel sari, che ci assegnò la suite dove aveva soggiornato il Dalai Lama. Ogni mattina con tocco magico lei faceva scorrere polveri colorate dalle sue dita disegnando fiori leggiadri sul pavimento dell’androne.

 

Auroville prende il nome da Aurobindo, un personaggio straordinario poco conosciuto in Occidente. Lo scrittore inglese Aldous Huxley parlò di Aurobindo come del Platone delle generazioni future, una definizione che a me sembra quanto mai azzeccata. Aurobindo (1872-1950) figlio di un medico bengalese, fu mandato dal padre a studiare in Inghilterra, dove il giovane si distinse per capacità prodigiosa nell’apprendimento delle lingue classiche, greco e latino, e nelle moderne tra cui l’italiano. Si laureò al King ‘s College di Cambridge e, rientrato in India, si rese conto della miseria nella quale versava il suo popolo e iniziò l’opera di proselitismo per portare il paese all’indipendenza dagli inglesi. Fu imprigionato e alla fine si rifugiò a Pondicherry, che era dominio francese, e lì rimase fino alla morte. Egli fu l’iniziatore del movimento indipendentista portato poi a termine da Gandhi. La vastità della sua cultura, la capacità di profonda analisi e l’abilità nella sintesi culturale tra Oriente e Occidente l’hanno reso unico nel panorama filosofico mondiale. Della sua sconfinata produzione letteraria, l’opera più importante rimane Savitri, un poema in inglese aulico di ventiquattromila versi, diecimila in più della Divina Commedia, dalla quale egli prese il termine Cantoper indicare le sei parti che lo compongono. E’ difficile spiegare lo stile della sua poesia: a me sembra un irrefrenabile sviluppo mistico del Veni Sancte Spiritusdella liturgia cattolica della Pentecoste, un desiderio bruciante di luce e amore capace di inondare gli angoli più bui e remoti dell’esistenza. Negli ultimi venti anni di vita egli interruppe tutti i rapporti col mondo esterno e si dedicò unicamente alla scrittura, convinto che la comprensione profonda delle cose era il solo modo per cambiare il mondo. Nessuno più profondamente di Aurobindo ha esplorato la natura della libertà che definì come unanelito eterno dello spirito, essenziale come il respiro: ogni anima necessita di libertà per portare a termine la sua evoluzione. Una sua frase mi compensò largamente delle fatiche fatte per arrivare fin lì:

 

Il desiderio di essere liberi dimora in un strato profondo del cuore umano e mille argomenti sono impotenti a sradicarlo. Libertà e immortalità sono in noi stessi e attendono di essere scoperti.

 

3. La Madre

 

La vita di Aurobindo si legò a quella di Mirra Alfassa, o Mère, la Madre, come era chiamata una incredibile donna francese (1878-1973) che da bambina ebbe esperienze mistiche e da sposata abbandonò tutto per rimanere accanto ad Aurobindo. Il filosofo considerava Mère come un altro se stesso e le affidò la direzione dell’ashram e dei suoi seguaci per proseguire in solitudine i suoi studi.

Mère ideòuna comunità dove la competizione, i soldi, la nazionalità e il credo religioso fossero irrilevanti,e la fondò su un grande territorio arido e abbandonato. Il 28 febbraio 1968 venne posata la prima pietra della città di Auroville nel luogo che Mère aveva visto in sogno vicino a un banian, un gigantesco alberocon radici aeree che scendono dai rami, raggiungono il terreno e si trasformano in altrettanti tronchiche continuano a fare parte dello stesso albero. Il banian di Auroville ha una trentina di grossi tronchi distanti diversi metri l’uno dall’altro e sostengono rami pieni di foglie sempreverdi. Alla cerimonia inaugurale presenziarono l’ONU e 124 nazioni e,con una legge speciale, l’India riconobbeautonomia amministrativaalla comunità.I principi posti da Mère alla sua base sono:

 

Auroville non appartiene a nessuno, ma a tutta l’umanità. Per vivere ad Auroville bisogna essere servitori volenterosi della Coscienza Divinala cui discesa sulla terra è destinata ad apportare un radicale cambiamento nella vita e nella materia. Auroville vuole essere il ponte tra passato e futuro e sarà un luogo di ricerche materiali e spirituali per la realizzazione vivente dell’Unità Umana.

 

Il centro geografico e simbolico di Auroville, che nel tempo è stata tutta piantata di alberi, è il Matrimandir, una enorme sfera di metallo a forma di palla da golf coperta da specchi metallici dorati, un capolavoro di architettura moderna. Il termine significa Tempio della Madre, intesa come coscienza evolutiva universale. I giardini attorno sono curatissimi e all’interno si sale per una bella scala a spirale che immette dentro una grandiosaaula sostenuta da colonne di marmo bianco. Una sfera di cristallo posta in altomanda dentro la luce del sole: i visitatori possono sedere in silenzio per una breve meditazione.Attorno al Matrimandir sono disposte le aree destinate a residenza, scuole, fattorie, giardino botanico, ristoranti. In questacittà ideale il denaro non è il padrone edil lavoro è un modo per esprimere se stessi sviluppando le proprie capacità al servizio della comunità che fornisce ogni cosa ai residenti.

 

Ad Auroville si respira un clima di spontaneità e si possono frequentare concerti di musica degni di essere eseguitinei teatri europei, spettacoli teatrali in inglese di grande raffinatezza, conferenze su filosofia e yoga di alto livello. I residenti di Auroville sono persone colte per metà stranieri: francesi, inglesi, americani, tedeschi e italiani, circa mille, e altri mille indiani. Indubbiamente il peso degli stranieri è maggiore per la loro disponibilità finanziaria. Numerose sono le coppie con bambini, l’alcol è proibito e la cucina è vegetariana. Il fascino di Auroville consiste nella varietà degli ambienti che vanno dalcampagnolo delle fattorie agricole a quello sofisticato dei centri culturali.

Approfittai della presenza di persone colte e di biblioteche per cercare di capire la forte somiglianza culturale che avevo notato tra India e Grecia antica. Il Dio Indra, il padre degli Dei, era raffigurato con una folgore in mano. Mi chiedevo: Giove, padre degli Dei e con folgore in mano veniva forse dall’India?E la numerologia del Dio Shiva con i significati dei vari numeri, non era simile a quella di Pitagora? E lo stesso Pitagora non mangiava del miele al mattino come suggeriva la medicina ayurvedica? E il rito pitagorico di adorare il sole al mattino non era ancora praticato da milioni di indiani che recitavano all’alba l’invocazione Suria namascar? Ma nessuno seppedirmi nulla su una possibile origine comune di quegli usi né trovai testi scritti al riguardo.

 

L’organizzazione di Auroville è macchinosa perché basata sul consenso di tutti i residenti, e ottenere l’accordo di tutti su tutto a volte richiede anni. Anche problematica è l’amministrazione finanziaria per l’enormità del territorio e il sostegno dato a tutte le iniziative. Auroville è un campionario di tutte le difficoltà, ma è palpabile la volontà di andare avanti per realizzare un sogno, e credo che alla fine vincerà.

Stimolato nello spirito, dimagrito dalla dieta vegetariana, risanato da favolosi massaggi ayurvedici, riprendemmo l’aereo per Milano a marzo, quando già cominciava il caldo dell’implacabile estate indiana.

 

4. L’uomo perfetto

 

L’arrivo a Milano col cielo coperto e l’aria irrespirabile mi fece rimpiangere l’India e i suoi cieli. Avevo terminato l’attività lavorativa e non mi mancava il tempo libero che dedicavo alla mia occupazione preferita: cercare un posto bello dove vivere…Ma dove era quel posto? Raggiunta l’età di settanta anni, dovevo decidermi una volta per tutte dopo sedici traslochi in città e nazioni diverse. Mi calmai al pensiero che forse avevo raggiunto quella perfezione lodata dal mistico medievale francese Ugo di San Vittore: Perfetto è l’uomo che si sente estraneo al mondo intero. Ecco, il beato Ugomi aveva capito con otto secoli di anticipo e mi dava pure del perfetto.

Comunque, per non lasciare spazio a dubbi, seguendo l’uso manageriale americano cominciai a scrivere su un foglio i vantaggi, segnati da un più, e gli svantaggi, segnati da un meno, sotto la dicitura Milanoo Calabria, dove pensavo di ritornare. Conoscevo le difficoltà che avrei incontrato in Calabria, una terra che tutti abbandonavano perché ritenuta invivibile, e questo pensiero mi preoccupava non poco. Ricordavo l’analisi della Calabria fatta da una psichiatra milanese che era stata ospite di amici a Soverato e mi parlò di una frattura psichiatricadell’animo calabrese che aveva riportato danni irreparabili. Quella psichiatra aveva toccato con mano il disprezzo dei calabresi verso la propria terra, la perdita della propria identità, la cattiveria derivante da frustrazioni vecchie e nuove: bastava vedere come sporcavano la loro terra…

Tutti quei pensieri mi tenevano in tensione e forse a causa di questa una notte ebbi un sogno che avevo già avuto nel lontano 1967, quando lasciai la Germania e me ne andai a Parigidopo una grave incomprensione con Erika, la mia ragazza di Monaco, come ho raccontato nel mio Ritorno in Calabria.Arrivaia Parigi a fine settembre, presi alloggio in un hotel e corsi al Louvre per vedere la Gioconda. Al centro del salone, riservato all’arte italiana, vidi Monna Lisa che mi sembrò tornare viva. E difatti sistaccava dal dipinto, si ingrandiva, accentuava il suo sorriso da misterioso a benevolo e veniva verso di me abbandonando lo sfondo dei monti sui quali l’aveva ritratta Leonardo. Turbato da quella visione che pensai dovuta alla fatica del viaggio, lasciai il museo,tornai all’hotel,mi addormentai ed ebbi un sogno carico di colori, mentre prima i miei sogni eranostati in bianco e nero.

 

Ora, prima di raccontare quel sogno, devo spiegare persone e luoghi che apparivano nel sogno.

Tralò è una collina, posta tra il precipizio di Fabellino sul fiume Alaca e il mio paese Sant’Andrea Jonio, che domina il mare e i monti del Golfo di Squillace con una vista mozzafiato. In quella collina c’era una grande proprietà della famiglia di mia nonna materna Maria Caterina Ranieri, donna di leggendaria bellezza. Quando suo marito, nonno Bruno, ritornò dall’America nel 1947, decise di piantare la vigna nella parte alta di Tralò. Il nonno aveva allora settanta anni, io sei, e lavorava con gusto affondando la zappa in quella terra che aveva abbandonato nei lunghi anni passati nell’Ohio. La terra fu dissodata e pochi anni dopo era una festa andare a Tralò per la vendemmia. Poi, alla morte del nonno, Tralò fu di nuovo invasa da vegetazioneridiventata fitta ed impenetrabile.

 

Nel sogno io avevo circa venticinque anni, l’età dell’arrivo a Parigi, e nonno Bruno era sui settanta, come all’epoca che dissodò il terreno. Tralò però non si trovava più sul MarJonio, ma era una cima di duro granito ricoperta di ghiaccio in un territorio nordico come la Finlandia. Nonno Bruno mi dava un piccone invitandomi a dissodare, io obiettavo che non era possibile, ma lui, la persona più amabile al mondo, aspettava determinato che iniziassi il lavoro. Allora affondavo il piccone nel ghiaccio, incontravo il duro granito e mi sfiancavo nello scavo. Quando ero arrivato ad alcuni metri di profondità, una forza irresistibile mi risucchiava verso il centro della terra. Mi sentivo stritolato e trattenevo il respiro fin quando venivo espulso con forza dalle parti dell’Oceaniasu una piccolissima isola quadrata,inondata di sole con palme frementi al vento su un mare azzurro. La mia gioia allora era incontenibile e il cuore mi scoppiava in petto per la felicità.

Quel sogno, che si ripeté diverse volte a Parigi e che avevo dimenticato, ritornava ora a Milano come per indicarmi una via da seguire. Alla fine ragionai così. Gli altri hanno ragione a dirmi che sono un sognatore, ma io non riesco a cambiarmi:allora tanto valeprovare a costruire il mondo dei miei sogni nei luoghi che già conosco. Il sogno sembrava dirmi che anche il ghiaccio e il duro granito si possono rompere, e così decisi di ritornareal Sud.

Quando lo spedizioniere venne a prelevare i mobili per il trasloco, piegai il foglio dei vantaggi e svantaggie lo infilai sotto la porta di casa per fermarla. Lo spedizioniere mi disse scuotendo la testa: Fra un anno al massimo mi chiederete di riportare i mobili dalla Calabria a Milano…

 

5. Budda è arrivato a Eboli

 

In macchina sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria ero in vista di Eboli e ascoltavo alla radio una docente di storia delle religioni che parlava di Budda. La professoressa narrava del concepimento miracolosodi Budda durante un sogno in cui la madre,Maya, vide un elefante bianco a sei zanne entrare in lei dal suo fianco, e poi la nascita di Budda dal fianco della madre nel boschetto di Lumbini. Nell’udire quel nome mi fermi su una piazzola di sosta per ascoltare con calma.

 

Difatti, quando anni prima visitavo il Nord India e Nepal, desideravo molto vedere Lumbini che si trova in Nepal vicino al confine con l’India. Chiesi alla nostra guida se era possibile visitare Lumbini, ma lui mi spiegò che quel posto era lontano, oltre la catena del Karakorum, mentre noi dovevamo proseguire in aereo per Benares. La mattina di gennaio che dovevamo imbarcarci,una nebbia bloccò l’aeroporto di Benares e il nostro gruppo dovette volare su un piccolo aereo fino a una città vicina a Lumbini per proseguire in pullman fino a Benares. Il giorno dopo camminavo per il viale alberato che porta al sito archeologicodi Lumbini, dove sono stati portati alla luce importanti resti vicini a una piccola grotta adorna di fiorie lampade, il luogo di nascita di Budda.

 

Intanto la professoressa alla radio continuò spiegando la profezia del Budda Maitreya o dell’Amore. Il Budda aveva predetto che, molti secoli dopo di lui, sarebbe nato in Occidente il Budda Maitreya, che avrebbe unificato l’umanità nell’Amore superando le difficoltà e le divisioni create dalla storia. Nell’udire quella profezia, tutte le fibre del mio essere vibrarono in un fortissimodesiderio di esser io il BuddaMaitreya e dovetti stare fermo per un po’ e calmarmi prima di ripartire.

Ripresi il viaggio e riflettevo che Budda e Gesù, del quale avevo visitato la grotta a Betlemme, alla fine volevano la stessa cosa, cioè la fine dell’angoscia del vivere e del morire. Budda,però, non si curava di Dio, ma della propria vita che voleva liberare dal dolore. Il dolore secondo lui veniva dal desiderio. E bisognava staccarsi dal desiderio per entrare nello stato di quiete, il nirvana.

Al contrario, Gesùponeva la sua identità con Dio alla base di tutto,voleva che i desideri si compissero e le persone non soffrissero per un desiderio incompiuto: sei malato, io ti guarisco; sei affamato, ti do il pane;sei morto, ti faccio risorgere. Però, riflettevo, sia Budda che Gesù coincidevano alla fine nell’amore: Gesù dice che Dio è Amore e Budda che Maitreya è Amore. Per i due uguale era la partenza, diversa la strada percorsa, ma alla fine arrivavano allo stesso traguardo.

 

6. L’albero del titolo

 

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli…

 

E’ l’inizio de I Promessi Sposi di Manzoni, bello e struggente come la natura montana che descrive e che frequentavo nei fine settimana assieme alla coppia di amici milanesi, Dolly ed Ernesto, che avevano un appartamento a Pasturo, il paese di Agnese,la madre di Lucia fidanzata di Renzo. Risalendo da Lecco in macchina, ci inoltravamo verso la Grigna e già alla fine dell’inverno i primi crochi bianchi e profumati sbocciavano nei prati accanto alla neve che si ritirava. Amo Pasturoper la sua valle amena, le acque dei ruscelli alpestri e gli immensi mammelloni di porfidopoggiati contro la montagna. Queigiganti sembrano voler ricordare l’immensa fatica dell’Essere Primigenio che, dopo avere assunto mille forme, finalmente ha trovato pace in quella roccia rossa come il sangue.

 

Ma c’è un altro motivo che mi lega sentimentalmente a Pasturo: l’albero del titolo. Era giugno del 1993e passeggiavo nelle stradine fuori paesediscutendo del titolo da dare al primo libro che stavo scrivendo.Difatti, arrivato a cinquant’anni, mi ero reso conto che nel mondo degli affari sciupavo la vita perché dovevo sempre adattarmi a situazioni esterne che non portavano mai all’esplorazione dell’interiorità, verso la quale mi sentivo portato, e mi ero messo a scrivere. Avevo capito di non avere un animo nordico, capace di cogliere le opportunità per far soldi. Anzi, quando quelle opportunità mi si presentavano, io ero quasi indignato del loro invito a coglierle: Ma come si permettono di disturbarmi!mi dicevo.

Quel pomeriggio di giugno 1993 camminavamo lungo una stradina fiancheggiata da alberi, quando all’improvviso mi fermai accanto a un tiglio e dissi: Ho il titolo! Ritorno in Calabria! I miei amici approvarono: Bello! Non lo cambiare!

Non lo cambiai, ma quel libro cambiò la mia vita perché durante la sua lunga elaborazione scavò dentro di me un cunicolo attraverso il quale riuscii ad evadere dallacatacombadel business. Sarà stata l’energia misteriosadi quel paesaggio, che già aveva colpito Manzoni, a farmi trovare il titologiusto?

 

In quel periodo leggevo anche i libri della teologa Uta Ranke-Heinemann, figlia dell’ex Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Gustav Heinemann, fortemente polemica con la Chiesa cattolica riguardo alla morale sessuale,un argomento che affrontavo nel mio libro raccontando l’esperienza mia e dei miei genitori. Mi venne spontaneo mandare a Uta una copia del manoscritto -lei conosce bene l’italiano- e con mia sorpresa lei mi rispose inviandomi questa Prefazione che tradussi e adottai.

 

Era mezzogiorno del 24 Dicembre 1993 e già mi vedevo andare con rassegnazione verso un Natale malinconico, nel ricordo dei miei genitori morti e della gioiosità natalizia ormai scomparsa dell’infanzia. Fu allora che l’ultima posta prima delle feste mi portò dall’Italia un manoscritto: Ritorno in Calabria di Salvatore Mongiardo. Anche un ritorno in un passato, quindi. In quella vigilia, completamente immersa nei miei ricordi di infanzia e gioventù, ho voluto rendermi conto di come l’Autore, a me sconosciuto, aveva vissuto il suo ritorno in Calabria. Più leggevo e più il manoscritto

mi affascinava. Era per me l’incontro con una terra straniera del Sud, con il suo profumo, il suo sole, la sua dolcezza e la sua religiosità. E proprio su quest’ultimo punto era come se qualcuno mi avesse mandato delle immagini in risposta a una domanda che da molto mi teneva impegnata. La domanda è: che effetto opera sulle persone il cristianesimo cattolico? Le rende più illuminate e umane o al contrario le opprime e toglie loro molta umanità e gioia? E mi sembrava, quasi che il libro materializzasse in immagini i miei pensieri, che il cristianesimo forse era una tetra educazione alla disumanità, alla crudeltà. Il cristianesimo come superstizione di una redenzione attraverso il sangue, come se ogni sera, nell’accendere la televisione, il sangue che scorre sui tappeti del nostro soggiorno

da Jugoslavia, guerra del Golfo, Somalia, non dimostrasse il contrario: che sangue ce n’è da non poterne più, ma da ciò non viene nessuna salvezza. Ritorno in Calabria: la giovane, bella madre dell’Autorela quale, travolta dall’angoscia della dannazione eterna da sacerdoti cattolici avidi di sacrifici, nel fiore dei suoi trent’anni si ritira in un’altra stanza per non dormire più con il marito perché la contraccezione porta all’inferno. Vergine-Madre (nato da Maria Vergine) e Carnefice-Padre (crocefisso per la nostra salvezza): chi salva la Calabria, chi salva il mondo da una religione che scivola nell’incubo? Ritorno in Calabria: è più di una semplice via del ritorno. Salvatore Mongiardo è sul punto di abbandonare le pesanti ombre cattoliche per riprendere a modo suo, ancora una volta, la propria strada. A volte dimentichiamo presto uomini e cose, a volte li teniamo a lungo nella mente e nel cuore, a volte addirittura per sempre. Ho incontrato questo libro sulla mia strada in una Notte Santa, e credo che lo conserverò per sempre.

 

Il mio ritorno a vivere in Calabria era il compimento di un continuoritorno fatto con la mente che navigava nel mare deiricordi della mia infanzia e giovinezza. L’italianista professor Antonio Piromalli, ne La Letteratura Calabrese scrisse a proposito del Ritorno in Calabria:

 

L’Autore comprende lo sforzo da lui fatto per sfuggire la Calabria, quella del buco nero che aveva spento in lui la gioia di vivere… la Calabria, grande caleidoscopio che muta sempre colore, è sullo sfondo di tutte le azioni e di tutti i pensieri… Il romanzo è molto importante perché assegna alla Calabria una funzione storica nel futuro… la Calabria è madre dell’Italia… dal Sud dovrà muovere il risanamento dalla violenza…. La natura dell’Autore è profondamente religiosa fondata sul concetto di resurrezione e non di morte quale principio che la morte di un innocente è necessaria per la salvezza…

 

7. La cassa americana

 

Da bambino avevo visto diverse casse americane nelle case di parenti e amici, alte, scure, rinforzate di borchie. Quelle casse venivano usate dagli emigrati che ritornavano definitivamente dall’America per portare a casa vestiti, scarpe, suppellettili e regali. L’arrivo della cassa americana era un avvenimento per il parentado che si riuniva per l’apertura. A me quasi scoppiò il cuore dalla gioia quando mio nonno Bruno, nel 1947, prese dalla cassa americana un uccellino di latta colorata che muoveva le ali e me lo diede.

Alla fine del 2013, quando chiusi casa a Milano per rientrare in Calabria, non portai con me nessuna cassa perché in Calabria avevo già la mia abitazione. Immaginiamo però che avessi una cassa con le cose importanti di un emigrato,vediamo cosac’era dentro.

 

La prima cosa è il Ritorno in Calabria, il libro che abbiamo già visto, del 1994. A quello poi seguì nel 2002 un secondo libro, Viaggio a Gerusalemme, diario di un pellegrinaggio in Terra Santa guidato nel 1999 dal Cardinal Martini di Milano. In quel libro affrontavo il problema della violenza che nasce dalla concezione mediorientale del sacro, dottrina che vuole che la salvezza venga dal sangue della vittima innocente, come si dice ancora dell’agnello di Dio e di Cristo. Al contrario, a me la storia dimostrava che il sangue innocente aumentava la violenza, cioè il peccato: non lo lavava né lo cancellava. Insomma, la figura di Cristo, che aborriva sacerdoti, Tempio e sacrifici di sangue,in quel libro emerge diametralmente opposta alla cultura biblica e alla dottrina della Chiesa.

 

La terza cosa fu ancora un librodel 2006, Sesso e Paradiso, dove riesaminavo i tormenti che l’educazione sessuale cattolica mi aveva creato neimiei sette anni di studio nei seminari della Calabria. Quel libro pose una serie di interrogativi: Ma il sesso cos’è? Frutto proibito, offesa a Dio, colpa, vergogna? Desiderio inestinguibile, eros, perdizione, passione, donazione del proprio corpo, procreazione? Sogno e fantasia o violenza e trasgressione? Il sesso deve essere sublimato o vissuto anche nelle manifestazioni più basse? Dona felicità o crea angoscia?

A tutte quelle domande davo una rispostastrana: Il sesso è forza invincibile, necessaria per scoprire il mistero dell’Esistente e trasformarlo in Dio. Il sesso è la porta dell’immortalità.

 

La quarta cosa era di nuovo…un piccolo libro nel 2008, Perché la violenza, una breve ricapitolazione delle complesse cause della violenza, alla quale davo molta importanza quale origine dei mali del mondo e dell’infelicità del vivere. Il libro terminava con l’augurio che nascesse un’Accademia Mondiale Antiviolenza e radunasse il meglio dell’intellighenzia mondiale per lo studio e la prevenzione della violenza umana.

 

Ovviamente la quinta è il libro Cristo ritorna da Crotone del 2013, opera che esplora la radici culturali di Gesù le quali dal mondo italico-pitagorico erano arrivate a lui tramite gli esseni, i pitagorici del mondo ebraico. Difatti, dalla Scuola Pitagorica di Crotone che unìla cultura italica e la greca creando così la Magna Grecia, venivano i cavalli di battaglia di Gesù: la liberazione degli schiavi, la giustizia sociale, i beni in comune, il rifiuto dei sacrificidi sangue. Questolibro corregge la figura di Cristo, deformata dalla cultura sacrificale biblica, e ristabilisce con chiarezza l’origine e la finalità del suo messaggio. Una monaca, mia attenta lettrice, mi scrisse che quel libro rappresenta la vera incarnazione di Cristo, quella avvenutanelle culturedei popoli.

 

E non c’era altro in fondo alla cassa? Sì, sottoi libric’eral’esperienza di una vita passata come una traversata su una barchetta a vela in un mare agitato. Poi,proprio in fondo, c’era unbue di pane. Sì, un pane a forma di bue, forte e cornuto, con la coda alzata a frustarsi la schiena come fa al momento della riproduzione.

 

8. Il bue di pane pitagorico

 

Dopo l’uscita del Ritorno in Calabria, mi ero reso conto che un libro non bastavaa cambiare la realtà, e decisi di riaprire il sissizio, il convivio sul quale re Italo,intorno al 2000 avanti Cristo, aveva fondato l’Italia nelle terre di Calabria compresetra i golfi di Squillace e Lamezia. Il sissizio, parola greca che significa mangiare insieme, era un raduno dove si portava il grano raccolto che si divideva in parti uguali.

Possiamo ragionevolmente immaginare che a uno di quei sissizi partecipò, intorno al 570 avanti Cristo, un ragazzino cheil padreportò con sé a Crotone in un viaggio di affari, come attesta Porfirio, uno dei biografi di Pitagora. Mnesarco, così si chiamava il padre di Pitagora, era un greco dell’isola di Samo, abile intagliatore di pietre per anelli che gli abitanti di Crotone, Sibari e Locri compravano a caro prezzo.

Durante quel primo viaggio a Crotone, Pitagora vide probabilmente un bue panedurante un sissizio. Gli itali, difatti, facevano panidi quella forma per ringraziare l’animale che aveva arato i campi per la semina.

Nelle vite di Pitagora è scritto che egli, quandopoi intorno al 530 avanti Cristo tornò definitivamente a Crotonee fondò la sua scuola, offrì agli Dei un bue di pane per ringraziarli dellascoperta del suo famoso teorema. In realtà con quell’offerta Pitagora riaffermava anche il principio che la violenza entra nell’uomo con l’uccisione degli animali. Difatti diceva: Se non osi uccidere l’animale, mai ucciderai un uomo. La pace è una consuetudine che nasce dal rispetto degli animali.

 

Dei sissizi antichi, che dall’Italia di allora si erano diffusi in tutto il Mediterraneo,si erano perse le traccefinché non furono riaperti da noi nel 1995. Durante uno dei sissizi moderni, una partecipantemi disse che ricordava la vacchetta di pane che le madri facevano a Badolato col primo grano mietuto e lo davano ai bimbi, una tradizione ormai scomparsa. A giugno del 2014 un mio lettore mi disse che a Spadola, un paese vicino a Serra San Bruno, si faceva ancora la vacchetta di pane per la festa di San Nicolala prima domenica di agosto. Mi precipitai in macchina a Spadola e in chiesa incontrai il parroco, Don Bruno La Rizza, che mi disse con grande rammarico che da quel momento non si poteva più fare…

Difatti, alcuni giorni prima c’era stato a Oppido,alle falde dell’Aspromonte,l’episodio dell’inchino della statua della Madonna davanti alla casa di un capo della ’ndrangheta, e le autorità avevano proibitoche le processioni si fermasserodavanti alle case. Ora, proprio la tradizione di Spadola voleva che alcune famiglie facessero vacchette di pane che davano ai fedeli durante la fermata della statua davanti a casaloro… Era una situazione ingarbugliata che Don Brunorisolse facendo portare le vacchette di pane in chiesa, le benedisse e diede al popolo. Avevamo salvato una tradizione che durava ininterrotta da millenni!

 

Il primo sissiziomoderno si svolse nel 1995 nella pineta del mio paese, Sant’Andrea Jonio, e fu una grande festa popolare con pifferi, zampogna e tamburi. Poi ci furono i sissizi di Locri, Santa Caterina, Badolato, Isca, Davoli, San Sostene, Soverato, Serra san Bruno, Amantea, Cerva, Savelli, Crotone, Viterbo, Roma e Costa Brava in Spagna. Negli ultimi anni il sissizio si è trasformato da festa popolare in cena rituale filosofica vegetariana.

 

9. Donne di Calabria

 

La donna di Calabria, finché non ha figli, è più o meno come le altre. Tutto cambia però quando lei partorisce un figlio che, come vuole la natura, viene separato da lei col taglio del cordone ombelicale. La calabrese non accetterà mai quel taglio e non si rassegnerà ad essere separata dal figlio. E passerà tutta la vita a ricreare quel cordone in ogni circostanza guardando con odio o sufficienza la moglie o il marito che i figli prenderanno.

La madre anglosassone che dà la valigia ai figli di diciotto anni e li manda via di casa per farsi la propria strada, è per la donna calabrese la prova che i nordici sono gente crudele e senza cuore.

 

Questa diversità antropologica della calabrese, che affonda nella notte dei tempi, mi saltò per caso agli occhiquando ripresi le ricerche sui parti verginali di Maya, la madre di Budda, Iside, la madre di Horus e Maria, la madre di Gesù,che avevano procreato senza congiungimento col maschio. Maya era stata fecondata dall’elefante che le aveva aperto il fianco con sei zanne, Iside poté congiungersi ma non carnalmente con Osiride, del quale non si trovavapiù il fallodopo che il geloso fratello Seth l’aveva fatto a pezzi. Anche la madre di Lao Tse era verginee fu fecondata da una stella cadente o da un raggio di sole. Maria, come è scritto nei Vangeli, fu fecondata ad opera dello Spirito Santo.

 

Una mattina di gennaio 2015che la tramontana copriva di spuma bianca il Golfo di Squillace, capii il messaggio nascosto in tutti e tre i miti:

 

Il vero potere e compito della donna è destabilizzare la società e questo può avvenire solo quando la donna si congiunge direttamente col Diodimenticando il maschio e leregole da lui imposte.

 

Solo allora nascono dei figli come Budda, Horus e Gesù che portano un cambiamento radicale. La donna che unendosi col Dio genera grandi cambiamenti, ha avuto una lunga fioritura nella prima Italia con le menadi o baccanti, donne che seguivano il culto di Dioniso o Bacco.All’apparire del Dio, abbandonavano marito e figli, casa e focolare, telaio e conocchia e seguivano Dioniso nei boschi al grido di Evoè, parola che significa evviva. Bevevano vino, entravano in danza orgiastica e si accoppiavano col Dio o con schiavi che così acquistavano la libertà. Quei riti, i Baccanali, si erano diffusi fino a Romadove erano diventati licenziosie furono proibiti sotto pena di morte con un Senatoconsulto nel 186 avanti Cristo. In realtà i romani, più che alla morale sessuale, badavano a conservare la schiavitù sulla quale la loro economia era basata, schiavitù che i Baccanali mettevano in discussione.

Lo stesso anelito di liberazione si espande dall’episodio della Vergine Maria, che all’annuncio dell’angelo, prima si dichiara pronta all’ubbidienza: Sono la serva del Signore, cioè una sua schiava.Quando però il figlio di Dio cresce nel suo grembo, lei prende coscienza e annuncia il grande cambiamento nel Magnificat:

 

Ha deposto i potenti dal trono

Ha esaltato gli umili

Ha riempito di beni i miseri

Ha mandato i ricchi a mani vuote…

 

Euripide nelle Baccanti, la sua più grande tragedia, descrive le baccantiche uccidono il re di Tebe Penteo, un sovvertimento violento del potere costituito. Invece nella Bibbia, nel libro dei Proverbi, è fatta una descrizione della donna virtuosa in pieno contrasto con le baccanti:

 

Una donna virtuosa chi la troverà?

Il suo pregio sorpassa di molto quello delle perle.

Il cuore di suo marito confida in lei,

Ed egli non mancherà mai di provviste…

Si procura lana e lino,

E lavora gioiosa con le proprie mani…

Mette la mano alla rocca,

E le sue dita maneggiano il fuso…

 

La donna lodata dalla Bibbia per la conduzione perfetta della famiglia, si rivela alla fine la garante di un ordine sostanzialmente ingiusto che sfocia fatalmente in guerre che massacrano i figli da lei nati.

 

10. Dalla Magna Grecia alla Grecia

 

Chiuso a fare ricerche sul passato, all’inizio della primavera del 2015 fui preso dalla frenesia di andare in Grecia per una lunga vacanza, quasi a fare un bagno in una civiltà che mi ha sempre appassionato. Mi organizzai assieme a due amici di nome Mario e ai primi di maggio percorremmo in macchina la strada statale 106, oggi chiamata strada della morte per gli incidenti; ai tempi antichi invece era percorsa dai filosofi pitagorici che andavano da una colonia all’altra: Crotone, Sibari, Eraclea, Metaponto, Taranto… Quelle terre, chiamateMagna o Grande Grecia per l’altezza della filosofia pitagorica, erano ora in miseria e abbandono. Ci imbarcammo da Brindisi per Igoumenitsa e da lì raggiungemmo Lefkada, la prima delle Isole Ionie, immersa in una luce abbacinante.

Sull’isola mi tornò in mente il mito della poetessa Saffo, checantòcome nessun altra le vibrazioni dell’animo femminile,e che proprio a Lefkada si suicidò per una delusione d’amore. La immaginavo nuda sul promontorio prima di lanciarsi in mare mentre recitava i suoi versi sublimi:

 

Sono qui

Alle porte del cielo

Vestita di solo desiderio…

 

Mi sembrò di vedere i gabbiani che l’accompagnavanonel folle volo e l’onda del mare che si aprivaper accoglierla in un letto di freschezza.

 

Dopo Lefkada, percorremmo Cefalonia epoi tornammo sulla terraferma visitando Missolungi, Lepanto, Delfi, Tebe, Corinto, Patrassoe Olimpia.PoiAtene, Maratona e Rafina, da dove ci imbarcammo per le Cicladi visitando Andro, Tino, Mykonos, Delo, e alla fine arrivammo a Samo.

Volevo visitare Samo per la riscoperta e lo studio di Pitagora, originario di quell’isola, al quale mi ero dedicato a fondo durante la scrittura del mio Cristo ritorna da Crotone. E difatti, le mie ricerche dimostravano senza equivoci che il padre culturale di Cristo non era il pastore mediorientale Abramo, che alzava il pugnale contro il figlio Isacco, ma Pitagora, come ho già accennato. La diffusione rapida del cristianesimo in tutto l’impero di Roma, non fu un evento miracoloso, ma si verificò per la preparazione del terreno fatta dalla filosofia pitagoricanei cinque secoli precedenti Cristo.

Visitare e toccare a Samo i luoghi e il mare frequentati da Pitagora era un must che non potevo lasciarmi sfuggire. Fino ad allora il viaggio in Grecia era stato deludente per l’atmosfera pesante generata dallo scontro politico tra il cancelliere Merkel e il governo greco sulla permanenza nell’euro. I greci erano impauriti, frustrati, scontrosi. Avevano perso anche la loro proverbiale allegria e si notava il degrado consacchi di spazzatura dappertutto. Aspettavano forse che andasse la Merkela portarli via?

Ragionando poi con calma, mi accorsi che la crisi greca non era una sola, ma la somma di varie crisi. Tutti i villaggi delle isole erano praticamente vuoti e si popolavano solo d’estate per riaprire ristoranti e alberghi per turisti. Gli infiniti scheletri di cemento armato di costruzioni non terminate indicavano una crisi immobiliare colossale. Le stesse chiese ortodosse, da sempre baluardo dell’identità greca, erano poco frequentate o chiuse. Addirittura i giovani preferivano l’alfabeto latino a quello greco nell’uso del cellulare. Insomma, Grecia e Magna Grecia erano afflitte dagli stessi problemi: crisi di identità, frustrazione, povertà, emigrazione, rabbia. Poveri noi magnogrecie poveri greci,i quali nei millenni avevano resistito a persiani e turchi, ma ora erano in ginocchio davanti al dio danaro. Per incoraggiarli avevo scritto questa poesia, tradotta in greco, che regalavo negli alberghi e ristoranti:

 

Alla Grecia

 

Sempre ti ho amato, o Grecia, e ora penso

All’azzurro assolato del tuo mare

In questi giorni che nordiche brume

Offuscano i tuoi lidi di sogno

Dove nacquero Venere ed Apollo,

Dio dall’arco d’argento.

Feroci artigli di avidi banchieri

Non riusciranno, o Grecia, non temere,

A rubarti la luce del pensiero

Di cui sei la feconda genitrice.

Grecia, divina madre di eroi,

Ai barbari opporremo il nostro petto

E lotteremo con l’arciere Apollo

Che lanciando i suoi strali luminosi

Dissiperà la nordica caligine.

 

Salvo qualche raro apprezzamento, i greci la leggevano frastornati come il messaggio incomprensibile portato da un alieno. Mi dedicai comunque a una puntuale esplorazione dell’isola di Samo visitando le rovine del Tempio di Hera, del quale resta in piedi una sola colonna, come nel Tempio di Hera Lacinia a Crotone. Quel tempio fu costruito ai tempi di Policrate, il tiranno di Samo che cercò di farsi amico Pitagora associandolo al governo dell’isola. Ma Pitagora non si fece abbindolare, si nascose e poi fuggì verso Crotone. La vicenda di Policrate è tra le più inverosimili del mondo antico ed è riportata da Erodoto nelle Storie. Eccolariassunta.

 

La fortuna di Policrate era cresciuta molto e le sue spedizioni gli riuscivano felicemente. Aveva cento navi a cinquanta remi e mille tiratori d’arco… Il faraone di Egitto Amasinon ignorava la grande fortuna di Policrate, ma questa gli dava piuttosto dell’inquietudine. E siccome tale prosperità si faceva più grande, scrisse una lettera. “Amasi dice questo a Policrate: Fa piacere che un amico è fortunato, ma i tuoi grandi successi mi procurano turbamento, perché so che la divinità è invidiosa… Infatti, non ho mai sentito dire di alcuno che, essendo in tutto fortunato, non abbia malamente concluso la sua vita… Tu, dammi ascolto e fa’ così: pensa qual è l’oggetto per te più prezioso e la cui perdita ti darà il più grave dolore e gettalo via in modo da farlo scomparire”.

Policrate, si diede a cercare fra i suoi tesori quello per la cui perdita avrebbe sofferto di più: un sigillo,incastonato in un anello d’oro, fatto di smeraldo, opera d’arte di Teodoro di Samo. Deciso a disfarsene, ecco come fece: allestita una nave a cinquanta remi, vi salì egli stesso e diede ordine di portarlo in mare aperto; quando fu ben lontano dalla sua isola, alla vista di tutti i compagni di navigazione, sfilatosi l’anello lo gettò tra le onde. Quattro o cinque giorni dopo, un pescatore prese un pesce grande e bello e pensò che valesse la pena di farne dono a Policrate. Portatoloalle porte della reggia, chiese di essere ammesso alla sua presenza egli disse: “O re, ho pescato questo pesce e ho pensato che è degno di te e te ne faccio dono”. Ma quando i servi tagliarono il pesce, trovarono che nel ventre c’era l’anello di Policrate; come lo videro, lo portarono tutti contenti a Policrate egli spiegarono in che modo era stato trovato. Gli entrò, allora, nell’anima l’idea che quel fatto fosse di origine divina…E difatti gli dei non avevano accettato il sacrificio di Policrate che, indotto con l’inganno dal satrapo persiano Orete a un colloquio a Magnesia, nell’odierna Turchia, fu catturato e crocifisso.

 

Dopo aver riletta quella storia, cominciai a pensare che Samo era un’isola che favoriva fenomeni di alta energia come quello di Policrate o la nascita di Pitagora, il più grande e ancora oggi il più incompreso dei filosofi antichi. Un giorno, un ufficio turistico ci consigliò di andare a visitare le Grotte di Pitagora. Avevo letto nei testi antichi che Pitagora si nascondeva nelle grotte per sfuggire a Policrate, ma ignoravo che esistessero realmente. Quella era una visita da fare, soprattutto ora che avevo in mente l’apertura della Nuova Scuola Pitagorica a Crotone per rinverdire, dopo più di venti secoli di chiusura, l’Antica Scuola aperta da Pitagora in persona.

Mi organizzai con i due Mario e partimmo il giorno seguente in direzione nordovest per Karlòvasi.

 

11. Le Grotte di Pitagora

 

Percorrendo la strada costiera si vedevano rocce dappertutto:Samo era più alberata delle altre isole, ma era sempre una montagna di calcare e sassi. La vita nei tempi antichi non deve essere stata facile, eppure i grecidi allora riuscirono ad accendere negli animi passioni sublimi che nascevano dalla loro fertile mente forse per contrasto al pietrame del territorio. Arrivammo a Karlòvasi e risalimmo verso la montagna di Kerkis che,alta mille e cinquecento metri, si imponevagrigia di granito fino alla baia di Marathòkampos a sud, dove un cartello indicava la strada per le grotte. Pitagora aveva le sue grotte, Budda la sua a Lumbini, Gesù a Betlemme: la grotta era il richiamo inconsiodell’utero materno? Lasciammo la macchina e percorremmo a piedi un sentiero che portava a una interminabile gradinata scavata nella roccia. Ilparapetto era rotto in parte e igradini sbrecciati si affacciavano sul precipizio.

 

La giornata era piena di sole e la salita faticosa terminò davanti alla chiesetta bizantina,posta difronte alle due grotte che si aprivano come occhiaievuote nella roccia. La grotta di destra era sbarrata da un’inferriata per motivi di sicurezza, ma si poteva entrare in quella di sinistra dove si rifugiava Pitagora.L’entrata non era molto alta e potei toccare un ciuffo di capelvenere che pendeva dalla roccia dell’ingresso. Guardaiverso l’interno vuoto e all’improvviso apparve la figura di un uomo alto circa due metri e mezzo, coperto fino ai piedi da una tunica bianca, sulla testa un copricapo biancocon falde ai lati,immobile con le mani lungo i fianchi. Era senza volto estava ritto su uno scoglio contro il quale si avventava un’onda di mare furiosa. Frammisti all’ondac’era sabbia sollevata dalla tempestae tanti pezzetti di legno sballottolati.Ero cosciente che quell’uomo era un filosofo,che quel filosofo ero io e,se volevo,potevo prendere quei legnettie metterli al sicuro. Ero cosciente anche che quei legnetti erano le anime di donne perse: i due legnetti più grandi erano l’anima di mia madre, morta da tempo, e quella di mia sorella Anna, morta a fine 2014. Tutto era avvolto da quiete sovrana e non provavo nessun timore. All’improvviso la visione, durata forse un minuto o poco più, scomparve,e la grotta tornò vuota. Era mezzogiorno del 24 maggio 2015.

 

12. Le Grotte dell’Apocalisse

 

Il giorno seguente andai a passeggiare sul molo di Pitagorio, come è chiamata la cittadina sul mare che ai tempi di Pitagora, da cuiin seguito prese il nome, era la capitale dell’isola. Guardavo la moderna statua di bronzo a lui dedicata, ma il verde rame che la copriva e i triangoli che richiamavano il suo teorema non mi ispirarono gran che. Avevo viva in mente la visione della grotta del giorno prima e cominciai a pensare che era meglio imbarcarci e tornare a casa, visto che eravamo in giro da un mese. Andammo all’ufficio del turismo a chiedere informazioni sui traghetti ela bella Demetra, che ci aveva in simpatia, si meravigliò che volessimo partire senza aver visitato le grotte dell’Apocalissea Patmos, erano lì a poche miglia,e poi la casa della Madonnaad Efeso…Così comprammo i biglietti per Patmos.

 

La serastavo per addormentarmi quando all’improvviso rividi la figura di Kosmàs, il monaco greco ortodosso del Monte Athos, che mi diceva: Un giorno visiterai le Grotte dell’Apocalisse a Patmos!

Era successo più di dieci anni prima, quando era uscito il mio libro Viaggio a Gerusalemme, che avevo dato da leggere al monaco. Lui allora viveva tra le rovine del vecchio monastero di San Giovanni Teresti a Bivongi, accanto a Stilo. Kosmàs lo lesse e ne parlammo a lungo:lui faceva fatica a capire la mia affermazione che Dio Padre che accetta il sangue del figlio Gesù era pura follia. L’aveva colpito però la spiegazione pitagorica che davo del libro più misterioso di tutti, l’Apocalisse:

La violenza del mondo finirà quando l’Agnello non sarà sgozzato, ma adorato vivo sul trono di Dio.

Quella frase l’aveva fatto riflettere e, quando ci lasciammo, mi raccomandòvivamente di andare a visitare il luogo dove l’Apocalisse era stata scritta: Va’ alle Grotte dell’Apocalisse a Patmos!

 

Ero poi andato nel 2009 a trovare Kosmàs sul Monte Athos, dove viveva in una casetta nel bosco, dopo che l’avevano allontanato dalla Calabria con inganni e congiure, come ho raccontato nel mio libro Cristo ritorna da Crotone. Lui bramava tornare in Calabria, era la sua terra di elezione, la terra della sua anima. Diceva in continuazione:

La perdita della cultura calabrese è un lusso che il mondo non può permettersi!

Non gli fu concesso di tornare e morìa dicembre 2010,solonella sua casetta,stroncato dal dispiacere.

 

Da Samo il traghetto ci portò a Patmos e salimmo sulla collina dominata dal grande monastero di San Giovanni, fortificato nel tempo per resistere all’avanzata dei turchi. C’erano molti visitatori del complesso monastico,costruito sopra la grotta nella quale San Giovanni Evangelista, che i greci chiamano il Teologo, vissenel 95 e 96 dopo Cristo. Egli fu deportato lì da Efesodurante la persecuzione dei cristiani scatenata dell’imperatore romano Domiziano. Era già centenario, se è vero che visse centosei anni, e fu rimesso in libertà dopo l’assassinio di Domiziano nel 96. In quella grotta, secondo una tradizione consolidata, egli dettò al discepolo Pròcoro il libro dell’Apocalisse. In un angolo della grotta c’è ancora il giaciglio di roccia sulla quale il santo si coricava, e a lato era scavata una fessura nella parete dove il santo poteva mettere la mano per sostenersi quando si alzava.Approfittaivelocemente della distrazione del monaco guardiano e vi infilaila mia mano.

 

Il giorno seguente facemmo la breve traversata verso la Turchia per visitare le imponenti rovine di Efeso e la Casa della Madonna. Quella casa, dove lei visse fino alla morte con San Giovanni, è ora trasformata in una cappella con una piccola statua di Maria senza mani:era così quando venne ritrovata dopo la guerra d’indipendenza turca del 1922.Alla fine visitammo anche un monumento tra i più insigni, la Basilica e la Tomba di San Giovanni a Selcuk, vicino a Efeso. Il complesso, gigantesco e bellissimo, dimostra la venerazione sconfinata che i primi cristiani avevano per il Teologo.

 

La notte seguente il traghetto ci portò da Samo a Kavala, al nord della Grecia sulla terraferma. Da lì,dopo circa trecento chilometri,arrivammo ad Istanbul dalle dimensioni così smisurate chefacciofatica anche a pensarle. Rimanemmo alcuni giorni a visitare Santa Sofia, l’Ippodromo, la Cisterna di Giustiniano…

Visitando il palazzo imperiale di Topkapi, ammirai tutti gli splendori e i tesori, ma quando arrivammo alla parte destinata all’harem del sultano, sentii una tale angoscia serrarmi il petto che dovetti interrompere la visita e uscire a respirare. Stavo male al pensiero delle centinaia di donne chiuse come uccellini in gabbia, obbligate a passare la vita in attesa di un improbabile incontro col sultano. Mi sembrò una cosa così terribile e innaturale che pregai con tutto il cuore affinché le anime di quelle donne potessero amaree vagare libere nell’immensità dell’universo.

 

13. Il mistero di San Giovanni

 

Il rientro in Calabria ai primi di giugno mi sembrò come l’arrivo al paese di bengodi: le colline erano ancora verdi e lungo le strade i banchetti per la vendita di frutta e verdura erano infiniti e fornitissimi. Mi venne immediato il raffronto con gli striminziti banchetti delle isole greche che offrivano qualche pomodoro e melanzane. Il sole cominciava a picchiare forte,il mare si vestiva di turchese e ne approfittavo che recarmi alla casetta sul lungomare di San Sostene, accanto al fiume Alaca, dove da bambino avevo avuto il battesimo della paura scivolando in una pozza d’acqua. Poi c’era la spiaggia dalla sabbia bianca e finissima,miracolosamente scampata alle devastazioni urbanistiche,ancora vergine come nella mia infanzia, con ciuffi di cineraria dalle foglie grigie e fiori giallo oro. Ogni tanto guardavo verso oriente come per ricollegarmi alle isole greche, da dove ero appena tornato, carico di domande irrisolte. Era sempre così nei miei viaggi che, invece di calmarmi, mi creavano nuove domande e maggiori tensioni. Dalla Grecia mi ero portatala visione avuta nella Grotta di Pitagora, un episodio che mi inquietava perché nulla di simile mi era mai successoprima. E c’era poi la vicenda di San Giovanni del quale qualcosa di molto grosso mi sfuggiva. Ne ero sicuro perché sentivocontinuamente come il battere del martello sullo scalpello chescavava, nella Grotta dell’Apocalisse,la buca dove il santo infilava la mano per sostenersi.

 

Era vicino il solstizio d’estate e camminavo a piedi nudi sulla battigia, mentre la spiaggia bianca sembrava alzarsi verso il cielocome una fontana di luce. Una mattina il bagliore del sole, prossimo ormai alla massima gloria del solstizio, mi inondò e mi sedetti, temendo un’insolazione, all’ombra di un capanno di canne abbandonato. Stetti a guardare lo sciacquio delle onde blu joniche mentre una voce dentro di me mi diceva: Non capisci? Giovanni era il discepolo prediletto di Cristo, l’unico evangelista che narrò gli avvenimenti che aveva visto con i propri occhi, l’unico presente alla crocifissione, il primo a correre alla tomba vuota del maestro.Poi visse per decenni con Maria come sua madre, e chissà quante volte avranno ricordato insieme gli avvenimenti dei quali erano stati spettatori o protagonisti…Certamente avrà saputo della morte di Giacomo, il fratello di Gesù, ucciso dal sommo sacerdote Anano nell’anno 62, quando Maria forse era già in cielo… Un uomo che a cento anni detta un libro come l’Apocalisse doveva avere dentro di se un problema cosìgrosso che né Gesù né la Madonna avevano risolto…

Non sapevo come orientarmi e d’altra parte temevo di essere sul punto di esaltarmi fuori controllo: troppe visioni si affollavano attorno a me nelle grotte, sulla spiaggia, nella mia testa. Delle interpretazioni di altri, soprattutto teologi, avevo imparato a non fidarmi perché erano sempre costruite per dimostrare qualcosa alla quale volevano arrivaregià in partenza, e non tentavano mai vie nuove. D’altra parte sapevo che non avrei trovato pace finché non avessi dipanato quella arruffatissima matassa e così, rincuorato dall’immagine di Giovanni che a cento anni con voce flebile dettava a Pròcoro l’Apocalisse, pensai di sbrigarmela da solo.

 

14. Logos, Amore, Padre

 

Decisi di esaminare per l’ennesima volta le opere scritte di Giovanni, e cioè il quarto Vangelo, l’Apocalisse e le sue tre Lettere. Era una rilettura che facevo volentieri perché ritengo Giovanni il sommo scrittore della letteratura mondiale. Sono arrivato a questa conclusione dopo avere letto la pagina dell’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di Sicàr, pagina che leggo sempre in piedi in onore del sommo Giovanni. Chi legge quella pagina capisce perché tutti i grandi della letteratura vengono dopo di lui.

Il Vangelo di Giovanni risente molto del suo sforzo di capire e accettare la filosofia greca, e soprattutto il suo rappresentante più famoso, Eraclito, che era proprio di Efeso, dove Giovanni si era trasferito. La dottrina di Eraclito è quella del Logos, impropriamente tradotto come Verbo, ma che nel greco e nel contesto filosofico significa semplicemente Logica, una legge cioè che governa tutto l’essere e che è molto difficile da scoprire. All’inizio del Vangelo Giovannidice che Dio era il Logos:quindi un’astrazione, non una persona. Alla fine del prologo però Giovanni corregge il tiro dicendo che il Logos si è fatto carne e pose la tenda tra noicome figlio unigenito del Padre.

Da quel momento la presenza di Dio Padre nel Vangelo diventa schiacciante: l’identità di Cristo col Padre, la sua volontà e la missione affidatagli, tutto si fonda sul Padre. E’ la dottrina della paternità di Dio che Giovanni ascolta dalla bocca di Cristo e la riporta ben settantasette volte nel suo Vangelo, tre nella sua seconda Lettera e sette nella prima Lettera, quella nella quale Giovanni dice: Dio è amore. Anche qui ritorna un’astrazione: l’amore è una passione, una persona può amare, ma può essere l’amore?

 

Mi rimaneva ancora da leggere l’Apocalisse, e volli aspettare l’alba perché quel libro crea profonde inquietudini nella notte. Quando però all’alba il sole scacciò le tenebre col suo luminoso scudisciò, mi alzai, rilessi tutta l’Apocalisse e alla fine mi chiesi dove fosse finito Dio Padre: in tutto il libro non era menzionato nemmeno una sola volta!

Cominciavo a rendermi conto che quell’imbroglio era troppo grosso e mi rivolsi a chi l’aveva creato, a San Giovanni, pregandolo davanti all’icona che avevo portato da Patmos: Ti prego, aprimi la mente e fammi capire se c’è qualcosa che posso fare per questo mondo che è allo sbando…

E già, perché pochi giorni dopo il mio rientro, con stupore e incredulità vidi dai telegiornali gli sbarchi di profughi siriani proprio a Samo, sulle spiagge dove ero appena stato, e bambini annegati portati dalle onde a riva come pescetti morti. Andavamo male, il mondo si era messo a girare a velocità incontrollabile e i governi, invece di trovare soluzioni, creavano problemi, tensioni, guerre. Altro che filosofia e visioni ci volevano…

 

La risposta di San Giovanni mi venne poco dopo, mentre stavo per chiudere il suo Vangelo perrimetterlo nello scaffale. Era aperto alla pagine finale della crocifissione, quando Gesù dice: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre. Poi dice: Ho sete! E alla fine: È compiuto!E muore.

All’improvviso mi resi conto che Giovanni non riporta la terribile frase di Gesù che invece riportano Matteo e Marco: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?E continuai il raffronto con Luca, che aggiungealtre tre frasi: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Poi al buon ladrone Gesù dice: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso. E’ la sola volta che viene usato il termine paradiso nei Vangeli. Ed infine Gesù grida a gran voce: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

 

Proprio Giovanni, l’unico discepolo che aveva sentito tutto quello che Gesù diceva dalla croce, non riporta quella terribile frase. L’invocazione al Padre nel momento supremo cade nel vuoto e Gesù muore sotto gli occhi di Giovanni, di sua madre Maria, della sorella di sua madre, Maria di Cleofe, e di Maria di Magdala. Il Padre non si era mosso in soccorso del figlio. E dall’alto dei cieli stette a guardare tre donne e un giovane piangere disperati. Quell’invocazionenon esaudita era troppo anche per Giovanni che la rimosse dai ricordi, almeno quelli scritti, mentre riporta l’affidamento che Gesù fa a lui di Maria come madre.

 

15. Dio Padree il Cardinale

 

Prima di lasciare Milano per la Calabria, ero entrato nel Duomo per una specie di saluto alla città che mi avevaaccolto con gran cuore per trenta anni. A sinistra, per terra, vidi la tomba del Cardinal Martini col quale avevo fatto il pellegrinaggio a Gerusalemme. Un vero signore, uomo di grande cultura che però non mi convinceva. Già a Gerusalemme, di fronte al memoriale di Yad Vashem dedicato alle vittime del nazismo, il cardinale aveva spiegato che Dio permetteva la violenza per… rispetto della libertà umana. Un argomento che mi fecesorridere perché mi ricordava un episodio avvenuto nel Seminario Regionale di Catanzaro durante l’ora di filosofia. Con giovanile impazienza incalzavo il professore Don Mario Gigante, fratello del famoso grecista napoletano Marcello: Se Dio sa che un uomo commette peccato e si danna, perché non interviene,visto che è onnipotente e misericordioso, e lo lascia finire all’inferno?

Il professore spiegava che Dio, come un generale dall’alto di una collina,osservava lo svolgersi della battaglia nella pianura e poteva dare gli ordini alle sue truppe per vincere loscontro, ma non interveniva per rispetto della libertà umana, econtinuava tranquillamente a fumare la pipa.

 

Per il Giubileo del 2000 il Cardinal Martini aveva inviatouna lettera pastorale dal titoloQuale bellezzasalverà il mondo? In quella scriveva:Il Figlio rivela la sua unità col Padre abbandonandosi aLui e alla sua volontà fino alla morte… il Padre si rivelacome amore nel gesto supremo del sacrificio di Gesù… laBellezza è l’Amore crocifisso…

Riflettei, guardando le vetrate multicolori del Duomo, che il Tempio di Gerusalemme non era distrutto, ma intatto e funzionante nella testa dei sacerdotiche continuavano ad alzare il coltello control’agnello sacrificale. Le fondamenta del Tempio non erano più di granito,ma di sensi di colpa e le colonneabbattute erano sostituite dai contrafforti della teologia.Il Cardinale assicuravache era bella la croce. Io penso invece che è orribile: bello sarebbe togliereGesù e noi stessi dalla croce. Un padre che abbandona il figlio mi fa semplicemente ribrezzo come lo faceva a mia madre. Prima di morire, con voce ansimante, lei mi recitò i versi che aveva imparato a memoria ascoltandoli dalla sorella Maria Antonietta che recitava la parte dell’Angelo Consolatore durante la rappresentazione della Passione. Era l’angelo che andava a consolare Gesù mentre sudava sangue nell’Orto degli Uliviper prepararlo al supplizio. Nella rappresentazione, l’angelo porgeva un calice a Gesù recitando:

 

Divin Verbo Umanato,

I tuoi clamori ha tutti intesi il Genitore Eterno.

Perché dunque, Signor, stai così mesto?

Ei vuole che tu con fronte lieta il calice ne bevi!

L’Eterno Padre vuole che il Figlio suo divin soffra la morte

Perché all’uomo del ciel s’apran le porte.

Ecco la croce: devi in essa morire! Sai che il mezzo

Per l’uomo ricomprar l’unico è questo!

Tu che pietoso ne acconsentisti ancor, vanne animoso!

 

Il modello identitario tra Padre e Figlio, che Gesù aveva fondato sull’amore incondizionato, si era rotto irrimediabilmente al momento della passione: il Padre mostrò di essere il Dio del Tempio che esigeva vittime innocenti, non quel padre premuroso e amorevole che Gesù predicava e amava. Giovanni però rimase fedelissimo al modello di Gesù ripetendolo settantasette volte nel Vangelo, ma nell’intimo del suo cuore non lo accettò,e chiuse l’Apocalisse con l’agnello non più sgozzato, ma adorato vivo sul trono di Dio. Gesù, la vittima innocente, l’Agnello di Dio, aveva preso il posto del Padre. E difatti L’Apocalisse si chiude con l’invocazione: Vieni, Signore Gesù!

 

16. Padre padrone

 

E’ il titolo del famoso libro di Gavino Ledda, storia autobiografica di un bambino che cresce analfabeta nell’ambiente della pastorizia in Sardegna, sottomesso anima e corpo al padre pastore. Il libro descrive l’orrore e il degrado nel quale un bambino di sei anni viene allevato dal proprio padre. La mia amata Sardegna,da millenni terra di pastori, ha prodotto un altro libro importante sul mondo pastorale, Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, grande giurista oltre che scrittore. Il libro di Satta esplora in modo ineguagliabile l’ambiente della pastoriziache crea un buio grave e irrimediabile nell’anima sviluppando mentalità tenebrose e contorte.

Nelsettembre del 1972, primo anno che lavorai in Sardegna, il parroco di Porto Cervo, Don Raimondo Fresi, sardo di Arzachena in Gallura, mi parlò con grande pena della imminente strage degli innocenti. Ascoltai incredulo dalla sua bocca dei pastorelli,bambini che i padri mandavano per la prima volta soli con le pecore. Alcuni di loro non reggevano all’angoscia della solitudine per settimane e mesi e si impiccavano: Don Raimondo mi parlò allora di una trentina di suicidi all’anno.

Questa era la Sardegna, testimone di una durezza che il mondo pastorale porta necessariamente con sé fino al degrado dell’accoppiamento dei pastori con gli animali, una pratica diffusa in ogni parte del mondo dove ci sia la pastorizia.

Nel mondo antico era ancora peggio, perchéi pastori erano schiavi e con il padrone non avevano la solidarietà del vincolo di sangue: valevano e contavano meno di una pecora.

Su un simile scenario di desolazione si svolge nel Medio Orientela vicenda, narrata nella Bibbia, del pastore Abramo, il padre degli ebrei. Ma non era stato sempre così. Prima dell’avvento della pastorizia, dall’Egitto a Israele e fino alla Mesopotamia, si stendevanole terre della Mezzaluna Fertile, ricche di acque e vegetazione: l’uomoviveva in pace con gli animali nell’Eden e si nutriva spigolando bacchee frutta che crescevano spontanee. Quel paradiso terrestre fu cancellato da unprocesso naturale di desertificazione e l’uomo dovette procurarsi il nutrimento.

 

Nelle zone semiaride riuscivano a sopravvivere le pecore, brucando la poca erba checresceva tra i sassi. Le pecore figliavano agnelli, con i quali il pastoreconviveva e giocava. Poi un giorno ne afferrava uno, lo sgozzava, lo scuoiava e lo mangiava. A volte lo vendeva, ma lasorte dell’agnello era sempre quella di essere ucciso.Il pastore, però, non la faceva franca: uccidere un animale debole e dolcecreava sensi di colpa. Nacque così lanecessità di offrire sacrifici a Dio per giustificare il proprio operato: non uccido perché devo mangiare, ma perché così vuole Dio. E nel Tempio di Gerusalemme, oltre ai sacrifici di pecore, capre e buoi, unagnello venivainteramente bruciato, questo significain greco il termineolocausto,nel sacrificio mattutino e in quellovespertino. Quel sacrificio eraun tentativo di liberarsi dalla colpa, tentativo vano e fuorviante che portòa conseguenze assurde:l’agnelloinnocente doveva morire persalvare il colpevole.

 

L’antico Israele fu profondamente plasmato dalla cultura sacrificale, tanto cheperfino San Giovanni Battista salutò il cugino Gesù come Agnello di Dio,senza rendersi conto che così lo condannava a morte. Gesù, al contrario, parlòdel Buon Pastore che non mangia e non vende le sue pecore, anzi le protegge e vive in loro compagnia. Gesù auspicava la fine della culturapastorale, della quale aveva capito a fondo il meccanismo perverso, quella cultura che poi ha contribuito a mandare gliebrei nelle camere a gas naziste. Difatti, negli ebrei si era formata lapericolosa convinzione,alimentata dalla Bibbia,che l’essere vittima fosse segno di predilezione divina e, invecedi resistere alla violenza nazista, gli ebrei si sono lasciati travolgere da essa.

Il Dio della Bibbia, il padre padrone, èil frutto della cultura pastorale. E difatti accetta, anzi pretende sacrifici cruenti, ordina l’uccisione di infedeli e nemici di Israele, condanna a morte chi non osserva i suoi precetti o si dedica al culto di altri Dei. Dall’alto dei cieli incombe sui suoi figli e li punisce in modo esemplare quando non osservano i suoi comandamenti.

Non è mia intenzioneessere irriverente perché parliamodel dolore di infinite vittimeinnocenti, e tuttaviami sento di affermare che il Dio della Bibbia si capirebbe meglio se lo chiamassimo il Dio di Ledda.

 

17. Chi c’era prima di Dio Padre?

 

In tutta l’area del Medio Oriente si ha la prova certa, scoperta dagli archeologi con statue e scritti, della presenza di divinità femminili ampiamente diffuse tra assiri, babilonesi, ebrei ed egiziani. I biblisti stessi ormai accettano che una volta Dio avesse una moglie, e tra le altre prove menzionano la parola iniziale della Bibbia: Eloim, gli Dei, plurale di El, il Dio. Quindi la traduzione corretta dell’inizio della Bibbia sarebbe: In principio gli Dei crearono il cielo e la terra.

 

Nel Medio Oriente, e non solo, esisteva il culto della Dea Madre, associato ad un culto maschile: il termine usato nella storia delle religioni èparedrismo che indica una divinità che sta accanto a un’altra. In Israele, come in altre popolazioni antiche, sotto la spinta di una società sempre più maschilista si è sviluppato un monoteismo maschile che ha distrutto il culto femminile. Ma il femminile, lungamente represso dalla Bibbia, riappare potente conGesù, la cui vera grandezza, finora non compresa, è stata quella di arrendersi alla donna. Durante la sua predicazione difatti, aveva donne al suo seguito, fatto allora scandaloso in Israele. E alla fine della vita, quando il Padre della Bibbia lo abbandona sulla croce, lui affida alla Madre il discepolo prediletto Giovanni, che nell’Apocalisse vedrà entrare la donna nella storia in modo trionfale:è vestita di sole, coronata di stelle esignora del tempo, simboleggiato dalla luna sotto i piedi. Quella donna genera un figlio che vola in cielo verso Dio, non è più messo in croce dalla violenza, simboleggiata dal dragone rossoche la insidia e al quale lei schiaccia la testa.

 

Chi meglio di tutti ha compreso il femminile sono i grandi poeti da Dante a Goethe che teorizzò l’EternoFemminino, das Ewigweibliche, e conclude il suo Faustcon questi versi del Coro Mistico:

 

Tutto il peribile

È solo un simbolo;

L’inattingibile,

Qui si fa evento;

L’indescrivibile,

Qui ha compimento;

L’Eterno Femminino

A sé trascina.

 

Il gran tedesco non erasolo e millenni prima il Tao aveva sentenziato:

 

La porta della misteriosa femmina

È la scaturigine del Cielo e della Terra.

 

Ritornando a Goethe, c’è da ricordare che il lager nazista di Buchenwald fu costruito a Weimar vicino alla casa del poeta e divenne uno dei più funesti campi di sterminio. Per le baracche fu preso il legno dei faggi dalla foresta di Ettersberg, prediletta dal poeta. Le SS lasciarono in piedi l’albero di Goethe, sotto il quale il poeta amava scrivere, albero che ora si trova all’interno del lager. Immaginiamo ora di sederci ai piedi di quell’albero e vediamo chi starebbe alla nostra destra, la parte buona, e chi invece alla sinistra, la parte avversa. Alla destra io vedrei Eva, Italo, Pitagora, Maria e Gesù che ci guidano verso un orizzonte sereno di amicizia. Alla sinistra, invece, vedrei Abramo col coltello alzato contro il proprio figlio Isacco, il Tempio di Gerusalemme con gli olocausti, e San Paolo che tramuta Gesù in vittima voluta dal Padre. E ci vedrei anche Sant’Agostino: lui e San Paolo hanno sviluppato la teoria del peccato originale per liberarsi dei loro gravissimi sensi di colpa, vedremoquali. Gesù non ha mai parlato di peccato originale. La dottrina del peccato originale, e di conseguenza la necessità di Gesùcome vittima per redimere i peccati del mondo, ha inserito nel cristianesimo la dottrina sacrificale della Bibbia, proprio quella che Gesù voleva sradicare, con i tragici risultati che la storia in duemila anni ci mostra.

 

18. Le apparizioni della Madonna

 

Le apparizioni di Maria in luoghi e a persone di ogni condizione si contano a migliaia dai primi tempi della Chiesa fino a oggi. E’ un fenomeno costante che la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto come vero in quindici casi. Vediamoliad uno ad uno.

 

1.A Laus, in Francia, nel 1664 la Vergine apparve a una pastorella di sedici anni analfabeta, Benôite Rencurel, tenendo per mano un bellissimo bambino. Le apparizioni sono durate a fasi alterne ben cinquantaquattro anni e,dove c’era una cappella abbandonata,fu costruito il santuario di Notre Dame du Bon Rencontre.

 

2. A Roma, nel 1842 nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, apparve una donna di straordinaria bellezza,immersa nella luce,ad Alfonso Ratisbonne, avvocato francese di origine ebrea, di ventisette anni, agnostico. Alfonso riconobbe in quella figura la Vergine della Medaglia Miracolosa,coniata dopo l’apparizione a Santa Caterina Labouré nel 1830.Lui stesso ebbe a scrivere anni dopo:

La Vergine non pronunciava alcuna parola, ma compresi perfettamente…provavo un cambiamento così totale che credevo di essere un altro, la gioia più ardente scoppiò nel profondo dell’anima; non potei parlare…Tutto quello che posso dire è che il velo cadde dai miei occhi; non un solo velo, ma tutta la moltitudine di veli che mi aveva circondato, scomparve…uscivo da un abisso di tenebre, vedevo nel fondo dell’abisso le estreme miserie da cui ero stato tratto a opera di una misericordia infinita…

 

3. A La Salette, in Francia, ne 1846, a Maximin Giraud di undici anni e Melanie Calvat di quindici, guardiani di vacche, appare una signora molto bella, contornata di luce, piangente per i peccati che si commettevano nel mondo.

 

4. A Lourdes, in Francia nel 1858, la Madonna apparve a Santa Bernadette Soubirous: la Vergine era sempre bella e sorridente, in candida veste con fascia celeste. E’ forse la più celebrata tra tutte le apparizioni.

 

5. A Champion, Wisconsin, USA, nel 1859 la Vergine apparve a una giovane immigrata belga, Adele Brise, vestita di bianco abbagliante, con una fascia gialla intorno alla vita e una corona di stelle sul capo, e diedeunmessaggio di invito alla conversione come a La Salette.

 

6. A Pontmain, in Francia, nel 1871, la Vergine apparve a Eugène, di dodici anni, eal fratello Joseph Barbedette di dieci. Altre due bambine, Françoise Richer di undici e Jeanne Marie Lebossé di nove, viderouna splendida signora con un vestito ornato di stelle, che sorrideva tendendo loro le braccia. La bella signora diventò poi triste e mostrò una croce sulla quale c’era suo figlio.

 

7. A Gietrzwald, Polonia, nel 1877, la Vergine apparve ripetutamente a due ragazze, Justyna Szafranska di tredici anni e Barbara Samulowska di dodici. La Vergine si mostrò in atteggiamenti differenti, talvolta circondata da angeli, talvolta con in braccio il Bambino Gesùsceso dal cielo, vestito di bianco e giallo.

 

8. A Knock, Irlanda, nel 1879 Mary Byrne, edin seguito altre quindici persone, riferirono di aver avuto un’apparizione della Vergine Maria, di San Giuseppe e di San Giovanni Evangelista sulla parete della chiesa parrocchiale. Dietro quelle figure sarebbe apparso un altare con sopra una croce e un agnello, immagine tradizionale di Gesù, Agnello di Dio.La Vergine fu descritta come bellissima, portava un manto biancoe la sua corona parve brillare di luce dorata. Quella apparizione fu molto particolare per i due santi che accompagnavano la Vergine e la mancanza di messaggi.

 

9. A Fatima, Portogallo, nel 1917, la Vergine apparve ai tre pastorelli Lucia Dos Santos di dieci anni, i cugini Francesco Marto di nove e sua sorella Giacinta di otto. Era una bellissima signora vestita di bianco sopra un piccolo elce verdeggiante. Diecine di migliaia di persone, accorse il 13 ottobre 1917, videro il sole spostarsi nel cielo roteando e cambiando colore. I cosiddettisegreti affidati dalla Vergine a Lucia, l’infuriare della prima guerra mondiale e la predizione della seconda, che puntualmente si avverò, resero l’apparizione di Fatima la più dibattuta di tutte.

 

10. A Beauraing, Belgio, nel 1932, Fernande Voisin di quindici anni, il fratello Albert di undici, la sorella Gilberte di tredici,con le amiche Andrée Degeimbre di quattordici esua sorella Gilberte di novevidero la Vergine come una figura luminosa con il cuore illuminato, come d’oro, che disse: Io sono la Madre di Dio, la Regina dei cieli.

 

11. A Banneux, Belgio, nel 1933, Mariette Béco di dodici anni vide nel giardino di casa una bella signora luminosa vestita di bianco, che disse di essere la Vergine dei Poveri: Io vengo per addolcire la sofferenza, io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio.

 

12. Ad Amsterdam, Olanda, IdaPeerdemandi dodici anniebbe la prima delle apparizioni il 13 ottobre 1917, giorno nel quale si concludevano le apparizioni di Fatimacon il famoso miracolo del sole.Ida vide,mentre passeggiava lungo le vie di Amsterdam,una donna luminosa d’eccezionale bellezza che identificò subito con la Vergine Maria.Nelle successive apparizioni, la Madonna le avrebbe rivelato il piano di salvezza preparato da Dio per il mondo, da realizzarsi tramite sua Madre. Per questo Maria le avrebbe dato un’immagine che la raffigura con i piedi poggiati sul globo terrestre, con una croce dietro le spalle, circondata da un gregge di pecore, simbolo dei popoli di tutto il mondo.La Vergine parlò di giustizia e di amore per il prossimo e indicò i tempi migliori che sarebbero venuti. Il messaggio principale fu la responsabilità di ognuno di noi nella realizzazione della grande opera del mondo.In seguito a quei messaggi alla Vergine fu dato il titolo di Signora di Tutti i Popoli.

 

13. Ad Akita, in Giappone, nel 1973,suor AgnesSasagawa di quarantadue anni,nella cappella del suo conventovide ripetutamente la statua della Madonna illuminarsi e animarsi, e udito una voce che la invitava alla preghiera per evitare un terribile castigo più grande del Diluvio, tale come non se ne è mai visto prima. Il fuoco cadrà dal cielo e spazzerà via una grande parte dell’umanità, i buoni come i cattivi. La statua della cappella davanti alla quale pregava Suor Agnes, riproduce la Signora di Tutti i Popoli di Amsterdam.

 

14. A Finca Betania, in Venezuela, nel 1976 e fino al 1988, Maria Esperanza Medrano de Bianchini, di quarantotto anni,ebbevarie apparizioni della Vergine. Nella prima, avvenuta su un albero vicino a un ruscello, si presentò comeMaria Vergine e Madre, Riconciliatrice di tutti i Popoli e Nazioni. Successivamente, il 25 marzo 1978, la Vergine fu vista da quindici persone insieme al miracolo del sole come era avvenuto a Fatima.

L’11 agosto 1987, la Madonna diede questo messaggio: L’uomo in questo momento sta abusando delle grazie ricevute e va verso la perdizione; se non ci sarà un cambiamento e un miglioramento di vita, egli soccomberà sotto il fuoco, la guerra e la morte. Nel 1988 la Vergine annunciò la Nuova Età dell’Oro di un mondo nuovo… dove la Pace, le vie dell’Amore, vi portano a raggiungere la rettitudine e la conoscenza dei figli di Dio.

 

15. A Kibeho, in Ruanda,dal 1981al 1986,la Vergine apparve -sono queste le apparizioni a noi più vicine nel tempo- a sei ragazze e un ragazzo tra cui Alphonsine Mumereke, di sedici anni, a Anathalie Mukamazimpaka, di diciassette,a Marie-Claire Mukangangodi ventuno: tutte e tre alunne di uno studentato di suore cattoliche.

All’inizio della sua storia, il Ruanda era abitato dalla popolazione degli hutu, dediti all’attività agricola. In seguito sopraggiunsero dal nord i tutsi, popolo di pastori guerrieri, che imposero il loro dominio in tutto il paese. I conflitti etnici scoppiarono nel 1994 e 1995 causando un milione di morti.

Un giorno del 1981,Alphonsine si trovava nel refettorio e sentì una voce chiamarla: Figlia mia. Rispose: Eccomi.Improvvisamente si ritrovò in un luogo, pieno di luce, e la figura di una donna uscìda una nuvola chiarissima: la donna era bellissima, con un vestito bianco come il velo che le cingeva la testa. Alphonsine chiese alla Signora: Chi sei? Ella rispose: Sono la Madre di Dio.

Nel pomeriggio del 15 agosto 1982, la Vergine non si presentò gioiosa, ma con gli occhi gonfi di lacrime. Disse ad Alphonsine: Se piango è perché voi uomini siete in uno stato così critico che io non posso più trattenere le lacrime. Dopo questo richiamo così forte, Alphonsine ebbe una tremenda visione: fiumi di sangue, incendi, omicidi, corpi martoriati e decapitati, cadaveri orrendamente mutilati e abbandonati senza sepoltura.

Nello stesso giorno la Madonna con profonda afflizionedisse a Nathalie: Il mondo va assai male, io voglio liberarvi da un baratro perchévoi non vi cadiate…A quel punto Nathalie ebbe una visione di sangue ed orrore simile a quella avuta da Alphonsine: un abisso in cui gli uomini cadevano in gran numero. E la Madonna le disse: Il mondo corre verso la sua rovina. Il mondo è sempre più cattivo…

Marie Claire, la terza veggente di etnia hutu, fu poi uccisa brutalmente durante il genocidio del 1994.

 

Ci sono ancora due apparizioni molto noteche, se non figurano tra le quindici ufficialmente approvate,sono comunque riconosciute dalla Chiesa come apparizioni private, cioè prive di testimonianze certe rese da più persone.

 

A Guadalupe, in Messico, nel 1531,la Madonna apparve aSan Juan Diego, un azteco convertito di cinquantasette anni, per richiamare all’unità i due popoli opposti da profondi contrasti: gli indios e i conquistatori spagnoli.La Vergine apparve quattro volte a Juan Diego e gli fece trovare come segno dei bellissimi fiori di Castiglia sbocciati fuori stagione. L’immagine di Maria si impresse nel mantello nel quale Juan Diego portava i fiori al vescovo come prova delle apparizioni, mantello conservato ancora oggi nel santuario. L’immagine della Vergine ha i tratti di una meticcia, unaMorenita di carnagione scura, circondata dai raggi delsole, la luna sotto i piedi, con una cintura di colore viola chetra gli aztechi significava la gravidanza. Incinta era anche la Donna dell’Apocalisse.

 

A Parigi, nel 1830, la Vergine apparve aSanta Caterina Labouré, di ventiquattro anni, quandola Francia era in subbuglio e il re Carlo X stava per essere cacciato. Nel racconto di Caterina, la vergine stava in piedi e la sua veste era di setabianca come l’aurora… Dal capo le scendeva un velo bianco, i piedi poggiavano sopra un globo che rappresentava tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona… mentre dalle sue mani piovevano fasci di luce.In questa forma fu riprodotta nella Medaglia Miracolosa che ebbe larghissima diffusione.

 

Riporto per completezza le apparizioni di Medugorje, Bosnia Erzegovina, dove nel 1981 la Vergine sarebbe apparsa a sei giovani, quattro donne e due ragazzi, apparizioni che continuano tuttora individualmente. Queste apparizioni, che richiamano a Medugorje milioni di persone ogni anno, sono molto contestate dentro e fuori la Chiesa cattolica che al riguardo si mostra prudente per non dire scettica. Anche in queste apparizioni la Vergine si manifesta come giovane donna vestita di luce, a volte con il Bambino in braccio.

 

 

19. Perché appare la Madonna?

 

La Vergine appare sempre come giovane donna o signora molto bella, sempre circondata di luce, spesso con i piedi sopra un globo, a volte con corona di stelle e, nella maggior parte dei casi, appare a bambini pastori, quelli che soffrono di più per le dure condizioni di vita. E’ senza dubbio la Donna dell’Apocalisse che Giovanni vide a Patmos e che ha attraversato la storia fino a noi. La Madonna appare quasi sempre da sola, pochissime volte con Gesù Bambino o altri santi. Lei stessa si definisce Madre di Dio, parla di Gesù come suo Figlio, ma non parla mai di Dio come suo Padre. Lei conosce e si preoccupa per la situazione del mondo e cerca di portare aiuto. Predice grandi guerre che affliggeranno l’umanità sull’orlo del precipizio a causa dellegravi iniquità commesse.

 

Le apparizioni della Madonna, dalla Riforma protestante in poi, sembrano divenute esclusiva della Chiesa cattolica, che ha sempre mantenuto alto il culto della Vergine, culto che le Chiese protestanti invece contestano. Anche nella Chiesa greca ortodossa, dove la Madre di Dio è veneratissima, si registrano molte apparizioni che però rimangono nell’intimità della persona e il veggente non ne parla con nessuno,a meno che non sia la stessa Vergine a chiederlo. L’apparizione avvienein una chiesa o eremo o nella natura, la Vergine colloquia con il veggente ed è accompagnata da altri santi, martiri o verginichiamati paraninfi, come quelli che nell’antica Grecia accompagnavano gli sposi.

 

La Theotokos, la Madre greca di Dio, non si interessa di come va il mondo. E’ caratteristico della cultura ortodossa non dare importanza alle cose del mondo: la vera vita è altrove,è quella eterna con Dio. La Vergine della Chiesa cattolica invece, domina il tempo e vuole salvare il mondo liberandolo dal male. Si potrebbe dire che la Vergine del cattolicesimo, quella dell’Apocalisse,è chiaramente interventista e intende cambiare la direzione della storia.

 

Le apparizioni della Vergine possono essere meglio comprese se le riallacciamo alla prima di tutte le donne, Eva, considerata da sempre la rovina del mondo. Per colpa sua difatti, secondo il racconto biblico, Adamo disubbidì e mangiò la mela per cui Dio lo condannò a soffrire e a morire assieme a tutta l’umanità.

Ma c’è un’altra storia che la Bibbia non racconta, anche se a volte vi accenna fuggevolmente: la rimozione delle Dee dalla cultura ebraica. Prima della Bibbia nel mondo ebraico, come presso tutti i popoli vicini, le Dee erano venerate e avevano templi tra le popolazioni dedite all’agricoltura. Quando però i territori della Palestina furono invasi e sottomessi da pastori guerrieri -tali erano gli ebrei- nacque una religione rigidamente monoteista e maschilista con un Dio fatto a immagine e somiglianza di un padre padrone. Oggi siamo in grado di sapere i culti e i nomi di quelle divinità, a cominciare da Athirat, sposa di El, il Dio creatore, per cui anche lei eraProgenitrice degli Dei. C’era poi Shapash, Dea solare, saggia e onniveggente che si muoveva tra giorno e notte e tra mondo terreno e sotterraneo. In tutto il Medio Oriente, la più venerata tra tutte fuperò Astarte o Istar, protettrice del re, dei marinai e degli eserciti, garante della fertilità e fecondità. Queste divinità femminili furono dapprima confinate dentro le mura domestiche di Israele e successivamente completamente eliminate, sotto pena di morte,dall’unico DioJavè.

Ma l’elemento divino femminile, eliminatoin Palestina dalla Bibbia, proprio in Palestinariapparve, più potente che mai,quando un angelo andò ad annunciare alla Vergine Maria che sarebbe diventata madre di Gesù per opera di Dio.

 

20. Eva capisce e Maria partorisce

 

Rileggiamo il racconto della Genesi che si svolge tra Eva, il serpente, Adamo e Dio. Eva conferma al serpente che Dio ha detto di non mangiare il frutto dell’albero interno del giardino per non morire, ma il serpente dice: Voi non morirete affatto. Anzi! Dio sa che nel giorno in cui ne mangerete diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male. Eva allora si convince, coglie la mela, ne mangia e ne dà ad Adamo. In queste poche parole sono enunciati i grandi drammi dell’esistenza umana: la morte, l’essere uomo o Dio, il bene e il male. E balza agli occhi Dio padre padrone, geloso delle sue prerogative che non vuole condividere col genere umano. Adamo, il maschio, non si pone nemmeno il problema se quello che Dio dice è accettabile o meno. Eva, la donna invece, capisce e mette in discussione tutta l’impalcatura biblica che fa tremare con la sua disubbidienza.

 

Eva si ribella in sostanza a un ordine superiore così come fanno le baccanti di Grecia e Magna Grecia che sovvertono l’ordine imposto. Nell’un caso come nell’altro, sono le donne, non i maschi, che prendono l’iniziativa e il rischio di cambiare realmente le cose. Il fenomeno più eclatante però avviene quando per la prima volta un maschio, Gesù, si fa carico dei grandi drammi dell’umanità, la morte el’essere Dio, risolvendoli con la sua persona.Lo scontro con il Dio biblico era frontale e Gesù avrebbe pagato con la vita.

 

Sua madre Maria anticipa quello scontro quando Gesù è da pochi mesi nel suo grembo, e lei si reca in visita alla cugina Elisabetta annunciando nel Magnificat il sovvertimento dell’ordine sociale. E difatti pronuncia parole di estrema audacia per una ragazzina rimasta incinta fuori dalle regole:

 

Ha deposto i potenti dal trono

Ha esaltato gli umili

Ha riempito di beni i miseri

Ha mandato i ricchi a mani vuote…

 

Sono quasi le identiche parole che Gesù avrebbe pronunciato nella sinagoga di Nazaret e che fecero infuriare i suoi concittadini al punto che lo volevano buttare giù dal monte:

 

Lo Spirito del Signore è sopra di me…

E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,

A proclamare ai prigionieri la liberazione…

A rimettere in libertà gli oppressi…

 

Da questi episodi salta agli occhi che solo le donne sono state capaci di sovvertire un ordine imposto, sia che questo avvenga nel giardino dell’Eden o nei boschi della Magna Grecia o quando due donne di Israele incinte si incontrano ed annunciano che la salvezza è alle porte.

E’ bellovagare con la mente dal paradiso terrestre alle donne dionisiache e fino alla Vergine Maria per comprendere che la rivoluzione di Gesù fu il frutto culturale vero di Eva e di Maria, non meno vero di quanto Gesù fosse frutto del ventre di sua madre e della progenitrice Eva.

 

Ma se Eva capisce e Maria partorisce Gesù che compie quella mirabile intuizione, Gesù poi patisce a opera di maschi, sacerdoti e politici, detentori del potere sacro e civile. I loro nomi sono Giuda, Caifa, Pilato, Erode. Solo una donna cercò disperatamente di salvarlo dalla morte: la moglie di Pilatola quale mandò angosciati messaggi al marito perché non condannasse a morte quell’innocente.

 

21. Mia madre

 

A mezzogiorno del 24 maggio 2015, nella Grotta di Pitagora a Samo ebbi la visione del filosofo altissimo e dei legnetti sbattuti da un’onda furiosa, come ho già raccontato. In quella calma sovrumana compresi che i legnetti travolti dall’onda erano anime di donneperse, e i due legnetti più grandi erano le anime di mia madre, morta nel 2005, e di mia sorella Anna, morta nel 2014. Quella visione ha cambiato la mia vita perché l’ha bonificata proprio nellaparte più dolente. Prima,difatti,quando pensavo a mia madre o a mia sorella, mi veniva l’amaro in bocca per il loro comportamento che mi aveva provocato delle ferite. Quella visionedi Samo, che non ho dubbi sia stata di origine sovrannaturale o sciamanica o comunque la si voglia chiamare, mi ha portato ad amarle pienamente perché ho capito che le ferite che mi avevano provocato nascevano da gravi sofferenze che loro stesse avevano. Come legnetti sbattuti dalla tempesta della vita, le loro due anime aspettavano che io leraccogliessi, le capissi e così leliberassi dalle pene.

 

Mia madre, la mia bella mamma dagli occhi grigiluminosi e dalla voce con risonanze misteriose, nacque nel 1917 in una Calabria chiusa nella sua fissità ancestrale, dedita al sacro e disdegnosa in fondo delle cose del mondo. Secondo figlio di sei,io venni al mondo dopo Anna in circostanze straordinarie, cioè mentre passava la processione del Corpus Domini davanti a casa. Questo convinse mia madre che io ero chiamato da Dio per qualcosa di grande. La sua convinzione era poi rafforzata dal mio comportamento di bambino pensieroso che non si interessavaai giochi estava ad ascoltare i discorsi dei grandi. Più di una volta lei mi riprendeva: Tu non sei come gli altri. E a volte soggiungeva: Tu credi che gli altri siano come te,mati sbagli.

 

Su mia madre ho scritto a lungo nei miei libriRitorno in Calabria eSesso e Paradiso, dove ripercorro i motivi della sua infelicità, i suoi ricoveri in clinica psichiatrica e le visite psichiatriche alle quali i preti del seminariosottoposero me. In quegli stessi anni, tra il 1957 e 1958, quando mia madre aveva quaranta anni e io diciotto, si consumava il nostro martirio che ci vide uniti come la Madonna e il Cristo cantati da Jacopone da Todi: Madre e figlio a un cruciato. Continuava imperterrita in Calabrialapersecuzione dell’Inquisizione, data invece ufficialmente per cessata agli inizi del Milleottocento.

Dopo che guarì, anche se non fu più la stessa, e dopo la mia espulsione dal Seminario Regionale di Catanzaro, mia madre fu sempre contraria alle mie scelte, un atteggiamento che me la rese estranea e incomprensibile, anche se mai mancai di affetto o rispetto verso di lei. Con le sue prese di posizione a me avverse,lei adempiva al compito dei genitori che è anche di sbagliare nei confronti dei figlii quali,così, si chiariscono e trovano la loro strada.

 

I suoi ultimi annifurono duri per le sofferenze, ma salutari per la sua serenità. Nell’immobilità forzata del letto rivisse la mia e la sua vicenda e soffrì molto per il senso di inadeguatezza che ogni genitore prova riguardo ai figli. Riuscì però a rasserenarsi difronte al pensiero della morte che l’aveva sempre terrorizzata: Tutta la vita ho avuto paura della morte e ora che sto per morire non ho più paura.

 

Mia madre era uno strumento del destino, più grande di lei e di me, che vuole che io affidi alle donne la guida dell’umanità. Io vedo la moltitudine sterminata didonne perse della storia trasformarsi inschiera luminosa che ci guiderà verso terre nuove e nuovi cieli.

 

22. Mia sorella Anna

 

Anna, la scrittrice Anna Mongiardo, come voleva essere chiamata, è la storia di una donna che spesso si faceva odiare per paura di non essere amata. Anna nacque alla vigilia della prima guerra mondiale così bella e con occhi così azzurri che le donne del paese venivano ad ammirarla. Questo non impedì a mia madre di soffrire di una depressione post parto, all’epoca nemmeno conosciuta, che avrebbe rovinato il rapporto tra madre e figlia. Alla mia nascita,due anni dopo,io diventai il cocco di mamma e, crescendo, fui oggetto dei dispetti di Anna che mi vedeva preferito nell’amore materno.

 

Anna era dotata di una intelligenza straordinaria e di una sensibilità esagerata che la rendeva disadatta a una vita tradizionale. Mordeva il freno nel paese agricolo che era Sant’Andrea Jonio,e poi nel collegio femminile delle Suore Salesiane di Soverato, dove frequentò le Magistrali diplomandosi brillantemente. Lei cercava forme di vita diverse in una società soffocata dalla cappa clericale,rimasta immobile dall’epoca borbonica e incarna la condanna di tutte le scempiaggini che si dicono sull’unità d’Italia. Il tanto oggi rimpianto regno dei Borboni, primo in Italia per popolazione, per depositi di oro, per marineria, per ferrovie, fonderie e seterie, non aveva però un solo grammo di libertà individuale o civile, e questo fu la vera causa della sua rovina. Il clero vigilava occhiutamente sulla fedeltà incondizionata del popolo al Borbone e faceva quotidianamente rapporti al re sulle minime insofferenze dei sudditi. Al contrario, il tanto oggi deprecato Piemonte godeva da tempo di libertà di pensiero e di espressione,arrivata a sud delle Alpicon l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese. Lo storico Franco Molfese, scrisse, e mi confermò a voce, che i Padri Redentoristi di Sant’Alfonso, che tenevano le missioni in moltissimi paesi del regno napoletano, alla fine della settimana di prediche e processioni,facevano le confessioni e comunioni generali, cose alle quali anche io ho assistito da ragazzino. Durante il regno però, i reverendi Padri compilavano una lista dei fedeli, praticamente tutta la popolazione, secondo la loro assoluta o dubbia fedeltà al trono e all’altare. Quella lista veniva consegnata dai Padri all’intendente di polizia borbonica.

 

Anna cominciò da sola la rivoluzione anticlericale e antiborbonica con una bicicletta da donna, trovata in uno scantinato, che iniziò aguidare faticando sul manubrio su strade in discesa. Scandalo! Una donna in bicicletta! In paese si prese a mormorare tanto che un prete amico e abbastanza aperto, don Tito Voci,mi richiamò perché intervenissi a far cessare lo scandalo. Mio padre però si schierò in difesa di Anna,che così imparò la bicicletta. Poi Annavide su una rivista di moda l’abito a sacco e dalla vicina amica e sartina, si fece confezionare un abito turchese che le stava a pennello coi i suoi bei capelli biondi. Ma dove poteva andare con quel vestito? Era maggio e decise di andare alla Chiesa Matrice, per entrare nella quale bisognava salire una gradinata con gradini molto alti. Anna ebbe difficoltà a salire perché l’abito era abbastanza chiuso e le donne, che la videro con le gambe nude sopra il ginocchio,corsero a fare rapporto al parroco don Ciccio Cosentino. Questi dal pulpito tuonò contro le mode che incitavano le donne alla licenziosità e Anna, chesi sentì punta nel vivo,all’uscita dalla funzione affrontò il parroco in Piazza Castello: Il mio onore non lo compri nemmenocon tutta la chiesa di Cristo!

 

A diciannove anni vinse il concorso per l’insegnamento nelle scuole elementari e fu mandata a Cirò, nel Crotonese. Quella realtà di gravissimamiseria la spinse a scrivere il suo primo romanzo Il cavallo dipinto, che pubblicò a ventisei anni ed ebbe successo. E’ un forte romanzo verità sul disagio e il degrado del tristemente famoso Marchesato, dove la plebe era oppressa oltre ogni umano limite.

La sua nomina a Roma presso il Provveditorato agli Studi rappresentò per lei una valvola di sfogo che le permise di inserirsi nel mondo della letteratura della capitale, diventando nota redattrice della terza pagina del quotidiano Il Messaggero. Andò ad abitare in Via Laurina, accanto a Piazza del Popolo, e il suo piccolo appartamento diventò tutto giallo per il fumo:lei fumava infinite sigarette giorno e notte e,come portacenere, usava una insalatiera piena di sabbia dove infilala i mozziconi come croci in un cimitero di guerra.

 

Lei desiderava il successo letterario e lo inseguì disperatamente nell’ambiguo mondo della letteratura italiana degli anni Sessanta, che propinava modelli di scrittura innovativitra intrighi, beghe e arrivismi. Il suo secondo volume in versi, La donna cammello, lo dedicòa Saffo per il coraggio avuto ad essere poeta. Sono folgoranti liriche pervase dal bisogno di venire a capo dell’angoscia:

 

Attaccata al tuo amore

Beveva la donna cammello

E si burlava del deserto

Ma un giorno

Finite le riserve

Ti cercò invano sotto il solleone…

 

Dopo pubblicò Capelvenere, come la piantina chelei amava e di cui teneva rametti nei libri. Il volumetto si compone di ventinove capitoli chiamati Pagine bianche, nelle quali …lei simula e simboleggia lo spazio vuoto dell’assurdo dove la carne non pesa e dove trova rifugio l’androgino, dopo aver disperatamente e vanamente cercato la propria identità (P. F. Paolini).

Poi nel romanzo Scrittura mia, rappresenta la storia di una mitomane la quale pretende che nel suo corpo avvengano incantesimi e frequentaindovini, cartomanti, letterati e giornalisti.

Infine, nel romanzo Nudo e crudo un uomo di quarant’anni si confessa vomitando veleno sulle donne a cominciare dalla madre.

Anna non resse a tutte quelle sollecitazioni contrastanti e lentamente iniziò la sua discesa verso il disagio che si trasformò in malattia. Alla fine prese la decisione di ritornare in Calabria, un mondo che lei aveva rifiutato, ma che in fondo apprezzavaper la sua semplicità così diversa dai contorcimenti dell’ambiente letterario romano. Alla morte lasciò due inediti:I racconti della bambina cattiva in prosa, rielaborazione della sua difficilissima infanzia, e Il Poemastro dell’Eros in versi,nel quale lei fa parlare il corpo senza infingimenti.

A me sembra che la vicenda di Anna dimostri come il Sud Italia sia crollato e si stia ancora svuotando perché le sue strutture familiari e sociali erano,e sono ancora, profondamente tarlate dalla mancanza di libertà. La soluzione che lei proponeva, quella di una cultura libera per una autentica presa di coscienza, mi pare sia l’unica possibilitàrimasta all’individuo,non solo in Italia. Per quella Anna si è battuta con determinazione e coraggio.

 

La vicenda di mia madre e di mia sorella Anna, ripensate dopo la visione della Grotta, mi hanno fatto riflettere su cosa veramente sia l’amore. Esso è la decisione di togliere sempre la sofferenzaal prossimo oltre la definizione di bene e male,variabile secondo la politica, la filosofia o la religione del momento.

 

23. L’hanno fatta santa

 

L’Inquisizione fu detta santa per la santità che voleva promuovere nella cristianità ricorrendo a mezzi quali la tortura e la pena di morte. La parola inquisizione deriva dal latino inquisitio,indagine, affidata ad un sacerdote inquisitore che era poi anche il giudice. Sulla Santa Inquisizione è stato scritto molto, ma il numero delle sue vittime,fatte nei cinquecento anni in cui è stata attiva dal 1200 agli inizi del 1800, non si saprà maiperché le carte processuali con i verbali e le condanne furono volutamente distrutte per nascondere la verità. Secondo i diversi criteri di calcolo,si parla di diecine di migliaia ocentinaia di migliaia o milioni di vittime. E’ un fenomeno tra i più imponenti della storia umana, durato mezzo millennio, che meriterebbe studi spassionati per essere compreso a fondo.E soprattutto le vittime meriterebbero una giornata del ricordo perché furono di ogni razza e nazione, affratellate da un terribile destino. Essa nacque in Spagna e imperversò in America Latina e per tutta l’Europa dalla Scozia a Stoccolma alla Sicilia.

 

Gli anni del liceo che passai nel Seminario Regionale di Catanzaro, furono gli stessi che mi videro, durante le vacanze estive,chiuso a catalogare la biblioteca dei Padri Redentoristi o Liguorini nella loro casa di Sant’Andrea. Su quei mesi di forzata solitudine e sulle scoperte fatte nella biblioteca ho scritto a lungo nel Ritorno in Calabria e soprattutto nel Sesso e Paradiso. Durante quel lavoro paziente e minuzioso di catalogazione,mi ero abituato ai grossi tomi in folio, alle tarme che dovevo togliere quando li aprivo e anche alla bellezza dei frontespizi e delle illustrazioni delle edizioni rinascimentali. Un giorno presi dallo scaffale degli Storici un grosso volume con la copertina in pergamena, lo aprii e vidi un frontespizio ridondante di caratteri e simboli neriche facevano impressione. Era una edizione del famoso Malleus Maleficarum, il martello delle streghe, scritto in latino da due inquisitori, ifratidomenicani tedeschi Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, che redassero quel manuale per aiutare i loro colleghi inquisitoria scovare, interrogare e punire le streghe. L’opera, pubblicata nel 1486, ebbe trentaquattro edizioni in due secoli con una tiratura complessiva di 35.000 copie, una enormità per l’epoca.Quel libro funzionò molto bene tanto che vittime della Santa Inquisizione furono, quattro volte su cinque, donne accusate di stregoneria. E’ vero che in Francia e Spagna inizialmente l’Inquisizione si occupò principalmente della repressione di eretici e sovversivi contrari alla Chiesae allo Stato. Ma, sotto sotto, era la donna che i frati volevano morta, e ci riuscirono mandando al rogo non streghe vecchie e brutte, come si crederebbe, ma donne come Antonia, la giovane e bella protagonista del celebre romanzo La chimera di Sebastiano Vassalli, bruciata viva nel Novarese nel 1610.

 

Una copia del Malleus Maleficarum era arrivata a Sant’Andrea Jonio, anche se stampata a Lione, come era scritto in latino, Lugduni, perchéla Santa Inquisizione si era data da fareanche nella dimenticata Calabria. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana si conservano due lettere del vescovo di Squillace, Marcello Sirleto, inviate a luglio del 1570 allo zio cardinale Guglielmo Sirleto, grande amico di San Carlo Borromeo e intelligente promotore della riforma del Calendario Gregoriano: i Sirleto erano originari di Guardavalle in Calabria. Marcello descrive allo zio l’esecuzione dell’eretico Cesare da Stalettì, consegnato al braccio secolare del principe di Squillace-un discendente di papa Borgia-che lo fece prima impiccare, come trattamento di favore perché si era pentito, e poi bruciare sulla pubblica piazza:la Chiesa voleva che le condanne a morte fossero eseguite senza effusione di sangue, perchéil sangue poteva richiamare la nobiltà del martirio dei cristiani. Scriveva il vescovo Sirletosulla condanna di Cesare da Stalettì:

 

Il poverino da più giorni in qua è molto pentito et vuol morir cattolico, s’è confessato e comunicato, et mostra segni di grandissima contritione… e per grazia del Signor morse cattolico. Dio gli dia la santa requie…

 

Venne poi il turno di catalogare un libro scritto da Sant’Alfonso dei Liguori, il fondatore dei Liguorini dal titolo Istruzioni pei confessori.Scorsi le pagine per vedere se il libro era completo e miaccorsi che a un certo punto non era più in italiano, main latino. La cosa m’incuriosì e cominciai a leggere conattenzione il passo dove la lingua cambiava. Era il capitolonel quale Sant’Alfonso scriveva dei peccati di sesso:

 

Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delleconfessioni, ed è quel vizio che riempie d’anime l’inferno; ondesu questo precetto parleremo delle cose più minutamente, e le diremo

in latino, affinché non si leggano da altri che dai confessori…

Ante omnia advertendum, quod in materia luxuriae… nondatur parvitas materiae; ita ut omnis delectatio carnalis… mortalepeccatum est…

 

In materia di sesso tutti i peccati erano mortali: ancheguardare con desiderio braccia, gambe, petto e viso diuna donna. Lo stesso se si guardavano con desiderio leparti intime di una donna dipinta nuda o coperta da unvelo leggero. Peccavano poi in modo gravissimo quelliche scrivevano libri che invogliavano al sesso. Per il sesso consumato fuori del matrimonio e nondiretto alla procreazione la pena era l’inferno. Sant’Alfonso,poi, faceva distinzione tra adulterio, incesto, sodomia,sacrilegio, stupro, violenza, accoppiamento con il demonioo con gli animali.

Sant’Alfonsousava il latino perché altrimenti il suo libro poteva essere usato come manuale di pornografia, tanto dettagliate e audaci erano le descrizioni degli accoppiamenti. Per lui era peccato mortale anche palpare la mano (attrectatiomanus) o attorcigliare il dito (intorsio digiti) a una donna.Il santo stabiliva, contro i sodomiti laici, la condannaa morte e poi a essere bruciati. Contro i sodomiti facentiparte del clero, invece, la condanna a morte si addolciva nella sempliceprivazione dei benefici ecclesiastici.Sant’Alfonso precisava che l’accoppiamentocon il demonio, passivo o attivo, era peccatodi bestialità, con l’aggiunta del peccato contro la religionenonché del peccato di fornicazione o di sodomia effettiva,secondo che il demonio appariva in forma di fanciullo o didonna. E con l’ulteriore aggiunta del peccato di adulterio oincesto, se qualcuno si dilettava dell’accoppiamento con ildemonio apparso sotto forma di donna sposata o di consanguinea.

 

Solo adesso, dopo più di mezzo secolo, mi rendo conto di quanto straordinario fosse che io venissi a sapere della Santa Inquisizione e del libro di Sant’Alfonsoproprio nel periodo in cuiio e mia madre eravamo vittime dell’Inquisizione che ci massacrò pretendendo obbedienza cieca alle proibizioni sessualidella Chiesa cattolicafino a farci rasentare la follia. Mia madre aveva abbandonato a trentacinque anni il letto matrimoniale per non fare sesso senza procreare, avendo già sei figli. Io,a diciotto anni, andavo ogni giorno dal confessore accusandomi di forti tentazioni della carne.

 

24. Il gatto svizzero

 

Anni fa, durante un soggiorno in Svizzera, mi capitò di leggere il libro di una ricercatrice che aveva potuto esaminarei documenti dei processi fatti dalla Santa Inquisizione a Losanna. In effetti, nelle curie vescovili cattoliche ci sono carte processuali salvate forse perché ignorate all’epoca della distruzione degli archivi inquisitoriali, ma è molto difficile venirne a conoscenza perché sono prudentemente occultate.

I processi di Losannasi svolgevano contro donne accusate di stregoneria,condannate al rogo dopo la confessione dell’accusata,confessione strappata con la tortura. L’accusata confessava di aver avuto rapporti con il demonio, apparso sotto forma di gatto nero, al quale lei aveva prestato obbedienza con un bacio. Il bacio era dato nella parte del gatto che Sant’Alfonso chiama vaso prepostero, cioè sconveniente: è quella parte indicata con l’espressione là dove non batte il sole. Quando la confessione della presunta strega svizzera terminava con la frase:e gli baciò il c… ed era morbido, il processo era chiuso e la condanna al rogo eseguita.

 

Nel 2013 ho avuto la possibilità di visitare,a Deir el-Medinavicino Luxor in Egitto, le tombe degli operai che lavoravano alla costruzione delle tombe dei faraoni nella Valle dei Re. In una tomba c’è la pittura vivace di un gatto nero che, con un seghetto tenuto con le zampe anteriori,taglia la gola ad Apopi, il grande serpente nero sotterraneo, simbolo del male. Il gatto era l’animale sacro a Osiride, il più importante tra gli Dei egizi, Dio del sole e del grano. Gli egizi veneravano il gatto al punto che lo imbalsamavano e la rivolta contro l’esercito di Cesare ad Alessandria scoppiò perché un soldato romano aveva ucciso un gatto.

A me sembra che la trasformazione del gatto da animale sacro a demonio infernale rappresenti bene la caduta del sesso avvenuta nella Chiesa. Le ragioni di questo fenomeno, che andrebberoapprofondite da menti libere, si possono riassumere,secondo me, nella cattiveria che la repressione sessuale e la conseguente frustrazione generano in preti e frati i quali distruggono l’oggetto impossibile dei loro desideri: la donna. In altre parole, la cattiveria che i frati usano contro se stessi per reprimere il sesso è la stessa cattiveria che rivolgono contro la donna. Verrebbe da pensare che questo meccanismo sia roba del passato, ma non è così perché la Chiesa, reprimendo il sesso, mette in moto un meccanismo pericoloso che esige sempre un gran numerovittime. La Santa Inquisizione oggi è più viva che mai, e mi spiego.

 

Il leone di centomila anni fa e quello di oggi fanno esattamente la stessa vita di caccia e sesso, non c’è statanessuna evoluzione. L’uomo di centomila anni fa e quello di oggi sono irriconoscibili: le motivazioni, le attese, i desideri umani sono radicalmente cambiati. Il leone sta sempre nella savana, l’uomo è arrivato sulla luna e ha creato musica, medicina e filosofia con una evoluzione continua. Questo cambiamento incessante cozza contro l’apparato definitorio, cioè lo schema dogmatico e immutabile sul quale la Chiesa si è adagiata,nell’illusione che la definizione sia verità eterna. In materia di procreazione poi, la dottrina cattolica è rimasta bloccata all’obbligo di fare figli. E quando la scienza ha trovato la pillola anticoncezionale che libera dalla schiavitù del procreare, invece di raccomandarla, visto che nel mondo siamo settemiliardi di persone, la Chiesa l’ha proibita assieme ai profilattici. Io stesso ho ascoltato una esortazione di San Giovanni Paolo II che chiedeva ai farmacisti cattolici di non tenere o vendere contraccettivi…

 

La commissione di vescovi, istituita da papa Paolo VI per l’uso della pillola anticoncezionale,espresse parere positivo, come ogni persona di buon senso si aspettava. Ma il papa, lui solo, decise per il no, con la conseguenza che centinaia di milioni di aborti furono e vengono ancora fatti, in condizioni spesso disastrose,a volte con la morte delle donne. La Chiesa non è capace di resipiscenza per questo massacro di uteri non perché non sappia cosa succede, ma perché i preti hannol’intimo bisogno di vittime per scaricare su di esse la rabbia della propria frustrazione.

 

Un amico medico, N.S., mi raccontò un episodio avvenuto pochi anni fa, nel 2012. Si era pensionato e aveva deciso di fare il medico volontario in Kenya, in un villaggio distante da Nairobi, dove assisteva una ottantina di ragazzi sieropositivi nati da genitori malati di Aids. Un giorno, un prete cattolico andò a dire messa al villaggio e lui vi portò i giovani. Durante la predica, il prete ribadì a quei ragazzi sieropositivi che l’uso del profilattico era un grave peccato…

 

Demostene diceva che chi può evitare un male e non lo fa,quello è il vero colpevole. Se applichiamo questa affermazione alla Chiesa, vediamo che essa,guidata da maschi, ha generato la strage degli aborti così come la società civile, anch’essa guidata da maschi, genera le guerre. Così stando le cose, dovremmo metterePaolo VI tra i grandi criminali della storiaassieme ad Hitler e Stalin. Ma non è questa l’opinione della Chiesa che è tutta indaffarata a proclamare santo Paolo VI, come santi ha dichiaratol’inquisitore San Roberto Bellarminola Santa Inquisizione.

 

25. La cupola di San Pietro

 

Intorno al 1961 a Roma salii a visitare la cupola di San Pietro fino alla balconata che gira sotto la palla. Sul muro c’erano numerose scritte di visitatori e una mi colpì: Peppino e Sofia. Lei era la sorella di mia madre e Peppino, da tutti detto l’uomo più bello del mondo, era suo marito. Zia Sofia poi mi confermò che erano stati proprio loro a visitare la cupola, e il marito aveva scritto i loro nomi. Alla fine della guerra, nel 1945, zia Sofia sperava ancora che il suo marito tornasse. Non aveva avuto più sue notizie dal 1943, quando le aveva mandato una cartolina dall’isola greca di Scarpanto, dove era soldato. Ma lui non tornò, e un giorno zia Sofia si vestì di nero e andò in chiesa per la messa di requie.

 

Quella cupola, ideata da Michelangelo, fu visitata ai primi del 1900 dal giovane tedesco Karl Jaspers, che sarebbe poi diventato il grande filosofo e premio Nobel della letteratura. Jaspers, che di base era medico psichiatra, scrisse che quella cupola rappresentava un desiderio sessuale non esaudito di dimensioni cosmiche. Questa sua interpretazione corrisponde alla personalità di Michelangelo, vissuto in maniera convulsa a causa della sua tormentata omosessualità. Anche Leonardo era omosessuale e sublimò il suo dramma nei visi androgini dei suoi dipinti, basti pensare al San Giovannino nel quale unisce,con fascino irresistibile,i tratti del maschio e della femmina. L’androgino, letteralmente dal greco uomodonna, è una delle più alte elaborazioni di Platone che nel Simposio espone il mito dell’androgino, originariamente uomo e donna insieme,diviso in due dagli Dei per punizione, e da allora eternamente alla ricerca l’uno dell’altra.

Michelangelo,di carattere duro e spigoloso, conobbe il bel Tommaso de’ Cavalieridi 23 anni, quando lui ne aveva quasi sessanta, e si aggrappò a lui con tutte le forze al punto che gli scrisse: Noi siamo una sola anima in due corpi. Egli però comprese il limite di quel rapporto e nelle sue Rime vide nella donna la sola possibilità di salvezza:

 

Quante più fuggo e odio ognor me stesso,

Tanto a te, donna, con verace speme

Ricorro…

 

La Cappella Sistina con i suoi affreschi rappresenta il trionfo dell’umana carne quale forza vivente e onnipresente della storia. Lui e Leonardo sono geni universali perché affondano le proprie radici artistiche nella sessualità, un mistero così profondo che solo i grandi riescono a capire ed in parte a esprimere.

 

Gli affreschi della Sistina furono poi ritoccati per ordine dei papi da Daniele di Volterra, il braghettaio, che ricoprì i nudi, ritenuti sconvenienti, di alcune figure michelangiolesche. Guardando la cupola dalla Piazza, subito dopo il colonnato del Bernini, a sinistra si erge il Palazzo del Sant’Uffizio, originariamente chiamato Romana Inquisizione e ora Congregazione per la Dottrina della Fede. Oggi si dà scarsa importanza alle formule della teologia delle quali dovrebbe occuparsi, e il Sant’Uffizio funge da polizia sessuale all’interno della Chiesa. Si parla di migliaia di dossier con accuse rivolte a membri del clero per abusi sessuali: le delazioni e le denuncevi affluiscono giornalmente nel massimo riserbo.

 

Fino a poco tempo fa, se un prete si macchiava di pedofilia, il vescovo che ne veniva a conoscenza cercava di nascondere e proteggere il colpevole. Per giustificare l’intervento del Sant’Uffizio, di per sénon competente in materia di sesso, nell’accusa il vescovo indicava che il comportamento di quel prete era lesivo della fede: allora il Sant’Uffizio interveniva con i provvedimenti che riteneva necessari. Nulla si faceva per aiutare le vittime: il loro dolore e l’umiliazione non venivano nemmeno presi in considerazione.

Pochi anni fa sono venuto a conoscenza di un caso, successo intorno al 1960, nel quale era coinvolto un prete, ora defunto. Quel prete aveva abusato di un ragazzino nel seminario di Squillace e il vescovo lo deferì al Sant’Uffizio per comportamento lesivo della fede. Il prete fu sospeso a divinis, obbligato a un mese di esercizi spirituali e poi mandato come parroco in un paesino della diocesi. Visse e morì male lamentandosi contro il vescovo: Tutti i preti lo fanno, ma solo me ha fatto condannare dal Sant’Uffizio.Soffriva perché aveva perso la faccia difronte agli altri preti, non per il crimine di cui si era macchiato.

 

Il bombardamento devastante della Chiesa sulla sessualità è stato funesto oltre ogni dire perché con i suoi precetti assurdi ha unito le pericolose angosce religiose a quelle sessuali. Io non pretendo di essere giudice, ma volte mi chiedo: come è stato possibile che, mentre San Tommaso scriveva i suoi trattati di filosofia, i suoi confratelli domenicani correvano per l’Europa ad accendere i roghi e bruciare povere donne? Come è potuto succedere che la mente acuta e brillante di Sant’Alfonso, lo stesso che scrisse e musicò Tu scendi dalle stelle, si smarrisse negli sporchi meandri delle fantasie sessuali? Come è stato possibile che nessuno in Germania si sia alzato in difesa degli ebrei? Eppure sono cose successe, e se una cosa è successa, non poteva non succedere. E’ la legge della faticosa presa di coscienza, simile alla legge della fisica per la quale la materia interna del sole impiega milioni di anni per arrivare in superficie e trasformarsi in luce.Detto più semplicemente, se altri prima di noi non avessero sbagliato, noi oggi non avremmo capito.Io sono intimamente convinto che, se fossi stato frate domenicano nel medioevo, avrei letto senza tentennamenti la condanna a morte di una strega. E se fossi stato un tedesco delle SS, avrei aperto il rubinetto del gas per uccidere gli ebrei. Se poi mi fossi trovato al posto di Stalin, avrei compiuto esattamente tutto l’orrore da lui commesso. Gli altri non sono cattivi come io non sono buono: devo quasi ringraziare i cattivi che si sono caricati di un peso terribile che a me è stato risparmiato. A me tocca, non per mia scelta, il compito gratificante di illuminare le tenebre della storia per vincere l’errore-dolore.

 

26. Ma il sesso cosa è?

 

Durante una visita in America, mia zia Caterina mi raccontava a Detroit delle difficoltà incontrate nell’assistere il marito, semiparalizzato dopo un incidente d’auto. Avrebbe potuto ricoverarlo in casa di cura, pagata dall’assicurazione, ma lei non voleva abbandonarlo. Il marito, nonostante la paresi, si… toccava in continuazione, e lei si preoccupava per la sua salute e per il peccato di sesso. Ne parlò a un medico di colore il quale la tranquillizzò dicendole che quel suo toccarsi non era peccato, era una cosa naturale che lo manteneva in vita: quando avrebbe smesso, sarebbe morto. Il marito andò avanti così per quattordici anni, e smise di toccarsi solo due giorni prima di morire.

Quell’episodio suggerisce che il problema del sesso, come quello di Dio, cambia definizione secondo l’epoca, la popolazione, la cultura e la religione. Questa difficoltà a comprenderlo crea angosce sessuali che, se si uniscono alle angosce religiose, possono creare una miscela esplosiva: non dimentichiamo cosa ha combinato la Santa Inquisizione. Tuttavia mi sento di affermare, senza paura di sbagliare, che il sesso è una forza indomabile, in barba a tutte le costrizioni e le religioni.

 

Un’altra mia zia, Annunziata, donna di grande simpatia e lingua mordace, definiva il sesso come vrusciuri, un bruciore o vampa di libidine che aveva spinto quell’infame di suo padre – sono sue parole – a prendersi come un cane famelico sua madre quando era una ragazzina di nemmeno quattordici anni, la bellissima Sofia, sposata con dispensa ecclesiastica per l’età. Ricordo il vestito di nozze della mia bisnonna, conservato in famiglia, di seta color avorio con fiorellini indaco e rosa, stretto in vita come quello di una bimba. C’era una macchia di rosolio, caduto alla sposa per l’emozione, che il marito Giuseppe – Peppazzo lo chiamava zia Annunziata che lo odiava anche da morto – mise incinta tredici volte. Alla fine lei cercò di suicidarsi impiccandosi a una trave, ma fu salvata e mandata al paese di Palermiti per riprendersi. Al suo ritorno, il famelico Peppazzo la mise di nuovo incinta: erano quattordici volte, quante le stazioni della Via Crucis, e nonna Sofia partorì l’ultima figlia all’età di cinquant’anni.

 

Il sesso può definirsi come angoscia: lo ricordi con dispiacere se l’hai fatto male, peggio ancora se lo hai fatto bene perché vorresti rifarlo, e ti angoscia per le occasioni mancate come per i rifiuti avuti. Insomma, il sesso ti perseguita sempre, nella realtà del vissuto e di più con fantasie ossessive. La storia della Chiesa può anche essere vista come una interminabile guerra persa contro il sesso, che però alla fine ha vinto svuotando le chiese di fedeli. Questa avanzata del sesso non riguarda solo la Chiesa cattolica, ma gran parte dell’umanità perché ora la donna, almeno quella progredita, può decidere se e quando procreare, mentre le grandi religioni sono contrarie alla contraccezione: Indira Gandhi fu assassinata perché appoggiava la campagna per il controllo delle nascite in India.

 

Il sesso, come desiderio ardente di unirsi carnalmente tra uomo e donna, spinse me via dalla Calabria verso la Germania, dove le donne erano libere: fu uno dei casi di emigrazione sessuale, un fenomeno che spinse molti altri maschi via dalle loro case, a parte delle ragioni economiche. Il sesso allora è solo un bruciore, una vampa, una voglia, una brama o c’è dell’altro? Ogni essere umano, uomo o donna, ha i propri organi sessuali, per così dire, a portata di mano, e per spegnere il bruciore basterebbe un accoppiamento: come mai questo non avviene? O, se avviene, perché tutti vogliono una ripetizione dell’accoppiamento senza fine?

 

Le idee sul sesso erano molto diverse da un popolo all’altro già molto addietro nel tempo. Dalla Bibbia conosciamo l’episodio della città di Sodoma, distrutta dal Dio d’Israele col fuoco per il peccato di sodomia – il nome viene proprio dalla città biblica – mentre nello stesso periodo in Grecia c’era l’istituzione, ufficialmente riconosciuta e praticata, della pederastia nella quale un uomo maturo, l’eràstes, corteggiava e istruiva sessualmente un giovane, l’eròmanos. Nel mondo moderno, per quello che sono riuscito a capire viaggiando, le differenze nella pratica del sesso tendono a diminuire. Il sesso è indubbiamente molto più controllato nei paesi di religione islamica, dove la libertà sessuale è proibita e a trasgressione può portare fino alla pena di morte. Ricordo la penosa esecuzione, avvenuta intorno al 1975, di due giovani principi arabi, una ragazza e un ragazzo che avevano frequentato l’università in Usa e Gran Bretagna. Rientrati in Arabia, vollero vivere insieme all’uso occidentale, senza essere sposati, e furono giustiziati nonostante gli appelli alla clemenza provenienti da ogni parte.

 

Anni fa ho visitato un malato di cinquant’anni che aveva ricevuto l’estrema unzione e morì poco dopo. L’uomo, sposato con figli, si lamentava a calde lacrime di dover morire scontento perché in vita non aveva fatto sesso con le donne quanto aveva desiderato: Muoio con questo grande dispiacere, ve lo voglio dire… Il poveretto non avrebbe avuto quel rimpianto se, invece che cattolico, fosse stato musulmano. Difatti, nel paradiso islamico ogni notte vengono date ai maschi le vergini urì, fanciulle dalla pelle bianca e dagli occhi neri e belli – chi dice in numero di quaranta e chi di settantadue – quali amabili compagne per il piacere sessuale dei credenti.

 

In tutto il mondo, grazie alle moderne tecnologie e alla rete, c’è ora un proliferare di immagini, siti, video e racconti pornografici come mai si è visto prima: viviamo un’epoca di surplus erotico allarmante e incontrollato. Le riviste e i filmini porno, portati di nascosto in Italia dalla Svezia, che decenni fa ci passavamo di nascosto tra amici, oggi fanno sorridere: l’avanzata della pornografia è una valanga planetaria. E’ come se un capo invisibile avesse lanciato un appello: Popoli di tutto il mondo, unitevi nel porno! E i popoli lo seguono, tanto che le visite ai siti porno si contano a centinaia di milioni al giorno. L’umanità si è unita in quello che fino a ieri era proibito e la terra sembra avvolta da una pornosfera mescolata all’atmosfera che respiriamo.

 

Molti pensatori famosi hanno cercato di districare il mistero del sesso con varie teorie filosofiche. Il pensiero va subito a Platone e alla sua teoria dell’amore platonico, secondo il quale l’attrazione tra i corpi, sessuale e passionale, andrebbe superata per salire al livello di conoscenza dell’assoluto. Questa teoria fu ripresa da Giordano Bruno con l’indiamento, una entrata in Dio che permette alla persona di partecipare alla natura divina con l’eroico furore: eroico è parola usata da Bruno come proveniente da eros, non da eroe.

Sono affermazioni di due geni che non possiamo ignorare e, d’altra parte, non dobbiamo dimenticare che Giordano Bruno finì bruciato vivo dalla Santa Inquisizione, mentre Platone non si sposò ed ebbe un giovane amico alla maniera di Michelangelo. Lo stesso Platone, poi, complica le cose quando scrive nella Repubblica che il cuore del tiranno, cioè del re o capo politico, è mosso da tre brame che nell’ordine sono: primo il sesso, secondo il danaro e terzo il potere. Il sesso quindi è, secondo Platone, lo scopo inconfessabile della lotta di potere. Quella teoria di Platone calza alla perfezione per tre capi di governo italiani: il re Vittorio Emanuele II, padre della patria non solo perché primo re d’Italia, ma anche per il gran numero di figli che lasciò. Mussolini, poi, che credeva che un destino lo aveva condotto a realizzare il sogno più segreto di ogni maschio: possedere ogni giorno una donna diversa. Era quanto il duce faceva ogni pomeriggio, in piedi, nella sala del Mappamondo di Palazzo Venezia, con donne volontarie o con altre che la polizia gli procurava. Più recentemente, gli episodi di Berlusconi sono sotto gli occhi di tutti, anche se il sesso da lui praticato a me sembra una forma di esorcismo contro la paura della morte. Difatti, i suoi incontri di Arcore avvenivano a pochi metri di distanza dalla tomba che da tempo si è preparata nella sua residenza.

 

Comunque, il problema del sesso appare ben lontano dall’essere risolto e Platone stesso alla fine guarda con pessimismo al corpo, il soma, che definisce come sema, tomba ovviamente dell’anima. Questo orrore della carne, nato nel mondo maschilista e misogino della Grecia antica, proliferò poi come gramigna nel mondo cristiano. Non è un caso che Sant’Ambrogio, nel suo famosissimo inno Te Deum, loda Cristo perché, assumendosi il compito di liberare l’uomo dal peccato, si incarnò vincendo il ribrezzo dell’utero: Tu ad liberandum suscepturus hominem, non horruisti virginis uterum.

 

 

27. Acqua morta e acqua viva

 

Una mano di aiuto a capire il sesso ci può venire da altri tre grandi personaggi quali Budda, Pitagora e Gesù. Di Budda sappiamo che una notte abbandonò la giovane moglie Jashòdara, la portatrice di luce, e il figlioletto Rahula per condurre vita eremitica nella foresta. Lì ebbe l’illuminazione:staccandosi dal desideriosi entrava nel nirvana, la condizione di non dolore. Ora, la donna è quanto di più desiderano gli uomini, elogicamente Budda affermò che la brama di una donna era la perdizione. Difatti, nei suoi discorsi egli si indirizzava solo ai suoi monaci, gli unici che riteneva capaci di staccarsi da tutto, mentre le persone normali con moglie e figli non potevano farloper necessità di cose. Buddapoi, monacò la moglie Jashòdara in un monastero femminile e il figlio Rahula, che morì a cinquant’anni prima di lui, in un monastero maschile. Budda aveva chiara in mente la forza indomabile della donna,bene espressa dal proverbio calabrese: Tira più un pelo di donna che quattro paia di buoi.

 

Pitagora, contemporaneo di Budda -ovviamente i due non si conoscevano- lasciò l’isola di Samo e venne a stabilirsi a Crotone d’Italia, dove tenne la sua famosa scuola. Riguardo al sesso Pitagora dettò precetti chiari e realistici, secondo me a torto definiti rigorosi e stringenti. Il principio di Pitagora in materia sessuale è quello di non contraddizione: una condotta sessuale corretta aiuta a vivere bene, una condotta sessuale scorretta è fonte di guai. Egli parla di sesso senza ambiguità, riconoscendone la forza e perciò la pericolosità. Uno dei suoi detti, gli acusmi, era:Pareggiare la cenere del focolare togliendo l’impronta della pentola. Significava che al mattino bisognava rifare il letto, messo sottosopra la notte durante la pratica di sesso, per non riaccendere la brama di un incontro amoroso. Per lui era bene che i giovani non praticassero il sesso prima dei venti anni, e che i piaceri d’amoresi coltivassero d’inverno, perché non salutari d’estate e nelle mezze stagioni. Il sesso comunque doveva essere praticato nel matrimonio.

 

La donna che aveva avuto un rapporto col marito, secondo la moglie Teano,non aveva bisogno di nessuna purificazione, mentre quella che andava con un uomo non suo, non si sarebbe mai potuta purificare. Teano consigliava alle amiche di lasciare il pudore quando si toglievano la tunica per fare l’amore, e di riprenderlo quando la indossavano di nuovo. Pitagora raccomandava che il rapporto sessuale non avvenisse in maniera animalesca, ma favorendo lo scambio amoroso. Ai giovani discepoli, che andavano a chiedergli il permesso di andare a donne, lui diceva: Sei stanco di star bene? Egliaffermava convinto che la vita del filosofo era la migliore di tutte, ma una bella moglie giovane come Teano… era n’ata cosa, un’altra cosadicono a Napoli.

 

Passiamo ora a Gesù, il personaggio che in materia di sesso ha fatto saltare il banco, ricevendo l’amore incondizionato di milioni e milioni di uomini e donne nella storia, consacratisi a lui in castità a vita nei conventi e nelle case di tutti i continenti. Oggi sappiamo che ci sono circa mezzo milione di religiosi maschi e circa un milione tramonache, suore e donne consacrate.

Ora è di moda dire che Maria Maddalena era l’amante di Gesùperché nell’apocrifo Vangelo di Filippoè scritto che Gesù baciava Maddalena sulla bocca. Quel gesto,però,va inteso secondo l’affascinante dottrina della gnosi: il bacio del maestro sulla bocca significava la trasmissione della Sapienza Divina. Mi sento tranquillo nel dire che Gesù,in materia di sesso, si faceva i fatti suoi e affermava che il peccato nasce dal cuore, dalla decisione cioè di commettere adulterio: il corpo è sempre innocente.

 

Riguardo al sesso, il Vangelo di Giovanniriporta due famosi episodi: l’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo e l’adultera da lapidare. Cominciamo da quest’ultimo. Una donna sposata, sorpresa in flagrante adulterio, viene portata davanti a lui prima di essere lapidata, e gli chiedono se devono lapidarla secondo la legge di Mosè. Gesù li sfida: Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra. Tutti se ne vanno, Gesù salva la donna e la manda a casa raccomandandole di non peccare più: lei aveva peccato col tradimento del marito.

L’altro episodio, come ho già detto, è la pagina più alta della letteratura universale. Gesù con i discepoli era in viaggio dalla Giudea alla Galilea, e sedeva stanco presso il pozzo di Giacobbe in Samaria. Era mezzogiorno e lui stava solo, mentre i discepoli erano andati a procuraredel cibo nella vicina città di Sicàr. A quell’ora avanzata del giorno,nessuno andava al pozzo, ma vi arrivò una donna che non voleva farsi vedere dai suoi concittadini perché era al sesto marito, cioè un convivente, cosa inaudita per l’epoca. Era evidentemente una donna inquieta che cercava una soddisfazione, una serenità che non riusciva a trovare, ecercava dirisolvere il problema cambiando partner in continuazione. Gesù prende l’iniziativa,le chiede acqua da bere e la donna stupisce che un giudeo le rivolga la parola, cosa non permessa tra giudei e samaritani.

Gesù ribatte: Se tu sapessi chi sono io, tu avresti chiesto a me da bere e io ti avrei dato acqua viva.La samaritana: Parli di acqua viva e non hai nemmeno un secchio per attingere? Gesù: Chi beve di quest’acqua avrà ancora sete. Chi invece beve dell’acqua che gli darò io, non avrà mai più sete; ma l’acqua che gli darò, diverrà in lui sorgente d’acqua zampillante verso la vita eterna. Gesù parla di un’acqua viva, addirittura zampillante verso la vita eterna: il greco allomenou eisva tradotto zampillante verso, complemento di moto a luogo.Egli cerca di farle capire che c’è qualcosa che spegne ogni sete in una dimensione fuori dal tempo. La donna stenta a capire, e Gesù glielo spiega con l’esempio della sua stessa vita amorosa, popolata da uomini che l’hanno lasciata insoddisfatta, assetata. La donna lo ammette,e allora Gesù porta il discorso all’adorazione di Dio in spirito e verità, cioè nella interiorità della persona, non nei templi. Poi conclude: Sono io il Messia, quello che dà l’acqua zampillante verso la vita eterna.

 

L’acqua di un pozzo palestinese è scarsa, stagnante, bisogna tirarla su con un secchio: è acqua morta che bisogna bere perché non c’è di meglio. E’ come il sesso che può spegnere il bruciore della carne, ma poi la fiamma del desiderio si riaccende. L’acqua viva di cui parla Gesù zampillain direzione della vita eterna, una dimensione dove la sete dei desideri si calma nell’unione con Dio, il mare dell’essere al quale la goccia si unisce.

 

Budda con il nirvana, Pitagora con le regole dell’armonia, Platone con la ricerca dell’androgino, Bruno con l’eroico furore, sonoanime nobili che invitano a una ricerca, auno sforzo, a una fatica che oltrele forze umane. Gesù vede le personeschiacciate dal peso della vita, e non le esorta a raggiungere quei faticosi obbiettivi. Lui dona un’acqua vivachespegne la sete per sempre: basta accettare il suo dono.

 

28 La formula risolutiva del sesso

 

Se anche esaminiamo tutte le sfumature date a sesso, eros, filìa, amore, agape nei vari periodi storici, arriviamo sempre alla conclusione che la persona normale rimane dilaniata tra il desiderio di sensualità e quello di trascendenza. Una formula risolutiva non esiste.

Ritorniamo allora a Gesù e al suo l’invito all’acqua viva che ha superato i secoli, invito accolto anche da due sorelle di mia madre,Maria Antonietta e Franceschina. Erano due giovani di straordinaria bellezza, ma non vollero saperne di fidanzati che le corteggiavano e, con grande dispiacere della madre, si fecero suore salesiane. Quella decisione fu preceduta da una intensa frequentazione della chiesa e dalla stessa atmosfera di sacro che si respirava a casa loro, dove in continuazione risuonavano canti sacri e preghiere. Vicino acasa loro c’era, e c’è ancora, una chiesetta chiusa dedicata a San Rocco. Le zie si fecero dare la chiave e assieme ad altre giovani, che diventarono anche loro salesiane, Suor Stella e Suor Caterina, l’aprivano, l’ornavano di fiori e facevano atti di pietà. Suor Maria Antonietta si laureò in lettere classiche all’Università Cattolica e diventò la latinista più conosciuta della costa jonica, insegnando per più di cinquanta anni, severa ed esigente, nel Collegio delle Suore Salesiane di Soverato. La sorella più giovane, Suor Franceschina, di carattere più caldo e dolce, si lamentava che ad Ottaviano, vicino a Napoli, dove lei era direttrice della casa, vivevano in mezzo al fischio delle pallottole, riferendosi all’avanzare della camorra. Una volta mi espresse la sua frustrazione: Quel Cutolo che adesso è in carcere, veniva al nostro asilo…Fu poi direttrice a Villa San Giovanni e a Reggio Calabria, e morì all’improvviso dopo una serata passata in cappella in solitaria adorazione del Santissimo Sacramento. Erano due donne di fede, impegno e purezza senza pari. Mia madre, anche lei animata da grande fede, ebbe invece vita travagliata e infelice a causa della dottrina cattolica sul sesso che la portò in clinica psichiatrica. Io, non di meno animato da sincera fede, sempre chino sui libri di studio o in cappella a pregare con animo ardente, mi ritrovai in mezzo a un bufera di sessoper non aver fatto nulla: solo confessavo al padre spirituale del seminario le tentazioni della carne.L’invito esaltante di Gesù si può trasformare anche in una grave frustrazione per le persone normali. Riaffiora allora la necessità,per chi vuole seguirlo, di abbandonare il mondo: sulle rive del Gange Budda diceva la stessa cosa.

 

Un esempio noto, anche se non capito in profondità, è quello di Sant’Agostino che, per seguire Cristo… ha rovinato la vita a due persone. Sant’Agostinoè un personaggio molto importante che ha scritto nelle Confessionipagine meravigliose sul tempo e la memoria, il branopiù importantedella letteratura mondialedopo quello della samaritana al pozzo nel Vangelo di Giovanni.

Durante un mio viaggio in Algeria, ad Annaba, l’antica Ippona di cui Agostino fu vescovo, ho visitato la grande basilica costruita in suo onore dai francesi alla fine del 1800. Dietro l’altare c’è una statua del santo, disteso, con le vere ossa del suo braccio destro inserite nel statua, il braccio che ha scritto pagine meravigliose: le altre sue reliquie si trovano a Pavia in San Pietro in Ciel d’Oro vicine a quelle di Severino Boezio.

Sant’Agostino è un esempio,ben documentato nei suoi scritti, di come il sesso può diventare fonte di grave angoscia. Egli narra dei giovani e delle giovani di Cartagine che di notte andavano a visitare le reliquie dei martiri cristiani col vero scopo di incontrarsi e fare… altro. Poi racconta dell’ardore dei sensi nelle notti passate sulle spiagge in compagnia di Illa, in latino quella e in napoletano chilla là, riferendosi alla donna della sua vita, sempre molto desiderata, ma di cui non scrisse mai il nome. Illa gli partorì un figlio non voluto, ma poi molto amato, Adeodato, così intelligente e sveglio che metteva soggezione a suo padre. Agostino non sposò Illa, come gli era richiesto per diventare cristiano, anzi la mandò via da Milano in Africa,da sola,e lei partì giurando che non sarebbe più stata di nessun altro uomo. Adeodato, che il padre chiamafiglio del peccato e, dopo il battesimo,figlio della grazia, rimase con lui, ma morìa sedici anni lasciandolo costernato con gravi sensi di colpa. Agostino, invece di riconoscere la sua azione miserabilecontro una donna che gli aveva dato l’anima e un figlio, giustificò il suo squallido operato come conseguenza del peccato originalederivante dalla trasgressione di Adamo ed Eva. E fu veramente abile nello scaricare la sua colpa sui nostri lontani progenitori:ancora oggi, nella viglia del Sabato Santo, si canta il Preconio Pasquale che contiene queste sue parole: O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem. Beata colpa, che meritò tale e così grande Redentore. In lingua moderna diremmo: BenedettiAdamo ed Eva che con il loro sbaglio ci hanno dato questo bel Redentore.

Agostino rimase comunque un perseguitatoa vita del sesso, tanto che scriveva:Poche sono le vittorie nelle battaglie contro la carne. Addirittura, in un raro momento di autoironia, pregava: O Dio, dammi il dono della castità, ma un po’ alla volta…

 

29. Il fondatore del cristianesimo

 

Il fondatore del cristianesimo storico non fu Gesù, ma San Paolo. Il nome viene da Cristo, icui insegnamenti sono riportati nei Vangeli, ma San Paolo li inquinò aggiungendovi il peccato originale del quale Gesù non ha mai parlato. San Paolo aveva bisogno del peccato originale per liberarsi dei suoi sensi di colpa. Egli aveva frequentato per quindici anni la scuola del rabbino Gamaliele, assorbendo inevitabilmente la dottrina sacrificale della Bibbia. Quando venne a conoscenza degli insegnamenti di Gesù, organizzò la caccia adei poveri cristianiche nonavevano fatto nulla di male e partecipò alla lapidazione del primo martire,Santo Stefano. Poi si convertì sulla via di Damasco diventando molto attivoe inserendo nella dottrina di Gesù la nozione di peccato originale. I progenitori avevano peccato e quindi-lo scrive nelle sue epistole-era necessaria una vittima eccellente, Gesù, il novello Adamo,per cancellare il peccatocol suo sangue.

 

In realtà Gesù rigettava radicalmente la Bibbia e quando cominciò la sua predicazione, il suo comportamento e insegnamento furono contrari ai comandamenti biblici. Oggi è invalsa la moda di chiamare gli ebrei fratelli maggiori dei cristiani, ma questo, ancora una volta, deriva dai sensi di colpache la Chiesa haaccumulato per avere sempre perseguitato gli ebrei e poi per non aver impedito il loro olocausto da parte dei nazisti.

I Vangeli ci mostrano un Gesù che non rispetta il sabato, il precetto più rigoroso degli ebrei, e fa molte altre cose proibite dalla Bibbia: frequenta i lebbrosi, le prostitute e i pubblicani; contesta e irride i sacerdoti del Tempio e libera gli animali destinati al sacrificio; prende donne al suo seguito; celebra la Pasqua un giorno prima di quella del Tempio di Gerusalemme, come conferma San Giovanni nel suo Vangelo. Poi arriva a dichiararsi figlio di Dio, cosa inaudita che prevede la pena di morte per blasfemia. La condanna a morte di Gesù era legalesecondo la Bibbia, anche se ottenuta forzando la mano a Pilato.

 

Gesùrifiutò il sacrificio di sangue come mezzo per cancellare la colpa e predisse la fine del Tempio di Gerusalemme,un mattatoio che risuonava delle urla degli animali scannati. La cultura sacrificale della Bibbia eraopposta a quella di Cristo, come lo era a Pitagora ed Eraclito che aveva detto:

Invano purificano col sangue l’impurità di sangue

Come chi, nel fango caduto, volesse col fango lavarsi.

 

Recentementemi è capitato di ascoltare la predica di un prete che spiegava come mai la Madonna era stata concepita senza peccato originale, l’Immacolata Concezione appunto. E spiegò, scomodando un teologo del calibro di San Tommaso d’Aquino, che Dio aveva esentato la Madonna dal peccato originale in previsione dei meriti di Gesù. Cioè Dio padre, sapendo che Gesù col suo sacrificio in croce avrebbe acquistato meriti infiniti, ne prelevòanticipatamente una parte per esentare Maria dal peccato originale. Una specie di operazione bancaria di sconto garantita dalla morte del figlio…

Ricordo, quando ero bambino, che alla nascita delle mie sorelline non mi era permesso dare loro un bacio perché avevano il peccato originale e non erano ancora battezzate. Questo succedeva non solo nella mia famiglia, ma era un uso normale nel paese.

 

Altri teologi, invece, tra i quali un vescovo di Firenze del 1400, Sant’Antonino, elaborarono un’altra teoria. Il santovescovo si chiedeva cosa sarebbe successo se i crocifissori diCristo si fossero fermati e non avessero completato la crocifissione.Maria, allora, capendo che non ci sarebbe stata la redenzione del genereumano, avrebbe preso martello e chiodi e, senza piangere anzi con gioia, avrebbe crocifisso Gesù! Alla fine tutti facevano il piantolino per le ferite, i chiodi, le spine e la croce di Gesù, ma in realtà non gliene importava nulla dei suoi doloripurché loro si salvassero.

Si potrebbe obbiettare che questa è una visione medievale arretrata, però ho sentito con le mie orecchie San Giovanni Paolo II ripetere che Maria avrebbe da sola crocifisso il figlio pur di salvare il mondo… Tra la Vergine sorridente che vedono i pastorelli e quella armata di chiodi e martello che vede il papa, si spalanca incolmabile l’abisso sacrificale scavato da San Paolo.

 

30. Gesù di chi è figlio?

 

Il Cristo che conosciamo attraverso la Chiesa è figlio… delle definizioni. Mi spiego con l’esempio di una visita fattasull’Etna ai tempi che frequentavo l’Università di Messina. Non avevo mai visto un vulcano in eruzione, e l’Etna in quegli anni si risvegliò scaricando fiumi di lava che nella notte si vedevano rosseggiare anche da Catania. Al mattino cercai, per quanto possibile, di avvicinarmi alle colate di lava, ma,con mia delusione,erano già scure e poco dopo si sarebbero pietrificate. Quel processo da fuoco vivo a pietra fredda è l’immagine di una energia decaduta,senza più luce né calore, una vita raffreddata e pietrificata dalla definizione.

La definizione, anzi l’angoscia definitoria,nel tempo si è trasformata in teologia, in verità immutabile, in dogma incomprensibile che il seguace accetta perché così hanno deciso i padroni della verità. La definizione teologica, invece di aiutare il desiderio umano ad elevarsi, lo schiaccia e lo soffoca. Per esempio,il concetto di immacolata concezione esprime in fondo il desiderio di ognuno di nascere puro come la Madonna. La definizione teologica invece loesclude: la Madonna sì, noi no. Gesù è figlio di Dio e ci invita a diventare come lui. La definizione teologica afferma che solo Gesù è l’unigenito figlio di Dio, noi no. L’apparato definitorio crea così steccati, confini-stessa parola di de-finizione- che non ci lasciano campare. E’ il pericolo che Gesù ha cercato di evitare con il triplice invito a Pietro: Pasci i miei agnelli, pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. La parola greca del testo non lascia dubbi: boskein significa condurre al pascolo, far mangiare erba, e il pastore deve aprire la porta dell’ovile e lasciar uscire agnelli e pecore dal chiuso.

La paura ci spingeistintivamente a non toccare i dogmi di fede. Per vincere quella paura è indispensabile l’energia potente del desiderio che a noi comuni mortali manca. Gesù fu l’unico capace di desideraresenza alcuna umana limitazione fino a voler essere Dio e a vincere la morte.

 

Questo forte personaggio di Gesù come si è formato culturalmente, a cosa si è ispirato? La risposta va cercata nei Vangeli, che scrivono di una fuga in Egitto di Gesù bambino con i genitori per sfuggire a Erode. La città più vicina a Israele era Alessandriaaccanto alla quale, in prossimità del lago Mareotis ora prosciugato, viveva una comunità particolare di ebrei. In Alessandria c’erano all’epoca diverse migliaia di ebrei, ma quelli che vivevano vicino al lago si chiamavano Terapeuti. Erano ebrei di razza, non di religione perché erano vegetariani, rifiutavano i sacrifici e il Tempio e vivevano sobriamente in comunitàdi vita e di beni. I Terapeuti, come gli Esseni di Israele, erano i pitagorici del mondo ebraico. Difatti, dopo la cacciata di Pitagora da Crotone, molti pitagorici si erano sparpagliati per il mondo diffondendo la loro dottrina. Le prove documentali, i passaggi della cultura pitagorica dalla Magna Grecia al mondo ebraicofino a Gesù, sono riportati nel mio libro Cristo ritorna da Crotone, al quale rimando per l’analisi dei testi e le prove documentali di quanto affermatocon l’evidenza dei vari passaggi e intrecci culturali.

 

In sintesi, Gesù, ebreo e figlio di ebrei, in Egitto si trovò esposto a una cultura contraria alla Bibbia e ne rimase colpito e affascinato fino a farla sua. E non era tutto. In Egitto c’era fortissimo il culto dei morti con l’imbalsamazione, un metodo studiato per non far perire il corpo in attesa che l’anima si potesse di nuovo congiungere ad esso. Gli Egiziani erano terrorizzati dalla morte al punto che il loro Dio più adorato, Osiride, aveva affrontato la morte ed era risorto generando il grano. Gli egizi che mangiavanopane e bevendo il distillato di grano, assumevano il corpo e il sangue di Osiride come promessa di vita eterna. Gesù poi celebròl’Ultima Cena,unendo l’amore fraterno del sissizio pitagorico alla resurrezione dalla morte osiriaca.

 

La lettura storica della vicenda di Gesù è, a mio giudizio, la scoperta più importante della storiografia perché ristabilisce la visione corretta degli avvenimenti, eliminando le distorsioni operate dalle interpretazioni di San Paolo, Sant’Agostino, Sant’Antonino e molti altri santi e teologi. Capire come siano andate realmente le cose è fondamentale per poter contrastare con successo la violenza umana vincendo il mal di vivere e la paura della morte.

 

Sei secoli prima di Gesù, un simile percorso culturale aveva fatto Pitagora, che il padre durante un viaggio di affari portò giovanissimo a Crotone d’Italia, dove conobbe gli Itali, che vivevano liberi, in comunione di vita e di beni senza competizione tra di loro. Dopo aver passato la vita a girare per il mondo, Pitagora volle tornare a Crotone, e vi fondò la sua scuola. Non è un caso che due bambini, Pitagora e Gesù, siano stati conquistati da un modo di vivere diverso da quellodella loro gente, tanto da abbracciarlo e decidere di propagarlo. E’ l’innamoramento spontaneo del bambino che butta le braccia al collo di chiama. A questo sembra riferirsi Gesù quando dice: Se non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

 

Ma, dice un proverbio, a volte succede che dovrai bere alla fontana che non vuoi, per indicare che le cose vanno nella direzione opposta a quella voluta. E’ quello che è successo anche a Gesù. Il Beato Paolo VI, con la riforma liturgica da lui approvata, ha introdotto nella messa una lettura della Bibbia prima di quella tradizionale dell’epistola. Quel papa, per sua stessa ammissione, volle prendere il nome da San Paolo, da lui tanto ammirato per la sua dottrina, e non è una semplice coincidenza che sia stato lui a proibire la contraccezione alla donne con i risultati catastrofici che sappiamo. La cultura sacrificale della Bibbia, che Gesù ha cercato in tutti i modi di smantellare, alla fine è rispuntata più forte che mai esigendo un numero incalcolabiledi vittime, povere donne rovinate.

 

 

 

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